venerdì 24 febbraio 2017

IL CLAN DELLE DIVORZIATE

Un’improbabile convivenza in scena al Teatro Leonardo




Cari lettori,
nuovo appuntamento con i “Consigli teatrali”! Oggi vi parlo di una simpaticissima commedia che ho visto al Teatro Leonardo di Milano. Ci avviciniamo a grandi passi alla Festa della Donna e questa rappresentazione tutta al femminile ci prepara al meglio. Vediamo un po’ più da vicino gli aspetti chiave di questo spettacolo…



Il divertentissimo intreccio narrativo



Beatrice, una quarantenne di origini aristocratiche, dopo aver divorziato dal marito viticoltore torna nella casa di famiglia a Milano dov’è nata e cresciuta. Volendo mantenere uno stile di vita che non si può più permettere, decide di condividere l’appartamento con altre due donne.

È così che ella conosce altre due divorziate come lei: Michela, bruna, schietta e non particolarmente attraente, e Mary, bionda, inglese, molto svampita e seduttiva.

Le tre donne, completamente diverse tra loro, finiscono per stringere una strana alleanza, spinte da un obiettivo comune: trovare un nuovo “buon partito” da sposare. Grazie ad un’idea di Beatrice, infatti, esse decidono di pubblicare su un giornale degli annunci a sfondo sentimentale, sperando di trovare qualche persona interessante tra i candidati che risponderanno.

Gli effetti di questa iniziativa, però, saranno del tutto imprevisti… come finirà la ricerca di un eventuale secondo marito? E quali saranno gli sviluppi di questa improbabile amicizia?



Il personaggio di Michela



La particolarità più vistosa di questa rappresentazione è il fatto che una delle tre donne, Michela, sia interpretata da un uomo, Stefano Chiodaroli, noto attore comico che ha partecipato alla sit-com Belli dentro, al film di Checco Zalone Cado dalle nubi ed a molti altri film e fiction.

Il motivo di questa scelta è più semplice del previsto: il copione, infatti, prevede che Michela debba essere una donna brutta, e nessun regista recluterebbe, giustamente, una persona di sesso femminile per un ruolo del genere.

Michela, nella sua concreta semplicità, finisce spesso per fare da contraltare a Beatrice ed a Mary, che, se pur in modo diverso tra loro, sono delle grandi sognatrici.

Il talento comico di Stefano Chiodaroli si esprime tramite battute, gesti, osservazioni: davvero impossibile non ridere!



Il tono autoironico delle protagoniste



Le tre signore al centro della scena sono molto brave a far capire allo spettatore i loro punti forti, ma anche quelli deboli.

Beatrice è raffinata, elegante e volitiva, ma cede un po’ troppo spesso al vizio dell’alcool e ricerca in modo spasmodico i beni materiali.

Mary è allegra e divertente, ma anche molto leggera e perennemente sulle nuvole.

Michela, infine, cerca di essere la parte razionale del gruppo, ma la delicatezza non è proprio una sua virtù.

Vivendo insieme, le tre donne imparano a conoscersi meglio ed il confronto le aiuta a rendersi conto dei loro difetti.

C’è tuttavia un cruccio che esse hanno in comune e che non riescono ad allontanare: la costante insoddisfazione derivante dal divorzio, unita alla sensazione di essere state messe da parte.


Man mano che la rappresentazione procede, le protagoniste, con le loro difficoltà e con tanta ironia, cercheranno di capire che il loro valore in quanto persone va ben oltre la loro situazione sentimentale, e che gli uomini che esse disperatamente cercano hanno dei difetti ben peggiori dei loro.



L’incontro tra la commedia francese e quella italiana


Il clan delle divorziate è la versione italiana di una commedia che ha fatto ridere a lungo la Francia. I remake di film, telefilm e spettacoli teatrali sono sempre un rischio: il flop potrebbe essere dietro l’angolo, specie se lo spirito originario della rappresentazione viene travisato.

In questo caso, invece, lo spettacolo è arrivato al Teatro Leonardo in replica, dopo aver riscosso un grande successo al Teatro San Babila circa due anni fa.
Il clan delle divorziate, dunque, non è solo una spassosa commedia, ma anche un buon esempio di re-interpretazione di una storia che aveva già divertito il pubblico in un’altra veste.




Lo spettacolo resterà al Teatro Leonardo fino al 12 marzo!
Siete già andati a vederlo? Che cosa ne pensate?
Spero di avervi incuriosito!

Grazie mille per la lettura e al prossimo post J

lunedì 20 febbraio 2017

LA FIGLIA MAGGIORE DI AGAMENNONE

Storia di Ifigenia e della sua scelta

Le donne della letteratura e la figura paterna #3


Cari lettori,
per la nostra rubrica “Donne straordinarie”, sono felice di portarvi con me in quello che, come molti di voi ormai sapranno, è uno dei miei mondi preferiti: la tragedia greca. Oggi compiamo infatti un viaggio alla scoperta dei famosi re micenei, protagonisti dell’Iliade di Omero, ma anche di tante altre storie che vale la pena raccontare.

Ci concentreremo su uno dei personaggi più importanti: il re dei re Agamennone, comandante della spedizione contro i Troiani, tanto potente in guerra quanto sfortunato dal punto di vista personale e familiare. Una delle sue disgrazie più grandi è stata sicuramente quella che ha riguardato la sua figlia maggiore Ifigenia.

Ifigenia viene infatti presentata, nell’ultima tragedia del drammaturgo Euripide, Ifigenia in Aulide, come un personaggio non solo centrale, ma anche risolutore. Con la sua decisione di immolarsi per la libertà dell’Ellade, infatti, ella pone fine ad una serie di indecisioni, pentimenti, inganni e colpi di scena operati dagli altri personaggi della serie.

Una fermezza, dunque, che fa da contrasto ad un groviglio di emozioni dai contorni sfumati e non chiaramente definiti; pure, da quest’ultimo emerge una tematica costante, destinata a tornare, puntualmente, nel corso di tutta l’opera: quella del sottile legame tra la figlia ed il padre, che nello stesso tempo è anche re e comandante di un esercito. Vediamo meglio quali sono i motivi per cui Ifigenia è un personaggio così importante!



… perché sia lei che il padre si trovano in una situazione drammatica



Il mito di Ifigenia si basa, innanzitutto, su un tabù: era ed è tuttora inconcepibile pensare ad un padre che ordina, lucidamente, l’uccisione della figlia.
Questo sconvolge il senso comune perché si è giustamente portati a credere che i legami familiari siano sacri, inviolabili, una granitica certezza per l’uomo.

Basta però richiamarci a queste opere per comprendere come in realtà, al di sotto di tutta questa sicurezza, persista una serie di impulsi caotici e primordiali, che tendono a sconvolgere l’uomo ed a fargli compiere azioni apparentemente prive di senso. In realtà, queste ultime provengono dal profondo della coscienza umana, probabilmente sin dall’infanzia, e rivestono un ruolo determinante. La tragedia greca è diventata famosa proprio perché scandaglia questi impulsi umani indicibili!


Nel caso di Agamennone ed Ifigenia, entrambi rivelano una natura bivalente, che, inaspettatamente, li accomuna più di quanto si possa credere. Agamennone, infatti, inizialmente acconsente al sacrificio di Ifigenia, lasciandosi trasportare dalla sua natura di re e di uomo autoritario e razionale e provando a ragionare da politico. Questo comportamento, d’altra parte, è presente anche in Ifigenia, seppur con connotazioni diverse. Ella, all’inizio, accoglie la notizia del suo destino come un tradimento, ed invoca il padre con parole ricche di commozione, supplicandolo di risparmiarla. Questi toni sono però improvvisamente allontanati, a favore di una nuova fermezza e decisione e della consapevolezza della propria sorte.


Sono state avanzate molte ipotesi al riguardo di questo improvvisa ed apparentemente inspiegabile cambio d’opinione.
A mio parere, è affascinante notare come, in tutto l’insieme dei cambiamenti che si verificano, si sia comunque creato un parallelismo tra i due personaggi considerati: entrambi sono soggetti a crisi, panico, dolore, ripensamenti; entrambi combattono tra due nature coesistenti in loro, mostrando anche moti d’orgoglio e severità verso se stessi; per entrambi, infine, la ragion di Stato sembra prevalere. 

Tuttavia, l’affetto tra i due persiste, ed è proprio costituito da questa affinità, sempre sopita ma continuamente presente: il sacrificio, dunque, voluto o temuto che sia, è il loro punto d’incontro, che sancisce il tragico epilogo del loro rapporto.



…perché prova sentimenti come la nostalgia e la paura della separazione



Un tema doloroso della tragedia è la separazione che si crea tra padre e figlia, il progressivo allontanamento che questi due personaggi si trovano ad affrontare. Entrambi, infatti, sentono di trovarsi dinnanzi ad un radicale cambiamento, che sconvolgerà quello che precedeva e che, in ogni modo, aprirà delle questioni sul futuro.

L’abbandono che i due si trovano ad affrontare è reso anche difficile dal fatto che Ifigenia è la primogenita e, di conseguenza, forse anche la più amata. Un affetto che ella ricambia pienamente, come fa notare anche Clitennestra, madre di Ifigenia e moglie di Agamennone.


Questi elementi di affetto e di nostalgia raggiungono in seguito il loro climax in un accorato monologo dell’eroina, che si rivolge al genitore pregandolo di ritornare sulle sue posizioni. In esso ella delinea un quadretto di vita quotidiana, ricordando la sua infanzia e le scene più dolci che l’avevano contraddistinta.

Grazie ad Ifigenia noi conosciamo un Agamennone completamente nuovo, che ha abbandonato il suo ruolo di re miceneo ed eroe classico a favore di un atteggiamento semplice, umile, premuroso, proprio perché visto attraverso la prospettiva della figlia.
La nostalgia per il passato, che viene espressa in questi versi come contrasto con la tragicità del presente, è dunque così struggente proprio perché padre e figlia sono consapevoli di trovarsi dinnanzi ad un momento di separazione definitiva.
Agamennone, nel corso della tragedia, non è più l’eroe tutto d’un pezzo dell’epica omerica, ed è completamente diverso anche rispetto ad altre tragedie di epoca precedente; qui l’eroe ha ceduto il passo all’uomo, in preda ai suoi dubbi ed alle sue angosce.



perché si ritrova costretta ad affrontare un inganno



Un aspetto da non sottovalutare all’interno del mito di Ifigenia è il fatto che esso sia basato sostanzialmente sull’inganno. Agamennone, infatti, per far giungere di sua volontà e rapidamente la figlia in Aulide, le invia una lettera in cui afferma che Achille la desidera in sposa.
In realtà l’eroe non solo non l’ha mai chiesta in moglie, ma è anche all’oscuro di tutta la storia.


Per questo motivo Achille, ferito nell’orgoglio e furente poiché è stata fatta 
un’azione che lo riguardava senza aver chiesto il permesso, diventerà poi
un sostenitore di Ifigenia e farà il possibile perché venga impedito il sacrificio.
Questo aiuto viene accolto volentieri dalla madre della fanciulla, Clitennestra, 
profondamente adirata con il marito e tutta tesa a difendere la figlia.
Ifigenia, dal canto suo, sembra preoccuparsi esclusivamente del fatto che Achille rischi di mettersi contro l’esercito con questo suo atteggiamento, e non parla pressoché mai del fatto che le sia stato teso un inganno.


Davanti ad una simile preoccupazione, che nelle sue condizioni sembrerebbe secondaria, viene spontaneo chiedersi se Ifigenia in realtà non stia cercando in qualche modo di eludere una questione che le sta ben più a cuore, cioè il tradimento operato dal padre nei suoi confronti.
Questa ipotesi, a mio parere, non è affatto da escludere, e si potrebbero seguire due differenti piste: o ella è così sconvolta ed incredula che non riesce a parlarne, oppure, in cuor suo, capisce la debolezza paterna, quella di un Agamennone che non ha avuto il coraggio di rivelarle la verità. Probabilmente entrambe le ipotesi hanno la loro ragione di esistere e nessuna interpretazione critica potrebbe definire con chiarezza questo dubbio.


Quello che invece emerge chiaramente è la grande statura morale e la dignità di Ifigenia, che, a differenza della madre, non pensa subito alla difesa, alla furia, alla vendetta; rimane stupita, certo, ma non reagisce a sua volta con l’inganno e la menzogna. Ancora una volta, dunque, Ifigenia si rivela più vicina alla natura paterna che materna: infatti, è come se tutti i tentativi di Agamennone di dare un ordine alla sua morale dalla duplice natura di padre e comandante siano passati in eredità ad Ifigenia ed ella li abbia saputi tradurre in una compostezza ed una visione, seppur negli affanni, comunque equilibrata della vita, che, ancora oggi, le fanno onore.



perché la sua storia ha spinto i grandi autori di epoca classica ad interrogarsi sui doveri religiosi e politici del tempo



La storia di Ifigenia non è stata raccontata solo da Euripide e da altri tragici greci, ma è stata anche inserita dal poeta latino Lucrezio nel suo poema De rerum natura.

Sia l’opera di Euripide che quella di Lucrezio pongono l’accento sull’insanabile dualismo tra famiglia e dovere; quello in cui, però, differiscono è l’elemento con il quale il dovere è identificato. Sono esposte due differenti teorie, dunque, sul principale movente del sacrificio.

Nell’ Ifigenia in Aulide è mossa una grandissima critica ai motivi legati alla politica ed alla guerra, in particolare all’esercito. Quest’ultimo, infatti, è considerato come una forza il più delle volte incontrollabile, ambiziosa e smaniosa di guerre e bottino.
Euripide viveva in un momento in cui le città greche erano in crisi ed Atene e Sparta si preparavano ad entrare in guerra tra loro: sicuramente la sua rabbia nei confronti di chi cerca solo soldi e potere è dovuta anche a questo!


Di tutt’altro tipo è invece l’analisi di Lucrezio.
La sua critica è indirizzata principalmente alla religione tradizionale, ritenuta solo una serie di riti superstiziosi senza alcun fondamento né vera fede. Egli, infatti, sottolinea molto, a differenza di Euripide, il fatto che l’idea del sacrificio sia partito innanzitutto da un ordine ritenuto divino, fatto che, secondo Lucrezio, è da considerarsi un’assoluta follia. La denuncia dell’autore latino è molto pesante: davanti ad un comando di tipo religioso, infatti, tutto diventa secondario, compresa la famiglia.


Alla fine della tragedia, Euripide immagina che Ifigenia sia salvata da Artemide, dea della caccia, che, proprio sull’altare, la rapisce per portarla in un suo santuario e, al suo posto, fa apparire una cerva. Il finale, che sembra quasi lieto rispetto a tante altre tragedie greche, non attenua però la drammaticità della scelta di Ifigenia, che è solo l’inizio di tante sciagure che colpiranno la famiglia di Agamennone.




Giunti alla fine di questo lungo post, voglio ringraziarvi per aver letto fin qui. So che molti degli elementi presentati sono oggetto di studio dei classicisti, ma io ho cercato comunque di rendere questa lettura interessante per tutti. Spero di esserci riuscita.
Fatemi sapere che cosa pensate del personaggio di Ifigenia e di questa rilettura del mondo omerico.
Grazie ancora, al prossimo post! J



martedì 14 febbraio 2017

TAG DI S.VALENTINO

Romanzi, film e consigli per la festa degli innamorati


Cari lettori, 
dopo tanti post, un po' mi conoscerete. Saprete quindi che il romanticismo non è proprio una delle mie qualità primarie. Tuttavia, visto il mood di questa giornata dedicata agli innamorati di ogni genere e tipo, ho pensato di cimentarmi in questo TAG a tema libri, film e musica.
Spero che vi piaccia!



Il libro più romantico


Un amore di Dino Buzzati è, secondo me, una delle storie più romantiche che siano mai state scritte. La passione del maturo Antonio Dorigo per la giovane e sfrontata Laide, che si approfitta di lui senza nemmeno tentare di nasconderlo, è così potente che non di rado l'autore stesso la paragona alla morte. 

Eros e Thanatos finiscono così per intrecciarsi in questo classico del XX secolo, travolgente e consigliatissimo.



La dichiarazione d'amore più bella


Credo che la mia preferita di sempre sia quella di Orgoglio e pregiudizio, sia nella versione del libro che in quella del film. 
Mi piace che, nel romanzo, Jane Austen lasci la libertà di immaginare che cosa stia succedendo tra Elizabeth e Mr Darcy: ella, infatti, scrive solo che la nostra protagonista confessa all'uomo che i suoi sentimenti sono cambiati e che quest'ultimo le risponde con le parole di un uomo molto innamorato. Il film del 2005, invece, immagina un vero e proprio confronto tra i due personaggi, anche se Elizabeth, dopo un'intera pellicola di pungenti dialoghi ed arguti monologhi, finisce per parlare ben poco. Indimenticabili le parole di Mr Darcy: "Mi avete stregato anima e corpo e vi amo, vi amo, vi amo...e d'ora in poi non voglio più separarmi da voi."


L'autore ed il suo personaggio più romantici



Come autore non posso non scegliere Nicholas Sparks, vero e proprio poeta dell'amore in tutte le sue forme. Nessuno come lui sa descrivere tutti i modi in cui un sentimento può ferire, gettare nello sconforto o distruggere una persona, ma, al tempo stesso, egli ci indica anche come quello stesso amore possa guarire un personaggio e dare alla sua vita tutt'altro senso.

Come personaggio scelgo Noah, il protagonista de Le pagine della nostra vita, Egli, ormai anziano, quando la moglie Allie si ammala di Alzheimer ed è costretta ad andare in una casa di riposo, decide di seguirla e di leggerle ogni giorno un diario che racconta la storia di come si sono conosciuti ed innamorati. Per quanto lei non lo riconosca, lui insiste per trascorrere con lei ogni giorno, con immutato amore.



Il film più romantico


Non posso che scegliere una delle mie commedie preferite di sempre: Notting Hill, con Julia Roberts ed Hugh Grant. Grande classico degli anni '90, questa pellicola racconta la storia dell'improbabile incontro tra l'attrice più famosa di Hollywood ed un libraio del celebre quartiere londinese a cui sembrano non mancare le sfortune: è timido, sull'orlo del fallimento, divorziato, ed i suoi amici hanno più guai di lui.

Quello che mi è sempre piaciuto di questo film è il fatto che l'innegabile romanticismo sia unito ad una buona dose di ironia e di sano divertimento. Chi non ha mai sorriso guardando tutti i guai che combina l'improbabile coinquilino di Hugh Grant?
Una commedia appartenente alla "mia generazione", forse, ma che consiglierei di cuore anche ai giovanissimi.



Il più bel bacio tratto da un film


Cosa c'è di meglio della scena finale di Sette spose per sette fratelli? Sette matrimoni sono meglio di uno, no?
...Scherzi a parte, se non avete ancora visto questo musical, San Valentino è il momento buono per vederlo! 
Certo, è una pellicola che racconta un'America che (forse) non c'è più, ma musiche e balli sono davvero imperdibili!



Il manga/cartone animato più romantico


Il cartone animato più romantico, secondo me, resterà sempre Lilli e il Vagabondo. Con semplicità e naturalezza, infatti, la Disney è riuscita a creare una bella storia d'amore che supera le diversità.
Chi non ricorda la scena dei due innamorati che mangiano spaghetti con le polpette?



La canzone più romantica


Resto sul filone Notting Hill e non posso non proporre la colonna sonora portante del film, nonché mia canzone preferita di sempre: When you say nothing at all, di Ronan Keating.
Come ha detto una volta un deejay alla radio, quando senti questa canzone hai l'impressione di vedere due colombe bianche che trasportano una ghirlanda.
Più romantico di così...!



La cover di un libro più romantica


Mi piace molto Colazione da Darcy, di Ali McNamara. L'immagine del the ed i colori sul rosato danno l'idea, secondo me, di una storia molto romantica.

Il romanzo, tuttavia, tende più alla commedia brillante che al romantico,
La nostra protagonista, che è una giornalista di moda e bellezza, si ritrova ad aver ereditato da sua zia una piccola isola completamente nascosta dalla civiltà.
è così che Darcy è costretta ad accantonare le sue scarpe dal tacco 12 a favore degli stivali da pioggia e ad iniziare una nuova vita con nuovi amici e sorprese inaspettate.



La foto più romantica


In questa foto è ritratta la Baia del Sole di Varazze, in Liguria, dove c'è la casa al mare della mia famiglia. 
Sono affezionata a quel posto, e, sì, lo trovo romantico. Anche se questa foto è stata scattata a dicembre, quando non c'era quasi nessuno.



Se S.Valentino fosse un dolce...



Sicuramente sarebbe un dolce sui toni del rosa-rosso. Una bella (e buona ) cheesecake alle fragole, per esempio, potrebbe andare bene!



Se S.Valentino fosse una bevanda...


Un cocktail ai frutti rossi sarebbe ideale per questa festività!



Se S.Valentino fosse un profumo...


....sarebbe quello del cioccolato. Non sono forse i cioccolatini un altro gettonatissimo regalo tra fidanzati?



Se S.Valentino fosse un dipinto...


....sarebbe il primo bacio ad essere stato dipinto nella storia della pittura italiana, ovvero l'Incontro di Anna e Gioacchino alla Porta d'Oro di Giotto.



Se S.Valentino fosse una città...


Io sceglierei Verona, la bellissima città di Romeo e Giulietta! Se è diventata un simbolo di romanticismo per il grande Shakespeare, perché per noi no?



Il più bel ricordo legato a S.Valentino


Il 14 febbraio 2014 mi sono svegliata e mi sono accorta di un'importante realtà: il giorno prima avevo finito l'Università, ero del tutto libera ed il futuro era completamente da scrivere.
Forse non si trattava di una sensazione del tutto positiva, però la ricordo distintamente.



Vi è piaciuto questo TAG? Avreste risposto diversamente?
Fatemi sapere!
Nel frattempo, auguro Buon S.Valentino a tutti (scusate, domani la smetto) e vi do appuntamento al prossimo post! :-)

sabato 11 febbraio 2017

SPIRITO ALLEGRO

La commedia di Noël Coward in scena al Teatro Carcano

 


Cari lettori,
nuovo appuntamento con la rubrica “Consigli teatrali”! Oggi vi parlo di una commedia raffinata quanto irriverente, Spirito allegro, in scena in questi giorni al Teatro Carcano di Milano.
Moltissimi elementi rendono davvero imperdibile questo divertente spettacolo...vediamo insieme quali!



La spassosa narrazione



Lo scrittore di mezza età Charles Condomine, romanziere amante della compagnia, del brandy e dei completi eleganti, vive in una bella villa con Ruth, la sua giovane seconda moglie. 
 
Charles ha un desiderio: essendo un appassionato di occultismo, gli piacerebbe molto parlarne nel romanzo che sta scrivendo, ma ha bisogno di approfondire l'argomento.
Per questo motivo egli invita a casa sua Madame Arcati, una donna molto stravagante che dice di essere una medium fin da quando aveva 6 anni, e, insieme ad una coppia di amici, organizza una sorta di seduta spiritica.


I quattro malcapitati sono convinti che la donna sia semplicemente un'eccentrica ciarlatana, ma saranno costretti a ricredersi.
Con sua somma costernazione, infatti, Charles, a fine serata, nota un'inquietante figura aggirarsi per la sua bella casa: si tratta del fantasma di Elvira, la sua prima moglie, morta giovane dopo pochi anni di matrimonio.

Elvira, lunatica e bizzarra, è tornata con il solo scopo di guastare il matrimonio di Charles e Ruth. Quest'ultima fa molta fatica a credere al marito, dal momento che l'apparizione è visibile ed udibile soltanto da lui… come finirà?



I personaggi e gli attori



Questo spettacolo è una straordinaria prova d'attore. 
 
Leo Gullotta è un impeccabile Charles Condomine, perennemente in bilico tra equilibrio e nevrosi, diviso tra la nuova moglie in carne ed ossa e la vecchia in versione ectoplasma. Egli riesce a far uscire il lato comico di questo personaggio, che all'inizio vorrebbe mettersi le mani nei capelli, ma poi inizia a trovare divertente questo suo essere “beato tra le donne”.


Le due mogli, a loro volta, sono ben caratterizzate, nei loro capricci e nelle loro frivolezze. Se proprio lo spettatore dovesse cercare una differenza tra le due donne, potrebbe dire che Elvira sembra un personaggio piuttosto stravagante, mentre Ruth cerca di essere più razionale, se non altro per contrastare certi atteggiamenti del marito.
Tuttavia, l'impressione prevalente rimane quella che Charles abbia contratto due matrimoni con due donne tra loro molto simili, molto mondane e piuttosto lunatiche.


Menzione d'onore per il personaggio di Madame Arcati, magistralmente interpretato sul palcoscenico. L'impacciata medium passa dalla serietà alla comicità in pochi secondi ed è impossibile, per lo spettatore, non trovarla simpatica.


Un ruolo subalterno ma non meno interessante è rivestito dalla coppia di amici di Charles e Ruth, ovvero il medico del paese e la moglie: lui è tanto serio e scettico quanto lei è svampita e facile alle risate.


Deliziosa, infine, la cameriera Edith, che si ritrova a sopportare una coppia (o dovremmo dire terzetto?) di padroni che fanno a gara in quanto a stranezze.



L'epoca rappresentata



Noël Coward, con i suoi drammi, ha tentato di descrivere appieno le contraddizioni della classe agiata nel corso degli anni Trenta e Quaranta del Novecento, e questa commedia ricca di equivoci ne è un esempio perfetto.

I personaggi che si muovono sulla scena, infatti, vivono un tempo storico pieno di paure, incertezze, eventi drammatici, ma non sembrano curarsene: sono estranei ai totalitarismi, ai segnali premonitori di una guerra incombente, ad ogni bruttura del loro tempo.


Le loro occupazioni vanno dalle cene alle visite in alberghi eleganti, tra un giro in macchina ed un ennesimo abito nuovo.
In questo contesto, persino l'occultismo diventa un mezzo per intrattenersi, e tutti i protagonisti si divertono a prendersi gioco di Madame Arcati, che però finirà per metterli seriamente nei guai.


Anche la scenografia, ricca ed elegante, rappresenta appieno lo spirito del tempo: la casa di Charles e Ruth è infatti un trionfo di vasi cinesi, fiori, porcellane, orologi e quadri d'epoca.



La comicità e la critica sociale



Spirito allegro fa ridere, e tanto, ma, alla fine della rappresentazione, lo spettatore ha la sensazione che ci sia un po' di amarezza di fondo.

Come già accennato, la molla che spinge i protagonisti a ritrovarsi in un'avventura a contatto con l'aldilà, senza considerare l'attività di romanziere di Charles Condomine (che sembra quasi un pretesto), è la pura e semplice noia, che diventa uno stravagante desiderio di evasione. Tutta la commedia è perfettamente giocata sui toni della leggerezza, e questo, se da un lato intrattiene lo spettatore, dall'altro lo stupisce, in quanto è pur sempre di lutto e di ritorno dall'aldilà che si sta parlando.


Dal punto di vista teatrale, la capacità di ridere su simili tematiche è sicuramente ciò che rende questa commedia irresistibile ed unica nel suo genere.
Dal punto di vista umano, invece, l'impressione è quella che Noël Coward abbia voluto inserire tra le righe una garbata critica alla società di quel tempo.





Lo spettacolo resterà in scena al Teatro Carcano di Milano fino a domenica 19 febbraio, quindi avete ancora un po' di giorni per procurarvi i biglietti!
Spero di avervi incuriosito e di avervi convinto a passare una serata in compagnia di Charles Condomine, di Madame Arcati e di tutti gli altri. Personalmente mi sono divertita tanto!

Voi che ne pensate? Avete visto la rappresentazione?
Conoscete Noël Coward ed i suoi drammi?
Fatemi sapere!
Grazie per la lettura ed al prossimo post :-)