martedì 20 settembre 2022

AIACE

 Gli eroi di Sofocle #1




Cari lettori,

con il post di oggi inauguro un nuovo progetto letterario per la nostra rubrica “L’angolo della poesia”!


Se ben ricordate, all’inizio del 2022, in un post dedicato ai miei buoni propositi a tema lettura/scrittura (che trovate a questo link), avevo espresso il desiderio di tornare ad occuparmi di teatro delle origini, greco o latino, una delle mie più grandi passioni. Le mie due tesi di laurea hanno affrontato importanti momenti di contatto tra letteratura greca e teatro contemporaneo: Elettra di Sofocle portata in scena da Strehler nel ‘51 (ne parlo meglio qui) e Odyssey di Bob Wilson (di cui vi ho raccontato qualcosa in questo post).


Sul blog ho scritto parecchio di teatro greco tra il 2017 e il 2018, con una serie di post intitolata Le donne di Euripide: a questo link trovate il post che riepiloga tutte le tappe.


È passato un po’ di tempo da quando ho concluso questo percorso che per me è stato così interessante e stimolante, e, dopo varie altre incursioni nella letteratura e nella poesia, ho sentito di nuovo il desiderio di leggere quelle opere teatrali che non ho ancora particolarmente approfondito.



Così oggi partiamo insieme per il progetto “Gli eroi di Sofocle”!


Prima di entrare nel vivo, qualche premessa. I tre tragediografi greci più famosi sono Eschilo, Sofocle ed Euripide. L’ultimo è quello di cui è stato trasmesso più materiale, anche perché, alla sua morte, la tragedia greca aveva iniziato a fare scuola.


Eschilo è il più antico dei tre ed è considerato il più tradizionalista: i suoi protagonisti sono condotti – e spesso schiacciati – dal Fato, che quasi sempre coincide con un volere divino freddo ed imperscrutabile. Esempi di questo sono la regina madre nei Persiani, che ha un presagio di sventura ma nulla può fare per il destino di suo figlio, ed infatti poco dopo un araldo terrorizzato giunge per riportare la terribile notizia della sconfitta di Salamina; oppure Cassandra nell’Orestea, che vede la morte sua e di Agamennone per mano della vendicativa Clitennestra, ma come sempre è destinata a non essere creduta.


Euripide, figlio di una generazione successiva, è molto differente sia per personaggi che per tematiche. Se in Eschilo le figure femminili erano le più schiacciate dalla Tùche (Destino) avversa, nelle sue tragedie esse sono spesso protagoniste, talvolta come vittime (Ifigenia o Ecuba), qualche volta come motori dell’azione (Elena) o addirittura come antieroine (Medea). Nelle sue tragedie la divinità, quando è presente – in alcune opere gli dei sembrano essere nominati più per tradizione che per vera fede – sembra scacciata dal suo trono: emblematico è Reso, opera in cui la dea Atena letteralmente si “sporca le mani” per aiutare Odisseo e Diomede, che, per quanto eroici, sono pur sempre uomini.

Ultima particolarità di Euripide è quella di aver scritto delle tragedie a lieto fine, il che sembrerebbe un controsenso, ma non lo è: si tratta di drammi sfiorati che fortunatamente hanno una risoluzione positiva.



In mezzo a questi due estremi c’è proprio Sofocle, che crea delle storie in cui i protagonisti sono degli eroi solitari che in qualche modo contravvengono ad una legge, o degli uomini o degli dei. Sono persone che, per svariati motivi, si sentono outsider rispetto alla società del tempo, oppure lo diventano per un terribile, fatale errore. Sofocle racconta le loro lotte, ed il loro triste destino.


Ci sono arrivate solo sette tragedie intere di questo autore. Di Elettra non vorrei parlarvi nuovamente, perché ne ho già scritto e riscritto, anche su questi schermi: se ve lo siete perso, andate a questo link.

Le altre sei, invece, saranno protagoniste di questo progetto!


Piccola nota: ho scelto di mettere l’etichetta “L’angolo della poesia” perché, anche se noi leggiamo queste tragedie in prosa in italiano, esse sono originariamente scritte in poesia, più in particolare in trimetri giambici.


Oggi iniziamo con Aiace, una delle opere più antiche di Sofocle. Essa racconta un episodio dell’epica omerica che sicuramente qualcuno di voi ricorderà. Vediamolo meglio insieme!



La storia di Aiace


La guerra di Troia sta per arrivare alla sua conclusione: di lì a poco ad Odisseo verrà l’idea, geniale e crudele insieme, del cavallo di legno.


Tanti eroi di primissimo piano sono morti, compresi Ettore e, poco dopo, lo stesso Achille. Proprio per le armi del Pelide scoppia un terribile litigio: esse sono contese da Odisseo e da Aiace Telamonio, re di Salamina.


Agamennone, re dei re e capo della spedizione, decide di affidare le armi ad Odisseo, sia perché è importantissimo per lui non perdere l’amicizia di un uomo così scaltro, sia perché l’indipendenza di Aiace non ha mai fatto nascere una grande stima tra di loro. Aiace, furibondo per l’offesa subita, alza la spada sui presenti, ma la Dea Atena, da sempre amica e protettrice di Odisseo, offusca la sua mente. Così il povero Aiace, in preda ad una crisi di follia, si dirige verso gli allevamenti e fa una strage di mucche e capre, pensando che si tratti dei suoi nemici.


Il risveglio da quelle ore di follia è spaventoso. Aiace sente di aver perso ogni dignità, di non valere più nulla, di non potere tornare a Salamina dagli anziani genitori dopo aver perso l’onore, e di dover morire pur di riparare a questo gesto.


In tanti provano a convincerlo a desistere da questo insano proposito: prima la moglie Tecmessa, che gli ricorda il suo passato di schiava e la sua sorte incerta e gli mostra il figlioletto Eurisace, e poi il coro, composto da marinai di Salamina, che gli ricorda l’importanza di un rapporto equilibrato con gli dei e gli propone dei sacrifici riparatori.


Aiace fa credere ai suoi marinai di aver accolto questa proposta ragionevole e si dirige su una spiaggia isolata. A sorpresa di tutti, però, proprio lì egli si lascia cadere sulla spada che gli aveva donato Ettore al termine di un leggendario duello.


Così non solo Aiace va incontro ad una tragica sorte, ma anche il fratellastro Teucro, di origine soltanto per metà greca, dovrà faticare non poco perché egli riceva una sepoltura degna di lui.



Il rapporto dell’eroe con uomini e dei


Anche nell’Iliade, che pure è un poema epico, quindi più d’azione che di riflessione, Aiace è descritto come un individualista: un uomo solitario ed abbastanza cupo, che crede molto nei suoi valori e solo quelli segue.


Il suo eterno rivale al campo è Odisseo, ma i due uomini sono meno diversi da quel che potrebbe sembrare: entrambi considerano fondamentale ragionare con la loro testa, ma il re di Itaca è abbastanza furbo da comprendere quando è il momento di fare un passo indietro e di fingere di adeguarsi agli ordini di chi è più forte. Aiace, invece, è fiero ed orgoglioso, e non nasconde la sua avversione nei confronti di chi, secondo lui, non è degno di condurre l’esercito.


All’inizio della tragedia, il coro parla molto di come Aiace sia visto con invidia, talvolta con rabbia. Appena egli se ne torna nella sua tenda dopo aver compiuto qualche impresa, infatti, gli Atridi sparlano della sua tendenza ad agire da solo, e tutti i soldati di grado inferiore, pur di farsi considerare dai capi, si uniscono al chiacchiericcio invidioso.


Tali voci di disistima si sono rafforzate dopo il duello con Ettore, conclusosi in un pareggio con tanto di scambio di doni: qualcun altro, al posto suo, probabilmente non avrebbe esitato nel colpire l’eroe troiano con l’inganno.


Come se questo non lo rendesse già abbastanza isolato dal gruppo, l’indovino Calcante gli rimprovera la sua tracotanza: Aiace, infatti, ritiene che il merito delle sue imprese di guerra sia soltanto suo e dei suoi uomini, e che la protezione delle divinità non abbia alcuna importanza. Egli, addirittura, una volta ha offeso la Dea Atena, che da allora l’ha preso in antipatia ed in questo momento può prendersi la sua vendetta.



Inviso ai condottieri più potenti ed agli dei, Aiace resta solo e con la vergogna di aver compiuto un gesto degno di un folle.


Sofocle non è più come Eschilo, che descrive i suoi eroi come impotenti di fronte al destino, ma non è nemmeno Euripide con la sua “umanizzazione” degli dei. Per la morale dei tempi, la scelta per restituire a se stesso un po’ di dignità era purtroppo inevitabile.



La scomparsa di un eroe… e di tutto il suo mondo


In questa tragedia, a mio parere, Sofocle compie anche una sorta di critica sociale.


La morte di Aiace non è un affare privato come ai giorni nostri: non è soltanto – e già così noi lo viviamo come qualcosa di molto doloroso – la perdita di un caro all’interno di un nucleo familiare, che però a poco a poco si imparerà a superare grazie all’affetto di chi è rimasto, al tempo che passa ed all’eredità che comunque resta in famiglia.


La scomparsa di un re, per quanto di un regno piccolo come Salamina, è una tragedia che si abbatte su tutta la comunità, che, senza un capo, rischia di vedere compromesso anche il suo destino. Come in un tragico effetto domino, la morte di Aiace rischia di portare con sé anche tutti gli altri.


Innanzitutto Tecmessa, che da schiava è diventata moglie legittima per volere di Aiace, senza di lui potrebbe diventare di nuovo serva di un altro potente, e per di più con un figlioletto a carico da proteggere dalla violenza e dai complotti.


Poi gli anziani genitori, che non sopporterebbero di veder tornare a Salamina la salma del figlio adorato, e forse si sentirebbero così male da seguirlo nell’Ade a loro volta.


Infine, come il coro stesso ricorda – solitamente esso, specie nelle tragedie di Eschilo e Sofocle, è la voce della tradizione e della società – tutto il regno di Salamina è in pericolo, senza un re. Il fratellastro Teucro è per metà troiano, non ha alcun diritto. Qualunque altro capo potrebbe mettere le mani su quella terra di nessuno.


Questa tragedia ci insegna che, per quanto una società possa definirsi avanzata, e la civiltà micenea per quei tempi lontani sicuramente lo era, purtroppo basta un’occasione favorevole, spesso la sfortunata morte di qualcuno, perché di nuovo accada che homo homini lupus. Visti i tempi che corrono, purtroppo, trovo questo insegnamento tragicamente attuale.



Personaggi dell’Iliade, tra pietas ed empietà


L’ultima parte della tragedia ha come protagonista Teucro, il fratellastro di Aiace. Egli, dopo aver composto il corpo del fratello, inizia a fornire delle indicazioni per la sua sepoltura, ma ben presto irrompono sulla scena prima Menelao e poi Agamennone, che con parole turpi si rifiutano di concedere i giusti onori al defunto.

Inaspettato alleato di Teucro sarà invece proprio l’odiato Odisseo, del quale tutti i personaggi hanno parlato piuttosto male nel corso della tragedia.


Menelao ed Agamennone sicuramente non sono tra i personaggi più positivi del mondo greco. Se Menelao in parte si riabilita nell’Odissea, fornendo informazioni a Telemaco per il ritrovamento del padre, e nella tragedia euripidea Elena, che ha una sorta di lieto fine, Agamennone fa una pessima figura fin dall’inizio dell’Iliade, litigando con Achille e non rispettando le regole della divisione del bottino di guerra, e nell’Orestea di Eschilo resta arrogante ed ignaro dell’odio che sua moglie cova per lui fino alla fine.


Sofocle non fa eccezione nel dipingere gli Atridi come dei condottieri ai quali il potere ha dato alla testa (come probabilmente erano tanti generali dei suoi tempi, o tutti coloro che dalla spada erano passati alla politica). Menelao sfrutta la sua posizione di fratello dei “re dei re”, mentre Agamennone non manca di ricordare a Teucro che egli è per metà troiano, e quindi nemico. Il fratellastro di Aiace si rivela degno di lui: risponde punto per punto ad ogni offesa, mettendo i due capi di fronte alla loro prepotenza.


Odisseo, invece, contrasta l’empietà degli Atridi e, pur essendo stato per tutta la vita rivale di Aiace, ha sempre nutrito rispetto per lui. Facendo uso della sua leggendaria abilità con le parole, egli ricorda a tutti l’importanza di una delle più sacre regole della società, i degni onori funebri.


Lo stesso Teucro è fortemente colpito dal fatto che proprio l’uomo con cui il fratello defunto ha avuto l’ultimo litigio si comporti in modo così virtuoso. La tragedia si conclude con le disposizioni per gli onori funebri.




Ecco la mia analisi della storia di Aiace!

Fatemi sapere se con questo post vi ho fatto ricordare qualcosa dei vostri studi o se invece conoscete meglio altre opere dell’epoca classica.

La trovate un’opera attuale? Io per certi versi sì, molto.

Ditemi un po’ che ne pensate di questo nuovo percorso letterario!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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