Storytelling chronicles: marzo 2020
Cari
lettori,
sono
contentissima di inaugurare con voi una nuova rubrica a cadenza
mensile, le “Storytelling chronicles”!
Insieme
ad altre colleghe blogger, guidate da Lara, autrice del blog "La nicchia letteraria", abbiamo deciso di accettare la sfida di creare
un racconto ogni mese, seguendo un tema scelto di volta in volta con
un sondaggio. Questa rubrica non sarà sempre lo stesso giorno del
mese, ma ognuna di noi, di volta in volta, riserverà uno spazietto
per la rubrica sul proprio blog, compatibilmente con gli impegni del
periodo. La grafica è a cura di Tania, autrice di "My crea bookish kingdom".
Il
tema di marzo è il papà, in occasione della ricorrenza del 19. Spero
di cuore che il mio racconto vi piacerà!
Quando papà mi lasciava guidare
La
piccola locanda era proprio nel mezzo del centro storico di Marina di
Camerota. Era un febbraio che non si rassegnava a cedere il
passo alla primavera: un vento gelido trasportava una pioggia sottile
e trasversale. Sulle piccole finestre rotonde della trattoria si
stampavano grosse gocce che correvano, una più veloce dell’altra,
fino a schiantarsi sul bordo inferiore. Dal suo solito tavolo
nell’angolo, incastrato tra una mensola piena di vasetti bianchi e
blu ed una parete coperta da fotografie d’epoca, Rosa le osservava,
più distratta che pensierosa.
Alcuni
anziani del posto erano seduti con degli sgabelli al bancone vicino
all’ingresso; di fronte ad ognuno di loro c’era un bicchiere di
vino rosso che il proprietario della trattoria si affrettava a
riempire ogni volta che la conversazione languiva. I quattro
continuavano a spaziare, passando dalla politica al tempo
metereologico. Era ovvio che non si sarebbero mossi di lì per buona
parte del pomeriggio e che qualcuno di loro avrebbe atteso
addirittura il calar della sera.
Rosa,
invece, anche se erano passate da poco le due, non aveva ancora messo
nulla sotto i denti. Aveva avuto una settimana stressante: a Napoli,
lo studio di commercialisti dove lavorava da tre anni aveva
iniziato ad accogliere le prime richieste delle famiglie che dovevano
compilare la dichiarazione dei redditi. Rosa era ormai abbastanza
esperta nel suo lavoro e sapeva che la primavera sarebbe stata una
stagione infernale per lei ed i suoi colleghi. Già s’immaginava la
fila di persone che si sarebbe presentata in studio con enormi plichi
contenenti fatture dell’anno sbagliato, scontrini sbiaditi,
ricevute mancanti dei dati essenziali… ed avrebbe preteso un
piccolo miracolo.
Non
avrebbe passato un altro weekend a leggere e fare le pulizie nel suo
appartamento in città, andando sempre con il pensiero alle
condizioni pietose della sua scrivania ed ai terribili lunedì che
l’attendevano. Per questo motivo, la sera precedente aveva preso la
sua vecchia utilitaria ed era arrivata nella casa al mare di
famiglia, a Marina di Camerota. Peccato che il risveglio del sabato
mattina non fosse stato quello che aveva immaginato. Avrebbe
desiderato tanto venire investita dai primi soli del tardo inverno,
passeggiare sul lungomare, sedersi in spiaggia e tranquillizzarsi
osservando la luce che danzava sulle onde.
Invece
si era ritrovata a passare da un negozietto all’altro, comprando
qualche (immancabile) vecchio libro ed un po’ di bigiotteria della
quale sicuramente non aveva bisogno, ed aveva fatto tardi con il
pranzo. Si era fermata in una delle sue trattorie preferite, uno dei
pochi luoghi in cui una ragazza sola non venisse guardata con
curiosità dai vecchietti del posto. C’erano tanti tavoli per uno,
ed anche nei giorni più uggiosi, l’ambiente era caldo,
accogliente, familiare.
I
pensieri di Rosa vennero interrotti dall’arrivo di Giusy, la moglie
del proprietario, con uno dei piatti del giorno: una saporita e
profumata zuppa di pesce, ideale per quelle giornate in cui l’inverno
si ostinava ad infuriare. Ogni volta che gustava una delle delizie
della trattoria, si sentiva più vicina che mai alla sua Campania.
Nel paesaggio marino erano affondate le sue radici: era nata di
fronte al mare, era cresciuta nella villetta dove ancora vivevano i
suoi genitori, una bella casa dal cui balcone si potevano vedere
golfo e vulcano, e proprio sul mare aveva vissuto incredibili
avventure da adolescente, sulla barca di suo padre. Quest’ultimo
pensiero, all’improvviso, la rese malinconica e desiderosa di
qualcosa di dolce. Finita la zuppa di pesce, fece un cenno ed un
sorriso a Giusy, che, conoscendo i suoi gusti, le portò subito il re
dei dessert campani: la parmigiana di melanzane al cioccolato. Una
coppia di turisti al suo fianco, probabilmente del Nord, storse la
bocca all’arrivo della pietanza, ma cambiò idea nel vedere il
sorriso della ragazza mentre la mangiava, ed ordinò lo stesso a sua
volta.
Mentre
gustava le ultime forchettate di quella meraviglia, Rosa sentì il
telefono squillare, e si rese conto che la chiamata proveniva da suo
fratello Roberto. Chiedendosi che cosa portasse il suo solitamente
laconico fratellone ad una telefonata di piacere in piena ora di
pranzo, rispose: “Pronto?”
“Sorellina,
siamo qui in ospedale. Papà si è fatto male ad una gamba”.
*
* *
Marina
di Camerota aveva visto giorni ben diversi da quel tempestoso sabato
di febbraio del 2005. Rosa, Roberto ed i suoi genitori avevano
passato splendide estati, magnifici weekend di primavera, persino
vacanze di Natale inaspettatamente miti.
Quello
che la piccola Rosa considerava però il vero tesoro di famiglia era
ormeggiato nel porticciolo: si trattava di una barca a vela, modesta
ma, ai suoi occhi, bellissima.
Quando
lei e suo fratello erano bambini, la famiglia Esposito aveva una
tradizione da rispettare: l’escursione in barca per la Festa del
Papà. Un venerdì sera di metà marzo, tempo permettendo, si
mettevano tutti in macchina, riaprivano la casetta al mare (troppo
poco frequentata durante l’inverno, ora pronta per una nuova
stagione) e si facevano una bella dormita in attesa della giornata
successiva (anche se Rosa spesso faticava a prendere sonno per
l’eccitazione).
Il
sabato era tutto per loro: dopo una bella camminata verso il
porticciolo, salivano sulla barca a vela, la Stella, che papà
Massimo aveva battezzato così in onore della moglie. Egli si metteva
al timone, mentre la madre riponeva le provviste per il picnic in un
piccolo frigorifero nella cabina interna.
Una
volta partiti, a Roberto piaceva stare seduto sul lato più
soleggiato della barca insieme a Stella, ad osservare il mare aperto
e l’orizzonte o, al contrario, la verde costa cilentana,
punteggiata dal rosso dei primissimi frutti dei fichi d’India e dal
giallo e rosa delle fioriture.
Quanto
a Rosa, ella non aspettava che quel momento per potersi mettere
vicino al padre e, assicuratasi che né la madre né il fratello la
stessero guardando, gli chiedeva: “Papà, mi fai guidare?”
Era
il loro segreto. Papà Massimo si allontanava un po’ dal timone,
senza abbandonarlo, e Rosa si infilava nel mezzo, appoggiando i
piedini sulla pedana e mettendo le mani vicino a quelle del padre.
Dopo pochi minuti erano già partiti per un mondo fantastico: insieme
roteavano il timone per evitare un pericoloso cugino del mostro di
Lochness che, chissà come, preferiva l’acqua salata; fuggivano da
dei bizzarri pirati che volevano impossessarsi del contenuto dei loro
cestini del pranzo (“Più veloce, papà, più veloce!”);
veleggiavano sicuri e felici verso il mitico Regno delle Sirene, che
altro non era che la spiaggia vicino a dove, ogni volta, ormeggiavano
la barca.
C’era
qualcosa di semplice e straordinario allo stesso tempo nello stendere
la tovaglia a quadretti sul tavolo di legno dell’area picnic della
spiaggia. Si respirava un profumo di libertà togliendosi le scarpe
per la prima volta dopo i lunghi mesi invernali e sentendo la sabbia
intiepidita dal sole primaverile. Ed il momento più bello della
festa era, alla fine del pranzo, quello in cui mamma Stella tirava
fuori da un sacchetto di carta le tradizionali zeppole di San
Giuseppe, che in quel periodo dell’anno facevano bella mostra di sé
nelle vetrine di pasticceri e panettieri. Il gusto della pasta fritta
e zuccherata, della crema e della ciliegia era per lei il simbolo
dell’arrivo della primavera, del ritorno del cielo terso e del mare
calmo, delle innumerevoli avventure da vivere quando papà la
lasciava guidare.
*
* *
Il
tempo che ogni anno sembrava mancare ogni giorno di più, l’adolescenza
di Rosa e Roberto (che li portava sempre più spesso fuori casa con
gli amici) e qualche primavera sfortunata avevano lentamente posto
fine alla consuetudine della Festa del Papà. La famiglia Esposito
aveva continuato ad utilizzare la Stella per avvicinarsi alle
meravigliose grotte di Capo Palinuro, per fare il bagno al largo e
cercare un po’ di vento e frescura nelle torride giornate estive,
per godersi qualche ultima escursione quando settembre si avvicinava
ed i turisti iniziavano a tornare a casa. La tradizione di accogliere
insieme l’arrivo della primavera mancava un po’ a Rosa, e sarebbe
tornata volentieri alla “sua” spiaggia. Non immaginava che quel
posto sarebbe diventato la cornice di una serata da dimenticare.
L’estate
del ‘96 era al suo culmine, e ad una giornata torrida ne seguiva
un’altra. Era agosto e, come al solito, la famiglia al completo si
era trasferita da Napoli a Marina di Camerota. Roberto, sportivo
com’era, veniva in spiaggia solo il mattino, per una corsa e per
una nuotata, e poi si chiudeva in casa fino a sera per scrivere la
sua tesi di laurea in Scienze Motorie. Rosa, invece, era riuscita a
dare tutti gli esami del secondo anno di Economia entro i primi di
luglio ed era nella casa al mare da prima che arrivassero i suoi
genitori per conseguire la patente nautica.
All’inizio
di agosto lei e Roberto avevano invitato sulla Stella alcuni
amici per fare un tuffo al largo tutti insieme e papà Massimo si era
offerto di accompagnarli. Si era molto divertita a mostrare agli
amici le bellezze della costa ed a nuotare nel blu insieme agli
altri, ma, una volta risalita a bordo, le era venuto un leggero
capogiro, e si era seduta distante dal resto del gruppo, dove la vela
creava una zona d’ombra, avvolta in un asciugamano, tentando di
riprendersi.
“Vuoi
una birra?” aveva sentito mentre cercava di fare dei respiri
profondi.
“Non
mi sembra il momento, no?” aveva risposto senza guardare il suo
interlocutore. Aveva alzato lo sguardo solo sull’ultima sillaba,
che le era morta tra le labbra: di fronte a lei c’era Andrea, uno
dei nuovi amici di Roberto, con una borsa frigorifera piena di Corona
e l’irresistibile sorriso che aveva animato i suoi sogni negli
ultimi giorni.
Di
fronte al suo improvviso mutismo, egli si era limitato a stringersi
nelle spalle. “Ci sarai almeno all’aperitivo stasera con gli
altri? Al bar in piazzetta?”
Quella
sera stessa, Rosa, dopo aver preso un ricostituente ed essersi
riposata, era corsa al bar con le ali ai piedi, ed aveva rivisto
Andrea per quella ed altre sere. Un pomeriggio si erano persino
trovati loro due da soli sulla spiaggia, avevano fatto il bagno
insieme e parlato a lungo, e ad un certo punto Andrea aveva avvicinato fin troppo il viso al suo, e le loro labbra si erano quasi toccate. Poi,
però, una volta tornati a riva, egli le aveva detto che non si sarebbero potuti vedere
quella sera, perché aveva un impegno di famiglia. Se n’era andato
in tutta fretta, affermando di doversi preparare, lasciando Rosa
sulla sabbia con una serie di domande senza risposta.
Era
tornata a casa con un muso che inciampava per terra, delusa dalla
doccia fredda che aveva subito dopo aver quasi baciato il ragazzo che
le piaceva. Una volta arrivata, si era resa conto di dover preparare
la cena per lei e suo padre: sua madre stava uscendo per andare al
cinema con un’amica e Roberto si era trincerato in camera sua con
il computer ed un panino. Proprio mentre stava per mettere su l’acqua
per la pasta, papà Massimo l’aveva sorpresa con una proposta: “Che
ne dici di farmi vedere la tua abilità come velista? Anche quando
cala il buio?”
Erano
saliti a bordo della Stella quando l’aria frizzantina della
sera aveva iniziato a farsi sentire. Rosa era in shorts ed aveva
indossato un maglioncino bianco sulla maglietta per evitare di
prendere freddo. Aveva acceso il motore e si era messa al timone, con
papà Massimo che osservava da vicino i suoi movimenti e la aiutava,
correggendo il tiro. L’uscita dal porticciolo era la parte più
difficile, ma se l’era cavata piuttosto bene. “Dove andiamo?”
chiese al padre.
Papà
Massimo si era accigliato improvvisamente, ma solo per un attimo.
Aveva distolto lo sguardo rapidamente e dato un’occhiata al mare.
Poi, voltandosi di nuovo verso di lei, le aveva risposto: “Mi
piacerebbe tornare nella spiaggia dove andavamo per la Festa del
Papà. Te la ricordi?”
Il
sole stava tramontando dietro di loro. Rosa sentiva gli ultimi caldi
raggi sulle spalle e quasi sperava che non sarebbero mai finiti. Di
fronte a loro il colore del cielo stava già cambiando, e il clima
era sempre più serale. La navigazione proseguiva abbastanza
tranquilla, anche se ogni tanto una corrente più forte del previsto
richiedeva il tempestivo intervento di papà.
Erano
arrivati in vista della spiaggia proprio quando una luce aranciata
sembrava rendere tutto più caldo. Avevano ormeggiato la Stella di
fronte alla spiaggia e si erano seduti da uno dei lati della barca,
per godersi la fresca serata. Rosa aveva preso in mano il binocolo
perché le era sembrato di cogliere un certo movimento sulla
spiaggia.
A
differenza di altre zone di Marina di Camerota, ricche di
stabilimenti balneari (compreso quello dove andavano loro), quella
spiaggetta era rimasta libera anche durante la stagione estiva, e,
forse proprio per questo motivo, a destra della consueta area picnic
a disposizione delle famiglie, sulla larga spianata di sabbia, c’era
quella che sembrava una festa improvvisata.
Un
gruppo di ragazzi suoi coetanei aveva radunato asciugamani,
bottiglie, pizze, una radio. Qualcuno, seduto, mangiava; qualcun
altro beveva e rideva; altri ancora cantavano a pieni polmoni,
sovrastando la radio e stonando; una coppia in un angolo si baciava
con passione, apparentemente dimentica di tutto il resto. Proprio nel
momento in cui il binocolo di Rosa si posava su di loro, il ragazzo
si era allontanato dalla sua fidanzata e si era voltato dall’altra
parte. E lei aveva riconosciuto Andrea.
Non
c’era stato bisogno di parlare. Rosa aveva poggiato il binocolo
accanto a lei, voltandosi verso suo padre con sorpresa e dolore. E dalla sua espressione dispiaciuta aveva compreso
che egli sapeva già tutto.
“Mi
dispiace… si trovano qui tutti i venerdì. Li avevo visti la scorsa
settimana, mentre facevo un giro con tua madre. Scusami, ma… quel
giorno che li avete invitati sulla barca vi ho visto insieme. So come
ti comporti in certi casi… così ho pensato...”
Tutto
il discorso era stato pronunciato in un’atmosfera di imbarazzato
silenzio. Papà Massimo non era di molte parole, specie quando si
trattava di argomenti simili.
Rosa,
in cuor suo, capiva.
Capiva
perché egli l’avesse portata lì, quanta fatica avesse fatto a
tenersi dentro il segreto per una settimana, la sua indecisione tra
lasciare la figlia libera di sbagliare e salvarla da un possibile
errore.
Capiva
tutto, ma non riusciva ad affrontare né lui né la situazione.
Era
scesa in cabina senza dire una parola, e papà Massimo aveva fatto
rotta verso il porticciolo da solo.
Quell’episodio
era rimasto una sorta di piccolo “non-detto” tra di loro. Rosa
aveva preso la patente nautica, aveva fatto altre escursioni
familiari con la Stella, era scesa da sola a Marina di
Camerota ed aveva portato in barca le amiche e l’ormai ex
fidanzato… ma non aveva più parlato con il padre di quella sera,
né era tornata su quella spiaggia.
*
* *
Febbraio
2005 non fu un mese facile per la famiglia Esposito. Papà Massimo
era caduto dalle scale e si era rotto la gamba.
Dopo
una decina di giorni di ospedale ed un paio di settimane in cui il
dolore e le medicine gli avevano causato un grande sonno, egli
iniziava a sentirsi meglio. La gamba era immobilizzata e la
convalescenza sarebbe stata lunga, ma i giorni peggiori, forse, erano
passati. Ciò che lo stufava maggiormente era l’immobilità: pur
essendo in pensione, le sue giornate erano sempre piuttosto piene, e
fare fatica anche solo ad uscire di casa lo provava molto.
Febbraio
aveva lasciato il posto ad un marzo piuttosto mite che lasciava
finalmente immaginare l’arrivo della primavera… e tutti quanti,
quel weekend, sarebbero andati a Marina di Camerota, su esplicito
invito di Rosa, che aveva promesso una sorpresa.
Ci
volle un po’ per sistemare tutta la famiglia sull’utilitaria
della ragazza, che aveva visto giorni migliori e proprio in settimana
aveva conquistato un altro graffio sul parafango, che era già
piuttosto artistico.
Fu
anche piuttosto difficile far salire papà a bordo della Stella,
ma Roberto, portandolo in braccio con l’aiuto di un altro velista,
riuscì nell’impresa.
Era
la prima volta, da quando aveva preso la patente nautica, che Rosa
sapeva che non avrebbe potuto usufruire dell’aiuto di papà. Anche
suo fratello avrebbe potuto guidare, ma aveva preso la barca
pochissime volte e non era molto pratico.
Rosa
avrebbe dovuto cavarsela da sola, ma non era spaventata. Con
sicurezza uscì dal porticciolo ed impostò la rotta. Il vento
primaverile le fece alzare il cappuccio della giacca a vento e le
pizzicò gli occhi, ma lei proseguì.
Ed
eccola, la spiaggia della Festa del Papà. La mattinata era piacevole, il cielo azzurro solcato solo da qualche nuvola bianca, il
mare calmo. La piccola baia si rivelava in tutto il suo splendore,
tra i piccoli massi sporgenti dall’acqua sulla sinistra, la lunga e
stretta striscia di sabbia, le colline coperte di sempreverdi.
Non
era possibile raggiungere la spiaggia con il solito gommone, ma Rosa
aveva comunque pensato ad un piccolo pensiero. Una volta ormeggiata
la barca scese in cabina e, con grande sorpresa di tutti, ne risalì
con un sacchetto di carta oleosa che conteneva le immancabili zeppole
di San Giuseppe.
Si
sedette vicino a papà Massimo, che sembrava godersi parecchio la
gita ed il panorama, e gliene porse una.
“...Come
mai ci hai portato qui proprio oggi?” lui le chiese.
“Per
riprendere la nostra tradizione della Festa del Papà.” Esitò,
guardandolo. “E perché mi sei stato vicino in un momento
difficile. Ed io farò lo stesso con te.”
Mentre
mordeva la pasta coperta di zucchero ed osservava la sua famiglia
mangiare e ridere, Rosa pensò che sarebbe stata una delle migliori
primavere di sempre.
FINE
Per
la prima volta ho pubblicato qualcosa di creativo su questo blog…
ed è per questo motivo che oggi più che mai ho bisogno del vostro
parere!
Sentitevi
liberi di esprimervi nei commenti, lasciando anche solo un’idea o
un’impressione.
Vi
invito a leggere gli altri racconti del mese di marzo delle mie
colleghe blogger!
Grazie
per la lettura, al prossimo post :-)
Cara Silvia, ora che inizi con qualcosa di nuovo, tutti abbiamo l'ansia di vedere e capire cosa ci aspetta, e leggiamo con molto interessi.
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso! Sono contenta che questi post ti interessino :-) Per ora ho iniziato con questo racconto, poi si vedrà! Buona giornata :-)
EliminaCiao Silvia, mi è piaciuto davvero tanto questo racconto... complimenti! :-)
RispondiEliminaCiao! Grazie mille :-)
EliminaE' la prima volta che ti leggo Silvia e il risvolto è più che positivo.
RispondiEliminaMi è piaciuto tantissimo il legame padre/figlia che dovrebbe sempre essere forte e duraturo come con Rosa e papà Massimo.
Bella la parte descrittiva, hai reso bene l'idea di essere lì. Forse la prima parte è un po' dispersiva (mio parere) ma nel complesso mi è piaciuta perchè porta a tanti spunti di riflessione quindi brava
Ciao Susy! ...è vero, il legame con il papà è qualcosa di importante per noi figlie! In effetti mi sono resa conto che l'inizio, che voleva essere più riflessivo, può risultare un po' lento. Sono comunque molto contenta che ti sia piaciuto :-)
EliminaMa che racconto piacevole, complimenti e bella questa nuova rubrica. Ciao Silvia, buon pomeriggio.
RispondiEliminasinforosa
Ciao Sinforosa, grazie mille! Sono contenta che la rubrica ti piaccia :-)
EliminaIl racconto è ben scritto, anche se forse un po' lungo per i miei standard.
RispondiEliminaMa l'avrei letto anche se fosse stato il triplo di questo, perché le storie che riguardano i papà mi commuovono sempre, per ovvie ragioni. ❤
Ciao Claudia! Quando non ho limiti di spazio tendo a dilungarmi, in effetti :-) Comunque sono contentissima che tu l'abbia letto e che ti sia piaciuto!
EliminaCiao Silvia. Mi hai fatto fare un viaggio bellissimo in una terra che, ahimè, non ho mai conosciuto di persona. Hai saputo raccontare colori e profumi, il tutto con grande amore e (forse) un pizzico di nostalgia. In particolare, ho adorato la parte in cui Rosa bambina, insieme al papà, si mette al timone e fantastica di mostri e pirati. Splendido brano, molto evocativo, che tra l'altro assume un valore ancora maggiore alla luce degli avvenimenti successivi: alla fantasia dell'infanzia fa da contrappunto la delusione della ragazza che, pur navigando verso il medesimo porto, all'approdo trova qualcosa di doloroso.
RispondiEliminaMolto bello anche il modo in cui il "cerchio si chiude": il tempo ribalta le situazioni, e se prima era papà Massimo a prendersi cura della figlia, a proteggerla, adesso tocca a lei farlo.
Per quanto riguarda la scrittura in sé, mi è parsa ottima sotto tutti i punti di vista, dalla sintassi al registro linguistico, dalla punteggiatura alla struttura. Il ritmo è adeguato al flusso dei ricordi, che vagano liberi e si prendono il tempo necessario per emergere, talvolta con lentezza, in altre occasioni con più rapidità.
L'unico difetto, se così vogliamo chiamarlo, è la D eufonica messa anche dove non serve, che appesantisce un po'. Poi ho trovato: "Rosa aveva pensato a un piccolo pensiero".
Davvero un gran bel racconto. Complimenti!
Ciao Debora! Innanzitutto grazie di cuore per il tuo lungo commento, per la tua analisi precisa e per le belle parole. Sono stata in Cilento solo una volta, quando ero ragazzina, ed ho passato una delle vacanze più belle di sempre. Ammetto che un po' di nostalgia c'è… e infatti tu l'hai colta!
EliminaStarò un po' più attenta alle "d" eufoniche: in effetti le metto quasi sempre, di default, ed invece ci dovrei pensare di più…
Grazie ancora per essere passata ed aver letto e commentato così attentamente. Sono contenta che il racconto ti sia piaciuto.
Il tuo racconto è davvero dolcissimo e ben scritto. Mi ha fatto venire in mente un ricordo del passato che, da sempre, mi intenerisce. Il tuo stile mi piace e non vedo l'ora di leggere anche il prossimo racconto.
RispondiEliminaCiao! Grazie mille, sono felice che il racconto ti sia piaciuto… soprattutto perché ti ha riportato alla mente dei bei ricordi. Alla prossima, allora :-)
EliminaCiao Silvia, grazie per questo bel racconto! L'ho trovato davvero ben scritto, anche se lungo sei riuscita a districare perfettamente le varie parti e dare non pochi spunti di riflessione su momenti diversi della vita di Rosa, cosa non così scontata. Mi è piaciuto molto poter approfondire, man mano che le parole avanzavano, la conoscenza di Rosa: è stato interessante vederla bambina e adulta e adolescente, tutto nello stesso racconto. Ho apprezzato molto anche il modo con cui hai descritto i vari ambienti e le situazioni che Rosa e la sua famiglia si sono trovate a vivere, e ho provato una stretta al cuore nel leggere di questa tradizione di famiglia, mi ha fatto tornare in mente bei momenti. Ancora complimenti e alla prossima storia! Stephi
RispondiEliminaCiao Steph, grazie di cuore per il lungo commento ed i tanti complimenti! Ho cercato di raccontare la mia protagonista attraverso varie fasi della vita, proprio come hai sottolineato tu. Anche io ho ripensato a tanti bei momenti rileggendo questa storia… principalmente alla mia vacanza a Marina di Camerota di tanto tempo fa, ma anche ad alcune tradizioni di famiglia. Sono contenta di aver risvegliato qualche ricordo anche in te. Grazie ancora per i complimenti :-)
EliminaCiao.
RispondiEliminaHo letto il tuo racconto e direi che ha rispettato il tema del mese. Il tutto gira attorno a Rosa e ai ricordi che lei ha legati a suo padre, che l'ha accompagnata in diversi momenti della vita.
Passiamo dall'infanzia spensierata, all'adolescenza e ai primi amori e prime delusioni, per arrivare poi a chiudere il cerchio ritornando su quella isola dove erano felici sempre.
Mi è piaciuto il tutto, scritto bene, hai descritto i luoghi per facilitare il lettore che riesce così ad immaginare tutto per bene.
Ti faccio notare le "d" eufoniche che secondo me in alcuni posti sarebbero da evitare perché diventa un po' pesante la lettura.
Voglio farti notare una cosa, che non è legata al racconto in sé, ma alla parte "estetica" diciamo. Il colore rosso per le scritte con un font un po' piccolo secondo me diventano difficili da leggere. Io ho i miei problemi e quindi forse non faccio testo, però ho trovato difficile la lettura. Spero di non averti offesa.
A presto :)
Chris
Ciao Christine! Innanzitutto grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti sia piaciuta… e la mia idea era proprio quella di un cerchio che si chiude!
EliminaVedrò di stare attenta alle "d" eufoniche, visto che non sei l'unica che me l'ha fatto notare!
Caspita, mi dispiace per il colore rosso, perché è una delle caratteristiche distintive del blog. Però posso provare un font più grande per il prossimo racconto (anche se quello di aprile è uscito proprio oggi), o magari un'interlinea più distanziata. Comunque non mi sono offesa, ci mancherebbe!
Grazie ancora per essere passata a commentare :-)
Nel leggere la tua storia mi sembra di sentire i profumi e i sapori. Si nota che descrivi tutto con grande affetto e calore. Mi è piaciuta la delicatezza con cui racconti una grande delusione e la dolcezza con cui il gesto d'affetto viene resituito.
RispondiEliminaCiao Simona! Per i profumi ed i sapori mi sono ispirata ai miei luoghi del cuore, compresa, per l'appunto, Marina di Camerota. Durante questa primavera di isolamento mi sono mancati più che mai! Grazie per i complimenti, sono contenta che la storia ti sia piaciuta :-)
EliminaNonostante mi sia piaciuto questo racconto -è la prima volta che ti leggo, però ho notato fin da subito quanto tu abbia talento nel descrivere non solo le ambientazioni, ma anche le emozioni <3 Non è da tutti, quindi ti faccio i miei complimenti ;) Senza dimenticare il bellissimo "do ut des" tra padre e figlia, un ricambio di favore dovuto solo all'amore che vige in un legame del genere :3 Ottima idea, cara Silvia!-, sono rimasta un po' perplessa per la narrazione adottata. Avrei preferito una struttura più fluida, diciamo, perché, in questa maniera, mi pare quasi frammentata. Vero è che sono scene diverse quelle che descrivi, quindi un margine di "distanza" è prevedibile oltre che giustificabile, ma forse, con una tecnica diversa, limando qui e là, avresti potuto dare un carattere maggiormente unito, per esempio creando un miglior nesso fra la prima parte e il ricordo o il ricordo e la seconda parte. ^_^
RispondiEliminaCiao Lara (sei tu giusto? So che su "La nicchia letteraria" scrivete in più persone…)! Grazie per il complimento sulla descrizione delle emozioni, ci tengo davvero!
EliminaQuanto alla struttura, in effetti la mia idea era proprio quella di isolare dei "momenti speciali" di infanzia, adolescenza ed età adulta, però il tuo consiglio di creare dei nessi narrativi per rendere tutto più fluido è più prezioso in vista di una prossima volta, quindi grazie mille davvero! :-)
Ciao Silvia. Sono Silvia di Silvia tra le righe. Un bellissimo racconto davvero. Ho percepito davvero l'amore di questo padre per la figlia. Hai descritto davvero bene ogni singolo dettaglio e mi hai fatto venire una grande voglia di fare una gita la mare. In questi giorni di quarantena mi hai permesso di viaggiare con la fantasia, leggendo il tuo racconto. Complimenti.
RispondiEliminaCiao Silvia! Grazie mille per i complimenti. Sapessi che desiderio di evasione e di mare ho provato io scrivendo questa storia… è stato abbastanza terapeutico! :-)
EliminaCiao Federica! Innanzitutto grazie per le belle parole, che mi riempiono sempre il cuore di gioia :-)
RispondiEliminaMi sono resa conto che alcune parti sono un pochino troppo corpose, ma in questo caso la lentezza è stata un po' voluta, perché tramite descrizioni dettagliate volevo omaggiare dei posti che amo. Per le prossime volte starò attenta a non eccedere ed a non "sviare" la narrazione, quindi grazie per il consiglio! :-)