giovedì 28 settembre 2023

I PREFERITI DI SETTEMBRE 2023

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese



Cari lettori,

siamo agli sgoccioli di settembre!

Ogni anno questo mese mi fa un po’ “paura” perché la fine dell’estate mi ha sempre messo malinconia e poi quasi sempre questo periodo coincide con nuove avventure lavorative e relative incognite. Forse però, anno dopo anno, sto imparando a tenere botta su una serie di cose… almeno meglio di prima.


Il ritorno alla realtà dopo un lungo periodo di stacco e di relax non è sempre una passeggiata, però questo mese mi consente di vivere di nuovo bene la mia città dopo che sono stata a lungo altrove (anche a causa del caldo pazzesco che la rende poco vivibile), di godere di un clima perlopiù piacevole, di riprendere quelle attività che amo e che avevo interrotto – danza – o ridotto – blog – durante l’estate.


Ve ne parlo meglio oggi! Ecco tutto quello che mi è piaciuto, dai libri ai film, dalla musica alla poesia alle foto del periodo!



Il libro del mese


Come vi avevo anticipato in un booktag di inizio mese, il romanzo che ho scelto per il post di oggi è Cambiare l’acqua ai fiori di Valérie Perrin, un libro che in realtà ho letto in agosto, in pieno periodo di vacanza, ma che non mi andava di inserire tra i post ordinari di letture per autori o per tema… perché merita un angolo speciale.


Questo romanzo è ambientato in un piccolo paese in Borgogna e protagonista della storia è Violette Toussaint, la custode del cimitero. È una donna originale e nessuno capisce che cosa ci faccia lì, perché sembra portare la vita in quel luogo di morte: indossa abiti colorati (soprattutto rosa) sotto a cappotti neri che porta per rispetto a chi è in lutto, adotta gli animali delle persone anziane che sono morte sole, ha arredato il suo appartamento alle porte del cimitero con tutti i ninnoli di cui le fanno omaggio i visitatori, ha trasformato il cortile sul retro in un orto, la saletta d’ingresso di casa sua è un salottino per chiunque abbia bisogno di the e conforto, è in rapporti d’amicizia con tutto il personale del cimitero e si dedica al suo lavoro con un entusiasmo che desta quasi delle perplessità.


Un giorno arriva al cimitero un uomo che si presenta come un commissario di polizia e fa un’insolita richiesta. Egli ha con sé una lettera della madre recentemente scomparsa, che gli chiede di non seppellire l’urna con le sue ceneri nella tomba di famiglia, accanto al marito, bensì di porla sopra a quella di un uomo, un avvocato, di cui il poliziotto non ha mai sentito parlare prima.


Violette, che solitamente è molto brava a lasciare che le persone si confidino, dando loro conforto e rassicurazione senza far trapelare nulla di se stessa, con quest’uomo che presto diventa un amico si ritrova a parlare molto di sé.


Indagando insieme, proprio come in un’inchiesta, sulla madre del commissario e  sull’avvocato sepolto lì da anni, scoprono la storia di due persone che hanno voluto amarsi con ostinazione, anche se entrambe hanno tradito, non sono state corrette con se stesse e con il loro prossimo ed hanno nascosto ai più una parte importante di sé.


Chi cela di più di sé, tuttavia, è proprio Violette. Il suo arrivo al cimitero qualche anno prima non è stato casuale, ma è stato causato da eventi drammatici che si svelano al lettore a poco a poco: ascoltare la sua storia è come scendere in un Inferno dantesco che, passo dopo passo, si fa sempre più stretto, buio e profondo.


La motivazione che Violette adduce sempre è quella di un brutto divorzio da Philippe Toussaint, un uomo senza arte né parte che non ha mai voluto lavorare sul serio né contribuire alla vita familiare, un eterno Peter Pan che l’ha sfruttata e poi un giorno se n’è andato per sempre, con la scusa di “fare un giro in moto”.


Quello che nessuno sa, nemmeno gli amici più cari che lavorano gomito a gomito con lei ogni giorno, è che quel cimitero custodisce un altro segreto: quello di una morte ingiusta e contro natura di cui Violette non si è mai fatta una ragione. E forse è arrivato il momento di trovare la verità dopo molti anni.



Mi verrebbe da dire che Cambiare l’acqua ai fiori segue tre linee narrative ben precise: il presente di Violette, il suo passato e la storia di Irène e Gabriel (i due amanti del passato).


La terza è quella che mi ha coinvolto relativamente meno, però ho comunque apprezzato molto le pagine che vedono protagonisti i due “amanti per la vita”, perché è veramente difficile raccontare una storia di questo tipo senza espedienti narrativi che ormai sono diventati clichés tipici dei romance, o creando due personaggi lontani dagli stereotipi. L’autrice riesce benissimo in entrambe le cose, il che è notevole.


Quanto a presente e passato di Violette, all’inizio sembrano essere in netta contraddizione. Da una parte una sorta di oasi di pace in un posto dove di certo la gente non va per stare allegra: un cimitero trasformato in una sorta di giardino, la casa del custode che è diventata un salottino dove transitano i sentimenti di tutti, il sole impietoso che in estate rende roventi le tombe ma fa crescere anche pomodori e lattuga per la comunità di quel piccolo mondo. Vi assicuro che tornare al cimitero dopo aver letto questo romanzo fa uno strano effetto…

Dall’altra una storia terribile: Violette è nata già abbandonata, non è mai stata amata dal marito, ha sempre dovuto lavorare – anzi, direi quasi combattere – per avere i soldi necessari per una vita dignitosa ed è stata provata da una tragedia.


Più si procede con la lettura, però, e più ci si rende conto che queste due parti non sono in contrasto l’una con l’altra. Violette ha trovato la sua dimensione in un cimitero, insieme a persone che, dopo aver perso i loro cari, hanno capito il valore della vita di per sé e senza condizioni, perché secondo me lei l’ha sempre saputo. È un personaggio che ha dovuto imparare sulla sua pelle che cosa vuol dire vivere nel momento in cui l’essere vivi è l’unico bene: quando stava per morire da neonata ed invece un termosifone l’ha fatta vivere, quando era sola e senza mezzi a lottare per la sopravvivenza sua e di chi diceva di amarla, quando è stata sbeffeggiata e trattata come se non valesse niente. Anche al cimitero ella insegna ai suoi “pazienti” addolorati a vedere la vita in un luogo di morte.


È un romanzo che ferisce e che guarisce allo stesso tempo, che ti dà una coltellata in pancia e poi in qualche modo ti risana. Personalmente lo consiglio davvero a tutti.



Il film del mese


La quattordicesima domenica del tempo ordinario ha inizio a Bologna, proprio nel 2023. Marzio Barreca e Samuele Nascetti, amici in gioventù separati dalla vita, ormai settantenni, si incontrano, su insistenza del primo, nell’ufficio del secondo, che è direttore di banca.


Marzio è un uomo di spettacolo che non è mai riuscito a riscuotere il successo che desiderava ed è diventato famoso più per le sue ospitate sopra le righe in qualche programma e per le sue continue risse che per la sua musica. Egli vuole un finanziamento da Samuele per tentare di tornare sulla cresta dell’onda. Il vecchio amico cerca di fargli capire che sta inseguendo un sogno ormai morto, ma, quando Marzio lo insulta, lo mette alla porta dicendo che non ha idea di quello che sta passando.


Samuele, infatti, ha due figli ed uno di loro, a soli 36 anni, sta morendo per un grave tumore. Nel momento in cui il ragazzo si spegne, egli, sopraffatto dal dolore, si toglie la vita.


Al funerale di Samuele e di suo figlio Marzio reincontra Sandra, la donna che era stata sua moglie e che egli ritiene responsabile della rottura definitiva con Samuele. Anche lei versa in cattive acque ed ha la casa pignorata, così i due decidono di farsi compagnia per qualche giorno nella casa di Marzio. L’incontro è occasione per rievocare il passato dei tre protagonisti.


La “cornice” contemporanea è solo all’inizio ed alla fine del film. Il cuore della pellicola è la gioventù di Marzio e Samuele, due amici inseparabili che avevano formato un duo, i Leggenda, e sognavano di andare a Sanremo. Marzio, in quegli anni, aveva sposato Sandra, ma il matrimonio non funzionava a causa della gelosia ossessiva e limitante di lui. I sogni di gloria s’erano spenti presto, ed il tradimento di Sandra con Samuele aveva dato il colpo definitivo ad un mondo che forse esisteva solo nella mente di Marzio.



Devo dire che la storia de La quattordicesima domenica del tempo ordinario mi ha piuttosto sorpreso. Leggendo la trama online e le recensioni, sembrava che fosse una storia simile alle tante sul genere “due ragazzi ed una ragazza”. Ma guardando il film si comprende che non è la storia di una donna contesa (anche perché, ancora, nel 2023?).


Questa è la storia di un uomo che ha tentato in tutti i modi di far aderire il mondo reale e le persone che aveva intorno ad un suo sogno, fallendo miseramente perché non ha mai trovato il coraggio di aprire gli occhi e vedere le cose com’erano.


Marzio a modo suo tiene alle persone, specie a Samuele e Sandra che sono la sua vita, ma il suo è l’affetto/l’amore di una persona tossica che ha bisogno di aiuto.

Con Samuele c’è il sogno in comune di una vita per la musica: un sogno che per Samuele è un tentativo serio, ma che non può prescindere dal “sistemarsi” con un lavoro sicuro nel caso non riesca, e che per Marzio è invece l’unica ragione di vita, al punto che egli non sostiene affatto il suo amico – anzi, diciamo pure che lo prende proprio in giro - nel momento in cui egli inizia a fare carriera in banca.

Con Sandra c’è il grande amore nel quale però ella smette presto di credere, perché Marzio litiga con qualunque uomo osi guardarla, fa scenate imbarazzanti ovunque, addirittura le mette i bastoni tra le ruote al lavoro perché la licenzino e sotto sotto è contento che le abbiano trovato un tumore perché, da malata, avrà bisogno di lui.


È per questo, secondo me, che non si può parlare di tradimento e di contesa: Samuele e Sandra si avvicinano tra loro perché entrambi hanno appena buttato fuori dalla loro vita Marzio, e sanno di aver fatto bene perché è un uomo che calpesta gli altri e li usa a suo piacimento, ma provano una nostalgia insopprimibile. E poi “stanno insieme” (dal film sembra semplicemente che mettano in giro la voce) perché è l’unica cosa che ferirebbe davvero Marzio, l’unica cosa che lo farebbe uscire dalle loro vite.


I film di Pupi Avati mettono sempre in scena un’umanità imperfetta, fragile, peculiare. Credo di averne visti un po’ anche per questo: non ci sono mai storie stereotipate, si va sempre nel profondo dell’animo umano. In questo caso egli ha portato sullo schermo un protagonista che è rimasto al “baretto magico” dove andava dopo la scuola a mangiare il gelato, che quando dorme parla con il fantasma del padre che non ha mai conosciuto, che si ostina a vedere il mondo come dovrebbe essere per lui ed alla fine fa male a se stesso ed agli altri. È un personaggio con cui è veramente difficile empatizzare, almeno per me, però lo sguardo del regista non è giudicante, anzi, il finale forse suggerisce che, quando tutto va male, forse l’unica cosa che resta sono i sogni.



La musica del mese


Fra i dischi di Taylor Swift che non ho ancora menzionato in questo percorso dedicato a lei c’è Midnights, l’album uscito lo scorso autunno. Ne avevo parlato più nel dettaglio in questo post dell’anno scorso.


Il brano che preferisco di quest’album è You’re on your own, kid (che trovate qui), una canzone che incarna molti dei pensieri di paura del futuro, cambiamento e rinascita che accompagnano il periodo settembrino.


Questo brano è la storia di una protagonista femminile che spesso si è sentita diversa e non accettata, provando un senso di solitudine. Crescendo in un paese di provincia con le sue regole ed i suoi sistemi sociali, se n’è accorta subito:


L’estate se n’è andata, ma il desiderio rimane

faccio finta che vada bene con i più simpatici di loro

aspetto pazientemente, lui mi noterà

è ok, siamo gli amici migliori del mondo

insomma…

Lo sento nella tua voce, stai fumando con gli altri ragazzi

tocco il mio telefono come se fosse la tua faccia

non ho scelto questa città

sogno di andarmene

c’è solo una persona che potrebbe farmi restare

per tutti i miei giorni…


Dai gavettoni alle braci del camino” (metafora che indica il passare delle stagioni e degli anni), la protagonista fa del suo meglio per crearsi un’identità. Vorrebbe amicizia ed amore, ma quelle persone non sono giuste per lei. Finalmente trova la sua strada lavorativa e scopre la grande città, ma capisce di non essere l’unica ad aver coltivato questo desiderio e di essere per conto suo in un mondo adulto difficile ed indifferente. Ci mette tutta se stessa sia nei suoi doveri che nel privato, ma alla fine comprende che il bene più importante è essere stata fedele a se stessa.


Ho dato il mio sangue, sudore e lacrime per questo,

ho dato delle feste ed affamato il mio corpo

come se potessi essere salvata da un bacio perfetto,

gli scherzi non erano divertenti, ho preso i soldi e me ne sono andata,

i miei amici da casa non sapevano che dire,

mi sono guardata intorno in un vestito sporco di sangue

e ho visto qualcosa che loro non possono portare via,

perché ci sono state pagine svoltate ad ogni ponte che si è rotto

ogni cosa che perdi è un passo che fai,

quindi fai i braccialetti dell’amicizia, cogli l’attimo, gustatelo

non hai motivi per avere paura

sei per conto tuo, bambina, sì, puoi affrontare anche questo

te la sai cavare da sola, bambina, lo hai sempre fatto


Alla fine di ogni ritornello è come se la frase You’re on your own, kid, you always have been cambiasse lentamente significato.

Da “sei da sola, bambina, lo sei sempre stata” con accezione negativa, arrivando pian piano a “te la sai cavare da sola, perché lo hai sempre fatto”.


È buffo, un anno fa ho difeso Midnights dai suoi detrattori perché lo ritenevo un disco all’altezza dei suoi lavori precedenti e al primo impatto mi era sembrato un album con una pluralità di temi molto profondi. Dopo un anno, però, mi rendo conto che la chiave di questi temi – che pure ci sono – è una soltanto: scegliere se stessi.



La poesia del mese


Per il mese di settembre ho pensato ad una poesia di Charles Bukowski dal titolo Il cuore che ride.


La tua vita è la tua vita.

Non lasciare che le batoste la sbattano

nella cantina dell’arrendevolezza.

Stai in guardia.

Ci sono delle uscite.

Da qualche parte c’è luce.

Forse non sarà una gran luce

ma la vince sulle tenebre.

Stai in guardia.

Gli dei ti offriranno delle occasioni.

Riconoscile, afferrale.

Non puoi sconfiggere la morte ma puoi sconfiggere

la morte in vita, qualche volta.

E più impari a farlo di frequente, più luce ci sarà.

La tua vita è la tua vita.

Sappilo finché ce l’hai.

Tu sei meraviglioso, gli dei aspettano

di compiacersi in te.



Le foto del mese


Gli ultimissimi giorni d’agosto ero appena tornata a casa dalle vacanze e c’è stata una burrasca che sembrava davvero di “fine estate”. Non è stato così: la prima metà di settembre è stata ancora piuttosto calda. Ho sfruttato le ore mattutine per ricominciare a fare le mie solite passeggiate ed ho visto che i giardinetti del Comune sono pieni di bellissime aiuole con fiori di vetro multicolori.



Nel tentativo – non troppo riuscito, lo ammetto – di convincermi che l’estate è finita o quasi, ho messo qualche decoro autunnale nella mia casetta. Niente di che: qualche tovaglietta, candela, cartoline con paesaggi di stagione che ho appeso ai vari armadi… però devo dire che è stato abbastanza per cambiare l’atmosfera. In generale, questo mese mi sono dedicata molto alla mia casetta, perché ho avuto per più giorni gli operai in casa per un paio di lavori, uno che rimandavo da troppo ed uno per cui era necessario aspettare la fine dell’estate. Credo di aver scelto un buon periodo e sono soddisfatta!



Il weekend del 16-17 è stato un pienone di sagre! Venerdì sera e domenica a pranzo sono stata con la mia famiglia a Villa Fiorita per la festa di una lista civica di cui fa parte anche mia zia. Sabato mattina sono stata alla celeberrima “Festa del Gorgonzola” di Gorgonzola! Era decisamente troppo tempo che non andavo…



...il 17 mattina, invece (prima dell’abbuffata), ho girato per la prima volta le bancarelle alla festa del Santo Patrono di Carugate. Molto carino! Mi sono piaciute anche le macchine d’epoca…



Con questo tiramisù che mi è riuscito particolarmente bene volevo dirvi che… oggi, proprio oggi compio 34 anni! Ogni anno la cifra fa un po’ più paura, non ve lo nascondo. Ormai sono decisamente nel mondo degli adulti, anche se non sempre ne sono consapevole, ahah :-) I 33 anni sono stati una montagna russa con tanti alti e purtroppo anche qualche basso, moltissime novità ed un mare di momenti intensamente vissuti. Pian pianino apriamo un nuovo capitolo… e vediamo che cosa mi porterà!




Ecco il mio settembre!

Sembra ieri che ero tornata dalle vacanze… ed invece se n’è già andato un mese ben pieno! Fatemi sapere com’è stato il vostro…

Grazie per la lettura, ci rileggiamo in ottobre :-)


lunedì 25 settembre 2023

LA LISTA

 Spazio Scrittura Creativa: settembre 2023




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento con lo “Spazio Scrittura Creativa” del mese di settembre!

Dopo la pausa di agosto, iniziamo insieme una nuova annata di racconti. Spero di cuore di riuscire ad essere costante e di potervi proporre regolarmente questo appuntamento. Purtroppo sappiamo tutti che quel che si dice a settembre è una cosa e quel che si riesce a fare già a novembre inoltrato è un’altra, ma sappiate che io ci metterò del mio meglio, perché questa è una delle rubriche più impegnative per me, ma anche più soddisfacenti.


Settembre, un mese sempre diverso. L’anno scorso è stato un mese di passaggio tra la mia vecchia rubrica di scrittura creativa in collaborazione (Storytelling Chronicles) e la nascita di “Spazio Scrittura Creativa”. Due anni fa vi ho parlato di ritorno a scuola. Tre anni fa del mio desiderio di tornare a danzare dopo il primo lockdown (purtroppo non avevo previsto che mi sarei dovuta accontentare delle videolezioni per molti mesi).


In un modo o in un altro, settembre porta sia dei ritorni che dei cambiamenti. Per questo motivo oggi ho pensato di parlarvi di una protagonista che decide di fare un bilancio e di rivalutare tutte le cose della sua vita che ormai le vanno strette.

Forse è una storia più riflessiva di altre che ho scritto, ma spero che apprezzerete comunque.


Vi lascio con La lista!



La lista


Odio darti una soddisfazione

chiedendoti come stai ora

com’è il castello che hanno costruito le persone

di cui fai finta di interessarti?

Proprio quel che volevi!

Guardati, ragazzo in gamba, ce l’hai fatta


“…

15) Non dovrai cercare di ridere a sciocche battute, altrimenti si offende.

16) Il calcio sarà di nuovo fuori dalla tua vita!

17) Basta una volta per tutte con quel terribile ristorante da nouvelle cuisine.

18) Potrebbe essere la volta buona che finisci il blister delle pastiglie per la gastrite e non lo ricompri più.

19) ???”



Irene si bloccò, indecisa su cosa aggiungere a quella nota del cellulare che stava già diventando più lunga del previsto. No, per quel giorno non le veniva in mente nient’altro. Eppure sarebbe stato facile aggiungere altre voci, sia su argomenti frivoli che su altri molto seri. Si stava ancora spremendo quando un rumore improvviso dall’altra parte del corridoio fece vibrare la porta. Irene la fissò, sperando che non si aprisse da un momento all’altro. Ti prego, non un’altra collega in pausa pranzo, non oggi, non mi va.


E dire che lo aveva ripetuto per mesi in tutte le salse agli stagisti di belle speranze che era stata costretta a torchiare, a quei pochi che erano riusciti a raggiungere il tanto desiderato status di “dipendenti a tempo indeterminato” (per quanto teorico), ai candidati che aveva sottoposto a verbosi colloqui. In azienda si fa squadra, il team è tutto. Non ci si deve isolare, non si deve pensare solo al proprio compito, e soprattutto si deve approfittare dei momenti destrutturati per fare team building.


Che simpatiche sciocchezzuole, eh? Per essere educati. Se la se stessa di tre anni fa, ambiziosa e determinata, l’avesse vista dalla (sporca) finestra in quel momento, non la avrebbe riconosciuta. Con i capelli raccolti alla bell’e meglio ed il trucco colato, del tutto dimentica della sua postazione, chiusa a passare la sua pausa pranzo nella stanzetta/magazzino dove sostava brevemente solo chi era in arretrato con il lavoro, intenta a trafficare con il cellulare dopo aver piluccato di malavoglia un panino. La maggior parte dei suoi colleghi non sopportava quell’angusto stanzino ingombro di vecchi computer mai smaltiti in discarica – perché si sa che il buon impiegato aziendale rampante non si sporca le mani con questi lavori da plebei -, cartelloni utilizzati per le presentazioni nell’era pre-digitale – vedi sopra - e tanta polvere, così quasi nessuno ci metteva piede… a parte lei, ogni tanto. Negli ultimi mesi quell’ogni tanto era diventato spesso. Sapeva che lì era un luogo sicuro. Lui, con tutta la sua ingombrante presenza, i suoi discorsi a voce alta ed i look ai quali inspiegabilmente teneva, non si sarebbe mai azzardato a mettere piede in questo posto. E comunque, di lì a poco non sarebbe più stato un suo problema.


* * *


Vedo le feste ed i diamanti

qualche volta quando chiudo i miei occhi

sei mesi di tortura che mi hai venduto come

una specie di Paradiso proibito

ti ho amato veramente

dovrei ridere al pensiero della mia stupidità


Lo aveva letto sulla quarta di copertina di uno di quei romance che sua cugina Ludovica collezionava in una libreria Ikea, un tempo bianca ed ovviamente ridipinta di rosa. Su una copertina nera satinata, tra un trionfo di glitter argento, campeggiava il sottotitolo Mai innamorarsi del proprio capo. Ma i romanzi sono una cosa. La realtà, si sa, è un’altra storia.


Mattia non era esattamente il capo di tutta la baracca, semplicemente il responsabile del settore HR dell’azienda, quello in cui lavorava Irene. Era subentrato lì circa un anno fa, dopo che il suo predecessore, l’uomo che l’aveva assunta, era andato in pensione. Un anno che per Irene si era rivelato uno dei più difficili della sua carriera.


E sì che Mattia le aveva fatto una così buona impressione, all’inizio. Era piaciuto subito a tutti i colleghi, sia quelli più d’esperienza che i novellini come lei. Serio, determinato, preciso, pieno di nuove idee arrivate fresche dai corsi d’aggiornamento che non mancava mai di frequentare. Nonostante l’aria da professionista affermato, riusciva ad essere anche ironico, estroverso, socievole con tutti.


Ecco, stava di nuovo facendo l’elenco dei suoi (un po’ gonfiati) pregi. Tutto quello che aveva appena ripetuto nella sua mente era forse importante? Le mirabolanti qualità di Mattia, sia come leader in ufficio che come anima della festa, erano stati rilevanti per lei?


Con il senno di poi, erano state altre le cose importanti per lei. Una costante gastrite e una notevole insonnia, tanto per cominciare. Le mattine passate ad andare al lavoro chiedendosi se sarebbe stato il giorno delle battute ammiccanti o quello dello sguardo giudicante. Serate trascorse a guardare partite di calcio con una birra ghiacciata – difficile dire quale delle due cose le piacesse di meno – perché lui stranamente adduceva qualche scusa per non uscire, dalla stanchezza alla troppa gente in giro… un atteggiamento insolito per una persona che ama stare al centro dell’attenzione. I giorni china sul computer o chiusa nella stanza dove faceva colloqui, con il terrore di intravedere un lembo di quelle giacche colorate che Mattia si ostinava ad indossare per fare il finto giovane, non sapendo se temere di più un’osservazione lavorativa o una provocazione di altro genere. Quella serata passabile che le era parsa fantastica, in un ristorante lontanissimo e con porzioni degne di un gattino con le coliche. Le parole dolci che lui le diceva in privato per poi chiuderle il cancello in faccia, e non in senso metaforico, davanti a tutti.


Una soverchiante confusione che la dominava ogni singolo minuto, la sensazione di essere sulle nuvole ed abbandonata in un angolo buio allo stesso tempo. Il controllo sulle proprie emozioni completamente perduto perché il timone era in mano a qualcun altro.


Qualcun altro che, in definitiva, aveva qualcun’altra. La sua incantevole fidanzata, appena tornata da una trasferta aziendale in Cina durata sei mesi. Se non avesse captato una conversazione casuale al lavoro, se non si fosse fatta forza ed avesse ascoltato il resto del dialogo restando inchiodata sulla sedia davanti al computer e simulando disinteresse, Irene non l’avrebbe neppure scoperto. Era rimasta lì, a fare finta di lavorare, con un peso di ferro sul petto, spiegandosi finalmente perché in quelle ultime settimane si fossero visti sempre nel suo minuscolo appartamento invece che nell’attico superlusso di Mattia.


Manco a dirlo, informazione acquisita, egli non aveva ritenuto opportuno fornirle una spiegazione. È tornata la titolare, la sostituta deve andare, grazie mille. Ed Irene lo aveva preso in parola.


* * *


Perché ho fatto alcuni errori molto grossi

ma tu hai fatto il peggiore, dare una buona impressione

avrei dovuto sapere che era strano

tu esci solo di notte

ero solita pensare di essere intelligente

ma tu mi hai fatto sembrare così ingenua

il modo in cui mi hai venduta a pezzi

mentre affondavi i tuoi denti dentro di me

succhiasangue, arrampicatore sociale,

mi hai prosciugata come un dannato vampiro


Si era perfino dimenticata di essere in quella graduatoria. Apparteneva ad un passato lontano, ad un’altra Irene: la neolaureata in Filosofia che non si sentiva ancora sicura di attaccare la grande città e le sue aziende e così aveva deciso di seguire il consiglio universale di tutti i parenti d’Italia, ovvero tentare i concorsi pubblici. Pensava che quell’unico elenco in cui era riuscita ad inserirsi avesse una data di scadenza ormai superata, e così non era. Invece poco dopo Ferragosto, quando lei era ancora in spiaggia a riprendersi dalle fatiche di un anno durissimo, era arrivata quella convocazione.


Da ottobre sarebbe tornata al suo primo amore, la cultura. Non sapeva perché avesse accettato subito, ma sospettava che c’entrasse molto quel che le era successo negli ultimi tempi.


Il magazzino inutilizzato era diventato la sua piccola ancora, il suo spazio sicuro per riflettere. Il ritorno dalle ferie non era stato semplice. C’era da concordare con i capi un passaggio di consegne, c’erano conversazioni da sostenere con tutti i colleghi, c’era la burocrazia da preparare per il cambio di lavoro. C’erano, ovviamente, le sciocche frecciatine di Mattia sul sentirsi abbandonato e sulla discutibile scelta di Irene di lasciare l’azienda per un posticino statale anni ‘60. Il tutto ovviamente in pubblico e con grande imbarazzo, perché in privato non aveva più il tempo (o il coraggio?) di affrontarla.


Era per questo motivo che Irene aveva iniziato a scrivere quella nota sul cellulare, che aveva intitolato La lista del vampiro. Voleva mettere nero su bianco tutti i vantaggi del non avere più a che fare con Mattia, perché sapeva che qualche nostalgico giorno d’autunno, china sugli atti amministrativi, avrebbe iniziato ad idealizzare sia lui che la loro cosiddetta relazione. Per il momento aveva scritto solo cose leggere ed ironiche, ma sapeva che le più pesanti premevano dentro la testa per essere affidate alla carta e lasciate andare.


Aveva ancora bisogno di tempo. Stava andando incontro ad una nuova fase della sua vita ed aveva la sensazione che il suo caro Francis Bacon le avrebbe detto: “Bene, con la pars destruens stai andando alla grande, ma ora ti ci vuole un po’ più di pars construens.”


* * *


Oh, che ipnotizzante, paralizzante, sbagliato

piccolo brivido

non capisco come tu faccia

e Dio sa che non lo capirò mai


Anche quella sera aveva fatto tardi, e la mattina dopo avrebbe dovuto iniziare le selezioni per un nuovo stagista, gli ultimi colloqui che le erano stati affidati.


Il resto dell’ufficio non assomigliava al suo caro magazzino: era uno spazio quasi asettico, pieno di bianco, acciaio ed apparecchiature tecnologiche. Irene se n’era sempre sentita un po’ intimidita. Il tragitto obbligato verso l’ascensore prevedeva il passaggio davanti all’ufficio di Mattia, ma Irene sperava che se ne fosse già andato. Speranza vana.

Già avvicinandosi si sentivano sia le voci di Mattia che di uno dei dirigenti. La porta era semichiusa e, quando Irene si voltò per un saluto formale, vide solo Mattia seduto alla scrivania: l’altra persona era al di fuori del suo campo visivo.

Mattia la guardò senza salutarla, poi si voltò. Uno sguardo di vergogna e soddisfazione allo stesso tempo, lo sguardo di una persona che sa benissimo di avere torto marcio ma si prende la ragione perché l’altro non è stato niente per lui se non una bella statuina da usare e buttare. Era troppo, era peggio di mille frecciatine, dei tentativi di confronto che si erano rivelati inutili, era persino peggio di una sfuriata.

Irene schizzò nell’ascensore e corse fuori dalla porta principale.


Passo dopo passo, la sua camminata diventava sempre più una corsa disperata. Voleva raggiungere il parcheggio (“Dannazione, perché quello dell’azienda era pieno? Proprio oggi dovevo lasciare la macchina così lontano?”), voleva andare a casa, voleva la fine di quella dannata settimana.


Il cielo diventava sempre più buio, preannunciando uno degli ultimi temporali estivi. Un po’ per la fretta, un po’ per la preoccupazione, Irene guardò in alto, del tutto dimentica delle macchine in manovra nel parcheggio aziendale che stava attraversando. E fu così che pochi secondi dopo si ritrovò a terra, con il fianco sinistro dolorante.



Allora, che ti è successo?”

Ludovica era venuta a prendere Irene fuori dal pronto soccorso dove era stata trasportata di corsa dopo l’incidente. L’autista era un collega di un altro settore che doveva essere più stravolto di lei, dal momento che uscendo in retro non l’aveva proprio vista. Si erano entrambi spaventati, perché con i traumi causati dall’impatto con un’auto c’è poco da scherzare, ma fortunatamente non c’era molto a parte tanta paura e dei lividi.

Ho preso una brutta botta, Ludo. Ma niente di che. Un paio di giorni a riposo intanto che si riassorbono i lividi.”

Irene, ma hai il fianco sinistro a strisce bianche e viola!”

Fa più male quello che è successo prima. Credimi. Avrei potuto evitare questa stupidata, se solo...”

Se solo?”

Non avessi pensato ad altro mentre attraversavo il parcheggio.”

Altro, eh?”

Il solito.”

Ludovica fece un grande sospiro, continuando a fissare la strada ed immettendo l’auto nel quartiere dove abitava Irene.

Lo vuoi il consiglio non richiesto della scrittrice di romance?”

Perché no? Tanto, a questo punto...”

...a questo punto ci vuole il consiglio dell’esperta? No, non volevi dire questo? Va beh. Secondo me hai sempre dato troppa importanza a Mattia. A sentirti parlare sembrava che tu non volessi lui, bensì diventare come lui… e la cosa ti andava pure stretta.”

Volevo solo… reimparare con lui la parte bella del mio lavoro. Lo stimavo. Ma quando mi sono resa conto che era un bluff in vari sensi, ho iniziato a farmi tante domande.”

Domande che ti hanno portato alla decisione di quest’estate?”

Non so… sai che ti dico? Forse sì. Forse, davvero, sì. Quando ho accettato la convocazione dal Comune, è stata una decisione di pancia. Mi sono detta che era per chiudere per sempre questa brutta parentesi con Mattia. Ma credo che non sia solo quello. Ti ricordi che cosa dicevo sempre quando mi ero appena laureata?”

Che la Filosofia non era pura teoria? Che poteva essere utile per gli altri? Qualche cosa del genere...”

Esatto! Mi sono buttata nelle risorse umane perché pensavo che avrei aiutato le persone. Che gestire il personale mi avrebbe aiutato a cambiare il sistema dall’interno, che le persone si sarebbero rivolte a me per i loro problemi, che in azienda si sarebbe diffuso un po’ di benessere anche grazie a me. E poi non so come mi sono ritrovata a dover mettere a disagio qualche fanciullo imberbe su ordine dei miei capi, a rimandare indietro i dipendenti che reclamavano diritti con qualche scusa di facciata, a guardare in volto la gente ed a mentire consapevolmente. Non mi piace come sono diventata. È un mondo per quelli come Mattia, non per me.”

E allora sai che ti dico? Che hai preso la decisione giusta. Organizzare eventi culturali gratuiti o a ticket ridotto con il budget pubblico mi sembra davvero utile. C’è bisogno di cultura. E di lettura. Vero che inviterai anche qualcuno dei miei autori preferiti? Vero?”


* * *


Tu hai detto che era vero amore, ma non sarebbe stato difficile?

Tu non puoi amare nessuno

perché vorrebbe dire che hai un cuore

ho provato ad aiutarti, ora so che non posso

perché il tuo modo di pensare è un genere di cosa che non capirò mai


La sedia delle torture era già occupata da una ragazza magra ed elegante che si torceva le mani sotto il tavolo. Il curriculum sul tavolo e la camicetta ben stirata davano un’impressione di sicurezza, ma le spalle incassate e le pupille troppo mobili facevano intuire che cosa quella poveretta pensasse davvero dell’essere qui.

Dunque, candidata Rinaldi, giusto?” disse Irene guardandola dritta negli occhi.

La candidata Rinaldi la fissò con uno stupore del tutto nuovo. Irene poteva capirlo. Dopo almeno una decina di colloqui passati a sentirsi chiamare Chiara, a sentirsi dare arbitrariamente del tu e ad essere trattata con paternalismo, il tono professionale ed il cognome dovevano essere delle gran sorprese.

Lei ha presentato domanda di stage qui presso la nostra azienda. Posso sapere come mai?”

Ho bisogno di lavorare, se resto a casa tutti mi vedranno come una fallita, non so che diavolo fare della mia vita, mi piaceva tanto studiare ed ora boh, dentro di me preferirei stare ancora un po’ a riflettere sul post laurea e su cosa mi piace fare ma tutti i miei amici stanno attaccando alla grande col mondo del lavoro, non posso deludere i miei genitori che mi hanno pagato gli studi, sarebbe anche ora di portare qualche soldo a casa, mi hanno già detto un sacco di cattiverie sulla mia laurea umanistica, mi hanno consigliato di buttarmi sul settore HR perché in altri contesti c’è tanta precarietà e “non te la cavi più”.

Irene vide distintamente passare in un secondo tutti i pensieri nella testa della ragazza, quegli stessi che lei aveva avuto 10 anni fa. Alla fine, la candidata Rinaldi fece un bel respiro e rispose: “Sono molto interessata al mondo delle risorse umane e penso che potrebbe essere un’opportunità di crescita professionale e di formazione.”

Irene sorrise lentamente alla giovane.

Mi rendo conto che questa frase abbia fatto una buona impressione su qualche mio collega selezionatore altrove. Ma facciamo così: lei mi racconti semplicemente perché questa scelta è il meno peggio per lei in questa fase della sua vita. E se il colloquio andrà a buon fine, si ricordi che è comunque libera di prendere le sue decisioni da persona adulta.”

La candidata Rinaldi sorrise a sua volta.




27) Riuscirò finalmente a lasciare andare l’illusione di una vita che non mi appartiene più.


Irene salvò la nota sul cellulare, convinta di essere ormai arrivata all’ultimo punto. Aveva riflettuto molto su quello che lei e Ludovica si erano dette qualche giorno prima. Era arrivata alla conclusione che, vedendo frustrato il suo desiderio di aiutare gli altri, aveva finito per non voler bene più neppure a se stessa. La Lista del Vampiro l’aveva aiutata ad archiviare una storia sbagliata, la lista della graduatoria l’aveva riportata ad una carriera lavorativa che le avrebbe permesso di fare qualcosa di socialmente utile… e per completare la triade era necessaria una terza lista. Una lista di obiettivi da conseguire, di esperienze da fare, di momenti belli da collezionare… esclusivamente per se stessa. Tutto ciò che aveva messo da parte ogni volta che il lavoro la chiamava. Il suo piano per un anno intero di piccole felicità. Dopo un’intera serata, questo era quello che le era venuto in mente:


1) Rinnovare la cucina.


2) Fare una gita autunnale.


3) Preparare dolcetti per Halloween ed invitare le amiche.


4) Andare ai mercatini di Natale.


5) Vedere il mare d’inverno.


6) Riprendere con il nuoto! Senza scuse!


7) Imparare un po’ di giardinaggio.


8) Vedere montagna e lago in primavera.


9) Dedicare più tempo alla famiglia ed agli amici.


10) Fermarsi – davvero – ogni volta che sono troppo stanca.



Era sicura che settembre sarebbe stato un mese fantastico per ripartire.



FINE




Eccoci arrivati alla fine!

Io ho scritto fin troppo, quindi lascio la parola a voi.

I versi che accompagnano il racconto sono di Vampire di Olivia Rodrigo, che trovate qui.

Mi piacerebbe tornare a parlare di questa protagonista, ma non ho ancora le idee chiare. Intanto fatemi sapere che ne pensate voi!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)