giovedì 31 marzo 2022

I PREFERITI DI MARZO 2022

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

eccoci arrivati all’ultimo giorno di marzo!

Questo mese ci ha portato la primavera, giornate più lunghe e, incrociando le dita, qualche restrizione in meno. Purtroppo continua ad essere un periodo difficile per svariati motivi e non sempre l’umore è alto. Anche oggi cerchiamo di restare almeno un po’ positivi e di consolarci con tutto quello che ci è piaciuto nelle ultime settimane, dai libri ai film, dalla musica alla poesia! Questi sono i miei “Preferiti del mese”, e i vostri?



Il libro del mese


Ti regalo le stelle di JoJo Moyes è ambientato in Kentucky nel 1937. La protagonista, Alice Wright, è una ragazza arrivata da poco dall’Inghilterra dopo aver sposato Bennett Van Cleeve, un giovane uomo che, durante il corteggiamento, le era sembrato bello, simpatico, romantico, galante. Non appena la giovane coppia è arrivata nel Kentucky, però, la musica è cambiata: il padre di Bennett, proprietario delle miniere di carbone che danno lavoro a metà paese, è un uomo dispotico e molto severo; Bennett non mostra un briciolo di passione nei suoi confronti, anzi, a volte si disinteressa totalmente a lei; Alice è costretta a passare le sue giornate in un’enorme casa che sembra più che altro un mausoleo della defunta signora Van Cleeve, con l’unica compagnia di un’anziana domestica che sembra detestarla.


Per questo motivo, quando, nel corso di un consiglio comunale, una nota benefattrice propone l’idea di una biblioteca itinerante gestita da sole donne, Alice, suscitando lo sdegno di marito e suocero, si offre volontaria. Chi invece la accoglie molto bene è Margery O’ Hare, la donna a cui è stato affidato il progetto, una persona che in paese è spesso osservata con occhio critico. Figlia di un uomo alcoolizzato e violento che i suoi concittadini ricordano ancora, ella ha sempre vissuto da sola e lavorato per mantenersi. È segretamente fidanzata da tempo con Sven, il responsabile della sicurezza delle miniere di carbone, ma, sebbene in cuor suo sappia di aver trovato un uomo buono e sensibile che non ha nulla a vedere con suo padre, ella continua ad avere paura di farsi una famiglia e rifiuta le ripetute proposte di matrimonio di lui.


Margery ed Alice diventano amiche quasi subito e mettono su una squadra di bibliotecarie itineranti davvero composita. C’è Izzie, la figlia della loro benefattrice, una giovanissima poliomielitica che sogna di fare la cantante; Beth, una ragazza che vive in una fattoria con tanti fratelli e moltissimo lavoro a cui badare; Kathleen, una madre di famiglia che si unisce a loro per alcuni periodi; Sophia, una donna di colore che purtroppo non può viaggiare a cavallo da sola per via del razzismo di cui è permeato il paese e fa da “custode” della biblioteca, riparando i libri rotti.


Il compito delle bibliotecarie itineranti è tutt’altro che leggero: si tratta di attraversare a cavallo un territorio montuoso, impervio ed ancora in parte inesplorato, partendo molto presto al mattino e tornando per ora di cena, con una bisaccia piena di libri da consegnare all’andata e da restituire alla biblioteca al ritorno.


L’iniziativa, che i più retrogradi del paese avevano bollato come inutile, si rivela ben presto un successone. Per Alice, avere un lavoro ed aver trovato delle vere amiche si rivela una svolta: ella comprende che il suo matrimonio non ha davvero senso di esistere, va a vivere da Margery (che convive con Sven, scelta molto scandalosa per i tempi) ed inizia un’amicizia con Fred, il fattore che affitta loro l’edificio per la biblioteca. Sarà allora che il suo quasi ex suocero mostrerà la sua natura crudele e giurerà vendetta per l’affronto subito.



Tratto da una storia vera, Ti regalo le stelle è un romanzo di lotta femminista, che affronta la questione della parità di genere da diversi punti di vista: le protagoniste, infatti, si battono per poter lavorare e guadagnare, acculturarsi ed insegnare questa cultura ad altri, sposare chi davvero amano (o non sposarsi affatto) e soprattutto per essere libere ogni giorno. Sebbene sia una storia ambientata nel 1937, oserei dire che JoJo Moyes si è ispirata alla corrente contemporanea del femminismo intersezionale, perché, oltre che di parità di genere, si parla molto anche di razzismo, abilismo, sfruttamento dei lavoratori, classismo e tendenza alla prevaricazione di chi è povero, ignorante e non sa difendersi.


Il genere principale a cui appartiene questo romanzo è lo storico, anche se non manca il romance e ad un certo punto c’è anche un’inaspettata svolta gialla. Lo stile è scorrevole e, nonostante il libro sia corposo, la lettura procede abbastanza rapidamente. Momenti romantici e colpi di scena ad alta tensione si alternano alle descrizioni dei luoghi, tra montagne incontaminate e campagne verdeggianti. Il Kentucky è uno stato americano sicuramente pittoresco ed affascinante, ma, come dice l’autrice stessa, temo che un secolo fa fosse ancora decisamente arretrato.


L’idea chiave del romanzo – la passione per la lettura che unisce persone diverse, istruisce e dà la forza per combattere le ingiustizie – non può non avere conquistato un’amante dei libri come me. Ti regalo le stelle è un romanzo che consiglierei proprio a tutti!



Il film del mese


La giovane pianista Alma, che vive a New York e studia in un’importante Accademia musicale, viene richiamata bruscamente a casa poche settimane prima di un’audizione per la quale si preparava da tempo.


Dopo un lungo viaggio, ella torna nei boschi canadesi dove ha trascorso infanzia ed adolescenza. Purtroppo è venuto a mancare il suo amatissimo nonno, l’uomo che l’ha cresciuta dopo la scomparsa dei genitori, un naturalista che viveva in una grande casa su un’isola privata, nel cuore di un enorme lago. Alma, sulle prime, sembra intenzionata a restare a casa del nonno solo il tempo necessario di prepararsi al suo esame, ma alcuni eventi imprevisti sconvolgono la sua vita.


Il primo è l’atterraggio d’emergenza sull’isola di un piccolo aereo che trasportava un cucciolo di leone destinato al circo. Il secondo è la fuga di una mamma lupo con il suo piccolo, spaventata da alcuni scienziati dalle buone intenzioni, ma troppo “cittadini” e chiassosi.


I tre animali finiscono per trovare rifugio proprio a casa di Alma, che è al tempo stesso terrorizzata ed affascinata dai suoi nuovi coinquilini. Finché mamma lupo torna ogni sera ad allattare i due cuccioli, Alma è tranquilla, ma quando essa viene catturata dagli scienziati, che la portano con loro in un’oasi per la preservazione del lupo artico, iniziano i guai veri. Tra un biberon di latte per neonati e una cuccia vicino al letto, ad Alma sembra di dover improvvisare, ma ben presto ella capisce di star inseguendo il sogno di suo nonno, che era anche il suo da bambina.


Alma decide così di mettere in pausa la sua carriera da pianista, che le dava soddisfazioni ma la spingeva sempre a giudicarsi con perfezionismo, e di adottare Mozart e Dreamer, come ha chiamato rispettivamente il lupo ed il leone. Con l’aiuto del suo padrino di battesimo, l’unica figura paterna che le è rimasta, e di alcuni amici inaspettati, cercherà di dare vita al sogno di un’oasi naturalistica. Il suo percorso sarà però irto di ostacoli.



Il lupo e il leone è una splendida commedia per famiglie e per amanti di animali. Il regista è lo stesso di Mia e il leone bianco (di cui vi avevo parlato in questo post) ed ammetto che questo è uno dei motivi che mi ha spinto ad andare al cinema. Come tutte le storie d’interazione tra l’uomo e gli animali, non mancano i momenti di commozione e quelli che fanno trattenere il fiato, ma si tratta nel complesso di una pellicola leggera, sognante, a tratti divertente.


Alma viene considerata da tutti una svitata perché alla maggior parte delle persone sembra impossibile pensare che un essere umano (soprattutto una ragazza sola) possa fare da “mamma” a due belve selvatiche, enormi e carnivore, ma lei mostra grande tenacia nell’allevare Mozart e Dreamer, ed ha anche il coraggio di cambiare vita quando riceve un’offerta di lavoro perfetta sulla carta, ma non realmente adatta a lei. Dovrà affrontare l’avidità di chi vuole sfruttare gli animali e l’indifferenza delle istituzioni, ma non si perderà d’animo.


I paesaggi sono spettacolari: sono sicura che la natura selvaggia del Canada, tra boschi, laghi che ghiacciano in inverno ed isole incontaminate, vi conquisterà anche dallo schermo!



La musica del mese


Marzo non può che avere, come parola chiave, i fiori!


Per quanto riguarda la musica classica, a parte il Valzer dei fiori tratto da Lo Schiaccianoci che vi ho consigliato più e più volte (e che trovate qui), per il post odierno vi propongo Flowers del noto pianista contemporaneo Giovanni Allevi, che trovate a questo link.



Quanto alla musica leggera, il mese di marzo chiama un grande classico: Fiori rosa, fiori di pesco di Lucio Battisti! La trovate qui.


Fiori rosa, fiori di pesco, c’eri tu

Fiori nuovi, stasera esco, ho un anno di più

Stessa strada, stessa porta


Scusa se son venuto qui questa sera

Da solo non riuscivo a dormire perché

Di notte ho ancor bisogno di te

Fammi entrare per favore,

Solo, credevo di volare e non volo,

Credevo che l’azzurro dei tuoi occhi per me

Fosse sempre cielo, non è

Fosse sempre cielo, non è


Posso stringerti le mani?

Come sono fredde, tu tremi

No, non sto sbagliando, mi ami

Dimmi che è vero...



La poesia del mese


Per il mese di marzo ho pensato al componimento della scrittrice danese Tove Ditlevsen, dal titolo Ci sono due uomini nel mondo. Una poesia in bilico tra la nostalgia per ciò che è passato ed il desiderio di cambiamento tipico della primavera!


Ci sono due uomini nel mondo, che

costantemente m’incrociano la strada,

l’uno è colui che amo,

l’altro colui che mi ama.

L’uno è un sogno notturno

e abita nella mia mente buia,

l’altro sta alla porta del mio cuore

ed io mai gli apro.

L’uno mi ha dato un primaverile soffio

di felicità che subito dispariva,

l’altro mi ha dato tutta la sua vita

e non è stato mai ripagato di un’ora.

L’uno freme del canto del sangue

dove l’amore è puro e libero,

l’altro ha a che fare con il triste giorno

in cui affogano i sogni.

Ogni donna si trova tra questi due,

innamorata e amata e pura…

una volta ogni cent’anni può succedere

che essi si fondano in uno.



Le foto del mese


Il primo weekend del mese è stato quello del Carnevale ambrosiano e, siccome avevo il venerdì libero, giovedì pomeriggio sono salita sul treno ed ho raggiunto i miei che già erano nella casetta di Varazze da qualche giorno. È stato solo un assaggio di sole, mare, buon cibo ed aria di primavera, ma mi ha rimesso al mondo!




Non è la Festa del Papà senza la tradizionale zeppola! Dopo due anni in cui non siamo riusciti a festeggiare molto, sabato 19 siamo riusciti a fare un bel pranzetto di famiglia: antipasto con salame, caprino ed altri stuzzichini; ravioli di brasato con ragù di cinghiale; dolcetto d’obbligo per finire! Anche i regali sono stati apprezzati da papà :-)




Domenica 20 è venuta a trovarmi la mia amica Mara ed insieme abbiamo rispolverato una tradizione cernuschese che era stata sospesa negli ultimi due anni: la festa san Giuseppe! Abbiamo passeggiato tra le bancarelle, fatto qualche acquisto dagli hobbisti locali e mangiato il primo gelato della stagione. Il giardino del Comune era pieno di fiori meravigliosi!



Ogni anno a marzo fioriscono le camelie nel giardino dei miei: un mix artistico di rosa, fuxia e bianco!




Questo è il mio marzo in breve… fatemi sapere com’è stato il vostro!

Vi mando un grande abbraccio e vi auguro, ancora una volta, una primavera di speranza e di rinascita.

Grazie per la lettura, ci rileggiamo in aprile :-)


lunedì 28 marzo 2022

DI SOLE E D'AZZURRO

 Storytelling Chronicles: marzo 2022




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di marzo con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!

Questo mese è un po’ particolare per me e le mie compagne di squadra. La nostra amministratrice ci ha proposto un mese di pausa/riflessione a causa dei terribili eventi che ci hanno sconvolto nelle ultime settimane. La pausa non era obbligatoria: nel caso qualcuno di noi avesse voluto scrivere, avrebbe dovuto in qualche modo dedicare il suo scritto ai fatti che stanno accadendo in Ucraina, o proponendo tematiche affini, o ispirandosi ai colori della sua bandiera (giallo e azzurro).


Non avendo le competenze e non sentendomi portata per parlare di un argomento così impegnativo come la guerra ucraina, ho scelto l’opzione dei colori della bandiera, e vi propongo un racconto dal titolo Di sole e d’azzurro.


Mi sono fatta ispirare dall’omonima canzone di Giorgia (che trovate a questo link), dal momento che in questo periodo la sto ascoltando spessissimo. A scuola di danza stiamo (finalmente!) ricominciando a preparare coreografie per giugno, e c’entra anche questo brano, ma non dico gatto finché non ce l’ho nel sacco!


Nel frattempo vi lascio al racconto e spero che vi piacerà!



Di sole e d’azzurro



Voglio parlare al tuo cuore

leggera come la neve

anche i silenzi, lo sai, hanno parole


Alzarsi. Una parola semplice, un gesto di routine. Qualcosa che tutti facciamo ogni giorno. Negli ultimi tempi, per Edoardo, era diventata la prima di una lunga serie di fatiche.


Il piumone blu che utilizzava sempre nei mesi invernali era il suo conforto e la sua prigione allo stesso tempo. Nei pochi, confusi minuti che precedevano la sveglia restava lì, coricato su un fianco, ad intravedere la prima luce dell’incipiente primavera, sperando che almeno il tenue biancore si sarebbe convertito nel giallo della luce del sole di lì ad un’ora. Con la pioggia, o, peggio ancora, con il grigiore era tutto ancora più difficile.


Non sapeva che cosa lo muovesse, eppure alle prime note di quella insopportabile marcetta mattutina era già giù dal letto. Per fare cosa, non ne era sicuro.



Eppure tutto era sempre andato come avrebbe dovuto. Mentre tanti suoi coetanei si erano iscritti ad Economia solo perché, a detta dei loro genitori, era una delle poche facoltà che ancora consentiva tanti sicuri sbocchi lavorativi, lui aveva fatto la sua scelta spinto da un sincero interesse per quelle materie. Così, intanto che i suoi compagni si perdevano tra esami da ripetere e sessioni saltate, lui, al netto di qualche piccolo incidente di percorso, era andato avanti nel suo percorso universitario con tranquillità.


Poi, dopo la laurea, mille ostacoli inaspettati avevano sorpreso sia i suoi ex compagni, erroneamente convinti che il peggio fosse alle spalle, sia i loro genitori, che forse avevano un ricordo della Facoltà di Economia che apparteneva più agli anni ‘80 che al 2010. Lavori “sicuri” in studi commerciali che in realtà avevano l’unica sicurezza di farti fare praticantato gratuito, enti importanti che sfruttavano i migliori laureati come tappabuchi per le malattie e le ferie estive, aziende che storcevano il naso di fronte ad una richiesta di orari chiari o, non sia mai, di un’idea di stipendio.

Anche lui, nei primi tempi, si era ritrovato invischiato in questa giungla, ma da ormai sei anni era felicemente impiegato come responsabile della contabilità per un’azienda non particolarmente grande ma abbastanza fruttuosa, ed aveva sempre lavorato con interesse e profitto. “Non c’è niente che non vada”, si ripeté mentre accendeva il fuoco sotto la moka.


Qualcosa c’era, invece. Qualche cosa a cui non aveva il coraggio di dare un nome e che lo aveva tormentato negli ultimi mesi. Si sentiva come il condannato all’Inferno di uno dei tanti gironi danteschi, costretto a trasportare sulla schiena una pietra che si faceva di giorno in giorno più pesante.


Aveva iniziato a lavorare quando la crisi finanziaria del 2008 aveva già abbondantemente colpito, ma negli ultimi tempi, tra emergenze sanitarie, politiche, internazionali, la situazione era drammaticamente peggiorata. Ogni giorno alla scrivania finiva per trasformarsi in una sorta di corsa cieca, alla fine della quale lo aspettava solo il minimo degli obiettivi che si era prefissato. Uno dei punti di forza del suo posto di lavoro era il buon rapporto con la maggior parte dei colleghi, ma lo sconfortava spegnere il computer alle sei e leggere nei loro occhi il senso di frustrazione che sapeva appartenere anche a lui.


Inoltre, gli sembrava di non uscire mai dall’ufficio. Emergenze improrogabili si susseguivano anche fuori dall’orario di servizio, tra mail e gruppi WhatsApp era una sinfonia di squilli fino a tarda serata ed a volte temeva il momento in cui, alla mattina, proprio mentre preparava il suo amato caffè, riaccendeva il Wi-fi sul telefono. Quel gesto era una sua vecchia consuetudine, per stare tranquillo nel caso ci fossero comunicazioni urgenti da parte dei suoi o della sua amica del cuore Sofia. Negli ultimi tempi, però, la quasi totalità delle volte il dispositivo iniziava a vibrare forsennatamente, a causa dell’arrivo in contemporanea di circa una trentina di messaggi su un gruppo WhatsApp del lavoro, sul quale qualcuno aveva iniziato a scrivere alle sei del mattino.


Avrebbe potuto dare la colpa di questa situazione a qualunque fattore esterno: il periodo difficile per tutti, il senso di isolamento degli ultimi due anni che tanti avevano esorcizzato legandosi di più al lavoro, il delicato periodo tra inverno e primavera che portava con sé sempre tanta stanchezza. Ma sapeva che non prendere in considerazione se stesso e ciò che girava nella sua mente in quel periodo sarebbe stata una fuga vigliacca.


* * *


Dopo la pioggia ed il gelo

Oltre le stelle ed il cielo

Vedo fiorire il buono di noi

Il sole e l’azzurro sopra i nevai


Sei davvero di compagnia, stasera. Tra un po’ mi metto a parlare con il cestino del pane. È più loquace” osservò Sofia, finendo le ultime tracce di birra.

Scusami. Sto guardando nel vuoto, lo so.” rispose Edoardo, masticando controvoglia una fetta della sua pizza.

Sofia capì che non era proprio il momento di scherzare, poggiò il bicchiere ed abbandonò l’idea di chiedere un altro giro.

Edo, non capisco. Sei solo da un anno dopo che Laura se n’è andata, ma mi sei sempre sembrato sereno. Pentimento tardivo? Hai ricominciato a sentirti solo?”

Edoardo scosse la testa. “No, non penso molto a questo, non ho nessuno per la testa, lo sai.”

E allora che succede? I tuoi stanno bene. Io e te non abbiamo litigato, mi pare. Ancora qualcosa sul lavoro?”

Qualcosa?” sbuffò pesantemente Edoardo. All’improvviso si sentì gonfio di rabbia trattenuta. “Di’ pure tutto”

A costo di ripetermi, Edo, ma non capisco. Ti sei sempre trovato bene. E poi tu non ti occupi di numeri e bollette perché devi, come tanti altri. A te piace quello che fai, ti è sempre piaciuto. E guarda che trentacinque anni sono pochini per sognare la pensione” concluse, sperando di strappargli un sorriso.

Non me lo dire” ribatté cupamente Edoardo. “Non saprei nemmeno da dove iniziare a spiegarti.”

Perché non provi a raccontarmi come ti senti, innanzitutto?” replicò Sofia, incoraggiante.

Okay, proviamo. Posso dire che mi sento come… diviso, ecco. Una parte di me è ancora legata a questo lavoro. Voglio proseguire, fare questo tipo di carriera. Come hai detto tu, non mi è capitato, l’ho scelto. Ma mi sento svogliato, per non dire svuotato. Quasi ogni giorno mi viene da chiedermi se davvero starei peggio da disoccupato, aiutando mia madre con le borse del mercato, finendo quei libri che ho sul comodino da una vita, iscrivendomi finalmente a quei corsi di aggiornamento che ho sempre rimandato. Sento addosso una sensazione di inutilità, come se tutto quello che facessi fosse vano. Come la lotta contro i mulini a vento di Don Chisciotte.”

Parlare per la prima volta a cuore aperto dei dubbi che lo avevano assillato negli ultimi tempi era come mollare gli argini di una diga. Edoardo sentiva che, una volta iniziato il discorso, non poteva interromperlo.

...e quindi?” lo incoraggiò Sofia, che lo aveva capito benissimo.

E quindi mi sono messo a cercare su Google sindrome da burnout. Sì, googlo i sintomi, faccio proprio pena.”

E corrispondono a come ti senti?”

Boh. Non ho capito. Alcuni sì. Altri no. Ma tanto...”

...tanto il tuo metro di paragone è un altro, ho capito.”

Come spesso accadeva, Sofia era arrivata prima di lui alla questione più dolorosa, quella che proprio non riusciva ad affrontare. Il suo fantasma che da anni incombeva sopra di lui.


* * *


Voglio parlare al tuo cuore

Come acqua fresca d’estate

Far rifiorire quel buono di noi

Anche se tu, tu non lo sai


Estate 1997


Edoardo! È pronta la merenda!”

Arrivo, zia!”

Edoardo uscì dall’acqua, correndo. La spiaggia di Misano era lunghissima e doveva superare molte file di ombrelloni prima di arrivare al suo. Era sicuro che la zia gli avesse lavato e tagliato le albicocche del suo orto, e non c’era niente di più buono al mondo dopo un bagno con gli amici.


Arrivato al suo ombrellone, vide che zia Arianna, come al solito, aveva disposto le albicocche a pezzi in una ciotolina di plastica appoggiata sul lettino, con un tovagliolo accanto. Lei da lontano sembrava una signora alla moda e sorridente, con i corti capelli neri, il costume a fantasia floreale ed il cappello di paglia sormontato da un fiocco rosa, ma quando Edoardo la guardava negli occhi vedeva le borse nere sulla palpebra inferiore e qualcosa di inquieto. Zia Arianna si era portata dietro una bottiglia d’acqua ed il suo solito bicchierone di plastica fuxia. Edoardo sapeva che c’erano dentro delle goccine magiche. A dieci anni era grande abbastanza da sapere che non si trattava di una pozione magica, come gli avevano fatto credere a tre anni, bensì di medicinali, probabilmente molto più pesanti delle pilloline che gli dava mamma quando aveva la febbre, ma non gli importava. Se servivano a fare stare meglio sua zia, preferiva fare finta di avere ancora tre anni e che lei sarebbe guarita per magia.


Alcuni giorni zia Arianna stava male, davvero male. Si chiudeva in cucina e nessuno poteva raggiungerla: né lo zio, né sua madre, che pure era sua sorella. Soltanto Edoardo, dopo aver bussato timidamente alla porta ed avere chiesto: “Zia, ci sei?” riusciva ad entrare nel suo rifugio. Il più delle volte trovava la cucina in uno stato pietoso: ingredienti per il pranzo sparpagliati sul tavolo, cumuli di piatti ancora sporchi in attesa di essere infilati nella lavastoviglie, persino la bilancia con la quantità di riso già pesata sul piattino ed il fondo di olio e soffritto del risotto che prendeva aria nella padella senza che nessuno si fosse preoccupato di accendere la fiamma.

Sei triste, zia?” le chiedeva sempre Edoardo.

Sono stanca, è tutto così faticoso” rispondeva lei guardando per terra e poi sollevando verso di lui due occhi chiari e umidi.

Edoardo non capiva. Lo zio lavorava, mamma e papà pure. Lei si occupava della casa: non avrebbe dovuto piacerle? Perché, se era stufa di cucinare e pulire e fare l’orto, non riprendeva a lavorare anche lei?


Non capiva, ma poteva aiutarla. Si trasformava così in una sorta di tuttofare: infilava i piatti nella lavastoviglie, apriva armadi e cassetti e buttava dentro a casaccio accessori casalinghi, con grande cautela accendeva la fiamma e lanciava il riso sopra il soffritto. Zia Arianna lo fissava tamponandosi gli occhi con un fazzoletto, qualche volta provava a fermarlo (“No, Edo, la fiamma no! Sei ancora piccolo!”), ma poi finiva per porgergli un briciolo di sorriso (“Bravo, sei il mio aiuto cuoco preferito!”). Solo allora uscivano entrambi dalla cucina e chiedevano aiuto per il pranzo alla mamma di Edoardo.



Nel periodo estivo zia Arianna si sentiva un po’ meglio, e loro due passavano insieme tutte le giornate dal lunedì al venerdì. Lo zio continuava a lavorare molto, mamma e papà erano liberi solo per un paio di settimane in agosto, e la zia si occupava di lui. In estate Misano diventava il parco giochi di Edoardo: alcuni giorni dava una mano nell’orto degli zii o potava le ortensie in giardino, altri ancora andava a prendere il gelato in centro ed accompagnava la zia per negozi.

I suoi giorni preferiti, però, erano quelli di sole pieno passati interamente sulla spiaggia. Lui faceva lunghi bagni e giocava con i compagni di classe che aveva ritrovato in riva al mare, zia Arianna leggeva sotto l’ombrellone, gli preparava pranzo e merenda ed a volte se ne stava semplicemente a fissare il mare, come in quel momento.

Zia, ma perché guardi sempre il mare?” le chiese lui all’improvviso.

Io penso che il mare illumini l’anima” rispose lei.

E che vorrebbe dire? Si chiese Edoardo.

In che senso?”

Nel senso che basta guardarlo per calmarsi. Per non pensare più alle difficoltà. E quando il sole scende sul mare è anche meglio. Li vedi laggiù in fondo quei cristalli gialli e azzurri? Non ti sembrano lo spettacolo più bello del mondo?”

Lo erano. Nel cuore di Edoardo lo sarebbero stati sempre.


* * *


Vorrei illuminarti l’anima

nel blu dei giorni tuoi più fragili

io ci sarò

come una musica, come domenica

di sole e d’azzurro


Edoardo, come stai?”

Dai mamma, lo sai bene come sto. Mi hai chiesto di passare dopo il lavoro dicendo che dovevi dirmi qualcosa di importante. Poi hai iniziato a guardarti in giro. Guarda che conosco i segni. Hai saputo come sto e non sai da dove iniziare, giusto?”

Mah, sai, è che… io e Sofia ci siamo sentite...”

...e questo era ovvio. E quindi?”

Tesoro, so che non vuoi parlare della zia, ma...”

Non è che non voglio parlarne, mamma. È che c’è ben poco da dire. Era depressa, lo sapevate tutti. Lo zio non ha mai neanche provato a proporle di ritornare al lavoro. Nella sua mente bastava il suo lavoro da imprenditore e toh guarda, che grande uomo sono, posso mantenere mia moglie, posso tenerla chiusa in casa a fare la calza e cucinare pranzetti! Peccato che a volte lei era così esausta che non riusciva neanche a fare il sugo per la pasta!”

Edoardo, non dire così, per favore. Lo sai che anche lo zio ha sofferto tanto. Si è rimproverato di non averla capita. E non sarebbe guarita semplicemente lavorando, aggiungendo stress a quello che già provava.”

Già, perché niente la guariva veramente, no? Continuava ed entrare e uscire dalla depressione. La facevano stare bene solo la compagnia ed il mare. Ma non è bastato. Si è arresa.”

A tua zia è venuto un tumore al pancreas. Era ancora troppo giovane. Lo sai anche tu che non c’era più speranza.”

C’è pieno di gente giovane a cui vengono diagnosticati tumori. Anche ragazzi della mia età. Lei non ha lottato. Ha fatto fare alla malattia quello che non riusciva a fare da sola.”

Ecco, aveva tirato fuori il fantasma che lo angosciava ormai da anni.

La paura logorante che sua zia non avesse voluto affrontare la malattia. Che fosse stata la consapevolezza di avere un male dentro a farla morire, e non il tumore in sé. Che la depressione le avesse tolto le forze per vivere, prima ancora che si ammalasse.


Edoardo era consapevole di aver appena detto un pensiero molto forte ed era quasi sicuro che sua madre si sarebbe arrabbiata. Lei invece continuava ad osservarlo, e nei suoi occhi le parve di cogliere una nuova luce.

Cosa credi, che io non sappia che per te la depressione della zia è un mostro da evitare? Che ti immergi nel lavoro per evitare di sentirti anche solo un pochino annoiato come spesso si sentiva lei? Sei mio figlio, lo so. Però non immaginavo che pensassi anche questo. Altrimenti ti avrei mostrato prima qualcosa.”

Senza aggiungere altro, sua madre si voltò, andò verso la camera da letto e tornò indietro dopo un paio di minuti tenendo in mano una piccola busta di carta.


Questa è una delle lettere che tua zia mi scriveva dall’ospedale. Le ho sempre chiesto perché mi consegnasse a mano queste buste quando andavo a trovarla, invece di parlarmi direttamente. Lei mi rispondeva che certi concetti a voce sono difficili, e che scrivere le permetteva di pensare e di far uscire da se stessa tanti pensieri negativi. Aprila, per favore. Leggi cosa c’è scritto.”

Edoardo prese la busta, la aprì e riconobbe l’inconfondibile calligrafia di zia Arianna.


* * *


Vorrei liberarti l’anima, come vorrei

nel blu dei giorni tuoi,

e fingere che ci sarò

come una musica, come domenica

di sole e d’azzurro


3 marzo 2006


Cara sorella,

come al solito qui i medici non mi dicono niente. Forse mi ritengono fragile per via della mia depressione. Mi verrebbe quasi da ridere: perché dovrei essere io quella più indifesa qua dentro? Io, più di tutti, so cosa significa avere un mostro che ti divora dall’interno, e lo sapevo ben prima di scoprire del mio tumore. Questo mi ha spinto a pensare: se ciò che ho nel pancreas è altro da me e va espulso, allora lo è anche ciò che ho nella testa. Io non sono la mia depressione. E per questo motivo, se mai uscirò di qui, farò il possibile per lasciare giù non uno, ma due pesi morti.

Penso spesso ai momenti in cui, nonostante tutto, mi sono sentita, se non felice, almeno curata nell’animo. Ricordi le estati in cui mi occupavo di Edoardo? La luce del giorno dopo tante ore passate rinchiusa in cucina, il rumore delle onde che non mi faceva più sentire i miei pensieri, e la migliore compagnia possibile. Edo quest’anno ha la Maturità e di sicuro poi andrà ad Ibiza o a Mikonos come fanno tutti i suoi coetanei. Ma forse, se sarò fuori di qui, mi concederà una passeggiatina in riva al mare. Ha sempre accettato tutte le proposte della sua vecchia e stramba zia. Più resto qui, in questo limbo di non-vita che non ho scelto né desiderato, e più mi rendo conto che siamo vivi davvero quando facciamo ciò che ci illumina l’anima. È questo che voglio fare d’ora in poi. Per nove volte che mi rifugerò nel buio, altre dieci uscirò nella luce.



Il vento era freddo, ma l’indomani sarebbe stato il primo giorno di primavera, e la luce del sole sembrava promettere felicità. La spiaggia di Misano era già affollata ed i cristalli di mare dorato rilucevano all’orizzonte. Edoardo camminava sulla battigia, vicino alle onde. Da quando aveva scoperto che zia Arianna, nonostante tutto, voleva disperatamente vivere, non aveva più paura. Non ho più paura di assomigliarle, si disse. Lei lo aveva amato e lui avrebbe tentato di fare quello che lei non aveva potuto portare a termine: al di là di ogni difficoltà che la vita gli avrebbe messo davanti, avrebbe sempre cercato luce per la sua anima.


Voglio parlare al tuo cuore

voglio vivere per te

di sole e d’azzurro.



FINE



Eccoci arrivati alla fine di questa storia dominata dal giallo e dall’azzurro!

So che stavolta ho toccato una serie di temi piuttosto impegnativi, quindi vi ringrazio moltissimo per la lettura e per l’attenzione ed attendo i vostri pensieri in proposito.

Non so dirvi se qualche altra compagna di avventura della rubrica Storytelling Chronicles si aggregherà a me questo mese, ma vi consiglio comunque di aguzzare la vista e farci caso se il nostro banner rossiccio vi compare nell’elenco di lettura dei blog che seguite.

Nel frattempo grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 24 marzo 2022

LE INDAGINI DI MICOL MEDICI

 Due romanzi di Marilù Oliva




Cari lettori,

oggi, per la nostra rubrica “Letture… per autori”, vi presento un’autrice per me nuova, che sto apprezzando moltissimo: Marilù Oliva, scrittrice ed attivista.


Pur avendo sentito parlare di alcune sue opere di rielaborazione del mondo classico dal punto di vista delle figure femminili, come L’Odissea raccontata da Penelope, Circe,  Calipso e le altre e la nuovissima uscita L’Eneide di Didone, non mi ero mai accostata alla lettura di niente di suo, finché non ho trovato in biblioteca due suoi volumi di genere thriller, Le spose sepolte e Musica sopra l’abisso. Si tratta, per ora, degli unici due romanzi che hanno come protagonista la giovane ispettrice di polizia Micol Medici. Siamo nel macro universo dei gialli, ma con delle sfumature ad alta tensione che non mi hanno consentito di “prendermela con calma” durante la lettura: ho proprio divorato questi due libri, che attraggono il lettore fin da subito e si trasformano in irresistibili page-turners nel corso della seconda metà.


Vediamo più nel dettaglio di cosa si tratta!



Le spose sepolte


Per l’ispettrice Micol Medici, la cui poca esperienza alle spalle è compensata da una grande passione per il mestiere, sembra che stia per profilarsi una prima importante occasione di carriera. Le tocca mettersi in macchina insieme al suo scontroso capo e ad un collega piuttosto retrogrado, ma la destinazione è davvero curiosa: Monterocca, un paese sull’Appennino bolognese che è stato progettato come una sorta di città ideale ed è amministrato interamente da donne.


Donna la sindaca, che lotta contro un tumore alla gola e parla con difficoltà ma riesce comunque a far comprendere con decisione le sue volontà; donne le moltissime assessore, che si occupano di tutto, dall’edilizia agli orti pubblici, dalla cultura al turismo; donne le principali esercenti nei negozi storici, come ad esempio La Circassa, un’erborista che sembra capace di leggere nel cuore delle persone e di prevedere il loro futuro.


Sotto molti punti di vista, la città delle donne funziona bene, ma proprio lì è accaduto un avvenimento inspiegabile ed agghiacciante: un uomo è stato ucciso con brutalità e trafitto con moltissimi spilli. La vittima non è una persona qualunque, ma un ex sospettato di uxoricidio, poi prosciolto per mancanza di prove.


Incrociando dati da remoto, Micol e la sua squadra si rendono conto che questo omicidio non è il primo ad essere compiuto con queste modalità: un misterioso serial killer sta uccidendo tutti gli uomini che, pochi o tanti anni prima, hanno tolto la vita alle loro mogli o compagne e non sono mai stati puniti dalla legge come avrebbero meritato. Ad intervalli regolari, inoltre, i colleghi di Micol appartenenti ad altri commissariati ricevono delle segnalazioni che li portano alla scoperta dei cadaveri delle povere donne uccise, i cui corpi non si trovavano da anni.


È evidente che il serial killer in questione prima faccia confessare alle sue vittime i loro delitti e l’ubicazione dei corpi, poi li uccida. Il guaio è che proprio al Centro Studi Rita, il laboratorio scientifico di Monterocca, viene prodotta una sostanza che, se assunta in piccole dosi, funge da siero della verità. Lì Micol troverà una certa – inaspettata – ostilità, ma anche un giovane ricercatore che la aiuterà e metterà in dubbio la sua storia (già avviata al capolinea) con il suo ex fidanzato.



Le spose sepolte è un romanzo che coniuga il lavoro di scrittrice di Marilù Oliva ed il suo impegno come attivista per la parità di genere. Micol Medici è un personaggio femminile scritto da una donna, e si vede. Per quanto io ammiri molti giallisti italiani (e lo sapete bene), la penna di un uomo è sempre, in qualche modo, “innamorata” del sesso femminile, tende ad idealizzarlo tramite piccoli dettagli. Questo non è per forza un male, anzi, ci sono scrittori straordinari, ma la presentazione “senza fronzoli” di Micol è chiaramente nata da una penna femminile. L’ispettrice è una ragazza pragmatica, segnata da un brutto incidente avvenuto negli anni dell’adolescenza, costantemente preoccupata per una madre sola ed un po’ invadente, in lotta per affermarsi in un contesto lavorativo che è ancora molto maschile.


L’idea di un “serial killer di criminali” è tanto originale quanto inquietante, anche perché gli stravaganti sogni premonitori di Micol non contribuiscono certo a far stare tranquillo il lettore. Inoltre, i capitoli sono intervallati da una lunga storia in corsivo, che racconta un ulteriore punto di vista da cui considerare la vicenda.


Monterocca, la città delle donne, è forse un’utopia, ma viene raccontata senza idealismi: una giunta al femminile tende molto meno all’agonismo e molto più alle soluzioni pratiche per la vita di tutti i giorni, e di sicuro alcuni importanti settori che vengono talvolta trascurati dalla politica ottengono giustizia. Tuttavia i rancori di chi, come alcune donne, ha dovuto subire troppo a lungo, possono covare come fuoco sotto la cenere.



Musica sull’abisso


Sono passati dei mesi dall’indagine delle “spose sepolte” e l’ispettrice Medici, dopo aver concluso la sua storia con l’ex fidanzato, ne ha iniziata una con Roven, il giovane ricercatore del Centro Studi Rita di Monterocca. Micol è felice con lui, ma alcune sue strane abitudini, unite al suo passato misterioso, non la lasciano molto serena. Ad aumentare le preoccupazioni c’è il fatto che sua madre, sempre in cerca di nuove passioni, ha trasformato la sua ultima fissazione in una carriera, ha fatto amicizia con La Circassa ed ha aperto con lei un negozio di cristalloterapia ed erboristeria.


Il lavoro, tuttavia, non le lascia troppo tempo di pensare. Il suo trasferimento alla Sezione Omicidi porta subito con sé un caso spinoso. Il ritrovamento del cadavere dell’imprenditrice Gwendolina Nanni sembrerebbe un vero mistero, perché la donna era incensurata e senza nessun nemico, ma la sorella si confida con gli inquirenti e dice di essere insospettita dalle morti in successione di molti ex compagni di classe della donna.


Micol ed i suoi colleghi vanno a chiedere informazioni al Liceo Classico Cicerone, il più prestigioso di Bologna, e scoprono dell’esistenza di quella che per tutti è una “classe maledetta”. Non più di quindici ragazzi, quasi tutti dall’ottimo profitto e latinisti dilettanti anche nel tempo libero. La sparizione di uno dei loro leader, Lorenzo, a metà dell’ultimo anno, è stata però l’inizio della loro fine. Dopo la sua misteriosa scomparsa ci sono stati il suicidio del suo migliore amico e la caduta fatale di una loro compagna durante la gita scolastica.


In seguito ad alcuni anni di quiete, la sfortuna ha ripreso ad accanirsi sui componenti della “classe maledetta”. Un terribile incidente d’auto, un’overdose, una morte sospetta in una grotta in riva al mare, l’uccisione della Nanni… tutto sempre nel medesimo giorno, il 21 febbraio, anno dopo anno. Il giorno della sparizione di Lorenzo. E questa non può essere davvero una coincidenza.



Con Musica sull’abisso Marilù Oliva mi ha regalato dei veri brividi, ancora di più di quelli che pure mi aveva donato Le spose sepolte.

Da ex studentessa di liceo classico mi sono rivista in parte nel modo in cui l’autrice descrive il mondo delle scuole superiori: le classi che i professori ricordano con piacere perché piene di studenti modello sono spesso le più difficili in cui stare, tra una competizione costante in cui ti ritrovi invischiato anche se non vuoi ed un sistema di “amicizie” che sembrano più che altro delle dinamiche di potere.


Mi ha colpito l’uso del latino che è stato fatto in questo romanzo: citazioni, indovinelli, poesiole, persino il lungo testo di una canzone. Anche la musica viene omaggiata, specie quella di cantautrici italiane molto brave ma ancora non molto conosciute, che Marilù Oliva ha probabilmente avuto occasione di ascoltare grazie al suo impegno come attivista.



Non tutte le questioni che riguardano la vita di Micol – sia quella professionale che quella sentimentale – si sono risolte, quindi non vedo l’ora che esca un nuovo romanzo di questa serie! Sicuramente lo metterò in wish list :-)





Come avrete intuito, sono davvero contenta di aver iniziato questa serie!

Mi incuriosiscono molto anche i retelling classici dell’autrice, ma vi farò sapere se riesco a trovare qualcosa. Nel frattempo fatemi sapere se avete letto questi due libri, se conoscete l’autrice e che cosa ne pensate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)