lunedì 14 dicembre 2020

IL CAPPOTTO ROSSO - CHRISTMAS COUNTDOWN 2020 #3

 Storytelling Chronicles: dicembre 2020




...mancano undici giorni a Natale!


Cari lettori,

terzo appuntamento con il “Christmas Countdown” del 2020 e turno mensile della rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Il tema di dicembre è stato scelto da una di noi, Federica, che ci ha chiesto di pensare a qualcosa di rubato. Alcune di noi, inoltre, visto il periodo, hanno pensato di inserire questo tema in un’ambientazione natalizia… me compresa.


La storia che vi racconto oggi si intitola Il cappotto rosso e vi confesso che è piuttosto personale, perché, sia dal punto di vista dei luoghi e dei tempi che da quello delle persone, mi riguarda da vicino. È un racconto che avevo “nel cuore” da forse troppo tempo, ma la tematica del mese mi è sembrata l’occasione più adeguata.

Spero che vi piacerà!




IL CAPPOTTO ROSSO



Agata alzò gli occhi dalle fatture che stava compilando e guardò l’orologio. Le 12.27: la fine anticipata di una lunga settimana. Si avvicinò alla finestra e scostò la tenda, notando che la nebbia mattutina si era quasi completamente dissolta. Clima tipico milanese: foschia durante le prime ore del giorno, poche magiche ore di sole gelido e poi un lungo ritorno alle nuvole, al freddo ed alla notte.


Quel giorno, però, era un venerdì prenatalizio pieno di sole, ed Agata era decisa a godersi appieno il pomeriggio che la aspettava. Come suo solito, ripose con cura tutti i documenti nelle apposite cartelline ed in pochi minuti sistemò la scrivania, infilando i faldoni nei cassetti e negli armadi del suo ufficio. Poi aprì la piccola porta dietro di lei e salì le scale, raggiungendo così il suo appartamento.


Ormai da quasi dieci anni lei e il marito Alberto avevano fatto una scelta di vita “casa e bottega”: lui come titolare di un negozio di piccole macchine agricole, lei come sua segretaria. La loro attività lavorativa era a piano terra, mentre a quello superiore c’era la loro piccola ma confortevole casetta.


Non sapendo che cosa preparare per il pranzo, Agata si risolse per una delle sue ricette più veloci: la pasta con burro, limone e prezzemolo fresco. Bastavano pochi minuti per preparare il semplice ma gustoso condimento, che Alberto apprezzava sempre quando c’era la necessità di non appesantirsi troppo nel pomeriggio.


Mentre tritava il prezzemolo, Agata pensò che attendeva da giorni quel venerdì pomeriggio speciale. Per negozianti e piccoli imprenditori come Alberto era il giorno settimanale di mercato economico e contrattazioni, e la sera prima il marito le aveva proposto di lasciare il negozio al commesso e di unire l’utile al dilettevole: banca e scartoffie per lui, giro di commissioni prenatalizie per lei.


Agata aveva accettato la proposta con allegria. Quel pomeriggio avrebbe finalmente visto le decorazioni cittadine, le luminarie, i negozi del centro che lì in periferia poteva soltanto sognarsi. Il sindaco aveva già fatto accendere tutto per Sant’Ambrogio, la domenica precedente, ma Agata era stata impegnata con i parenti per festeggiare il suo quarantesimo compleanno e, anche se si era divertita molto, non era riuscita a muoversi da casa.



Sentì dei rumori leggeri: la porta che si apriva, le scarpe sfilate, la sedia scostata.


Pastasciutta veloce, eh?” esordì Alberto sbirciando al di là delle spalle della moglie. “Sei davvero impaziente di andare a fare compere?”

Tu che dici?” rispose Agata, voltandosi e sorridendo. “Ho già una lunga lista di regali di Natale da fare...”

Li troverai di sicuro. Avrai tempo. Penso che in banca ci metterò anche troppo.”

Davanti all’espressione un po’ corrucciata del marito, Agata si intenerì.

Dai, vedrai che se facciamo tutto prima della chiusura degli uffici ci vorrà poco. E ci prenderemo una cioccolata calda in quel piccolo caffè poco lontano da Palazzo Reale, ti ricordi?”

Buona idea” fu la replica di Alberto, che tornò a sorridere. “È uno dei pochi posti di quella zona che non è sempre strapieno di clienti. Non l’hanno ancora scoperto!”



Un’oretta dopo, Agata era in piedi davanti all’armadio, indecisa sul tocco finale da dare alla sua mise quel giorno. Il tailleur nero e le scarpe invernali erano adeguati per il pomeriggio di commissioni, ma l’insieme era troppo ordinario, quasi spento. Ci voleva un tocco natalizio… e, mentre dava un’occhiata alle giacche, ella vide qualcosa che sarebbe stata perfetto. Si era quasi dimenticata di quel cappotto rosso vecchio stile, regalo di una zia in occasione dello scorso Natale. Era un modello un po’ largo rispetto a quelli avvitati che andavano di moda quell’anno, ed il colore acceso non era proprio il suo preferito, ma quel venerdì era proprio la giornata perfetta per provare ad indossarlo. Senza ulteriori esitazioni, lo tirò giù dalla gruccia e lo indossò, scendendo le scale di corsa per raggiungere Alberto che era già in auto.


* * *


La Banca dell’Agricoltura era gremita di uomini d’affari con completi grigi, lunghe palandrane scure, cappelli da passeggio e ventiquattr’ore piene zeppe di documenti. Nella zona centrale, sotto la cupola, era quasi impossibile passare. Fortunatamente, Alberto si era messo in fila per tempo, e ben presto arrivò il suo turno. Allontanandosi dal banco, diede un’occhiata al suo orologio da polso e si rese conto che non erano nemmeno le quattro. Aveva appuntamento con Agata per le cinque meno un quarto nel loro piccolo bar pasticceria. Era sicuro che sua moglie sarebbe arrivata all’ultimo minuto, sorridente e carica di pacchetti. Non c’era motivo di intrufolarsi subito tra la folla del centro: non avrebbe mai individuato Agata in tutta quella confusione, e in ogni caso lui non era certo richiesto come consulente per gli acquisti. C’era tutto il tempo di fare una tranquilla passeggiata in vie meno trafficate, ritornare in centro e raggiungere il caffè.



Da qualche parte all’altezza di Corso Vittorio Emanuele, Agata si divertiva un mondo. Le vetrine della Rinascente erano decorate di rosso ed oro, contornate da luminarie, e c’era persino un presepe in un angolo. Tutti i negozi del centro erano pronti per le festività natalizie: le mensole traboccavano di merce, all’ingresso c’erano confezioni regalo, perfino gli esercizi un po’ più esclusivi erano pieni di clienti. Tutto nell’aria preannunciava l’arrivo del Natale: allegria e fretta, eccitazione e fremente attesa sembravano accompagnare ogni passante. Con le braccia cariche di pacchetti, Agata alzò lo sguardo e si rese conto che alle illuminazioni dei negozi si erano aggiunte quelle delle strade: era ormai quasi buio! I suoi acquisti, come previsto, si erano protratti più del dovuto: erano già le quattro e mezza, e lei non aveva nemmeno raggiunto la metà del corso! Già si figurava Alberto, da precisino qual era, ad aspettarla fuori dal bar, facendo ondeggiare la ventiquattr’ore con impazienza.

Sicuramente avrebbe ridacchiato vedendola arrivare in ritardo ed impedita dall’ingombro di tutti quei regali. Decisa a non dargli quella piccola, sciocca soddisfazione tra innamorati, Agata affrettò il passo. I tacchi sull’asfalto rimbombavano nonostante il caos, e forse per questo motivo, da un momento all’altro, le parve che il pavimento esplodesse sotto di lei.


* * *


Con grande fatica, Alberto riaprì gli occhi in mezzo alla polvere ed al fumo. Per pochi, terribili istanti aveva dimenticato dove si trovasse e perché, ma ora si sentiva di nuovo lucido. Si trovava steso a terra, sulla pancia. Era stato sbalzato in avanti con forza da quello che gli era sembrato un fortissimo colpo di vento, accompagnato da un rumore che sperava di aver dimenticato. O forse non era andata così. Magari aveva avuto un calo di pressione, era caduto lungo disteso in terra ed aveva sognato qualche brutto avvenimento del suo passato. La guerra era finita da ormai venticinque anni: non era possibile che fosse caduta di nuovo una bomba.

Eppure l’odore forte che si impastava nelle sue narici e la polvere che già sentiva attaccata sotto la lingua erano indizi inconfondibili. Non riusciva a vedere nulla: un fumo denso lo circondava. Le braccia erano piegate sotto il busto e la paura che si fossero rotte lo paralizzava. Con cautela, provò a muoverle un poco, e si rese conto con sollievo che erano solamente intorpidite. Gli ci vollero alcuni minuti per alzarsi a sedere, altri per mettersi in piedi. Man mano che i muscoli del suo corpo ritornavano a rispondere, egli iniziava a distinguere anche i rumori. C’erano urla, pianti, singhiozzi che suonavano quasi attutiti nel mezzo della nebbia tossica che si era creata. Distinse in lontananza il suono di alcune ambulanze, una dopo l’altra.

Lo stato di shock non lo aveva ancora abbandonato, ma l’esigenza di capire che cosa fosse successo e il pensiero di Agata lo spinsero a muovere qualche incerto passo. Nel mezzo della cortina di fumo distinse altre figure umane, qualche disperato come lui, che lentamente si avviavano verso la piazza della banca, e d’istinto decise di seguirle.



Agata non aveva più smesso di correre, subito dopo essersi rialzata dall’improvvisa esplosione che l’aveva fatta cadere a terra dallo spavento. Sentiva brandelli di calze che penzolavano dalle gambe esponendola all’aria gelata, aveva avvertito lo strappo della preziosa gonna del suo tailleur non appena aveva iniziato a velocizzare la falcata, ed i pochi pacchetti che le erano rimasti in mano sbatacchiavano da tutte le parti, ma non le importava di niente. Sentiva solo delle voci confuse, che, man mano che si avvicinava alla sua destinazione, si facevano sempre più chiare: “È stata una bomba! Alla Banca dell’Agricoltura!”

Più si avvicinava a Piazza Fontana, più era costretta a fermarsi per i terribili attacchi di tosse che la coglievano. Il buio era sceso, ma tutt’intorno a lei una polvere biancastra le entrava in gola, facendole lacrimare gli occhi ed arrossare il viso. Avrebbe voluto fermarsi lì, continuare a dare sfogo alle lacrime e scacciare la paura che fosse successo qualcosa ad Alberto, ma si costrinse a proseguire. Se non avesse visto, non avrebbe mai saputo.

Non le mancavano che pochi passi per arrivare in Piazza Fontana, ma fu costretta a fermarsi in fondo alla via. Una folla di ombre vocianti ed in continuo movimento le occludeva il passaggio. Arrampicandosi sulla gradinata d’ingresso di un palazzo e alzandosi il più possibile sulle punte, ella cercò di sbirciare al di là della folla… e lo spettacolo che si presentò davanti ai suoi occhi la atterrì ancor di più del fumo, della nebbia, della disperazione che ormai circolava nell’aria. La piazza era inavvicinabile. Un forte odore di zolfo si sprigionava da quel che rimaneva della Banca dell’Agricoltura, ma era difficile verificare da lì l’identità del danno, impossibile avvicinarsi. Tutto quello che Agata riusciva a vedere era un’infinita distesa di autoveicoli con sirena lampeggiante: ambulanze, polizia, carabinieri ed altro ancora.

Il terrore la paralizzava: non sapeva dove andare, cosa fare, come avere notizie di Alberto. Poi le venne in mente il suo appuntamento con il marito nel loro caffè preferito. Se sta bene, mi aspetterà là, pensò. Una piccola speranza si accese in lei come una candela in quella sera gelida e crudele.



Alberto era davanti al caffè dove si era dato appuntamento con la moglie all’inizio del pomeriggio. La saracinesca dell’esercizio era tirata giù e osservando le vetrine laterali, che non erano state chiuse, si comprendeva che il posto era stato abbandonato in fretta e furia per un motivo improvviso. Per l’ennesima volta in pochi minuti, egli si chiese se non stesse commettendo una sciocchezza. Aveva tentato a lungo e senza successo di avvicinarsi all’inferno di piazza Fontana, rendendosi conto che sarebbe stato inutile, se non pericoloso, tentare di fendere una folla disperata ed arrabbiata. Sapeva che Agata, arrivando dai negozi del centro, lo avrebbe cercato, ma non c’era modo di mettersi in contatto con lei in quel caos. Alla fine, percorrendo il più possibile strade laterali e poco frequentate, cercando di respirare meno fumo e polvere che poteva, era tornato al loro bar preferito. Gli era sembrato che fosse l’unica decisione sensata, in mezzo a quello scenario che lo faceva sentire folle ed allucinato. I minuti, però, passavano, ed Agata non arrivava.

Sentendo le gambe che diventavano sempre più di piombo, Alberto si sedette direttamente sul marciapiede, senza nessun riguardo per il completo di sartoria grigio scuro che di solito riservava agli appuntamenti d’affari e che in quel momento era l’ultimo dei suoi pensieri. Gli sembrava di essere arrivato in centro un secolo prima, eppure erano passate soltanto poche ore. Non poteva essere successo qualcosa ad Agata, semplicemente non poteva succedere. Lei era la sua eterna fidanzata fin da quando erano ragazzini, il suo braccio destro sul lavoro, la sua compagna di vita, la ragione della sua quotidiana felicità. Sarebbe tornata da lui.



Agata mantenne la promessa che aveva fatto ad Alberto. Arrivò, lenta ed esausta, quando ormai era quasi ora di cena. Riconobbe la sagoma del marito non appena arrivò in vista del loro caffè. Avrebbe voluto correre, ma non appena il sollievo di vedere Alberto l’ebbe invasa si rese conto che il corpo non la sosteneva più. Avvicinandosi, guardò negli occhi il marito, che in un primo momento le sorrise debolmente, poi, come se fosse nuovamente turbato, abbassò lo sguardo. Agata guardò in giù a sua volta, e si rese conto di ciò su cui era caduto lo sguardo di Alberto: non solo i pochi pacchetti regalo che continuava assurdamente a tenere in mano erano impolverati, rotti, inservibili; non solo le calze non esistevano più e il tailleur era da rammendare, se non proprio da buttare; persino il suo cappotto, il preziosissimo cappotto rosso della zia, la scelta felice compiuta un’eternità prima per un pomeriggio spensierato, era completamente coperto da quella patina biancastra che non voleva saperne di sparire. Nel vedere quell’ennesimo scempio, Agata, dopo tanta tensione trattenuta, si lasciò finalmente andare al pianto.


* * *


Con passo lento e difficoltoso, erano tornati alla macchina. Alberto non avrebbe saputo dire con che forza era riuscito ad affrontare anche il terribile traffico della città, che era caduta in preda al panico; né Agata avrebbe saputo spiegare come aveva fatto a trattenersi dallo scoppiare nuovamente a piangere quando, dopo un lunghissimo e silenzioso viaggio, erano arrivati a casa.


Avevano messo i vestiti ancora validi in un sacco in lavanderia, si erano lavati e sistemati togliendo con cura ogni traccia di polvere e si erano preparati per la sera, anche se nessuno dei due aveva fame. Il cappotto rosso era rimasto appeso sul balcone: forse l’aria gelida della notte avrebbe portato via un po’ di patina tossica.


Agata decise di preparare un po’ di the caldo per scacciare via almeno il freddo che continuava a sentire, nonostante il pigiama invernale ed il riscaldamento al massimo. Mentre era girata verso i fornelli, intenta a riempire il bollitore, sentì Alberto che, con i suoi soliti movimenti delicati, si sedeva al tavolo della cucina ed accendeva la televisione. Tutti i programmi della sera erano stati cancellati in favore di edizioni straordinarie dei telegiornali che descrivevano con dovizia di particolari l’attentato di Piazza Fontana. Non trovarono parole adatte per commentare le immagini che continuavano a scorrere impietose sullo schermo. Bevvero il loro the in silenzio, osservando le riprese della spaventosa voragine che si era aperta al centro della banca, sotto la cupola, proprio dove era passato Alberto mezz’ora prima che l’ordigno esplodesse.


Agata era consapevole che quel giorno non era stata solo la sua Milano ad essere colpita, ma tutta l’Italia. Sapeva che quel 12 dicembre 1969 sarebbe diventata una di quelle date nere che nessuno dimentica e che chiunque ricollega ad un tragico evento che nemmeno si dice più, tanto è legato a quel giorno. Dalla televisione sentiva arrivare parole come indagini, inquirenti, fermati, anarchia, gruppi estremisti, ma lei riusciva soltanto a pensare a tutti quegli “Alberto” che quel pomeriggio erano passati alla Banca dell’Agricoltura, per occuparsi del loro lavoro, come tanti altri venerdì. Di quelle persone non era rimasto più niente: solo un cappello lanciato lontano dallo scoppio della bomba, o una valigetta segata a metà dalla deflagrazione. Niente, tranne che la disperazione di tante “Agata” come lei, che forse ancora cercavano invano il marito per le strade di Milano, in mezzo al buio ed al gelo, con le ginocchia sbucciate e le labbra blu. La bomba di Piazza Fontana aveva rubato la gioia di un pomeriggio prefestivo, la serenità dei milanesi, tante vite innocenti.


Con un sospiro, Agata distolse gli occhi dalla televisione, incapace di sopportare oltre quella vista. Lo sguardo le cadde al di là della porta, sul presepe che aveva allestito con cura la mattina del suo compleanno, con tanto di cartapesta, fiume di carta stagnola e lucine intermittenti. E fu in quel momento che capì che cosa continuava a turbarla nel profondo, anche ore dopo che la grande paura per se stessa e per Alberto era svanita: gli attentatori avevano derubato anche lei. Se è vero che la vita è fatta di bivi, chiunque avesse messo quella bomba in Piazza Fontana aveva portato via l’altra se stessa, quel suo alter ego gioioso ed impaziente che era rimasto in Corso Vittorio Emanuele, a stringersi nel suo cappotto rosso ed a scegliere regali di Natale.


L’altra lei che componeva il presepe con sollecitudine e spesso in anticipo, che all’inizio di dicembre telefonava ai parenti e li invitava per il pranzo tutti insieme, che organizzava cenoni sontuosi con tanto di carrello degli antipasti e farciture per il panettone fatte in casa, che riuniva le amiche per lunghe merende del sabato mentre fuori calava il buio, che si svegliava la domenica mattina cantando con allegria carole natalizie, che ogni giorno in ufficio apriva una casella del Calendario dell’Avvento con eccitazione crescente. L’altra lei libera e felice di festeggiare il Natale. Si vergognava a fare simili pensieri dopo essere scampata ad una simile tragedia, ma sentiva un vuoto incolmabile al centro del petto, e non riusciva ad allontanare la sensazione che qualcosa, nel suo cuore, si fosse dissolto per sempre.


* * *


A che cosa pensi?”

A che cosa vuoi che pensi?”

Sei silenziosa stasera.”

Alberto, è tutta la sera che non parliamo.”

Sì, ma quando ti guardi intorno e hai quei piccoli sussulti improvvisi non stai più guardando la televisione. Vuoi dire qualcosa.”

È solo che...”

...non riesci a non pensare ad oggi?”

Non è solo questo. Come faremo a pensare al futuro, dopo oggi? Anche solo al Natale? Continuo a ripensare a tutte quelle luci delle sirene intorno a Piazza Fontana. Mi sembravano la brutta parodia di un albero di Natale.”

Però siamo qui, Agata. Lo vivremo insieme.”


Ed era quello l’importante.

Anche se in quel momento si sentivano come se un pezzo di se stessi e buona parte del senso del Natale fossero stati rubati da questa immane tragedia.

Anche se la gravità del momento attuale li lasciava senza parole, il ricordo dei momenti lieti era schiacciato dalla cupa tristezza del presente e il loro Dicembre, come quello di tutti i milanesi e forse dell’Italia intera, non sarebbe stato come lo avevano sognato.

Ciò che contava in quel momento era semplicemente esserci, in buona salute e insieme. In attesa di Natali più spensierati e di un futuro migliore.



FINE




Grazie per essere arrivati in fondo anche a questo racconto!

Credo che tutti voi conosciate il contesto di questa storia: ogni anno si ricorda l’attentato di Piazza Fontana, avvenuto venerdì 12 dicembre del 1969.

Film e documentari si concentrano prevalentemente sull’indagine che è seguita alla tragedia, ma io ho preferito raccontare la storia da un punto di vista più privato.


Colgo l’occasione per ringraziarvi per tutti i bei commenti che avete riservato ai racconti di ottobre e di novembre. Avere un feedback immediato e continuo è importantissimo per me, perché mi consente di migliorarmi e di fare tesoro di tanti preziosi suggerimenti. Giunta (quasi) al termine del 2020, posso affermare senza dubbi che questa rubrica si è rivelata un’ottima modalità per coltivare anche la passione della scrittura creativa, oltre a quella del blogging tradizionale. Spero proprio che anche nel 2021 riuscirò a dar vita a tanti racconti!

Grazie ancora per la lettura, al prossimo post :-)


17 commenti :

  1. Ciao Silvia, il tuo racconto mi ha coinvolto davvero tanto: sei stata molto brava a delineare il contesto e le emozioni dei due protagonisti... sei davvero molto brava a scrivere, complimenti!

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    1. Ciao! Grazie mille per tutti i complimenti, sono davvero contenta che il racconto ti sia piaciuto! :-)

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  2. Ciao Silvia! Che brivido! Ho tenuto il fiato sospeso per una buona metà del racconto. Sei stata bravissima a farci entrare in questa storia, anche se da una prospettiva privata - che a mio avviso le dona una chiave di lettura ancor più forte. Trovo che lo sviluppo del tema del furto sia davvero azzeccata, e ho ritrovato in queste righe la stessa paura e la stessa preoccupazione che, per motivi diversi, affligge tutti noi oggi. Il finale però, pieno di speranza, è forse ciò che ho apprezzato di più: sapere che nonostante tutto il dolore arriveranno anche momenti più sereni e Natali più gioiosi è la spinta che sta mandando avanti tantissimi di noi durante questo folle 2020, ti sono grata di averlo messo nero su bianco come promemoria per chi ti legge. Come sempre un racconto scritto meravigliosamente, che scorre con facilità tenendo il lettore legato a ogni parola. Forse avrei evitato un po' di d eufoniche, che in qualche spezzone di frase suonano come un appesantimento, per tutto il resto comunque un altro scritto super piacevole e ricco di emozioni. Brava brava brava!

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    1. Ciao Stephi! Grazie mille per tutte le belle parole. Hai intuito bene: quando ho scritto questo racconto, stavo pensando anche a queste vacanze di Natale del 2020, un po' in tono minore per i motivi che tutti conosciamo. Anche per questo motivo ho scelto un punto di vista privato: libri, film e serie tv si sono concentrati spesso sulle indagini e sulle conseguenze politiche di questo attentato, ma io ho scelto volutamente una visione più personale.

      In effetti le d eufoniche sono uno dei miei "punti deboli": ti ringrazio per il reminder. Qualche volta sto più attenta... altre volte invece "scappano"!

      Grazie mille Stephi per le tue osservazioni, sono sempre preziose :-)

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  3. Che brava Silvia!
    Leggere il tuo racconto mi ha tenuto - esattamente come Step - col fiato sospeso. Non solo mentre leggevo avevo voglia di sapere cosa succede, ma mi sembrava quasi di vedere la scena di un film e io da telespettatrice (oltre che lettrice) avevo quasi il timore che marito e moglie non si ricontrassero. Sei stata bravissima a creare una storia così ricca di tante cose e non posso che farti i miei complimenti anche su quel finale che non è per niente scontato ma che fa riflettere tanto

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    1. Ciao Susy, grazie mille! Sono contenta che la mia storia ti abbia coinvolto! Mi spiace averti fatto un po' "soffrire" ma era necessario, ahah 😂 Mi fa piacere che tu apprezzi anche il messaggio del finale perché ci tenevo!

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  4. Ciao. Complimenti per il racconto che hai scritto e per come lo hai scritto.
    Sono rimasta con il fiato sospeso per metà racconto. Tutto era iniziato in modo quasi divertente, una giornata tranquilla come tante, per i nostri protagonisti. Non mi aspettavo un cambiamento così drastico e cupo. Tuttavia credo che rispecchi bene la realtà di quel momento. Ovviamente quella giornata era iniziata in modo tranquillo per molti, con il lavoro, le spese, la scelta di cosa indossare per la giornata, cose che si fanno quotidianamente. Poi all'improvviso tutto cambia e questi eventi tragici credo che avvengano proprio così: quando tutto ci sembra normale e calmo.
    Ho apprezzato molto il modo in cui hai raccontato tutto, con rispetto per ciò che è successo, in maniera semplice e verosimile.
    Complimenti ancora.

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    1. Ciao! Sono felice che tu abbia colto il mio intento nel raccontare questa storia. Volevo parlare di questo attentato dal punto di vista privato di due milanesi comuni, che in quel momento pensavamo solo a chiudere la settimana lavorativa e a fare spese per Natale, com'era giusto che fosse. La narrazione cambia tono a metà, ma era un effetto sorpresa voluto, in effetti! Grazie mille per le belle parole 🤗

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  5. Hi! Credo di averlo già detto la prima volta che ho partecipato a quest'iniziativa ma se così non fosse lo dico ora: hai uno stile narrativo classico, scorrevole e lineare. Mi piace molto questa cosa, la base chiara e diretta... rende molto facile entrare a conttato con il testo. Le "d" eufoniche vengono spesso segnalate anche a me, così ho fatto varie ricerche e tranne per qualche caso d'obbligo, sono a scelta istintiva e musicale. Ergo, troverai sempre qualcuno che ti farà notare che per lui/lei esiste un caso di cacofonia.

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    1. Ciao Marianna! Sono contenta che ti piaccia il mio stile 🤗 Eh sì, ho notato che le "d" eufoniche dividono un po' gli scrittori... chi le usa di più e chi di meno! A me, in ogni caso, mi sa che non farebbe male ridurle un pochino...

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  6. Un racconto che è un pugno nello stomaco.
    Io della bomba in Piazza Fontana non posso ricordare nulla, visto che questo tragico evento è avvenuto molto prima della mia nascita, ma ogni volta che la televisione ne parla resto sempre molto colpita.
    Sei stata molto brava a descrivere eventi ed emozioni. Il pensiero di Alberto che corre subito alla guerra e un istante dopo alla moglie è davvero toccante.
    Sai donare grandi emozioni.

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    1. Ciao Simona! Io sono nata esattamente vent'anni dopo quindi per me questa è storia... ma per noi di Milano e dintorni è stato un evento sconvolgente, specie per la generazione dei miei genitori: il centro della città, se negli anni '60 era il simbolo del boom economico e dello shopping, negli anni '70 è diventato una pericolosa zona di manifestazioni e disordini. Grazie mille per le belle parole!

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  7. Ciao Silvia! Ho ancora il nodo in gola e le lacrime agli occhi. Questo tuo racconto mi ha completamente trasportata in quell'anno, ho quasi sentito la deflagrazione, ma soprattutto il terrore dei protagonisti. Era come colla sulla pelle. L'angoscia è stata palpabile e la commozione evidente, insomma, con la tua scrittura mi hai coinvolta e capovolta nella storia, lasciandomi tantissime riflessioni e pensieri. Hai affrontato il tema in maniera molto originale, puntando molto più sulle sensazioni e i sentimenti che sugli oggetti... non mi aspettavo uno spessore simile e devo dire che hai fatto centro! Bravissima davvero! Alla prossima ❤

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    1. Ciao Anne Louise! Grazie mille per questa tua recensione piena di emozioni. Sono veramente felice di aver suscitato in te questi pensieri e questi sentimenti! Grazie di cuore!!!

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  8. Ho sentito una stretta al cuore nel leggere il tuo racconto. Non sapevo di questo scempio, che tra l'altro è accaduto proprio il giorno del mio compleanno. Posso dire che sei come sempre bravissima nel ricordarci la storia e anche nel descrivere luoghi che spesso si sottovalutano. Brava davvero.

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    1. Ciao Tania! Non sapevo che il tuo compleanno fosse proprio il 12 dicembre! Come dicevo anche a Simona, noi milanesi siamo "tristemente legati" a questo evento, ed anche per questo motivo ho sentito l'esigenza di parlarne... per motivi diversi, sia il Natale 1969 che il Natale 2020 appena trascorso sono stati difficili ed insoliti per gli italiani, e credo per noi lombardi ancor di più.
      Grazie per tutti i complimenti!

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  9. Ciao! Grazie a te, sei stata davvero creativa nel proporci questo tema! In effetti io ho parlato più di un furto "metaforico" che reale. Sono davvero contenta di averti trasmesso così tante emozioni! Alla prossima 🥰

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