lunedì 30 novembre 2020

I PREFERITI DI NOVEMBRE 2020

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

eccoci arrivati all’ultimo giorno di novembre!

Com’è stato per voi questo mese? Il mio, a dispetto delle premesse, è stato tranquillo, ma tutt’altro che noioso. Visto che vivo in zona rossa (da ieri arancione!), sono uscita di casa solo per lavoro, spesa e passeggiate, ma il tempo è stato decisamente clemente per la stagione e mi sono mossa quasi solo a piedi o in bicicletta. Inoltre, un po’ di allenamenti casalinghi, letture, videochiamate e ovviamente blogging hanno reso più allegro questo periodo. 

Oggi, come al solito, riepiloghiamo insieme tutto quello che mi è piaciuto in queste settimane, dai libri ai film, dalla musica alla poesia!



Il libro del mese



Silvana Sarca, detta Vani, è una donna di trentaquattro anni dall’aspetto fisico un po’ curioso: tutti la considerano una ragazzina e la associano a Lisbeth Salander (la protagonista della saga Millennium) per il look molto dark.

Vani vive da sola in un palazzo periferico di Torino, ha rapporti piuttosto difficili con i genitori e la sorella (che è il suo opposto), stringe difficilmente amicizia con gli altri, ha un carattere piuttosto scontroso e conduce uno stile di vita solitario e casalingo. La sua caratteristica più originale, però, è il suo mestiere.


Vani, infatti, è da anni la ghostwriter fissa delle Edizioni L’Erica, una delle storiche Case editrici della città di Torino: tramite la mediazione del suo capo Enrico, ella scrive, da casa e in totale anonimato, libri per conto di altri. I suoi classici clienti sono: medici e scienziati molto esperti della loro materia ma incapaci di descriverla su carta, calciatori e VIP che devono scrivere la loro biografia ma sono quasi completamente analfabeti, politici che hanno necessità di farsi conoscere con un saggio ma non ne hanno certo il tempo.


Solitamente, sia Enrico che i clienti trattano Vani come un male necessario e tentano inutilmente di sminuirla, facendo leva sul suo aspetto fisico, sulla sua età e non di rado sul suo semplice essere donna, ma lei sembra fatta di ferro e continua a fregarsene delle chiacchiere altrui, proseguendo nel suo lavoro.


Quando però il cliente di cui deve fare la ghost writer è il famosissimo scrittore Riccardo Randi, preso da una profonda crisi dopo il suo primo e unico best seller, Vani, per la prima volta dopo tanto tempo, inizia a sentirsi più coinvolta. Finalmente le piace il materiale su cui scrive, e ancor di più apprezza Riccardo, che si rivela collaborativo, anzi, spesso entusiasta. Tra i due, con il tempo, inizia una relazione, fatto che coglie Vani del tutto impreparata e un po’ scossa.


Mentre ella sta ancora cercando di imparare i segreti della vita di coppia, un nuovo imprevisto sconvolge la sua vita: Bianca, una delle scrittrici per cui sta lavorando, all’improvviso sparisce, lasciando solo un dubbio SMS alla sua segretaria. Vani è l’ultima ad aver visto la donna prima della scomparsa, e per questo motivo viene interrogata dal commissario Berganza, un uomo che sembra uscito in tutto e per tutto da un romanzo di Scerbanenco (o comunque da un giallo vecchio stile).


Il commissario comprende subito che Vani non è coinvolta nella sparizione, ma rimane affascinato dalle capacità deduttive della ragazza, che per lavoro deve letteralmente entrare in testa ai suoi clienti e suo malgrado è diventata molto esperta della natura umana. Egli le chiede un aiuto per venire a capo di questo complicato caso, ed è così che Vani, oltre che ghostwriter, si ritroverà ad essere anche una ghost-poliziotta…



Il piano imprevedibile della scrittrice senza nome è un romanzo che mi è stato regalato per il mio compleanno, ed è il primo che leggo di Alice Basso. Posso senz’altro dirvi che non sarà assolutamente l’ultimo!

Ciò che mi ha colpito è innanzitutto il personaggio di Vani, che è ben più della ragazza solitaria e misantropa che dice di essere. Ad un certo punto della storia, ella afferma che il suo film preferito è Via col vento, perché, secondo lei, “Rossella O’ Hara è una stronza opportunista che non ha bisogno di nessuno”. Ecco, secondo me questo è quello che vorrebbero essere, sia Rossella che lei… ma entrambi i personaggi hanno molto di più da dare, ed il lettore se ne rende conto. (Qui parlo meglio di Rossella e Rhett, se vi può interessare).


Inoltre, nel panorama della commedia gialla, che è sempre più vasto (sia per quanto riguarda i libri che le fiction/serie tv), a mio parere mancava un’ambientazione di questo tipo. Il mondo dell’editoria, infatti, troppo spesso è idealizzato e visto come un luogo di cultura, un’isola felice, ma, a mio parere, proprio utilizzando il fine "alto" come scusa, può succedere che certe dinamiche aziendali siano ancora più ciniche, ed a volte persino surreali. L’autrice proviene da questo mondo e lo descrive con una lucidità a volte un po’ spietata, ed uno stile che tiene il lettore incollato alle pagine.


Infine, un elemento che mi ha davvero emozionata è la trattazione della storia d’amore della protagonista, per niente stereotipata: vengono infatti trattate delle tematiche che raramente si trovano nei romance, ma che nella realtà accadono più spesso di quel che si potrebbe pensare.


Una lettura super promossa, in attesa di leggere le altre avventure di Vani!



Il film del mese



Il protagonista di questa simpatica commedia, Leonardo Giustini, è un giornalista di una testata internet, specializzato nel raccontare tutto ciò che è nuovo o fa tendenza sulla rete. Il suo lavoro lo porta a fare esperienze un po’ insolite (come, per esempio, provare i pasti delle mense dei poveri e della Caritas per verificare se l’apposito “TripAdvisor” dedicato a queste realtà sia davvero funzionale), ma, in genere, egli si ritiene una persona sempre informata ed al passo con le novità.


Purtroppo, questa caratteristica non è apprezzata dalle persone più vicine a lui: la sua ex moglie si è rifatta una vita con un uomo innamorato del Medioevo (il quale gli chiede costantemente di scrivere articoli su armature e catapulte), e la figlia Jolanda, spegnendo le candeline del quindicesimo compleanno, lo ringrazia “per sesto”.


Leonardo è rimasto sposato solo per tre anni alla madre di sua figlia, e né prima né dopo ha mai avuto una stabilità sentimentale. Jolanda, che trova il padre immaturo e teme che non sarà mai felice, crede che egli dovrebbe tentare di ricostruire un rapporto con una delle sue ex. Per questo motivo, ella elabora un terribile “scherzetto”: invia a tutte le donne avute dal padre un messaggio dal discutibile contenuto Sono cambiato, riproviamo!


Leonardo non avrebbe mai voluto ricontattare le sue ex, ma non ha cuore di deludere la figlia e decide di re-incontrare le donne del suo passato, finendo coinvolto in avventure surreali.


Le sue ex, infatti, sono personaggi singolari: Benedetta è una “suora laica” in aura di santità; Elettra una professoressa di filosofia determinata sul lavoro e presa da una particolare situazione familiare; Angelica, la sua fidanzatina del liceo, ha una forma precoce di demenza senile; Fioretta è una donna che un tempo era stata molto femminile e sensuale, ma ora è imprevedibilmente cambiata. Per Leonardo la scelta è difficile: provare a ricostruire un rapporto con una di loro… o fuggire lontano?



Le commedie di Pieraccioni mi divertono sempre molto, ma non penso di avervene mai parlato sul blog, quindi ho pensato, per questo mese, di raccontarvi Se son rose..., che non ero riuscita a vedere al cinema e che ho recuperato in tv nelle scorse settimane. I miei film preferiti del popolare regista e attore restano i più vecchi, che ormai sono considerati un po’ dei classici della commedia all’italiana… però anche questa pellicola non mi è per niente dispiaciuta.


Certo, tante delle situazioni che Leonardo vive sono un po’ esagerate, e le figure delle sue ex sono quasi degli archetipi femminili (la beghina devota, la lady di ferro, il dolce ricordo dell’adolescenza…), ma il riuscito intento è quello di mettere in luce l’immaturità del protagonista, che è sempre fuggito dalle proprie responsabilità ed ha fatto delle scelte con leggerezza. In questo suo insolito percorso, egli farà delle scoperte inaspettate, rivaluterà scenari che aveva sempre dato per scontati, e imparerà a guardare con occhi nuovi la donna più importante della sua vita, ovvero sua figlia.


La narrazione è quella comica a cui Pieraccioni ci ha abituato… e le risate, ovviamente, non mancheranno!



La musica del mese


In questo mese di novembre sono tornata un po’ bambina e spesso mi sono ritrovata ad ascoltare ed a canticchiare due canzoni della Disney, una che per me era del tutto nuova e l’altra che invece mi era nota soltanto in italiano.


La prima è Try everything di Shakira, la colonna sonora del simpaticissimo film d’animazione Zootropolis, che non avevo ancora visto e di cui magari parlerò in uno dei prossimi “preferiti”. Si tratta di una pellicola adatta a tutti, grandi e bambini: gli animaletti protagonisti ed i tanti momenti divertenti la rendono un perfetto cartone animato per i più piccoli, ma ci sono anche tematiche importanti come il razzismo, i pregiudizi, la disparità tra uomo e donna sul lavoro, il desiderio di potere e rivalsa.

La canzone, cantata da una Shakira animata in versione “gazzella”, esprime bene lo spirito della protagonista, una coraggiosa coniglietta che lascia la campagna e la sua numerosa famiglia per andare in città e diventare poliziotta:


Ho combinato un guaio stanotte, ho perso un’altra lotta

mi sono persa io stessa, ma ricomincerò e basta.

Continuo a cadere, continuo a finire al tappeto,

ma mi rialzo sempre per vedere cosa succederà poi


Gli uccelli non volano e basta, cadono e si rialzano,

nessuno impara mai senza sbagliare


Non rinuncerò, no, non lascerò perdere

finché non raggiungerò la fine e poi ricomincerò,

no, non me ne andrò, voglio provare tutto,

voglio provare anche se potrei cadere!


Link video ufficiale



La seconda è All is found, la versione in lingua originale de Il fiume del passato, una delle mie canzoni preferite del film Frozen 2 (di cui avevo parlato qui), cantata da Kacey Musgraves, una cantante country di cui tempo fa avevo recensito un disco (a questo link). Anche nella versione inglese si racconta di un “fiume della memoria”, che nel film c’è davvero, ma che, metaforicamente, esiste in ognuno di noi: un luogo che scorre come l’acqua, dove guardare per trovare risposte, ma anche un posto in cui non soffermarsi più del necessario, perché si rischia di “annegare” (non riuscire più a guardare avanti).


Dove il vento del Nord incontra il mare

c’è un fiume pieno di memoria,

dormi, mia cara, al sicuro,

perché in questo fiume tutto si trova


Nelle sue acque, profonde e vere,

ci sono le risposte e un sentiero per te

immergiti profondamente nel suo suono

ma non troppo lontano o annegherai


Sì, lei canterà per quelli che ascolteranno,

e nella sua canzone scorre tutta la magia,

ma saprai affrontare quel che temi di più?

Potrai affrontare quello che sa il fiume?


Link video per l'ascolto



La poesia del mese


Per il mese di novembre ho scelto un componimento di Alfonso Gatto dal titolo In un soffio, che fa riferimento alla ricorrenza dei Morti del 2 del mese e compie delle brevi, ma intense riflessioni sul passato e su ciò che non esiste più.


Risvegliare dal nulla la parola.

È questa la speranza della morte

che vive del suo fumo quando è sola,

del silenzio che ventila le porte.

Il passato non cessa di passare

e l’odore che sparve è l’aria calda

che ferma gli oleandri lungo il mare

in un soffio di mandorla e di cialda.



Le foto del mese


Purtroppo in questo periodo i nostri spostamenti sono molto limitati, ma per fortuna ci è possibile camminare/correre all’aperto e fotografare qualche squarcio d’autunno. Sono riuscita a scattare una foto di questo acero rosso in una giornata di sole, prima che le foglie cominciassero a cadere!



Qualche settimana fa ho fatto per la prima volta i pizzoccheri da sola… in versione semplificata (con la pasta pronta). Ho aggiunto burro, formaggi (Bitto e Casera) e verze fatte saltare con olio e un pochino di aglio… e non sono venuti niente male!



Nulla ferma Otto dal godersi l’ultimo sole autunnale sul suo bel cuscino!




Ecco il mio Novembre in breve!

Come sempre, fatemi sapere che cosa vi è piaciuto nell’ultimo mese: libri, film, musica, giornate speciali… tutto quello che vi va!


Anche quest’anno, Dicembre sarà un mese particolare sul blog, per via del “Christmas Countdown”, la serie di post prenatalizi che ogni anno vi propongo sul blog. Penso di iniziare il giorno di Sant’Ambrogio (lunedì prossimo) e vi terrò compagnia per un po’ con il mio spirito natalizio… anche se in queste settimane sono un po' meno in modalità "elfo" del mio solito di fine novembre/inizio dicembre. So che quest’anno, bene che vada, sarà un Natale in tono minore, e forse, in qualche regione, non ci sarà quasi nessuna delle possibilità che gli anni scorsi rendevano le feste così belle. Tuttavia, proprio per questo io ritengo che sia ancora più importante, per me e per voi lettori, provare a portare un po’ di magia natalizia qui sul blog. Fortunatamente la lettura, la visione di film e di spettacoli di teatro e danza in streaming, la scrittura, l’ascolto di musica, la cucina, la decorazione della casa sono tutte attività pienamente libere perché casalinghe, ed il materiale per dei post a tema “Natale” di certo non manca. Credo che un po’ di allegria e calore farà bene a tutti noi… a me sicuramente!


Nel frattempo grazie per la lettura, ci rileggiamo a Dicembre :-)

giovedì 26 novembre 2020

LE SETTE SORELLE: CECE E TIGGY

 Il quarto e quinto capitolo della saga di Lucinda Riley




Cari lettori,

per la nostra rubrica “Letture...per autori”, continuiamo a parlare di Lucinda Riley e dell’emozionante saga de Le sette sorelle. La storia delle sei (più una?) ragazze adottate dal generoso magnate Pa’ Salt, morto in circostanze misteriose lasciando alle figlie delle indicazioni per fare una ricerca sulle loro origini, continua a stupirmi ed a farmi passare ore in una piacevolissima lettura. Man mano che procedo nell’ultimare i volumi della saga, emergono sempre più elementi relativi alla storia che è il “filo conduttore della serie”, quella che risponde alle due fondamentali domande: chi era (è?) davvero Pa’ Salt? Perché la settima sorella, Merope, non è mai arrivata? Capitolo dopo capitolo, inoltre, compaiono sempre più elementi mitologici adattati in chiave contemporanea: non solo le protagoniste sono ispirate al mito delle Pleiadi, le sette madri della Terra, e il loro padre adottivo ricalca la figura di Atlante, ma compaiono anche degli altri personaggi, e delle nuove tematiche.


L’anno scorso, in un vecchio post della rubrica “Preferiti del mese”, vi avevo parlato della storia di Maia, la maggiore delle sette sorelle, una riservata traduttrice che non ha mai lasciato Atlantis, la casa che divideva con le altre ragazze e con Pa’ Salt, ma che, grazie alle indicazioni che le ha lasciato il defunto padre, vive un’incredibile avventura in Brasile, sulle tracce della sua bisnonna Izabela e degli artisti ed architetti che, negli anni ‘20 del XX secolo, hanno costruito la statua del Cristo Redentore di Rio.


In un post più recente, invece, vi ho presentato le storie di altre due sorelle. La prima è l’estroversa velista Alcyone, detta Ally, che dopo aver affrontato un grande dolore riscopre il suo primo amore, la musica classica, ed intraprende un viaggio in Norvegia, riportando alla luce la storia di Anna, una sua trisavola, nonché famosa soprano. La seconda, che forse al momento è la mia preferita, è Asterope, detta Star, la più misteriosa delle sorelle, che sembra essere cresciuta all’ombra della sua invadente gemella CeCe. Star, dotata di un grande talento per le materie umanistiche, la cucina ed il giardinaggio, troverà la sua dimensione nella campagna inglese, frequentando i discendenti di Flora McNichol, una disegnatrice e naturalista che, secondo le indicazioni di Pa’ Salt, sembra avere a che fare con lei e con le sue origini.


Le due sorelle di cui vi parlo oggi sono invece Caeleno, detta CeCe, e Taygete, detta Tiggy. Le ho trovate un po’ più diverse da me rispetto alle tre maggiori, sicuramente più lontane dal mio modo di vivere e di pensare, ma ciò non significa che non abbia apprezzato la lettura. La stessa Lucinda Riley, nelle sue introduzioni ai romanzi, afferma che le sei sorelle D’Aplièse sono così diverse tra di loro che sicuramente ogni lettore ne sentirà più vicine alcune e più lontane altre, ne avrà una preferita ed una che non riuscirà a comprendere fino in fondo.

Se dovessi giudicare in base a quello che ho letto, potrei dire che, al momento, la sorella più vicina a me è Star, seguita a poca distanza da Maia… ma devo ancora leggere il romanzo dedicato ad Electra (La ragazza del sole) e ovviamente l’ultimo, che tutti noi fan stiamo aspettando! Vi lascio a CeCe e Tiggy…



La ragazza delle perle



Caeleno, detta CeCe, la quarta delle sorelle D’Aplièse, è sempre sembrata a tutti una ragazza sicura di sé e perfino un po’ dispotica, ma, all’inizio del romanzo, ella sta vivendo una profonda crisi personale. CeCe ha sempre vissuto in simbiosi con la sua “gemella di fatto” Star, che ha solo tre mesi in più di lei: con lei ha girato il mondo per anni, con lei ha preso casa a Londra, con lei ha immaginato di convivere mentre frequentava l’Istituto d’Arte. Nulla è andato come CeCe aveva previsto: Star, che non ha mai apprezzato il loro lussuoso appartamento nella City, è andata a vivere e lavorare in campagna insieme alle persone che ha “ritrovato” grazie alle indicazioni di Pa’ Salt, e CeCe si trova costretta ad ammettere una scomoda verità: tra loro due, la più forte, anche se non sembra, è Star.


CeCe continua ad essere tormentata dagli incubi notturni che l’avevano costretta a dormire con Star fin da quando era piccola, ma ora è sola. In più, ella ha sempre sofferto di complessi di inferiorità a causa della sua dislessia, e non si trova per niente bene al college, dove sente che il suo spirito artistico è imbrigliato e gli insegnanti non apprezzano i suoi sforzi. Un giorno in cui è particolarmente frastornata decide di aprire la lettera di Pa’ Salt e di leggere le indicazioni che egli le ha lasciato. Scoprire il luogo delle sue origini la lascia esterrefatta: si tratta dell’Australia, uno dei pochissimi luoghi al mondo che non ha mai visitato a causa della sua fobia dei ragni.


Dopo qualche tentennamento, CeCe decide di lasciare il college e partire, non prima però di una “pausa di riflessione” in occasione delle vacanze di Natale, che decide di trascorrere in Thailandia, su una delle sue isole preferite. Proprio lì incontra un uomo, Ace, che, se da un lato sembra quasi un principe contemporaneo (bello, ricco, gentile, intelligente, simpatico) dall’altro nasconde qualcosa, come un mistero doloroso (e infatti si fa chiamare con un soprannome di fantasia). CeCe ha una breve avventura con lui, ma sa che il suo viaggio non è terminato, e così si reca in Australia.


Lì conosce una ragazza del luogo, Chrissie, che lavora all’aeroporto ma ha studiato arte contemporanea all’Università. Insieme a lei, che è di origini aborigene, ricostruisce la storia di una donna, Katherine (Kitty) McBride, della quale Pa’ Salt le ha parlato, e che potrebbe essere una sua antenata.


La storia di Kitty ha dell’incredibile: nata all’inizio del Novecento in un paesino della Scozia, figlia di un pastore protestante che non l’ha mai davvero amata, si ritrova ancora adolescente ad emigrare in Australia per assistere come dama di compagnia un’importante parrocchiana del padre. Lì è ospite dei Mercer, un’importantissima famiglia specializzata nella coltivazione e nella vendita di perle. Kitty si ritrova ben presto oggetto delle attenzioni di entrambi i gemelli Mercer: il serio e quieto Andrew e l’allegro e sfrontato Drummond. Con loro andrà a Broome, unico avamposto cittadino in una zona selvaggia dell’Australia, e si troverà a gestire l’impero della famiglia Mercer. Tuttavia, la maledizione di una leggendaria perla rosata pende su di lei e sui suoi cari…



La ragazza delle perle è un romanzo che ho letto con un po’ più di lentezza rispetto al precedente La ragazza nell’ombra, che avevo davvero divorato. CeCe è, come ho già detto, una sorella piuttosto diversa da me: non tanto come carattere, perché si rivela molto più fragile e profonda di quello che potrebbe pensare il lettore (agli occhi delle altre sorelle sembra persino un po’ prepotente), bensì per quanto riguarda le scelte sentimentali e l’attitudine a viaggiare. In materia amorosa, posso solo svelare che CeCe, da artista qual è, ha una personalità complessa, e credo che molti lettori resteranno sorpresi dalle sue scelte. Personalmente, invece, essendo tutto tranne che una viaggiatrice, mi ha colpito molto la sua adattabilità nel visitare luoghi lontani. Questo è, ora come ora, il romanzo più “esotico” della serie di Lucinda Riley: i luoghi descritti sono davvero incredibili (soprattutto per una come me, che considera “avventura” il viaggio in Spagna di nove anni fa). Tra bellissime spiagge thailandesi e l’entroterra incontaminato dell’Australia (che sembra un po’ il Far West, a tratti) c’è davvero da sognare!


Anche Kitty è un personaggio complesso, con luci ed ombre, proprio come CeCe, e nella sua storia non mancheranno colpi di scena e grandi dolori. Io l’ho trovata un po’ dura, ma anche forte e coraggiosa.


La caratteristica che però mi ha conquistato di più di questo capitolo della storia è la tematica dell’arte e, più in generale, del “processo creativo”. CeCe è una cittadina del mondo che ha in sé sangue inglese, tedesco, aborigeno e giapponese, e come tale abbraccia tantissimi stili artistici contemporanei, il che la rende refrattaria allo studio canonico dell’arte. Insieme ad alcune persone speciali che troverà in Australia, ella capirà che cosa può considerarsi ispirazione per lei, e ritroverà la sua Musa. Ci sono riflessioni davvero interessanti sulla mente degli artisti e dei creativi in generale… sono sicura che le apprezzerete! 


In foto (scattata da me) oltre al libro: una collana di perle (fintissime, io non sono stata ancora corteggiata da un gemello Mercer), una penna-bambolina thailandese e una piccola roccia di ametista, che simboleggia il paesaggio montuoso e variegato dell'Australia.



La ragazza della Luna



Sono passati ormai sei mesi dalla morte di Pa’ Salt e Taygete, detta Tiggy, la quinta sorella D’Aplièse, ha rivoluzionato completamente la sua vita. A soli ventisei anni, dopo una laurea in Zoologia, ha ottenuto un incarico in un prestigioso laboratorio, ma ben presto ha capito che la vita al chiuso la soffocava. Così, ella ha iniziato una nuova vita in Scozia, occupandosi di tutela faunistica in alcune tenute all’aperto. Per un po’ di mesi ha aiutato un’anziana signora prima del suo pensionamento, ma da poco tempo è impiegata nella tenuta di Kinnaird, un luogo splendido, ma purtroppo pieno di problemi. 

Da un lato, ella si trova bene, perché il suo collega guardacaccia Cal è una persona gentile, il luogo è splendido e la varietà faunistica incredibile (si sospetta che ci sia perfino un cervo bianco); dall’altro è preoccupata, perché la tenuta è andata in eredità ad un uomo, Charlie, che lavora tutto il giorno come cardiochirurgo, ed ella ha l’impressione che non ci sia molta cura per il luogo, che i dipendenti siano un po’ lasciati a se stessi e che i fondi manchino. Inoltre, ella si sente attratta da Charlie, ma nega a se stessa i suoi sentimenti, perché l’uomo è più grande di lei, sposato con una donna intrattabile e con una figlia adolescente, Zara, che però si attacca curiosamente a Tiggy e mostra un grande interesse per gli animali. La situazione si complica ulteriormente quando alla tenuta arriva un uomo, Zed Eszu, tanto ricco e potente quanto arrogante ed invadente, che inizia ripetutamente ad infastidire la ragazza. Tiggy non è solo stufa delle sue avances, ma anche un po’ inquietata, perché sia Maia che Electra conoscono Zed e non lo ritengono una brava persona.


Sentendosi confusa a proposito del suo futuro, Tiggy decide, come le sue sorelle prima di lei, di andare in cerca delle sue origini. È un anziano custode della tenuta, di nome Chilly e di origini rom, a riconoscerla come una donna del suo popolo, anzi, come una bruja, una potente maga e veggente. Con sua grande sorpresa, ella scopre che Pa’ Salt, a differenza di quello che ha fatto con le sue sorelle, l’ha portata ad Atlantis “su commissione”: è stata una sua parente, una donna andalusa di nome Angelina, ad affidargli la neonata Tiggy ed a chiedergli di farla tornare in Spagna in età adulta.



Grazie ai racconti di Chilly, Tiggy scopre la storia di Lucìa, sua nonna, nata a Granada all’inizio del Novecento, nelle caverne di Sacromonte, dove, ai tempi, era alloggiata la popolazione rom. Lucìa, che trascorre l’infanzia in mezzo alle ristrettezze, con tre fratelli maggiori che danno non pochi grattacapi alla madre Maria, ha un grande dono: il duende, ovvero la Musa della danza e della musica.

Per mezzo del padre José, chitarrista in cerca di riscatto, si esibisce per la prima volta a dieci anni, e in brevissimo tempo diventa una vera artista del flamenco. La sua esistenza è quella di un’artista: con José viaggia per la Spagna, incontra il chitarrista Meñique che sarà suo compagno per tanti anni, è costretta a lasciare la nazione a causa della Guerra Civile e della dittatura di Franco, e riesce, infine, a conquistare anche l’America con il suo talento.



La ragazza della luna è (per ora) l’ultimo volume che ho letto della saga, ed ha suscitato in me delle emozioni contrastanti. Tiggy è un personaggio un po’ lontano da me, forse ancora più di CeCe, con la quale, almeno, condivido il punto di vista sulle attività artistiche. Tiggy è una scienziata, un’appassionata animalista vegana ed una persona molto spirituale, che “sente” avvenimenti e situazioni in un modo che potremmo definire soltanto soprannaturale. Io ho sempre guardato con un po’ di scetticismo a queste tematiche spirituali, e mi meraviglia che una scienziata (che dovrebbe essere molto più razionale di noi fantasiose umaniste) sia invece così propensa a praticare persino dei vecchi rituali o delle maledizioni. Tuttavia, devo ammettere che, nonostante tutto, il personaggio di Tiggy funziona: la sua particolarità è proprio quella di essere spaccata tra un lato da biologa, amante della natura e degli animali, ed uno da bruja, tra sogno e fantasia. Non è stato facile comprenderla, ma Lucinda Riley ti porta sempre ad amare i suoi personaggi. 

Tutt’altro discorso per Lucìa, che ho amato senza se e senza ma, non solo perché è una ballerina (e conoscete il mio rapporto con la danza), ma anche perché è passionale, istintiva, piena di risorse, non si arrende mai ed ha sempre “fame” di migliorarsi. Inoltre, l’ambientazione andalusa mi ha riportato con il cuore al viaggio spagnolo di cui vi ho parlato qualche riga fa: sono tornata con la fantasia in posti meravigliosi che non potrò mai dimenticare.


Questi capitoli della saga de Le sette sorelle avvicinano un po’ di più il lettore a quello che dev’essere “il sugo della storia”: CeCe vede nel cielo la stella di Merope, insolitamente brillante, come se si stesse avvicinando a loro (o come se in Australia fosse più vicina a loro?); Tiggy scopre alcune stanze ad Atlantis di cui Pa’ Salt non le aveva mai parlato; si delinea sempre più il ruolo di villain di Zed Eszu, che altro non è che la versione in chiave contemporanea di Zeus, il re degli dei, che aveva più volte insidiato le Pleiadi. Non so voi, ma io sono sempre più curiosa! 


In foto (scattata da me) oltre al libro: una ballerina in legno dipinto e un gatto rosso, che ricorda gli esemplari selvatici di cui si occupa Tiggy nella tenuta.




Ecco i miei pensieri a proposito di CeCe e Tiggy!

Voi che mi raccontate? Avete letto questi volumi della serie?

Quali avete preferito? Se invece non li conoscete, vi sto un po’ incuriosendo?

Attendo un vostro parere!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 23 novembre 2020

ROMANZO

 Storytelling Chronicles: novembre 2020




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di novembre con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Questo mese è speciale per me, perché, per la prima volta da quando ho aderito alla rubrica (a marzo) mi è stato chiesto di scegliere il tema dei racconti.


Ho pensato di lasciarmi ispirare dalla poesia, ed ho scelto cinque componimenti che potessero fare da “traccia”: Vedrai che è bello vivere di un anonimo del 1941, Romanzo di Arthur Rimbaud, Quando si sente ridere sulla collina di William Blake, Simile a un dio mi sembra… di Saffo e Dedicato a tutte le donne di Alda Merini.


Ognuna delle partecipanti di questo mese aveva il compito di scegliere una di queste poesie e di interpretarla in modo creativo, scegliendo ciò che più le piaceva: la storia raccontata, i personaggi, le tematiche, il periodo storico in cui è stata scritta… in assoluta libertà!


Ringrazio moltissimo le mie compagne d’avventura di questo mese per essersi prestate a una sfida che di sicuro era tutt’altro che facile. Spero che non mi abbiate maledetto troppe volte durante le ultime settimane!


Quanto a me… avendo lanciato il sasso, non potevo certo nascondere la mano!

La mia scelta, alla fine, è caduta sul mio preferito tra i cinque componimenti, quello di Rimbaud. Ho intitolato il mio racconto Romanzo, proprio come la poesia, e non vi nascondo che sono felice di aver messo finalmente su carta tutte le immagini che mi venivano in mente ogni volta che mi capitava di rileggerla. Spero che apprezzerete anche voi!




ROMANZO



Non si è seri, quando si hanno 17 anni.

- Una bella sera, tutto pieno di boccali e di limonata,

di caffè chiassosi dai lampadari scintillanti!

- Si va sotto i tigli della passeggiata.


I tigli ci sentono bene durante le belle sere di giugno!

L’aria a volte è così dolce, che si ferma la palpebra;

il vento carico di rumori – la città non è lontana, -

ha dei profumi di vigna e dei profumi di birra…

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 5 novembre 1995


Mia cara Marianne,

forse questa mia lettera ti stupirà.

Quasi sicuramente la troverai non solo inaspettata, ma anche verbosa. Ti ricorderai di me come una persona poco incline alla parola scritta… più amante delle lunghe chiacchierate. Eppure oggi sento una grande esigenza di scriverti, di rovesciare ricordi ed emozioni sulla carta.

È ormai troppo tempo che non ti vedo e che non ti sento… si potrebbe dire quasi che non so più chi sei.


Sono tornato nella nostra Parigi, tanto diversa da quella che abbiamo conosciuto.

L’illuminazione è molto più moderna rispetto alle luci soffuse che ricordiamo, anche se l’atmosfera nostalgica e un po’ dolente dei boulevards resta la stessa. È metà pomeriggio e i lampioni si sono già accesi: insieme a novembre è arrivato anche il buio precoce. Un vento fresco sparpaglia le foglie cadute sotto alberi di latifoglie che di sicuro in estate sono stati frondosi. La grande strada che vedo dalla mia finestra è spoglia e grigia, pronta per essere invasa dal traffico dell’ora di punta. Nonostante il paesaggio non sia tra i più belli che la città possa offrire, sono proprio dove desidero essere, e poi mi basta fare pochi passi per ritrovare il mio Paradiso personale.


Il nostro lungo Senna, lo ricordi? Tra tigli e piccole luci, battelli e locali notturni.

Adesso cammino con il bastone e in un’oretta di passeggiata percorro solo un breve tratto, ma se chiudo gli occhi mi vedo ancora correre e saltare con tutto l’entusiasmo dei miei diciassette anni. 

Rivedo noi: io, unico erede dell'ambasciatore italiano in Francia, iscritto ad un prestigioso istituto e con pochissimo tempo libero; tu, figlia di un collaboratore dell'ambasciata, da sempre bilingue, iscritta ad una scuola più modesta, ma desiderosa di apprendere.


Spero che ti ricorderai, ma ci siamo conosciuti proprio così, tra i chiari ed eleganti palazzi di Rue De Varenne, aspettando i nostri padri che sembravano non finire mai di lavorare. Con i piedi che penzolavano dalle sedie imbottite, con l’irrequietezza degli adolescenti che proprio non riescono a stare fermi, con le giornate di primavera che entravano dalle ampie finestre.


Lo sento nel mio cuore: anche tu ti ricordi di tutto questo, e mi auguro che ogni tanto, quando la pesantezza della nostra età difficile sembra prevalere su tutto il resto, tu vada con il pensiero a quei giorni dorati.


Quanto a me, in questo pomeriggio dai toni un po’ spenti e crepuscolari ho bisogno più che mai di rievocare sulla mia pelle il calore delle sere di giugno che abbiamo vissuto insieme. Le mille scuse con i tuoi genitori, le tue compagne di scuola che ti facevano da alibi, l’attesa dietro l’angolo di casa tua. E poi le nostre camminate sul marciapiede, tra le vetture strombazzanti del sabato sera, piene di persone che si andavano a divertire; lo slalom per evitare lente coppie abbracciate sul viale, prendendo non di rado borsettate in faccia e qualche considerazione urlata sulla fretta dei ragazzi di oggi; l’arrivo sul lungo Senna, sotto l’esplosione verde dei tigli, con il vento caldo che portava profumi d’estate; i boccali di limonata che riuscivamo a rimediare ai chioschi vicino ai ponti, sedendoci su traballanti tavolini ed evitando di rovesciare le nostre bibite per un pelo.


Non sai quante volte ho ripensato a quella quieta e gioiosa estate del ‘27. Erano tempi sereni, un’âge d’or per Parigi, ma noi non lo sapevamo. Probabilmente siamo stati gomito a gomito con surrealisti in pieno brain storming creativo, abbiamo incrociato per strada Hemingway e Fitzgerald appena usciti a prendere una boccata d’aria fresca dopo un lungo pomeriggio passato a scrivere, abbiamo attraversato una fiera piena di celebrità dell’epoca… e a noi non importava nulla. Noi vedevamo solo dei chiassosi avventori che versavano sul tavolo vino e birra gesticolando in modo forsennato, mentre noi bevevamo la nostra limonata in silenzio, guardandoci negli occhi, perché avevamo parlato tanto, avevamo sete e non avevamo l’età per bere alcoolici; oppure dei maleducati autisti di rumorosi catafalchi, che procedevano lentamente sullo stradone, richiamando di continuo l’attenzione dei pedoni con clacson e braccia fuori dal finestrino, mentre noi, veloci come l’aria di giugno, ci rincorrevamo tra gli ampi fusti degli alberi, perché non avevamo nessuno da aspettare, a parte un sentimento che stava nascendo; o ancora degli allegri damerini che passavano le serate in piedi a parlare, mentre noi afferravamo i nostri bastoni di zucchero filato e ci riempivamo gli occhi e la bocca di colori e sapori, perché qualche volta, anche se ci eravamo conosciuti chiacchierando, le parole erano davvero superflue tra noi.


Quando la gamba mi fa più male del solito e decido di rilassarmi in poltrona con un po’ di musica, vorrei tanto rivivere una di quelle sere, e darei qualsiasi cosa per essere ancora un ragazzo che corre, salta e fa lo sgambetto a persone troppo lente per lui. Qualche volta c’è persino il fantasma di un ricordo che sembra inseguirmi: quello della serata del charleston.


* * *


Voi siete innamorato. Impegnato fino al mese d’agosto.

Voi siete innamorato. - I vostri sonetti la fanno ridere.

Tutti i vostri amici se ne vanno, voi avete cattivo gusto.

- Poi l’adorata, una sera, s’è degnata di scrivervi!

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 3 agosto 1927


Dopo i temporali rinfrescanti della sera prima, l’aria si era di nuovo surriscaldata. I profumi dell’estate continuavano ad essere portati dal vento, e, dopo una camminata pomeridiana lungo gli ampi viali, era facile sentirsi stanchi e sudati.

Arturo era rimasto a casa tutto il giorno, in attesa di notizie di Marianne. Il sole aveva ricominciato a fare capolino dopo una brutta nottata e verso mezzogiorno aveva iniziato a bruciare. Non c’era molto da fare in quei giorni: i suoi amici dell’istituto erano tutti partiti per la Provenza o per la Costa Azzurra, in cerca di pezzi di cielo più limpidi, di climi meno umidi, di macchia mediterranea e sempreverde.

Solo Arturo, apparentemente bloccato dal lavoro del padre, che non poteva muoversi da Parigi, restava fedele ai tigli, al lungo Senna e soprattutto a Marianne.

Gli amici del college gli scrivevano continuamente, decantando le meraviglie della promenade lungo il mare, descrivendo la quiete delle pinete dell’entroterra, raccontando di gelati mangiati vicino alla spiaggia e moules et frites gustate lungo il porto. Il tono delle loro lettere e cartoline era quasi monocorde: “Dai, vieni anche tu, i miei genitori ti possono ospitare!” “Perché non chiedi a tuo padre un permesso per qualche giorno?” “Non vorrai passare in città tutta l’estate...”

Arturo rispondeva sempre di avere da fare e di volersi portare avanti con lo studio: la peggiore delle scuse possibili, dal momento che i suoi voti erano ottimi, soprattutto quelli nelle materie scientifiche. Erano settimane che a stento svolgeva i compiti delle vacanze. Non aveva occhi che per Marianne: lei durante il giorno guadagnava qualche soldo come bambinaia per una famiglia, ma le serate erano tutte per loro.


Per quella che era forse la decima volta da quella mattina, Arturo piantò in asso il quotidiano che stava distrattamente tentando di leggere e scese di corsa per controllare la cassetta della posta.


Si trattava di una sorta di gioco tra lui e Marianne: si lasciavano l’un l’altro dei biglietti nelle rispettive cassette della posta, da ritirare prima che i genitori tornassero dal lavoro, talvolta in italiano e talvolta in francese, e rigorosamente in rima.

Per Arturo, matematico provetto, era difficile dilettarsi con schemi di sonetti e canzoni, ma era una sfida che lo divertiva, e poi per Marianne avrebbe composto poesie anche sulla Luna.


Come al solito, la ragazza era passata per dirgli che lo aspettava dietro l’angolo di casa sua, all’ora consueta, per vivere la serata insieme. Quella volta, però, ella gli raccomandava di vestirsi nel modo più elegante possibile, perché aveva in serbo per lui qualcosa di speciale.


* * *


Poche ore dopo, Arturo si guardava intorno nervosamente, all’incrocio tra due strade, osservando ripetutamente l’ingresso di casa di Marianne. Era un po’ in ritardo… un comportamento non da lei. Lui si sentiva una specie di maggiordomo, con la camicia bianca e gli eleganti pantaloni neri, e quasi rimpiangeva la divisa dell’Istituto che, a giugno, aveva buttato senza rimpianti in fondo all’armadio.


Pochi minuti dopo, la porta si spalancò e uscì la più bella versione di Marianne che Arturo avesse mai visto. La ragazza correva leggera giù dalle scale, con un meraviglioso abito nero a frange svolazzanti, che le arrivava fino al ginocchio. Le scarpe avevano un piccolo tacco e lacci incrociati davanti. I lunghi capelli rosso dorato erano sciolti, ma all’altezza della fronte era stata aggiunta una fascia di paillettes nere con tanto di piuma.


Prima che Arturo potesse aprire bocca, Marianne, come suo solito, lo travolse con le parole: “Hai visto il mio vestito? Che ne pensi? Ti piace?”

...è molto bello” rispose Arturo. “Davvero. Ma dove dobbiamo andare?”

Lo scoprirai! Dai, muoviamoci!”


Marianne stava già quasi correndo, e ad Arturo non restò altra scelta che seguirla. Si rincorrevano per le più strette vie parigine, giocando a nascondersi e ridendo.

Sembravano quasi evitare i grandi vialoni dritti, quelli che erano stati progettati un secolo prima da un architetto ambizioso, al servizio di un re altrettanto innamorato del potere. Preferivano infilarsi nei cunicoli un po’ angusti e bui della Parigi di inizio ‘800, quelli che tanti poeti prima di loro avevano cantato e spesso anche rimpianto, sentendosi come cigni senza più stagno di fronte alle riforme architettoniche che erano state loro imposte.


Ad un certo punto, Marianne si fermò vicino ad una piccola porta dove c’erano già in fila una decina di ragazzi che sembravano avere la loro età.

Che posto è?” chiese Arturo dubbioso.

È un locale dove si balla charleston. Non sai cos’è?”

Arturo scosse la testa. Era piuttosto esperto di musica parigina, ma non aveva mai sentito quella parola inglese.

È un nuovo ballo! È arrivato dall’America già un paio di estati fa… e tu dov’eri?” rispose Marianne con un gran sorriso.

Non avevo ancora conosciuto te, avrebbe voluto rispondere Arturo, ma si limitò a dire: “A sentire musica da vecchi con quelli dell’Istituto, credo.”

Beh, non importa! Siamo fortunati, le mie amiche mi hanno parlato di questo posto dove basta avere sedici anni per entrare!”

Arturo era perplesso. “Marianne, ma… sei sicura che sia legale?”

In tutta risposta, la ragazza sorrise furbescamente. “Entriamo, dai.”



L’aria dentro il locale era calda, densa di fumo, quasi opprimente. Le troppe sigarette che erano state fumate all’interno avevano creato una sorta di cappa grigia che si muoveva fluidamente sopra le teste delle coppie di ballerini. Arturo distingueva bellissime e giovani ragazze vestite più o meno come Marianne, in un baluginio di paillettes nere, raso viola, seta blu, con qualche audace accenno di rosso. I ragazzi, in camicia e pantaloni come lui, faticavano a stare dietro ai veloci movimenti delle loro partner, che agitavano gambe e braccia in un modo che egli non aveva mai visto.

In fondo al locale si intravedeva un’orchestrina composta da pochi elementi, che però suonavano con entusiasmo. Una cantante alta e bruna, avvolta in un tubino scuro corredato di guanti e cappello con veletta, intonava una canzone che tutti, nel locale, sembravano conoscere, a giudicare dai cori che accompagnavano ogni ritornello:


Yes sir, that’s my baby

No sir, I don’t mean maybe

Yes sir, that’s my baby now

Yes, ma’am, we’ve decided

No ma’am, we won’t hide it

Yes, ma’am, you’re invited now…


Arturo? Balliamo anche noi?”

La voce di Marianne era dolce in mezzo a tutto il clamore. Arturo le sorrise, sempre più convinto che ogni sera accanto a lei fosse un’avventura che non cessava di stupirlo.

Sì, balliamo.”


* * *


- Quella sera là… - Voi rientrate nei caffè scintillanti,

domandate dei boccali o della limonata…

- Non si è seri, quando si hanno 17 anni

e ci sono dei tigli verdi sulla passeggiata.

(Romanzo, Arthur Rimbaud)



Parigi, 5 novembre 1995


...mia cara Marianne,

proprio adesso mi sono rimesso ad ascoltare la nostra canzone, quella che ci ha fatto tanto divertire quella volta, che mi ha fatto scoprire il mondo del charleston, che in qualche modo è diventata il simbolo delle meravigliose serate con te.


Chissà se anche tu hai comprato un moderno stereo, proprio come me. Chissà quali musicassette inserisci: mi chiedo se ti piacciano ancora i classici, o se in questi lunghi decenni i tuoi gusti siano cambiati.


In questi giorni, però, mi è capitato soprattutto di chiedermi che cosa ne sia stato di te dopo che il lavoro di mio padre mi ha portato in Inghilterra, e poi definitivamente in Italia. Al tempo avevamo pianto, ci eravamo fatti tante promesse, ma poi il tempo e la vita ci avevano divisi. I nostri sonetti in rima erano sempre più scarni e distratti: io ero costantemente preso dai miei studi e dai miei numeri, tu invece sembravi lontana, forse già felice per un nuovo amore.


Non ho il coraggio di pensare che tu abbia perso la vita durante l’occupazione nazista della Francia, oppure nel corso della guerra. Mi piace pensare che, come me, anche tu abbia avuto una vita lunga, piena, soddisfacente (almeno il più delle volte). Io sono diventato un professore di matematica e scienze, sai? Proprio come avevi predetto tu. Ho completato gli studi tra l’Inghilterra e l’Italia, poi sono rimasto per tutta la vita a Roma, insieme alla donna di cui mi sono innamorato e che ho sposato.


L’ho persa poco più di un anno fa e da allora ho iniziato a sentirmi confuso io stesso. I numeri, le formule, le espressioni che per tutta la vita mi erano stati chiari nella mente, all’improvviso hanno iniziato a danzarmi davanti agli occhi, proprio come le gambe di una ballerina di charleston. Questo iniziale sbandamento mi ha portato a dimenticarmi le cose più semplici, a fare sbagli banali nel gestire la casa e le mie solite commissioni, ad avere delle lunghe serate in cui cerco di riportare alla memoria ricordi che ho sempre custodito nel cuore e che ora mi sembra di dover estrarre dal buio fondo di un pozzo.


Per fortuna avevo già da tempo l’aiuto di Giovanna, una signora che provvede alla pulizia della casa e dà una mano in cucina. L’ho assunta a tempo pieno, perché mi rendo conto che tra qualche mese inizierò a far fatica a gestirmi da solo, e le ho proposto di accompagnarmi qui, in una casa in affitto a Parigi, nel mio luogo del cuore, per un breve soggiorno: una parentesi di qualche settimana per godermi l’autunno, vedere i tigli spogliarsi e, perché no, intravedere le prime luci di Natale.


Il mio medico era un po’ riluttante quando gli ho comunicato la mia idea di viaggiare. Ha accettato solo quando gli ho confessato di sentire il bisogno di ritrovare le mie origini e la mia giovinezza.


C’è un patto tra noi: io posso restare qui, passeggiare, godermi la città, ma devo sforzarmi di scrivere il più possibile a proposito della mia vita e del mio passato, almeno un’ora al giorno. Ecco il vero perché di questa lettera, mia cara Marianne: tu sei uno dei capitoli più gioiosi di un diario epistolare che ormai conta parecchie pagine. Una novella felice all’interno di quello che inizia a sembrare sempre più un romanzo… e invece è solo il resoconto di un’esistenza come tante.


Ho iniziato questa collezione di lettere scrivendo a mia moglie per pagine e pagine, ricordando gli studi e le sfide professionali che abbiamo condiviso, le nostre vacanze, gli amici che ci sono stati vicini, la nostra quotidianità che mi manca terribilmente. Poi ho scritto ai miei genitori, ai quali penso ancora tanto; ai miei amici di sempre, a quelli che avevo conosciuto qui all’Istituto parigino ed in Inghilterra, ed anche a Giovanna, perché voglio ringraziarla per tutto quello che sta facendo per me.



Per scrivere a te ho aspettato un giorno speciale. Io ho ottantacinque anni e so bene che a diciassette, per tanti versi, non si è seri. Noi di certo non lo eravamo: ridevamo e bevevamo limonata mentre intorno a noi artisti celebri ideavano quadri e romanzi; percorrevamo in lungo e in largo Parigi incuranti delle ferite che la città ancora esibiva a meno di dieci anni dalla fine della Prima Guerra Mondiale, e ignari delle tragedie che gli anni ‘30 ci avrebbero portato; ci infilavamo in locali al limite della legalità per apprendere un nuovo ballo, importato da una nazione che presto avrebbe vissuto uno dei momenti più duri della sua storia. Eppure, più ripenso a quell’estate luminosa, più credo che è così che si dovrebbe vivere: giorno dopo giorno, grati del presente, felici per le sciocchezze, curiosi nello scoprire qualcosa di nuovo, innamorati della propria esistenza.


Ho ancora un buon numero di giorni a disposizione per attraversare il lungo Senna e sperare di incontrarti ad uno dei nostri chioschi. Se vorrai, ti aspetto sotto i nostri tigli, per raccontarci come sono andate le nostre vite. È passata un’eternità, ma sono sicuro che saprò chi sei non appena mi rivolgerai lo stesso sorriso dei tuoi 17 anni.


Con immutato affetto,

Arturo



FINE



ALCUNE PRECISAZIONI


1) Nel racconto sono presenti alcuni riferimenti al film di Woody Allen Midnight in Paris, che racconta con garbo e ironia la Parigi degli anni ‘20: i surrealisti ubriachi, gli scrittori americani in trasferta, le fiere con tanto di giostre e zucchero filato. Ho amato l’atmosfera di quella pellicola ed ho cercato di ri-raccontarla.


2) L’architetto che nel XIX secolo aveva rinnovato Parigi era Haussmann: egli, finanziato dall’imperatore Napoleone III, aveva trasformato la città, un tempo tentacolare e fatta di piccole vie tortuose, in una metropoli moderna, costituita da vialoni e grandi opere di architettura contemporanea.


3) Il cigno senza più stagno è un'immagine del poeta Baudelaire (di cui parlo meglio a questo link), che aveva mal digerito le riforme architettoniche nella sua Parigi. Egli, nella sua poesia Le cygne, descrive questa immagine e la dedica a Victor Hugo, il letterato che per lui è il cantore per eccellenza dell’esilio, tematica chiave del componimento.


4) La canzone Yes Sir, that’s my baby, cantata da Lee Morse, è stato un successone del 1925, ed è stato il primo caso di importazione di charleston americano in terra francese (ed europea in generale). Ne esistono varie cover, tra cui una di Sinatra. 

(Link video per l'ascolto)




Ringrazio di nuovo le mie compagne di avventura del gruppo “Storytelling Chronicles”, e mando un grande abbraccio a tutti voi che leggete di mese in mese i miei racconti. Da marzo a oggi ho ricevuto tanti bellissimi commenti che per me sono stati di grande incoraggiamento, e, se finora sono stata costante con la rubrica e ho sperimentato vari generi e tipi di narrazione, è anche merito vostro.

Io ho scritto molto, quindi lascio la parola a voi!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)