lunedì 29 novembre 2021

I PREFERITI DI NOVEMBRE 2021

 I preferiti di novembre 2021




Cari lettori,

anche novembre è giunto al termine!

Come ottobre, è stato un mese abbastanza intenso dal punto di vista lavorativo, ma fortunatamente molto ricco anche da quello personale. Per me è stato il mese – finalmente! - del ritorno alle mostre d’arte, delle quali vi ho parlato in questo post, al teatro, che vi ho recensito qui, ed al cinema, del quale vi racconterò oggi.

L’autunno è agli sgoccioli e già una nuova stagione ci sta chiamando… ma nel frattempo vediamo insieme tutto quello che mi è piaciuto questo mese, dai libri ai film, dalla musica alla poesia!



Il libro e film del mese


Forse qualcuno di voi ricorderà che il libro che avevo scelto per i preferiti di agosto di quest’anno era Borgo Sud di Donatella Di Pietrantonio. La storia della protagonista senza nome, professoressa universitaria trasferitasi in Francia ma richiamata in Italia per un’urgenza, e della sorella Adriana, una ragazza madre cresciuta tra il popolo che viveva di espedienti, mi aveva toccato profondamente, così come lo stile dell’autrice mi aveva trascinato.


Già quest’estate sapevo che si trattava della seconda parte di una dilogia, quindi mi ero ripromessa di leggere il primo volume, L’Arminuta, entro l’autunno. Dal punto di vista di chi, come me, si è ritrovata a conoscere prima Borgo Sud, è come scoprire una sorta di “prequel”, un antefatto che spiega i motivi per cui sia la narratrice della storia che Adriana sono arrivate a compiere determinate scelte da adulte.


All’inizio de L’Arminuta, infatti, la protagonista ha quattordici anni, e sta per vivere qualcosa che ad una bambina, o ad una ragazza, non dovrebbe mai succedere: i suoi genitori adottivi, cugini alla lontana del suo vero padre, hanno deciso di fare a meno di lei e, non avendo altre soluzioni, l’hanno “restituita” alla sua famiglia biologica.


La storia è ambientata in Abruzzo nel 1975. La fanciulla ha passato i suoi primi quattordici anni di vita in una famiglia mediamente agiata e benestante - padre ufficiale dei carabinieri, madre casalinga – e non le è mancato nulla: splendidi vestiti, ottima scuola, estati allo stabilimento balneare, divertimenti ed affetto.


All’improvviso, un brutto male capitato alla madre adottiva sconvolge questo delicato equilibrio, e la protagonista viene lasciata con malagrazia in una cascina abitata da due genitori che la accolgono con indifferenza, quattro fratelli di cui uno piccolo e con un ritardo mentale ed una sorella minore, Adriana, che sembra l’unica veramente felice del suo ritorno. L’impatto è terribile per lei: la sua nuova famiglia vive in miseria e sporcizia, i suoi “nuovi” genitori sono costantemente disperati ed arrabbiati, più e più volte ella assiste impotente ad episodi di violenza domestica.


Le sue ancore di salvezza sono Adriana e Vincenzo, l’unico dei fratelli che non le è ostile. Il rapporto con lui assume ben presto tinte ambigue, perché essi sono cresciuti separati e non riescono a vedersi come fratello e sorella, ma, prima che la protagonista possa interrogarsi su questo, una tragedia renderà ancora più difficile la vita familiare.


Nonostante le mille difficoltà quotidiane, ciò che impedisce alla protagonista di arrendersi alla disperazione come il resto della sua famiglia è il fatto che la sua madre adottiva, Adalgisa, che lei non può fare a meno di continuare a considerare la sua vera mamma, continua in qualche modo a vegliare su di lei da lontano, lodando i suoi ottimi voti nella nuova scuola, fornendo aiuti economici e prendendo accordi con i suoi genitori naturali per iscriverla in un buon liceo in città. Questa protezione di Adalgisa crea nella ragazza dei sentimenti contrastanti: sì, ella si sente meno sola, ma la sensazione prevalente è comunque la rabbia causata dall’abbandono, oltre alla preoccupazione per il suo “brutto male” e l’impressione, sempre più vivida, che la donna le stia mentendo e che ci sia dell’altro.



Ho letto questo romanzo a cavallo tra gli ultimi giorni di ottobre ed i primi di novembre e, in modo un po’ inaspettato, già sabato 6 mi sono ritrovata per la prima volta al cinema dopo qualcosa come un anno e nove mesi, per vedere proprio L’Arminuta. Sapevo che un film dedicato al libro fosse in uscita, ma pensavo che la data di arrivo nei cinema fosse più in là… si vede che è tanto che non andavo, eh? Mi sono resa conto di essere, mio malgrado, un po’ arrugginita, e di dover riprendere a consultare con più frequenza le programmazioni di cinema/cineforum. Le buone abitudini vanno consolidate!


Devo dire, però, che è una delle pochissime volte che mi capita di vedere un film subito dopo il libro a cui è ispirato, e che ne sono rimasta davvero soddisfatta.


Promuovo appieno questa trasposizione, che definirei quasi “neorealista”. I dialoghi sono tutti tratti dal libro in modo accurato, con tanto di inflessioni e di modi di dire. Il copione è stato steso con una cura quasi filologica, ricreando in modo efficace parole, sensazioni ed immagini. Mi sono piaciuti tutti gli interpreti, ma probabilmente quella che mi ha colpito di più è stata Vanessa Scalera (nota per essere protagonista della fiction “Imma Tataranni – sostituto procuratore”) nella parte della madre naturale: scarmigliata, struccata, sempre in vestaglia ed affaccendata, con uno sguardo costantemente malinconico e preoccupato, abituata a considerare i suoi tanti figli come un’ulteriore disgrazia nella sua già travagliata vita ma anche capace di uscire dal suo stato di prostrazione con pochi gesti che valgono più di mille parole.


Tanti temi sono quelli già trovati in Borgo Sud: il contrasto tra una città benestante ed acculturata ed una periferia povera e senza speranza, il fortissimo legame che si instaura tra le due sorelle, l’omertà riguardo a piccoli e grandi segreti. Se però Borgo Sud era la narrazione più riflessiva di due donne giovani ma comunque adulte che possono già fare qualche primo bilancio, L’Arminuta contiene uno slancio urgente e disperato: il tormento di una ragazza divisa tra due famiglie, il cui istinto però continua ad essere quello di tutti gli adolescenti di affrancarsi e trovare la propria strada. In entrambi i romanzi, il sostegno ed il conforto verranno da Adriana, una bambina e poi una donna piena di incertezze, ma capace di accettare il prossimo con grande umanità.



La musica del mese


Novembre è il mese del ricordo di chi non c’è più, ed infatti il 2 ho pubblicato un post con alcune poesie dedicate a questo tema (potete trovarlo qui).


Oggi resto sul tema del ricordo e vi consiglio alcune musiche che mi piacciono molto. Per quanto riguarda il mondo delle melodie classiche, davvero parlarvi di requiem o simili mi sembrava troppo triste, quindi vi lascio questo link con uno dei motivi più famosi de Il lago dei cigni. Comunque “la morte del cigno” è molto conosciuta, giusto?



Tra i tanti balletti che ho portato in scena con la scuola di danza, ce n’è uno che sicuramente rientra tra i nostri “cavalli di battaglia” (eseguito per la prima volta nel 2016 e riproposto nel 2018 per i 40 anni della nostra scuola) e per il quale abbiamo scelto una canzone che in qualche modo mi ricorda il tema del lutto e della perdita. Si tratta di Say Something di A Big Great World e Christina Aguilera. Il testo in effetti è semplice ma profondo: potrebbe parlare dell’interruzione di una relazione così come di una vera e propria perdita. In ogni caso mi emoziono ancora quando mi capita di sentirla in radio per caso e, se me lo chiedessero, la riporterei sul palco per la terza volta con grande gioia (e commozione, perché io e le mie compagne abbiamo pure pianto un pochetto su queste note!). Trovate la canzone qui.


E soffocherò il mio orgoglio

tu sei la persona che amo,

e sto dicendo addio


Di’ qualcosa, sto rinunciando a te

e mi dispiace non averti potuto raggiungere

e ti avrei seguito ovunque

di’ qualcosa, sto rinunciando a te



Per concludere questo angolo musicale odierno ho pensato di proporvi una bellissima canzone di Ed Sheeran (al quale avevo dedicato questo post), tratta dal suo ultimo album Equals, uscito il 29 ottobre. Si tratta di Visiting Hours, un brano dedicato ad un suo amico e collaboratore recentemente scomparso, che trovate qui. La terza strofa straccia il cuore…


Vorrei che il Paradiso avesse un orario per le visite

e chiederei loro se posso riportarti a casa

ma so che cosa direbbero, che è meglio così

quindi vivrò nel modo che mi hai insegnato

e ce la farò da solo


Chiuderò la porta, ma aprirò il mio cuore

e tutti quelli che amo sapranno esattamente chi sei

perché questo non è un addio,

è solo un periodo finché non ci incontreremo di nuovo,

sono cambiate così tante cose da quando te ne sei andato



La poesia del mese


Per il mese di novembre ho scelto una poesia di Corrado Alvaro, scrittore e giornalista tra i più importanti del Novecento, autore della raccolta di racconti Gente in Aspromonte, della quale vi avevo parlato in questo post. In versi liberi e con tono colloquiale, egli ci racconta questo mese nella sua Passaggio di Novembre:


Sono scomparsi i bei colori verdi e rosei della

terra. Le montagne, i campi, i piani sembrano

lontani e velati. Solo i torrenti si riempiono di

suoni e il loro grido giunge alle case del paese.

Il sole ha uno splendore freddo e il cielo sembra

allontanarsi e diventare altissimo. Tutte le mattine

la terra si desta come da un sonno faticoso.

I movimenti degli uomini sembrano incerti, come

quelli di chi pensa al suo avvenire.

Da questo mese comincia il lavoro, per il futuro

pane. C’è nell’aria una speranza solenne.

Novembre è il mese in cui ricordiamo i nostri

morti. La terra trasforma, tutti gli anni, nuove

sementi in nuovi frutti. Il pane risorge tutti gli

anni. Giacciono i morti. Ma il nostro cuore deve

essere grato come la terra e deve far rivivere e

moltiplicare il lavoro e gli affetti di quelli che fra

noi non torneranno più.



Le foto del mese



Il mese è iniziato con un bellissimo regalo di compleanno della mia amica Mara, che ho potuto sfruttare durante il ponte di Halloween: un biglietto per andare a vedere insieme Monet a Palazzo Reale!

Come già detto in altre occasioni, tornare a fare tutto quello che mi piace dopo tanti mesi è stato quasi un ritorno a casa per me, e scommetto che è stato così anche per molti di voi. Inoltre, non potevamo fare scelta migliore come nostra prima mostra dopo un periodo così lungo. Ne parlo meglio in questo post. Nella foto mi trovo nel bel mezzo di una riproduzione virtuale del giardino di Giverny.



Il parco di Cernusco e il Naviglio, in novembre, mettono in scena la fine del loro spettacolo autunnale. Ormai le foglie stanno tutte cadendo ed il freddo incombe, ma è sempre piacevole fare quattro passi ed osservare la natura!





Un pomeriggio di inizio novembre ho sperimentato, un po’ seguendo Giallo Zafferano e un po’ a casaccio, questa super torta morbida d’uva profumata al vino. In famiglia è piaciuta tantissimo, quindi vi ripropongo la ricetta qui!


Ingredienti:


- Un grappolo abbastanza grosso di uva bianca

- 3 uova

- 200 gr di farina

- 80 gr di zucchero

- 50 gr di burro

- una ricottina da 100 gr

- una bustina di lievito

- vino a piacere (io avevo solo il Barbera ma mi sa che con un vino da dolce la torta viene ancora più buona!)


Preparazione:


Lavare l’uva, tagliare i chicchi a metà, togliere gli acini più grossi (non impazzite con quelli minuscoli!) e lasciarla “riposare” in una ciotola con vino a piacere.

Prendere una ciotola grande e mescolare i tre tuorli con lo zucchero. Aggiungere gli albumi montati a neve, il burro sciolto a bagnomaria e la ricottina (sostituibile con yogurt o latte). Mescolare bene ed aggiungere farina e lievito.

Quando l’impasto sembra omogeneo, aggiungere il mix di uva e vino e versare tutto in uno stampo rotondo già imburrato ed infarinato.

Io ho cotto a 180° per circa 40 minuti, ma potrebbe volerci di meno se il vostro forno è nuovo e un pochino di più se è proprio vecchiotto.



Siccome mi sembra giusto bilanciare il dolce con il salato, vi propongo anche questa torta salata autunnale con gorgonzola, zucca e salsiccia che io trovo super gustosa.


Ingredienti:


- 500 gr di zucca (meglio la varietà violina). Io ammetto di aver preso quella a pezzi già pulita e pronta, ma magari voi siete più virtuosi di me…

- 120 gr di gorgonzola

- un uovo

- un pezzetto da 10-15 cm di salsiccia (io adoro quella al finocchietto ma la classica va benone)

- un rotolo di pasta sfoglia rotonda


Preparazione:


Far bollire la zucca e passarla nel mixer fino a ridurla ad una sorta di crema omogenea. Versare il contenuto in una ciotola.


Aggiungere il gorgonzola senza crosta e tagliato a pezzetti, l’uovo intero e la salsiccia a pezzettini (se l’avevate congelata, fatela prima bollire in un pentolino e poi eliminate la pelle e tagliatela).


Srotolare la pasta sfoglia in un impasto rotondo e bucherellarla con una forchetta. Versare il ripieno sopra la sfoglia e chiudere i bordi.


Cuocere in forno a 180° per circa 40 minuti. Se vi sembra che l’impasto al centro resti un po’ liquido ma vedete che la sfoglia sta iniziando ad essere troppo cotta, spegnete comunque. N.B.: il giorno dopo gli ingredienti del ripieno si amalgamano ancora meglio.


Variante: se vi piace la zucca ma non vi convincono gli altri ingredienti, io ne preparo talvolta una versione più “delicata” sostituendo il gorgonzola con la ricotta e la salsiccia con 70/80 gr di pancetta o guanciale.




Ecco il mio novembre in breve!

Mi sono resa conto di aver inserito un po’ di cose serie ed impegnative in questo post, ma spero che le abbiate apprezzate. E poi, tanto Novembre può essere un periodo serio dell’anno… tanto Dicembre sarà allegro e festaiolo, o almeno spero!


Per il prossimo mese ho in programma un paio di post delle rubriche ordinarie per la prima settimana… e poi, dal giorno dell’Immacolata, il blog indosserà il suo vestitino natalizio, com’è ormai una mia piccola tradizione, e mi dedicherò a proporvi i post dell’usuale “Christmas Countdown”! Spero che mi farete compagnia anche quest’anno :-)

Nel frattempo grazie per la lettura, ci rileggiamo in dicembre :-)

giovedì 25 novembre 2021

UNA LETTRICE "ANTE LITTERAM"

 Storytelling Chronicles: novembre 2021




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di novembre con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Il racconto di questo mese è speciale per me, per varie ragioni. Innanzitutto, il tema mensile è stato scelto con criteri del tutto originali. La nostra amministratrice Lara ci ha fatto pensare ad una tematica ben precisa… e poi ha fatto sì che ognuna di noi la “passasse” a qualcun altro del gruppo. Per esempio, io avevo pensato alla ricorrenza dei morti/Dia dos muertos che dir si voglia, ma non sono stata io a scrivere di questo, bensì una bravissima autrice del nostro gruppo. Io ho ricevuto la mia tematica da Catia, che saluto e ringrazio. Mi è stato chiesto di scrivere un racconto storico, ambientato nell’epoca che volevo, purché precedente al 1945.


Come sapete non sono nuova ai racconti storici: in questo anno e mezzo abbondante di rubrica vi ho parlato della Seconda Guerra Mondiale, degli anni ‘50 e ‘60, dell’epoca classica, del regno di Enrico VIII ed altro ancora.


Questa volta, però, ho pensato di inserire in questa rubrica un racconto non inedito, ma per me molto speciale, quello che ha dato una svolta più creativa al mio modo di scrivere: Una lettrice “ante litteram”. Nel novembre del 2018 ho vinto il primo premio del concorso letterario di narrativa e poesia della BCC con questa storia. Avevo pensato fin da subito di pubblicarlo sul blog, ma prima ho dovuto attendere un po’ per motivi legati al concorso, poi non avevo una vera e propria rubrica sul blog che potesse “ospitarlo”… Adesso non ci sono più problemi di questo tipo e la tematica del mese è perfetta!


Oggi vi porto con me nel lontano 1901 e proprio nel mio paese, Cernusco sul Naviglio! Vi lascio con Una lettrice “ante litteram” :-)



UNA LETTRICE “ANTE LITTERAM”


(Romanzo "E lee la va in Filanda" di Serena Perego)


Eccomi arrivata: via Pietro da Cernusco.

È febbraio e le giornate iniziano ad allungarsi, ma non sono nemmeno le 6 ed è ancora buio pesto. Il freddo mi entra nelle maniche, sotto la gonna, nelle fessure degli zoccoli che ho già riparato una volta.

Dalla Torrianetta a qui, alla Filanda, dove lavoro, la strada non è lunga: io e le mie amiche la percorriamo cantando. Nonostante ciò, mi pesa e talvolta mi angoscia il pensiero di dovermi rinchiudere per oltre dieci ore in un luogo spesso maleodorante, per compiere un lavoro faticoso e forse non adatto a me.

Sono una “filandera”: vengo qui ogni giorno per aiutare la mia famiglia, che considera un privilegio il fatto che io sia stata assunta in questa filanda.

I soldi sono pochi, ma sicuri, non soggetti agli umori bizzarri del tempo, come spesso accade lavorando nei campi. Non è questa, però, la vita che sogno: io so leggere, ho frequentato il biennio obbligatorio della scuola elementare, la signora maestra mi ha sempre detto che ero brava...e mi piaceva “perdere tempo” (come mi dicevano a casa) tra i libri.

Ora ho 14 anni, lavoro in Filanda e leggo. Proprio così: la signora maestra mi regala un libro ogni anno o mi presta i suoi, ed io adoro passare così il mio tempo: mi perdo nella giungla della Malesia, nel ventre di Parigi, sulle rive del lago di Como; tremo di paura per la perla di Labuan, piango con Nanà, immagino Lucia vicino a me.

In famiglia non riescono a capirmi: la mamma dice che parlo difficile e che non troverò marito. Nessuno, tuttavia, mi impedisce di leggere: a volte trascino anche i miei familiari in un altro mondo, dove per poco tempo si possono dimenticare le fatiche della vita di ogni giorno.

Ho varcato l’uscio della Filanda: un’altra faticosa e lunga giornata mi attende.


* * *


(Foto d'epoca tratta dal sito Cernusco Donna)


Dopo aver tolto lo scialle di lana, mi metto al mio solito posto, vicino alla mia compagna Maria, detta da tutti “la Tremolada” per il suo cognome. Io e lei siamo scuinére: impugniamo tutto il giorno un piccolo attrezzo a forma di scopa che ci consente di trovare il punto in cui inizia il filo di ogni bozzolo. Siamo forse le meno pagate di tutta la filanda, ma ciò non significa che il lavoro sia facile. Ci vogliono grande concentrazione e tanta delicatezza. Inoltre, io e Maria lavoriamo insieme da tanti mesi e ci siamo rese conto che nelle ultime settimane i bozzoli hanno qualcosa che non va: sono giallastri ed il filo è troppo sottile. Mi è già capitato di sbagliare nell’estrarre il capo del filo e di rischiare così di spezzare il bozzolo a metà. Purtroppo a Maria è successo una volta, ed è stata punita con una multa. Le istruzioni del direttore sono chiare: se si sbaglia, si paga, e non poco. Per questo motivo Maria, in questi giorni, è così attenta e silenziosa: sa bene che, al prossimo errore, verrà sospesa dal lavoro per almeno tre giorni, senza stipendio.


Come sempre succede in inverno, non vediamo nemmeno il sole, prese come siamo dal nostro abituale lavoro. È già calato il buio da tempo quando prendo in mano l’ultimo bozzolo della giornata. Non ho fatto altro tutto il giorno e gli occhi mi fanno male, ma riesco ad individuare il filo giusto da tirare. È un attimo: appena tiro con la scopetta, sento il rumore secco che annuncia una rottura. Guardo sconcertata i miei fili, ma sono integri. È allora che sento qualcuno sospirare e dire “Oh, no!” a bassa voce. Mi giro verso la mia compagna sperando di sbagliarmi, ma la materia bianca informe che giace tra le mani giallastre e screpolate di Maria è la conferma al mio timore.

Svelta!” dico sottovoce alla mia compagna, mostrandole una tasca laterale della mia gonna. “Infila il bozzolo qui, prima che ti vedano!”

Una voce fin troppo nota ci interrompe: “Cosa avete da chiacchierare, qui?”


* * *


("La raccolta dei bozzoli", di Giovanni Segantini)


È finita. La voce appartiene ad una delle assistenti più anziane e più severe: si sente in dovere di segnalare qualsiasi cosa non approvi al direttore. I suoi occhi brillano di gioia quasi maligna nel vedere Maria che tiene ancora in mano il bozzolo che non è riuscita a nascondere.

Tremolada, di nuovo? Questa volta non te la cavi con una multa! Svelta, vieni con me!”

Non si può evitare, e Maria lo sa. Mentre se ne va silenziosa verso l’ufficio del direttore, fa in tempo a indirizzarmi un ultimo sguardo avvilito.



Mentre ceno con la mia famiglia, continuo a ripensare a quello che è accaduto oggi in Filanda.

Maria ha un anno in più di me ed è ormai diventata una scuinéra esperta. Com’è possibile che il filo del bozzolo le si sia rotto in mano ben due volte?

Dentro di me so la risposta: i bachi non sono più quelli di prima ed a chiunque potrebbe succedere un incidente simile.

Un incidente davvero sfortunato!” La voce di mia madre mi riporta alla realtà. “Povera Assunta, era davvero preoccupata quando me lo ha raccontato. Spero che la filanda riapra presto.”

All’improvviso sono attenta. “Quale filanda?” chiedo.

Mia madre mi racconta una storia terribile. La figlia di Assunta, una donna che è ogni giorno nei campi con lei, lavora in una filanda a Milano. Tre giorni fa una donna è caduta portando un cesto pieno di bozzoli e si è fratturata un braccio. Già prima di cadere zoppicava e tutti sapevano che non avrebbe dovuto fare quel lavoro. La donna è a casa senza stipendio ed alcuni uomini (“la Camera del Lavoro di Milano, sicuro” è il commento di mio padre) hanno convinto le sue colleghe a “scioperare”, ovvero a non lavorare finché la donna infortunata non riceverà qualche lira per mantenersi mentre il suo braccio guarisce. In questo modo la produzione si è bloccata, in filanda è tutto fermo.

Mentre aiuto mia madre a sistemare la tavola dopo cena, mi viene in mente che ho già letto da qualche parte una storia simile.


* * *



In camera mia è tutto buio, non si vede quasi niente, ma io sono ordinata e so dove cercare, ed in poco tempo riesco a trovare una candela, ad accenderla ed a prendere dalla mensola sopra il letto I promessi sposi.

Giro febbrilmente le pagine, alla ricerca dei capitoli che mi interessano. Eccoli qui: la rivolta dei forni.

È proprio come ricordavo: Renzo ha vissuto una storia molto simile alla mia. Anche lui si è trovato davanti persone che avevano subito un torto e che non riuscivano nemmeno a guadagnarsi il pane… ed anche lui ha deciso di aiutarli.


Il direttore e i padroni della fabbrica si approfittano di noi filandere e di tutti gli operai perché sanno che abbiamo bisogno di lavorare, ma la produzione della seta dipende da noi, e noi soltanto. Se io e le altre donne ci inventassimo una sorta di rivolta dei forni, Maria potrebbe evitare la sospensione dal lavoro?

C’è una sola persona che posso interpellare.


* * *


(Illustrazione storica su "L'assalto ai forni" ne "I Promessi Sposi")


La mattina dopo mi ritrovo nuovamente a camminare nel freddo e nella nebbia, ma mi guardo intorno con attenzione. Riesco a vedere ben poco, ma alla fine individuo la filandera che stavo cercando: Agnese, una delle più anziane, esperte e stimate. La chiamo a gran voce: “Agnese, ti devo parlare!”

Non le ho mai rivolto la parola e non credo che sappia chi sono, infatti mi guarda un po’ perplessa: “Che hai da urlare tanto? Sei una delle scuinére, no?”

Sì… io sono la compagna della Tremolada, hai presente?”

Come no! Io ed altre filandere ieri ci siamo fermate per strada dopo il lavoro e abbiamo parlato di quello che è successo. È una vergogna… ultimamente stiamo trattando delle vere schifezze, non sembrano neanche bozzoli! E chi ci va di mezzo? Sempre noi!”

Ecco, appunto per questo… io avevo in mente qualcosa.”

Che cosa avresti in mente, tu?” mi dice con un sorriso un po’ scettico. “Non credo che ci sia niente da fare, purtroppo.”

No, io stavo pensando, insomma… potremmo provare a fare quella cosa là… quella che si fa a Milano.”

Uno sciopero? Ah, questa è bella! Ma lo sai che a Milano chi sciopera viene aiutato dalla Camera del Lavoro? Noi siamo in mezzo ai campi, mi spieghi chi ci aiuta?”

Ho già pensato a questa obiezione. “Agnese, tu hai ragione, ma proprio perché viviamo fuori città dobbiamo provare. Non è mai successo al di là di Milano… i padroni non se lo aspettano!”

Ed i soldi? Come faremo a far tirare avanti le famiglie senza stipendio?”

Lo faremo solo per pochi giorni” rispondo, sentendomi sempre più decisa “e se insistiamo, magari alla fine di questa storia avremo qualche centesimo in più.”

Agnese smette all’improvviso di camminare e mi osserva come se mi vedesse per la prima volta. “Sei un rubetìn ma sei bella decisa, eh? Sai che ti dico? Per me vale la pena di provare. La Tremolada se lo merita. Solo però se le altre filandere ci dicono sì. Hai presente la cascina dove sto con mio marito?”

Annuisco.

Vieni dopo cena ed entra nella prima stalla che vedi sulla destra. Fa troppo freddo per stare fuori. Racconterai alle altre quello che hai detto a me.”


* * *

(La Filanda oggi)


Quella sera, nella stalla calda, accogliente anche se maleodorante, ci sono proprio tutte le altre filandere. Ho un po’ paura ad esprimermi, temo di sbagliare e di fare una brutta figura. Poi penso che anche Renzo si è trovato in situazioni nuove ed ha imparato a cavarsela con le sue forze. Così prendo fiato e racconto una storia di amicizia e di lavoro, di ingiustizie e di diritti da conquistare. All’inizio sento qualche risata e vedo qualche sorriso di compassione, ma, a poco a poco, tutto svanisce.


Alla fine della serata siamo d’accordo: sciopereremo. Lo dobbiamo alla Tremolada ed a noi stesse. Sarà il primo sciopero femminile della provincia di Milano e siamo certe che se ne parlerà a lungo.

Mentre riprendo la strada verso casa, penso che mia madre sicuramente mi sgriderà, e non mi sbaglio: non appena varco la porta, ella inizia subito a chiedermi che cosa ho combinato in giro, con questo buio e questo freddo.

Il mio cuore però è leggero, perché, mentre ero nella stalla, mi è quasi parso di vedere il mio amico Renzo seduto su un cumulo di fieno che mi sorrideva.

Ho fatto la cosa giusta” mi dico prima di addormentarmi, consapevole che mi aspettano giornate che, nel bene e nel male, saranno davvero indimenticabili.



FINE



Eccoci arrivati alla fine di questa storia che è stata così importante per me.

La lavorazione della seta, dall’allevamento dei bachi alla filatura, è un’attività dalla quale Cernusco sul Naviglio ed altri paesi dell’hinterland hanno tratto sostentamento per decenni. 

La Filanda è stata restaurata un po' di anni fa e fino al febbraio 2020 era sede del centro sociale per pensionati fino alle 18 e utilizzata per assemblee di condominio e corsi di ballo tra tardo pomeriggio e sera (io ho frequentato zumba per tre anni e mezzo). Adesso è hub vaccinale, fino a data da destinarsi.

Lo sciopero delle filandere è un evento reale: avvenne nel 1901 e fu il primo interamente al femminile nella provincia di Milano, dopo che in città altre operaie erano insorte per chiedere migliori condizioni di lavoro. La storia di Maria Tremolada, di Agnese e della protagonista lettrice dei Promessi Sposi è una mia invenzione, temo- purtroppo - verosimile, dal momento che le filandere erano vessate in ogni modo, specie le apprendiste minorenni. Per chi fosse interessato a saperne di più, consiglio la lettura del libricino E lee la va in Filanda, del quale ho parlato in questo post.


Questo racconto è anche in onore della data odierna, 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne. Ho già scritto, mesi fa, una storia sulla violenza di genere dal punto di vista relazionale ed affettivo (la trovate a questo link), così oggi ho pensato di proporvi un racconto sulle discriminazioni lavorative ed economiche che le donne hanno subito… e purtroppo continuano a subire.


...e lo so, ho concluso sul più bello :-) Al tempo, esigenze di concorso mi obbligavano a non andare oltre un tot di battute. L’idea di scrivere una sorta di sequel è da tempo nella mia mente, ma tra post per il blog ed altri racconti (oltre a tutto il resto) non ci sono mai riuscita. Conservo il buon proposito!

Intanto fatemi sapere che ne pensate de Una lettrice “ante litteram”!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 22 novembre 2021

INNAMORATI

 Lo spettacolo di Davide Lorenzo Palla in scena al Teatro Carcano




Cari lettori,

che gioia e che piacere riprendere oggi i nostri “Consigli teatrali”!

Negli scorsi giorni ho scorso i vecchi post della rubrica e mi sono resa conto che il mio ultimo spettacolo visto dal vivo risale al 21 febbraio 2020. L’anno scorso vi ho raccontato un paio di rappresentazioni e qualche balletto visto in streaming grazie a Rai 5, Rai Play e le piattaforme digitali di qualche teatro, ed è vero che questi strumenti sono stati un sollievo per molti di noi in questi lunghi mesi in cui la cultura è stata messa alla prova… ma ciò non toglie che oggi io sia felicissima di tornare a parlarvi di spettacoli visti in sala!


Vi dirò di più: la mia felicità è doppia, perché la rappresentazione che condivido con voi oggi è l’ultima opera di Davide Lorenzo Palla, autore e attore di cui, se conoscete il mio blog, avrete sicuramente già sentito parlare. Negli ultimi anni, infatti, egli si è esibito più volte al Carcano con la sua “trilogia shakespeariana”, in una forma a metà strada tra il monologo ed il racconto accompagnato dalla musica: Il mercante di Venezia (il primo suo spettacolo che ho visto, in questo post), Riccardo III (il mio preferito, di cui vi ho parlato qui) e Otello (che ho recuperato in streaming la scorsa primavera grazie alla pagina YouTube del teatro: la recensione è a questo link).


Lo spettacolo Innamorati rappresenta un cambio radicale, sia di autore, perché torniamo in Italia con Carlo Goldoni, sia di genere, perché si passa alla commedia, sia di forma espressiva (vedremo perché).


Senza ulteriori chiacchiere, vi lascio alla recensione!



Due innamorati e mille difficoltà


Innamorati è uno spettacolo tratto dalla commedia Gl’innamorati di Carlo Goldoni, opera che doveva far parte di una serie scritta a favore del Teatro San Luca, oggi ribattezzato Teatro Stabile del Veneto Carlo Goldoni.


Si tratterebbe di un filone ispirato alle nove Muse classiche, ma la storia raccontata è comunque ambientata nel XVIII secolo, nella contemporaneità dell’autore.


I protagonisti sono Eugenia e Fulgenzio, due giovani milanesi che si sono incontrati quasi per caso e, come l’opera stessa ci dice, sono rimasti folgorati l’uno dall’altra.


Non sempre, però, l’amore passionale di due giovani può bastare per coronare il sogno di una vita insieme. Eugenia, infatti, è piuttosto sfortunata dal punto di vista familiare: è orfana ed è stata cresciuta da suo zio Fabrizio, un uomo che tiene soltanto all’apparenza e che ha dilapidato il patrimonio di famiglia (compresa la sua dote) un po’ nel gioco d’azzardo, un po’ nel tentativo di mostrarsi più ricco di quello che è (per esempio acquistando pochi quadri con i quali ha allestito una minuscola galleria artistica, della quale però si vanta immensamente). Fulgenzio, da parte sua, in quanto uomo è più libero ma è comunque vincolato da una promessa fatta al fratello: finché quest’ultimo sarà in viaggio, egli si dovrà prendere cura della cognata, Clorinda, come di una sorella, perché non era bene, ai tempi, lasciare una donna senza custodia di una figura maschile.


Eugenia è estremamente gelosa di Clorinda, che vede come una rivale (anche se l’autore fa capire allo spettatore che non ce n’è alcun motivo); Fulgenzio, da parte sua, è collerico ed impaziente, perché non sopporta né l’atteggiamento ambiguo dello zio Fabrizio, né i giovanotti che girano intorno alla sua “quasi fidanzata”, come il conte Roberto, un ricchissimo gentiluomo venuto da Roma che ovviamente piace molto all’avido tutore della ragazza.


Così, i due innamorati alternano momenti in cui litigano terribilmente, si rinfacciano qualsiasi parola ed atto, minacciano persino di trafiggersi con un pugnale, ed altri in cui si perdonano tra le lacrime dichiarandosi eterno amore. Il desiderio di restare insieme nonostante tutto sembra essere il sentimento prevalente, ma, considerati i tanti ostacoli che si frappongono tra loro, basterà?



Un regista sul punto di annullare tutto


La storia di Innamorati, che vi ho raccontato fin qui, non è però narrata in maniera tradizionale.


Questa volta Davide Lorenzo Palla non è più solo, o accompagnato soltanto dal regista Riccardo Mallus e dal fido polistrumentista Tiziano Cannas Aghedu (già presenti nel corso della trilogia shakespeariana). Egli ha con sé sul palco altri due attori, Irene Timpanaro e Giacomo Stallone.


Essi non interpretano solo Eugenia e Fulgenzio, ma anche, in un certo senso, loro stessi. La rappresentazione, infatti, è basata sulla tecnica del meta-teatro.


Davide Lorenzo Palla fa la parte di un regista che vorrebbe portare in scena Gl’Innamorati di Goldoni ma, abbandonato all’ultimo momento dagli attori protagonisti, pensa di non avere altra scelta se non annullare tutto quanto.


All’ultimo momento, però, egli cambia idea e decide di impiegare i due attori che solitamente fanno i comprimari, due giovani di belle speranze che accolgono con gioia l’occasione di essere, per una volta, le star dello spettacolo.


La rappresentazione, dunque, alterna momenti in cui è “buona la prima” (e gli spettatori possono seguire la narrazione di Innamorati) ad altri in cui le scene vanno ripetute, raccontate, spiegate. Il regista si cala nella parte dello zio Fabrizio, mentre il musicista viene suo malgrado coinvolto per interpretare a gesti il (molto silenzioso) conte Roberto.


La scenografia essenziale alla quale eravamo abituati noi spettatori della trilogia shakespeariana ha ceduto il posto ad un lussuoso salottino settecentesco, costituito da un ampio divano, mobiletti accanto alle pareti, tappezzeria colorata e grandi quadri di epoca illuminista, ma il regista pratica una sorta di “sospensione dell’incredulità” anche su di essa, perché richiede apertamente alla regia un certo effetto di luci o un altro, a seconda che ci sia un momento di prova generale oppure uno di interruzione o di riflessione.



Eugenia e Fulgenzio: battibecchi d’amore o infelicità manifesta?


Carlo Goldoni è un autore considerato tra i classici per la sua capacità di scrivere commedie che, ancora oggi, ci fanno ridere piuttosto amaramente. Come il suo collega francese Molière, egli ha portato in scena la vera e propria “commedia umana”, raccontando alcune tipologie di persone che vengono estremizzate in scena, ma nelle quali rischiamo di rivederci almeno in parte: l’avaro patologico, l’ipocrita, gli anziani brontoloni incapaci di vedere che il mondo è cambiato, i ricchi annoiati che pensano che evadere dalla loro lussuosa routine per una vacanza risolverà tutti i loro problemi. In questo caso sono i giovani innamorati a finire sotto la lente del commediografo: appassionati e romantici, certo, ma anche impulsivi e superficiali.


Se la scrittura settecentesca di Goldoni suggeriva a livello individuale una riflessione ad ogni singolo lettore o spettatore delle sue opere, l’approccio meta-teatrale e contemporaneo, che ho apprezzato moltissimo, ha fatto sì che il teatro si trasformasse quasi in un laboratorio, nel quale il regista ha rotto la quarta parete ed ha chiesto apertamente a noi spettatori: la storia di Eugenia e Fulgenzio è davvero una commedia?


Ad una prima impressione, i due potrebbero sembrare dei precursori degli amatissimi romance “enemies to lovers” (d’altra parte, nulla si inventa o si distrugge, ma tutto si trasforma): i battibecchi d’amore coinvolgono sempre lettori e spettatori, la rappresentazione è ricca di momenti esilaranti, dopo ogni lite sembra tornare sempre il sereno.


I presupposti su cui si fonda il sentimento che muove i due protagonisti, però, sembrano fragili, per non dire effimeri, mentre le tante difficoltà di tipo familiare e socio-economico che dovranno affrontare in caso di matrimonio sono tutt’altro che sciocchezze. La sensazione è che Eugenia e Fulgenzio stiano interpretando una parte, innamorati dell’idea dell’amore, senza sapere davvero cos’è. Ma l’ultima parola è lasciata a noi spettatori…



Torniamo a teatro!


Lo spettacolo è rimasto in scena solo nel weekend lungo tra l’11 ed il 14 novembre, ma Davide Lorenzo Palla e la sua squadra sono sempre a spasso con la loro “Tournée da bar” nei luoghi della quotidianità, quindi, se siete incuriositi, vi invito a dare un’occhiata alle loro pagine social, come questa.


Il mese di novembre mi ha riportato, nell’ordine, a visitare mostre, al cinema ed a teatro, e, se mi conoscete almeno un po’, immaginerete quanto io ne sia felice.


Ho visto che qua e là in zona Milano c’è qualche promozione interessante, quindi, se prima di questo terribile periodo vi piaceva andare a teatro, forse è il momento buono per provare a tornare. Per me è stato come recuperare un pezzetto di casa!





Fatemi sapere se avete già visto qualche spettacolo da quando i teatri sono stati riaperti e se vi è piaciuto!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)