giovedì 28 gennaio 2021

I PREFERITI DI GENNAIO 2021

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

gennaio è quasi finito… ed anche per il 2021 ho deciso di raccontarvi i miei “Preferiti del mese”!


L’anno nuovo è arrivato con tante promesse e un po' di coraggio ed ottimismo. Il primo mese del 2021 è stato piuttosto impegnativo per me, segnato un po’ più dai doveri che dai piaceri, dopo aver trascorso delle vacanze di Natale rigeneranti ma purtroppo in tono minore. È una situazione un po’ complessa, e ce lo siamo detto tante volte ormai… credo che sia per questo che tante persone, sui loro blog e sui loro social, hanno scelto “speranza” come parola chiave per il 2021.


In ogni caso, libri, film, musica, ricette e tanto altro mi hanno accompagnato nel corso delle ultime settimane, aiutandomi a rilassarmi e a divertirmi… ed oggi li condivido con voi!



Il libro del mese


In questo primo mese del 2021 torno a parlarvi di Roberto Centazzo, autore principalmente noto per la serie “Squadra speciale Minestrina in brodo” (che racconta le indagini di tre poliziotti neo-pensionati). A giugno dell’anno scorso, in un altro post della rubrica “Preferiti del mese”, vi avevo recensito Tutti i giorni è così, primo romanzo ambientato nella località ligure immaginaria di Cala Marina ed in particolare nella sua stazione, frequentata da personaggi un po’ tipizzati la cui quotidianità viene immediatamente sconvolta.


Il secondo romanzo di questa serie, Bevande incluse, inizia nel luglio del ‘67, al culmine della stagione turistica. Alla stazione di Cala Marina c’è un gran fermento, dal momento che in estate tutti hanno molto più da fare: il capostazione Dalmasso deve sorvegliare l’arrivo e la partenza di molti treni in più del solito, la barista Ludovica serve colazioni ed aperitivi non solo ai pendolari ma anche ai turisti, Silvano l’edicolante vende giornali e riviste a chi poi va a leggere in spiaggia, Bartolomeo il tassista è finalmente in piena attività dopo un lungo inverno di stop e Adelmo, l’uomo delle pulizie, deve purtroppo rimediare all’inciviltà di alcuni dei villeggianti. L’unico più libero di quanto vorrebbe è il professor Martinelli, che, visto che le scuole sono chiuse, si tiene in allenamento proponendo giochi enigmistici e matematici ai ragazzi in vacanza.


Quanto alla Polfer, il periodo è già piuttosto intenso per via dell’ordinaria amministrazione (ovvero le tante infrazioni quotidiane di cui si rendono responsabili i turisti), ma un’emergenza improvvisa sembra mettere tutto in secondo piano.


Una donna del luogo, infatti, è sparita nel nulla, ed alcune persone affermano di averla vista prendere un treno proprio alla stazione di Cala Marina, prima che nessuno avesse più sue notizie. Si tratta di Barbara, che da sempre gestisce l’Hotel Italia insieme al marito Eusebio. Ella è sempre stata definita una ragazza giudiziosa: studi in ragioneria, un matrimonio celebrato presto con la soddisfazione delle famiglie di entrambi, tanto impegno quotidiano per mandare avanti l’hotel. Purtroppo è proprio questo tranquillo tran tran a soffocare Barbara, anche perché nella sua quotidianità nulla è come sembra: le aspirazioni artistiche che aveva da giovane non si sono mai concretizzate, ci sono suoceri anziani e problematici a cui badare ed il suo matrimonio è un inferno perché Eusebio, arrogante e perdigiorno, dipende da alcool e gioco d’azzardo e spesso scompare per rincorrere qualche amante.


Barbara torna a casa dopo qualche giorno di ricerca frenetica, e si rifiuta di fornire una valida motivazione per la sua fuga. Il maresciallo Norberto ed i suoi si rassegnano: Barbara è adulta e si è mossa per motivi di sua volontà, quindi perché indagare oltre? Poco tempo dopo, tuttavia, il cadavere di Eusebio viene trovato proprio nella toilette di un treno. E per la Polizia ferroviaria di Cala Marina avrà inizio un’indagine particolarmente difficile…



Bevande escluse era nella mia “lista dei desideri” già da quest’estate. Ormai conosco piuttosto bene i romanzi dell’autore ed il suo stile, ma sono comunque rimasta colpita dalla sua sempre maggior confidenza con quello che ormai è il suo genere d’elezione, la “commedia gialla”. Ciò che mi ha colpito maggiormente è il realismo con cui la storia viene raccontata. L’indagine narrata, innanzitutto, non è costituita da quei colpi di scena e momenti di tensione che spesso piacciono al lettore di gialli e thriller (me compresa, in altri contesti): si sente tutta l’esperienza di chi (come l’autore) ha fatto questo lavoro sul campo per anni, e sa bene che spesso la quotidianità del poliziotto è fatta non tanto di serial killer quanto di truffe, sanzioni, situazioni lavorative irregolari e compromessi tra potenti. La parte “commedia”, invece, è fatta di intrecci sentimentali (alcuni imprevisti), descrizioni della mia amata Liguria e riflessioni da non sottovalutare. Ho pensato di trascrivere qua sotto per voi alcune citazioni che mi hanno colpito:


I pensieri, si sa, non sono entità che si materializzano in cielo come i colori dell’arcobaleno. Restano nascosti, nessuno li conosce e nessuno può prevederne la portata. Giungono senza alcun preavviso. Lavorano nell’ombra e poi un giorno esplodono. E allora sono guai.”


Nella vita invece si è portati a pensare che ogni groviglio sia frutto di un disegno, di un piano preordinato, di una determinazione. Macché! Spesso le cose accadono senza alcun motivo. Soltanto perché devono accadere.”


I treni che viaggiano di notte sono culle giganti che coccolano i loro passeggeri, li dondolano e li fanno addormentare. Le luci negli scompartimenti sono spente e nei tratti in cui sfrecciano veloci in mezzo ai prati si vedono le stelle.”


Adesso sembrava di nuovo un giorno come un altro, le auto marciavano, i gabbiani avevano ripreso a volteggiare, ma dentro s’era rotto qualcosa, si era aperta una voragine. Era crollata una diga, c’era stato un trambusto, invisibile e silenzioso, capace però di scombussolare un’intera esistenza.”



Il film del mese


La la land , il sorprendente musical di cui vi parlo oggi, è ambientato ai giorni nostri, in una Los Angeles allo stesso tempo reale ed onirica: tutti quanti sono incastrati nel traffico, ma credono fermamente nelle possibilità che può offrire un nuovo giorno di sole.


In mezzo alle auto, sull’autostrada, ci sono Mia, aspirante attrice che si sta avviando al bar in cui lavora ed intanto ripassa la sua parte per il provino, e Sebastian, un pianista innamorato del jazz ma obbligato a suonare canzoni di Natale in un ristorante.


I due continuano a scontrarsi nell’inverno e nella primavera californiana: si mandano al diavolo tra un semaforo e l’altro; Mia entra nel locale di Sebastian proprio quando lui è stato appena licenziato; entrambi si perdono per le strade di Los Angeles dopo una festa in piscina anni ‘80, in cerca della macchina parcheggiata troppo lontano.


È proprio in quest’ultima occasione che essi, di fronte ad uno spettacolare tramonto, si rendono conto che, a dispetto delle apparenze e delle premesse, un nuovo sentimento sta nascendo tra loro.


Mia, che un paio di anni prima ha lasciato il college e la provincia, ha già un fidanzato, un ragazzo con un lavoro sicuro ed abitudini consolidate, che però ella sente sempre più lontano da lei e dai suoi sogni. Così, una sera, lo abbandona nel mezzo di una cena e corre all’osservatorio astronomico con Sebastian.


L’amore tra i due cresce giorno dopo giorno, così come la loro intesa ed il loro desiderio di affermarsi. Mia prepara il suo primo spettacolo teatrale in autonomia, un monologo, mentre Sebastian cerca di aprire il suo locale, dedicato al jazz e senza regole che vadano a limitare la libertà espressiva dei musicisti.


Il successo, però, non sempre arriva nelle forme immaginate da un sognatore. E Mia e Sebastian si troveranno di fronte a prove inaspettate, che porranno più volte la loro relazione a dei bivi.



La la land è un premiatissimo film musicale, uscito qualche anno fa e già ampiamente discusso da pubblico e critica. Ho pensato di parlarvene oggi perché proprio durante le vacanze di Natale, sfogliando il catalogo di Rai Play, mi sono resa conto che è stato caricato tra le novità. Purtroppo il periodo di chiusura di cinema e teatri prosegue: quale migliore consolazione, allora, di una buona pellicola in streaming, al tempo stesso opera d’autore e musical d’intrattenimento?


Da appassionata di musica e danza, ho trovato questo film davvero curato. Coinvolgenti le coreografie di gruppo, sia quelle in contesti più classici (i party) che inaspettati. Davvero piacevole l’inserimento del tip tap, un omaggio al musical americano vecchio stile. Bravissimi gli interpreti Emma Stone e Ryan Gosling, che si rivelano davvero versatili.


Quanto al messaggio che questo film punta a trasmettere, soprattutto nell’ultima parte, so che è stato molto discusso. Personalmente lo trovo coerente con il resto della storia. La la land è un inno ai sognatori, alla loro creatività ed al loro coraggio, ma anche alla loro volubilità e fragilità. Un “sogno” può essere un progetto lasciato troppo a lungo nel cassetto, ma anche una realtà che si rivela migliore di ogni speranza.


Consiglio questa pellicola a tutti voi, ma soprattutto ai romantici ed ha chi ha una passione di stampo creativo!



La musica del mese


Anno nuovo, musica nuova! Per il 2021 ho pensato ad un piccolo progetto per la sezione “La musica del mese”. Invece di raccontarvi le novità e/o le mie preferenze del momento, come gli anni scorsi, ho deciso di scegliere una tematica mensile (basata su una festività, il susseguirsi delle stagioni, l’atmosfera del periodo) e di proporvi due o tre brani, spaziando tra classico e moderno. In questo modo spero di potervi consigliare qualcosa di interessante per ogni momento dell’anno, e potrò dare un po’ di spazio anche alla musica classica e non solo a quella leggera! Fatemi sapere se questa idea vi può piacere :-)



Gennaio è tradizionalmente il mese delle nevicate. Per questo motivo, oggi ho pensato di consigliarvi tre brani di diverso genere, che però, a modo loro, sono tutti un omaggio alla neve.


Per quanto riguarda il balletto classico, vi consiglio uno dei miei brani preferiti: la Danza dei fiocchi di neve tratta da Lo Schiaccianoci, un classico natalizio che sicuramente molti di voi conosceranno. Io ho avuto la fortuna di assistere allo spettacolo durante le vacanze di Natale dell’anno scorso (ve ne ho parlato in questo post): il biglietto è stato il graditissimo regalo di una delle mie più care amiche. Personalmente trovo che la Danza dei fiocchi di neve sia uno dei momenti più emozionanti del balletto. Anche con la mia scuola di danza, qualche anno fa, abbiamo utilizzato questo brano per uno speciale sulle quattro stagioni: questa musica è davvero perfetta per l’inverno! Cliccando su questo link trovate una delle tante interpretazioni del brano.



Non so se tutti lo sanno, ma ho studiato per anni chitarra classica e qualche volta mi piace ancora imbracciare lo strumento. Per quanto riguarda il repertorio tradizionale mi sento abbastanza sicura anche dopo qualche anno, mentre dovrei perfezionarmi un po’ su accordi/accompagnamento di musica leggera. Ho avuto un bravissimo insegnante, che oltre a lavorare con noi allievi si esibiva (e credo si esibisca ancora, coronavirus permettendo) con altri musicisti e da solo. Ricordo che uno dei suoi pezzi forti era un brano intitolato “Nevicata” di Benvenuto Terzi, una sorta di Pastorale per chitarra classica che lui aveva re-interpretato utilizzando anche la cassa dello strumento come percussione. Purtroppo non posso farvi vedere una sua esibizione, ma ho trovato su YouTube la versione tradizionale, eseguita da una bravissima chitarrista (a questo link).



Non potevamo non concludere questa carrellata di “nevicate” con un brano di musica leggera che mi sta molto a cuore: L’ultima notte al mondo di Tiziano Ferro. Vi lascio un breve estratto del testo…


Cade la neve ed io non capisco

che sento davvero, mi arrendo

ogni riferimento è andato via,

spariti i marciapiedi, e le case e colline,

sembrava bello ieri,

ed io, io sepolto dal suo bianco

mi specchio e non so più

che cosa sto guardando…


Ho incontrato il tuo sorriso dolce

con questa neve bianca, adesso mi sconvolge,

la neve cade e cade pure il mondo,

anche se non è freddo adesso quello che sento,

e ricordati, ricordami,

tutto questo coraggio non è neve

e non si scioglie mai neanche se deve...



La poesia del mese


Per il mese di gennaio ho scelto un componimento di Mario Luzi dal titolo Gelo, che, a mio parere, descrive molto bene la stagione invernale. 

(Quella in foto sono io, con i miei scarponi, sprofondata nella neve del parco).


Il giorno schietto

d’inverno inasprisce le carraie,

aguzza il taglio della pietra, sopra i poggi pelati

brucia i pochi fili d’erba.

Chi affastella legna, chi sciorina

panni s’affretta; sgretola la crosta

con le scarpe chiodate, con gli zoccoli,

spranga l’uscio di casa.

È un tempo che fa bruschi i conciliaboli,

ruvide le parole ed i commiati.

...Antenne

e nervature d’alberi, di rovi

graffiano i venti del tramonto...



Le foto del mese


Durante le vacanze di Natale ha nevicato parecchio qui nell’hinterland milanese! Ecco uno degli scatti più belli di un mio pomeriggio al parco, con i prati innevati, il sole che inizia lentamente a calare ed il cielo che cambia colore. La temperatura era polare, ma l’atmosfera era magica!



Con un’alba così, non poteva che essere una bella giornata! 

A volte (ma solo a volte, eh) vale la pena di alzarsi presto…



Il piatto più gettonato di quest’inverno è stato sicuramente il risotto, in tante varianti diverse! Questo in foto è fatto con delle coste saltate in padella, un po’ di vino bianco (mi raccomando, niente Tavernello, cercando tra le offerte nel supermercato ci sono bottiglie discrete a prezzi non male!) ed un piccolo Philadelphia alle erbe.




Questo, in breve, è stato il mio gennaio!

Che mi raccontate del vostro? Avete iniziato bene l’anno o sarebbe potuta andare un po’ meglio? Avete qualche novità da raccontarmi?

Avete libri, film, canzoni da consigliarmi?

Aspetto i vostri resoconti!

Grazie mille per la lettura, ci rileggiamo in febbraio :-)

lunedì 25 gennaio 2021

LA CASA DEGLI SPIRITI

 Recensioni classiche #5




Cari lettori,

è di nuovo “Il momento dei classici”!

Dopo Tolstoj e il doppio appuntamento con Jane Austen (prima con Orgoglio e pregiudizio, poi con Emma), l’autrice su cui si è concentrata la nostra attenzione è uno dei nomi di spicco del XX (e XXI) secolo: Isabel Allende.


Se ricordate, la quarta tappa delle nostre “recensioni classiche” è stata dedicata a Ritratto in seppia, una sorta di prequel (insieme a La figlia della fortuna, che dovrei ancora leggere) del romanzo di cui, come già promesso, parleremo oggi: La casa degli spiriti.


La protagonista di Ritratto in seppia è infatti Aurora del Valle, la sorellastra molto maggiore di Clara, che è uno dei personaggi più importanti di questo libro.

La storia della famiglia Del Valle, che abbiamo già imparato a conoscere, prosegue in questo celeberrimo volume… e con essa anche il Cile va incontro ad importantissimi mutamenti politici, economici, sociali.


Vediamo meglio insieme questo romanzo!



La genesi dell’opera


Anche se io ho letto prima Ritratto in seppia e di conseguenza ho ritenuto più giusto parlarvi precedentemente di questo romanzo, è La casa degli spiriti il primo libro di Isabel Allende, scritto dall’autrice quando ella aveva già quarant’anni.


Come la Allende racconterà nella sua autobiografia Il mio paese inventato (altro romanzo di cui spero di potervi parlare al più presto), a quel tempo ella si trovava in Venezuela con il suo primo marito, ma era in profonda difficoltà, sia a causa del suo matrimonio, sia perché si trovava in un paese che, anche dopo anni, continuava a sentire come “straniero” e non suo.


In quel momento già difficile, nel 1981, ella ricevette una telefonata: il suo nonno materno, che stava per compiere 100 anni, era purtroppo moribondo. Spinta dal desiderio di salutarlo per sempre, Isabel scrisse una lunga lettera… poi trasformatasi in questo romanzo.


Se l’intento iniziale era quello di rievocare memorie di famiglia insieme al nonno (che purtroppo non riuscì a leggere il romanzo ultimato), ben presto quell’insieme di lettere si trasformò in una storia originale, con dei protagonisti tutti suoi. Eppure, agli occhi del lettore attento che ormai conosce l’autrice, ci sono innegabili punti di contatto tra la vita reale di Isabel Allende e quella fittizia che prende vita sulla carta.


Clara, la donna intorno alla quale ruotano quasi tutte le vicende narrate nel romanzo, è appassionata di scrittura, proprio come l’autrice: La casa degli spiriti è infatti un libro presentato, con un escamotage quasi manzoniano, come la raccolta dei diari di Clara, nei quali ella non annotava solo nomi, fatti e date, ma soprattutto sensazioni ed impressioni, anche di carattere sovrannaturale (da cui il titolo).


Inoltre il protagonista maschile della storia, il proprietario terriero Esteban Trueba, avrà rapporti difficili e spesso malsani con la quasi totalità delle donne della sua vita, ma riuscirà a tirar fuori il lato migliore di sé grazie ad una nipote al quale si affezionerà moltissimo.


L’impressione è quella che Isabel Allende abbia voluto inizialmente tracciare un lungo ritratto dei suoi nonni, ma che abbia finito per modificare, almeno in parte, le loro caratteristiche, per creare dei personaggi-archetipo, appartenenti ad una vecchia generazione di cileni che si era rifiutata di accettare gli importanti cambiamenti avvenuti in Cile nel XX secolo.



La storia di Rosa, Esteban e Clara


La protagonista Clara è l’ultima arrivata di una numerosissima famiglia: è infatti la figlia minore di Severo Del Valle e della moglie Nivea, personaggi che abbiamo già imparato a conoscere leggendo Ritratto in seppia, in quanto essi sono i genitori putativi di Aurora.


All’inizio de La casa degli spiriti, la famiglia Del Valle si prepara ad acquisire un nuovo membro: si tratta di Esteban Trueba, giovane di belle speranze fidanzato di Rosa, la sorella maggiore di Clara. Tra le due ragazze, cresciute nella medesima famiglia, ci sono delle notevoli differenze. La prima, di straordinaria avvenenza e carattere riservato, è elogiata da tutto il paese e dalla società, anche se i più ammettono la stranezza della sua chioma sulle tonalità del verde (primo accenno ai tanti elementi sovrannaturali del romanzo). La seconda, invece, pur essendo ancora una ragazzina, è guardata con diffidenza da tutti, sia per la sua innegabile capacità di prevedere il futuro, sia per l’innocente spontaneità con cui mette in pratica le sue doti di veggenza. È ignorata dalle coetanee, isolata perché ritenuta diversa, ed il suo solo amico è un cane gigante chiamato Barrabás.


Rosa ed Esteban fanno una promessa ufficiale davanti ai genitori di lei, ma il giovane, che ha la tipica mentalità dei conservatori cileni (e non solo) e vuole portare “in dote” ai suoceri una posizione economica più stabile per poter mantenere la moglie, insiste per proseguire ancora per un po’ il suo lavoro come dirigente di una miniera lontana dalla città, prima di poter sposare Rosa.


L’indugio sarà fatale alla coppia: dopo una cena in famiglia come tante, Rosa muore avvelenata misteriosamente. Si indaga su una bottiglia di cordiale arrivata in un pacco dono e sui rivali politici di Severo Del Valle, ma i medici non sono in grado di dare una risposta certa nemmeno dopo l’autopsia.


Qualche anno dopo, Esteban sposa Clara, come da lei già predetto tempo prima.


La storia di Rosa e della sua infelice morte potrebbe sembrare un preambolo al cuore del romanzo, ovvero la nuova famiglia che i protagonisti creano insieme, ma è invece un campanello d’allarme piuttosto forte di due tematiche importanti per il romanzo.

La prima è la freddezza con cui Esteban tratta le donne che egli dice di amare (fidanzate, mogli, figlie, sorelle). La seconda è il clima di tensione politica che aleggia in Cile.



La vita di Esteban e Clara nella “Casa degli Spiriti”


L’uomo che Clara si ritrova a sposare non è più il giovanotto ambizioso che aveva contratto il fidanzamento con Rosa. Negli anni in cui Clara è diventata donna, Esteban Trueba ha rilevato una fattoria con terreni tutt’intorno, chiamata Le Tre Marie, e, senza farsi impressionare dal terreno avaro, dal carattere difficile dei lavoranti e dalla lontananza da casa, l’ha fatta fruttare. Egli è diventato in tutto e per tutto il prototipo del proprietario terriero sudamericano “vecchio stampo”: ricco, conservatore, orgoglioso, concreto.


Clara, invece, appartiene a tutt’altro mondo: ha studiato a casa perché le suore non comprendevano il suo talento, parla a stento e solo per fare predizioni, sembra vivere in una dimensione fatta di sogni e ricordi passati.


La loro vita a due, prima alle Tre Marie e poi a Santiago, nella villa di famiglia che è la “Casa degli spiriti” da cui proviene il titolo, è costellata da difficoltà di ogni genere.


La nascita della figlia Blanca, una bambina molto quieta che sembra non avere quasi niente in comune con entrambi i suoi genitori, e poi dei gemelli Jaime e Nicolàs, venuti al mondo con grande rischio per la salute di Clara.


Il difficile rapporto con la sorella di Esteban, Férula, una donna solitaria e dal carattere duro. Ella, inaspettatamente, lega con Clara, ma l’uomo è terribilmente geloso del rapporto fra le due donne e finisce per cacciare via la sorella con un pretesto.


L’amore tra Blanca e Pedro, figlio di uno dei contadini che lavorano alle Tre Marie, ovviamente osteggiata dal padre di lei.


Il terribile terremoto del gennaio 1939, che rade quasi al suolo la fattoria (dove la famiglia Trueba continua a tornare ogni estate) e mette in seria difficoltà anche la città.



Ciò che, a mio parere, colpisce maggiormente il lettore è il fatto che tutti questi episodi siano raccontati in una doppia chiave, proprio perché i protagonisti sono così diversi tra di loro. Quando l’autrice racconta la Storia con la “S” maiuscola, descrive la condizione economica e sociale dei personaggi, narra i fatti con precisione, sembra di sentire la voce di Esteban. Nel momento in cui, invece, accadono fatti sovrannaturali (tra i quali la vera e propria apparizione di un fantasma), c’è un volo pindarico verso il passato o il futuro, un evento felice o terribile che era stato predetto (a volte anche in modo fumoso) accade puntualmente, allora è Clara a tenere le fila della narrazione.



Storia della famiglia e storia del Cile


Come già detto all’inizio della recensione, Esteban Trueba è una versione romanzata del nonno della Allende, un uomo che avrebbe compiuto cento anni nel 1981, che quindi era nato sul finire del XIX secolo ed era cresciuto in un mondo che, sia per quanto riguarda le situazioni reali che i valori in cui credere, negli anni ‘80 del 1900 non esisteva più.


Anche nel romanzo Esteban e Clara assistono quasi impotenti a ciò che accade ai figli ed alla nipote, perché le giovani generazioni, molto più di loro, vengono colpite dagli importanti cambiamenti che a cui va incontro il Cile nella seconda metà del XX secolo.


Già parlando di Ritratto in seppia avevo accennato ad un problema della società cilena, “vecchia” per età e tradizioni ed incapace di leggere i segni di un imminente cambiamento.


Se Clara, con la sua dote per la preveggenza, riesce, almeno in parte, a intuire che qualcosa cambierà, e lo accetta prima di andare incontro ad una morte un po’ prematura ma naturale, Esteban è sempre più spaesato e solo, vedovo, con l’unico conforto della nipote Alba a cui è molto legato. Egli è ormai da tempo senatore dell’ala più conservatrice, partito a cui appartengono praticamente tutti gli anziani proprietari terrieri come lui. Tutti coloro che la pensano diversamente, secondo lui, sono marxisti e facinorosi, e soffre moltissimo nel constatare che né i figli né la nipote sembrano assecondarlo in quelli che per lui sono degli importanti dettami da seguire, non solo politici, ma anche morali.


La vittoria del Partito Socialista lo getta nello sconforto e lo porta a litigare con il figlio Jaime (tra l’altro, un importante candidato di quel partito era parente della Allende stessa); il colpo di Stato di Pinochet dell’11 settembre 1973 porterà tragiche conseguenze nella loro famiglia; le rivolte popolari e studentesche che precedono il golpe e la repressione che ne consegue vedranno come protagonisti la giovane Alba, ormai diventata adulta, ed un altro personaggio, che proviene da un lato oscuro del passato di Esteban.


Sullo sfondo di questi importantissimi mutamenti storici, la “Casa degli spiriti” continua ad essere il centro delle vite dei personaggi. Credo che l’autrice abbia voluto porre l’accento sull’importanza della villa di famiglia e descriverla quasi come se avesse una personalità propria perché essa è, in un certo senso, la custode della memoria di intere generazioni. Essa è ricca e ben tenuta con Severo e Nivea, prima che tutto cambi; è il luogo delle sperimentazioni esoteriche di Clara, personaggio straordinario che riesce a legare un passato di ricordi saldi ed un futuro di predizioni spesso infauste; è trascurata e fuori controllo nel momento in cui Esteban e i suoi eredi vengono travolti dagli avvenimenti e costretti a dire addio ad un vecchio mondo che un po’ li aveva tenuti legati e un po’ protetti.



Se volete vedere sullo schermo la storia di Esteban, di Clara e della loro famiglia, credo che la miglior trasposizione rimanga quella del 1993 di Billie August, con un cast d’eccezione: Jeremy Irons (Esteban), Meryl Streep (Clara), Glenn Close (Férula), Winona Ryder (Blanca), Antonio Banderas (Pedro) ed altri ancora.




Siamo arrivati alla fine anche di questa quinta recensione classica! Ora tocca a voi…

Avete letto il romanzo? Conoscete già questa storia?

Avete visto il film?

Vi ho convinti ad iniziare Ritratto in seppia, o almeno incuriositi?

Aspetto i vostri commenti!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

mercoledì 20 gennaio 2021

LA FELICITÀ

 Storytelling Chronicles: gennaio 2021




Cari lettori,

primo appuntamento del 2021 con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”! 

La scelta di scrivere dei racconti da condividere sul blog è stata una delle più soddisfacenti dell’anno appena concluso, e spero che anche nei prossimi mesi questa rubrica possa continuare ad essere il mio angolino preferito per dare sfogo alla mia fantasia.


Il tema di gennaio è tornato nelle mani della nostra amministratrice Lara dopo un po’ di giri di giostra (a novembre lo avevo scelto io, a dicembre un’altra ragazza del gruppo, Federica). La consegna era chiara ma forse non facile per tutti: ci è stato chiesto, infatti, di scrivere una fanfiction.


Per chi non lo sapesse: la fanfiction è una sorta di “divertimento narrativo” creato da chi, per l’appunto, è fan di qualcosa, solitamente un libro, un film o una serie tv. Creando una fanfiction, si può immaginare un finale alternativo in cui il nostro personaggio preferito non muore, si può rendere giustizia ad una sotto-trama che è rimasta troppo sullo sfondo per i nostri gusti, si può dare vita a prequel o sequel di qualcosa che ci ha appassionato tanto. Ovviamente si tratta di storie scritte in piena consapevolezza di non voler fare nessun plagio, dichiaratamente ispirate ad un’opera altrui e senza nessuno scopo di lucro: sono storie a metà strada tra il divertissement e l’omaggio, senza ulteriori pretese.


Per me, tornare alla fanfiction è stato come fare un salto nel passato. Negli anni dell’Università, infatti, ne ho lette e scritte un po’ io stessa. Il mio fandom preferito era quello di Harry Potter, che, come vi ho raccontato in questo post, è una saga che ho da sempre nel cuore.


Oggi, tuttavia, ho deciso di raccontarvi qualcosa di diverso. Il mondo fantasy è stato una tappa importante per me, sia come lettrice che come scrittrice in erba, ma con il tempo è inevitabile cambiare un po’ (anche se, chi lo sa, ora che ho riaperto il vaso di Pandora delle fanfiction l’ispirazione potrebbe condurmi chissà dove…). Inoltre mi sono chiesta che cosa potesse interessare il pubblico di questo blog, che, per gusti ed interessi, è molto più vario rispetto a quello un po’ “nerd” del lettore medio di fanfiction.


Ho deciso così di ri-raccontare a modo mio una parte di un classico, e più precisamente Il barone rampante di Italo Calvino. Quella che vi narro oggi è una mia personale interpretazione di Viola, nobildonna fuori dagli schemi e unico grande amore del protagonista Cosimo Piovasco di Rondò. 

È un sottogenere della fanfiction: si tratta della cosiddetta song-fiction, ovvero una storia scritta ispirandosi ad una canzone. Il brano che ho scelto è Happiness di Taylor Swift, cantautrice protagonista di un mio progetto dei “Consigli musicali” (qui il link). Fa parte del suo ultimo album Evermore, uscito da poco più di un mese, e quando l’ho sentita mi sono subito venute in mente tante immagini relative al romanzo. 

Vi lascio al racconto, che si intitola proprio “La felicità”, e spero che vi piaccia!




LA FELICITÀ


Mio caro, quando sono sugli alberi

vedo questa storia per quello che è

ma ora sono al di sotto di essi

e tutti gli anni che ti ho dato

sono solo cose che ci dividiamo

ti ho mostrato tutti i miei punti deboli nascosti

stavo danzando quando la musica si è fermata

e nell’incredulità

non riesco ad affrontare la re-invenzione

non ho ancora conosciuto la nuova “me”


Non so da quanto tempo sto correndo su questo prato. L’erba è fresca e rigogliosa sotto i miei piedi, e il sole illumina le ultime rare gocce della rugiada mattutina. Quante volte ho attraversato questa spianata giocando con il bassotto Turcaret, o galoppando con il mio adorato cavallo! Eppure oggi non riesco nemmeno a guardarmi intorno. Voglio solo arrivare a casa mia per l’ultima volta.


Arrivo finalmente in vista della villa. I miei collaboratori, vedendomi sudata e trafelata, si guardano tra loro e scuotono leggermente la testa. Mi sembra quasi di sentire i loro pensieri: ormai sono abituati ad avere una padrona imprudente ed irascibile, che corre a piedi o a cavallo, che sparisce per notti intere, che vaga per il territorio di Ombrosa animata da intenti tutti suoi. È chiaro che alcuni di loro vorrebbero farmi qualche domanda, ma finiscono per trattenersi, anche perché io intercetto subito i loro sguardi pensosi e dico loro con voce tremante: “Devo tornare a Parigi. Domani stesso. Preparate i miei bagagli e serrate la mia ala della villa.”


Se prima i miei domestici erano preoccupati, ora sembrano quasi sollevati. Nessun imprevisto all’orizzonte, nessuna scenata di rabbia, nessun pericoloso scherzo: solo l’ennesimo viaggio a Parigi della loro imprevedibile padrona. Scommetto che alcuni di loro stanno già pregustando le settimane di pace in cui io sarò in Francia e loro potranno amministrare la tenuta come meglio credono. Chissà che faccia farebbero se scoprissero che questa volta non ho intenzione di fermarmi soltanto in Francia, e che non voglio tornare qui mai più.



Dalla finestra della mia camera da letto vedo i rami sottili dell’albero che nei mesi più caldi fa ombra a questa zona della villa, donando riparo e frescura. Per la maggior parte delle persone che conosco, gli alberi sono semplicemente un elemento naturale che serve all’uomo: ottimi per la legna, utili a nutrirci se sono da frutto, un buon riparo durante i lunghi e caldi viaggi, uno scudo per ripararci da occhi altrui e delimitare le nostre proprietà.


Per me, però, gli alberi sono sempre stati molto di più, ed il merito va a te, Cosimo. Da bambina erano le braccia curiose dalle quali tu ti dondolavi per salutarmi, per aiutarmi ad andare sull’altalena, per difendermi da quei ragazzacci ladri di frutta che mi ostinavo a definire amici. Da adolescente, in collegio, erano l’ampio tetto di una casa solo sognata, mentre mura pesanti, che detestavo con tutto il cuore, mi rinchiudevano. Da adulta sono diventati tutto il mio mondo.


Seduta sopra ai nodi che formano i rami con i loro intrecci, appesa a un tronco robusto per sbirciare il mondo sottostante, arrampicata sul legno tra le fronde per nascondermi da chi non volevo vedere, mi sembrava, dopo lunghi anni di prigionia in collegio ed un matrimonio breve ed infelice, di vedere il mondo per quello che realmente era. La prospettiva dall’alto era impagabile: i crucci quotidiani della nobiltà di Ombrosa mi parevano, d’un tratto, piccoli e bassi, proprio come le persone che ne facevano un dramma; la luce era filtrata dalle fronde, ma in alcuni punti, lasciati liberi dal fogliame, era più intensa di quanto l’avessi mai vista; ogni giorno con te riuscivo ad arrampicarmi più in alto, quasi che il nostro amore ci consentisse, ora dopo ora, di avvicinarci al cielo.


Adesso vedo con chiarezza il mio errore: ho sbagliato ogni singola volta che ho litigato con te, quando scendevo sul prato e mi allontanavo dal tuo mondo fatto di alberi. Da lassù l’erba, con le sue goccioline d’acqua trasparenti come gemme, il suo brillante verde estivo, i fiori che annunciavano il ritorno di una nuova stagione, mi appariva come un luogo allettante, da attraversare con tutti i sensi, non solo con la vista come facevi tu. Ti pregavo di scendere con me, di esplorare la pianura a cavallo, di lasciarti andare a nuove emozioni. La tua risposta, però, era sempre un no irrevocabile. E quando perdevo la pazienza, stressata dai tuoi continui rifiuti; quando, con un salto, atterravo sul prato che dall’alto mi era sembrato così invitante, e sentivo la terra fredda al di sotto delle mie scarpe ormai abituate al caldo legno; quando mi bagnavo con la rugiada o con gli ultimi residui di pioggia e sentivo perfino i vermi che tentavano di intrufolarsi nelle mie calzature… allora comprendevo il perché del tuo rifiuto ostinato. Da lassù si coglie il bello di tutto, perfino di un semplice prato di campagna; ciò che si comprende, stando sugli alberi, è un’idea di prato, un’entità astratta, alla quale possiamo attribuire le caratteristiche che vogliamo. Solo quando balziamo nella nuda terra e ci sporchiamo possiamo veramente sentire il prato per com’è, disgustosi abitanti compresi. Per non perderti, avrei dovuto restare sempre lassù con te. Imparare ad osservare tutto con la tua medesima logica astratta, e ad idealizzare ciò che circondava il nostro etereo, frondoso, verde mondo. E invece una parte di me voleva tenacemente mettere alla prova altri sensi che non fossero la vista, sperimentare emozioni al di là del puro ragionamento, lordarsi il vestito per ricordarsi di essere ancora una persona che vive ed agisce e non solo un semplice spettatore del mondo. Purtroppo è così che ti ho perso.



Continuo a guardare l’ombra dell’albero, che si fa sempre più corta. Il sole sta salendo, tra poco sarà giorno fatto. È ancora piuttosto presto e le mie giornate solitamente sono ricche di impegni e imprevisti, ma oggi non riesco a fare nulla che non sia osservare queste dannate fronde e rendermi conto che ho appena detto addio a tutto il mio mondo. Non riesco a credere che sia finita in così poco tempo, dopo tutti questi lunghi anni in cui, anche a distanza, ci siamo conosciuti, voluti, desiderati. Stamattina all’alba stavo ancora giocando con te. Forse con rabbia, con perfidia, per vendetta: ma pure era te che desideravo legare ancor di più a me. Non c’è mai stato davvero nessun altro, e pensavo che ormai lo avessi capito. Ma la nostra antica complicità è svanita lentamente, ogni giorno di più, come una musica lontana.


Non so nemmeno che cosa farò, da domani. Perfino i miei tanti viaggi a Parigi avevano come unico scopo quello di tornare da te ancora più innamorata e felice. Sono stata la bambina Sinforosa che pretendeva di comandare i giovani briganti; la ragazza ribelle chiusa a forza in un collegio; la solitaria moglie di un anziano nobile che, in un anno, mi ha parlato a stento e poi è morto; la Marchesa vedova tornata nella sua terra d'origine per reclamare i suoi possedimenti e per riprendere il controllo della villa paterna. Con te sono stata la chiacchierata amante del personaggio più insolito di Ombrosa. Chi devo diventare, ora, per poterti dimenticare?



* * *


(Illustrazione di Roger Olmos)


Al di là del sangue e dei lividi,

delle rabbie e dei pianti,

al di là del terrore al calar della notte

tu eri tormentato dallo sguardo nei miei occhi

che ti avrebbero amato per una vita intera [...]


Dimmi, quando è successo che il tuo sorriso vittorioso

ha iniziato a sembrare un ghigno?

Quando tutte le nostre lezioni hanno cominciato ad apparire

come armi puntate alla mia ferita più profonda?


Mi piaceva litigare con te. Tu non lo hai mai capito. Razionale come sei, hai sempre creduto che gli scontri fossero un’eventualità da evitare, o, nel peggiore dei casi, da appianare con il dialogo. Le mie rabbie ti turbavano, i miei pianti ti scuotevano, le mie paure ti sconvolgevano. Io, invece, sentivo tutto così profondamente quando ero in tua compagnia: i temporali che facevano stormire le fronde mi atterrivano, i versi dei rapaci al calar della sera mi gelavano il sangue, lo schioppo dei briganti che rimbombava in piena notte mi immobilizzava. Sapevo che, se avessi lasciato fluire queste emozioni negative, avrei potuto provare ancor più sollievo nel sentire il canto mattutino degli uccelli; avrei respirato a pieni polmoni l’aria del giorno che iniziava, con gli occhi ancora lucidi dopo una notte difficile; avrei gioito nel sentirmi sempre più sicura, in questo mondo ovattato, fatto di frasche e luce filtrata.


Questo stesso principio regolava la mia relazione con te: dopo ogni litigio, la gioia nel ritrovarsi era ancora maggiore; in seguito ad una delle mie fughe parigine, tornare da te sapeva ancor più di casa; i miei cosiddetti tradimenti non erano che innocenti distrazioni per suscitare la tua gelosia, che dicevo di non sopportare, ma che in fondo mi era così cara.


Tu però non sei mai riuscito a vivere nulla senza che la tua mente, tanto brillante e ottusa al tempo stesso, ponesse ogni volta un freno al tuo cuore. Vivevi di ideali; io ne avevo uno solo, quello di un amore puro ed assoluto; eppure ti leggevo negli occhi che quella era l’unica idea che ti atterriva… perché idea non è, perché l’amore non si vive certo tramite studi e ragionamenti.



Fin da quando eravamo bambini e tu ti spacciavi scioccamente per brigante, ho sempre amato la tua intelligenza fuori dal comune. La prospettiva che avevi acquisito vivendo sugli alberi fin da piccolo. Gli insegnamenti che avevi appreso nel più originale dei modi. Le lezioni che ti eri impartito da solo, spiegando il valore della cultura al più indisciplinato degli allievi.


Eppure non riesco a spiegarmi perché i motivi che mi avevano spinta a legarmi a te sono ora le cause del mio allontanamento. So solo dirti che quando ci siamo conosciuti, riconoscendoci l’uno nell’altro, io amavo la tua visione della vita così ordinata, precisa, propositiva. Le persone che vivevano a terra, convinte di trascorrere un’esistenza regolata dalle norme del vivere civile, mi sembravano trasandate e caotiche rispetto a te. Tu vivevi tra le fronde, dormivi in un tronco di noce mezzo squarciato, indossavi cappelli di pelo, ma proprio per questo eri molto più assiduo e fedele nel seguire regole di vita tutte tue.


Mi piaceva ascoltarti per ore e scoprire che il più crudele dei delinquenti poteva diventare un uomo colto, se gli venivano forniti i mezzi per farlo; che si potevano fuggire i dettami familiari appartenenti ad un mondo ormai vecchio, se si credeva saldamente nei propri principi; che anche i traditori della patria, se conosciuti sotto un’altra veste, potevano essere uomini nobili; che, addirittura, tu non eri l’unico eremita che viveva sugli alberi, ma eri l’unico ad averlo scelto, e che ben presto – ne eri certo – ce ne sarebbero stati altri come te.



Se io fossi rimasta per sempre con te nel tuo mondo di alberi e ideali, avrei anche potuto crederti. Giorno dopo giorno, avrei iniziato a vedere tutto quel che avevi intorno proprio come facevi tu: non per quel che era, ma per come avresti voluto che fosse. Avrei persino potuto imparare a governare le mie emozioni, restando sempre fedele a me stessa, proprio come tu mi esortavi a fare.


Ogni volta che non ero d’accordo con te - e non posso fare a meno di ripensarci - provavo l’irresistibile impulso di scendere. E non solo per vedere il prato. Volevo interagire con le persone come loro pari, e non da quella posizione distaccata e superiore che assumevi tu. E quando tornavo in mezzo agli altri, mi bastava pochissimo per rendermi conto che la vita, purtroppo, non è come la immagini tu, non è come la sognavamo insieme sugli alberi. Per quanto ci si sforzi di essere colti, intelligenti, razionali, controllati, c’è sempre una parte di noi che ci sfuggirà. Una volta, consultando insieme l’Enciclopedia di Diderot, abbiamo letto dei misteri dei vulcani e della sostanza al loro interno che ribolle e che talvolta esce, causando disastri e tragedie. Quell’immagine mi è rimasta impressa, e solo ora ne comprendo il perché. Le emozioni sono come quel materiale misterioso che i tuoi amici illuministi chiamano lava. Ognuno di noi deve lasciarle fluire liberamente; se le teniamo troppo a ribollire, ben presto esse esploderanno, e non potremmo più controllare né loro né le inevitabili conseguenze. E la nostra esistenza a volte ci richiede di sporcarci le mani col fango, di toccare la lava che si è seccata per poterci arrampicare, di compiere atti bassi che in qualche modo ci avvicinano alla nostra natura animale. Ogni volta che non ero d’accordo con te, tu controbattevi con un ghigno che mi pareva sempre più beffardo. E, senza che tu te ne accorgessi, sanguinavo ad ogni nostra lezione.



* * *


Non posso far andare via questa sensazione

facendoti diventare il cattivo

penso che sia il prezzo da pagare per sette anni in Paradiso

ed ho stretto il tuo corpo al mio ogni dannata notte

ed ora ho solo false gentilezze

nessuno ti insegna che cosa fare

quando un brav’uomo ti ferisce

e tu sai di averlo ferito a tua volta


Ho spinto il gioco all’estremo, ne sono consapevole. È stata una giostra folle: la nave, le feste, gli scherzi… quei due galantuomini che non hanno avuto nessuna colpa se non quella di rispondere alle mie provocazioni. O quella di cascare nelle mie trappole.


Avevo un disperato bisogno di sapere se mi avresti potuto amare completamente, fino al punto di non ritorno. Ho scelto il modo più crudele per farlo. Ho rischiato tutto, coinvolgendo innocenti per stanare te, che mi sembravi l’unico colpevole, perché stavi lasciando che si spegnesse una fiamma già morente. Ho soffiato il vento della gelosia e della rabbia sul fuoco ed ho sperato con tutta me stessa che si sarebbe ravvivato.


Finché stamattina mi sono svegliata, ho attraversato il prato che già tante volte ci aveva diviso e ho capito di essere stanca. Mi avevano stufato i miei due pretendenti, che sembravano essersi messi d’accordo per gareggiare sportivamente per il mio cuore, quasi fossi un premio da vincere: erano lì, disertori per colpa mia; avevano rinunciato ai loro ideali in favore mio e delle speranze che avevo dato loro; avevano fatto quel che desideravo da te, ma non erano te: continuavano a restare sul prato, a giocare a carte e far passare il tempo, lontani dal tuo mondo di alberi e di libri; mi amavano perché assomigliavano molto più a me che a te, e non potevo sopportarlo.



Giocando con quei due ufficiali ti avevo soltanto restituito la ferita che tu mi avevi inferto settimane prima, e che avevi aperto un po’ di più ogni giorno con le tue argute dissertazioni. Come tutte le ragazze, sono stata istruita a guardarmi dai truffatori dell’amore, dai briganti del sentimento, dai ladri di virtù. Ma nessuno si è mai preoccupato di dirmi che i lividi più dolorosi mi sarebbero stati provocati da un uomo serio e buono, proprio perché stimabile e pieno di lodevoli intenzioni, ma animato da una visione del mondo e dell’amore che è l’opposto della mia.


Ti sarebbero bastate poche parole. Sarebbe bastato il coraggio di dirmi che da oggi in avanti ti saresti dedicato sempre e solo a me. Che avresti rinunciato anche solo ad un piccolo pezzo di te, per il bene mio e del nostro amore. Che oltre a te avresti pensato anche a noi. E sarebbe stata di nuovo la felicità […], la felicità insieme senza ombre. (Cit. tratta dall'opera) Ma hai preferito ancora una volta te stesso. Ed io sono stata costretta a lasciarmi tutto indietro.



* * *


(Illustrazione di Yan Nascimbene)


Ci sarà la felicità dopo di te

ma c’era anche la felicità a causa tua

entrambe queste cose possono essere vere;

c’è la felicità nella nostra storia,

attraverso la nostra grande separazione

c’è un’alba gloriosa,

screziata dalle scintille di luce

del vestito che ho indossato a mezzanotte;

lascia tutto indietro,

oh, lasciati tutto alle spalle,

ed ecco la felicità


Solo ora che con fretta silenziosa salgo sulla carrozza che mi porta via da te; solo adesso che mi affaccio dalla finestrella, scostando la cortina; solo in questo preciso istante, mentre vedo il sole sorgere dopo una notte più quieta di quel che temevo, mi rendo conto che forse non c’è altra scelta.


Agli occhi di Ombrosa, la nostra separazione sembrerà la conclusione naturale di una relazione balzana tra due nobili desiderosi di divertirsi: il Barone che da anni è sospettato di pazzia e la giovane Marchesa, vedova e libera, alla scoperta di un nuovo mondo.


Solo io e te, Cosimo, dopo essere stati insieme sugli alberi, al di là dei pianti e delle rabbie, dei lividi e delle ferite, del terrore nel cuore della notte e dei nostri sguardi che dicevano tutto, riusciremo a considerarla com’è: un incontro, nel senso più vero e più puro del termine.


Tu hai scelto di osservare il mondo da un punto sopraelevato, dove la luce è attenuata dalle fronde e ti permette di considerare ogni aspetto della vita in modo razionale; hai scelto l’equilibrio, la meditazione, la reinvenzione di se stessi grazie alla cultura. Io ho deciso di correre sui prati a cavallo, vivendo in prima persona ogni passione; di non ripararmi dalle tempeste, ma di sentire l’acqua che mi impregna i vestiti; di scuotere le mie emozioni come lava bollente, e di fermarmi a contemplare il risultato dei miei esperimenti interiori.


Noi ci siamo divisi, ma, come in un’alba gloriosa fatta da due soli gemelli, sono nati due modi di pensare e di sentire che si sono formati l’uno sull’altro, si sono consolidati e, tramite noi, continueranno a vivere. Lasciamo alle spalle le inevitabili ferite causate dagli scontri, lo sgomento nello scoprire che a volte entrambi avevamo ragione, il dolore di quando ci siamo resi conto che vivere insieme così era di fatto impossibile. Apparteniamo a due sistemi distinti, forse per sempre.

Ma ogni volta che qualcuno che la pensa come me e te improvviserà delle lezioni dialettiche sulla vita e sull’amore, ogni volta che un tuo seguace ed una mia imitatrice si scontreranno, ogni volta che un amico degli illuministi e una aspirante romantica si innamoreranno… si sprigionerà una scintilla di felicità.



FINE




Se siete arrivati fin qui, vi ringrazio moltissimo, perché mi rendo conto di avervi proposto, stavolta, qualcosa di molto letterario e un po’ tosto.

Ho cercato di seguire il più possibile le vicende de Il barone rampante: l’amicizia tra Cosimo e Viola quando essi erano solo dei bambini, la chiusura di lei in collegio, il rapporto che Cosimo stringe con il capo dei briganti Gian dei Brughi (avvicinandolo alla lettura ed alla cultura), il ritorno di Viola da giovane vedova, la nascita del loro discusso amore, la gelosia di lui nei confronti di alcuni ufficiali, la rottura definitiva.

L’amore di Cosimo e Viola può essere considerato, fuor di metafora, un incontro tra Illuminismo e Romanticismo: l’idea che due personaggi di un classico rappresentino due movimenti letterari mi piace molto, così ho cercato di raccontarvela “a modo mio”. Spero che sia stato chiaro ed interessante per tutti, in caso contrario vi aspetto nei commenti :-)


Quanto a Happiness, a me è sembrata perfetta! Spero che l'abbiate trovata adeguata anche voi.

Vi invito a seguire tutti i post con il banner “Storytelling Chronicles” di questo mese (alcuni sono già stati pubblicati, altri sono in arrivo) per scoprire tanti mondi differenti tramite le loro fanfiction!

Grazie mille ancora per la lettura, al prossimo post :-)