lunedì 28 marzo 2022

DI SOLE E D'AZZURRO

 Storytelling Chronicles: marzo 2022




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di marzo con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!

Questo mese è un po’ particolare per me e le mie compagne di squadra. La nostra amministratrice ci ha proposto un mese di pausa/riflessione a causa dei terribili eventi che ci hanno sconvolto nelle ultime settimane. La pausa non era obbligatoria: nel caso qualcuno di noi avesse voluto scrivere, avrebbe dovuto in qualche modo dedicare il suo scritto ai fatti che stanno accadendo in Ucraina, o proponendo tematiche affini, o ispirandosi ai colori della sua bandiera (giallo e azzurro).


Non avendo le competenze e non sentendomi portata per parlare di un argomento così impegnativo come la guerra ucraina, ho scelto l’opzione dei colori della bandiera, e vi propongo un racconto dal titolo Di sole e d’azzurro.


Mi sono fatta ispirare dall’omonima canzone di Giorgia (che trovate a questo link), dal momento che in questo periodo la sto ascoltando spessissimo. A scuola di danza stiamo (finalmente!) ricominciando a preparare coreografie per giugno, e c’entra anche questo brano, ma non dico gatto finché non ce l’ho nel sacco!


Nel frattempo vi lascio al racconto e spero che vi piacerà!



Di sole e d’azzurro



Voglio parlare al tuo cuore

leggera come la neve

anche i silenzi, lo sai, hanno parole


Alzarsi. Una parola semplice, un gesto di routine. Qualcosa che tutti facciamo ogni giorno. Negli ultimi tempi, per Edoardo, era diventata la prima di una lunga serie di fatiche.


Il piumone blu che utilizzava sempre nei mesi invernali era il suo conforto e la sua prigione allo stesso tempo. Nei pochi, confusi minuti che precedevano la sveglia restava lì, coricato su un fianco, ad intravedere la prima luce dell’incipiente primavera, sperando che almeno il tenue biancore si sarebbe convertito nel giallo della luce del sole di lì ad un’ora. Con la pioggia, o, peggio ancora, con il grigiore era tutto ancora più difficile.


Non sapeva che cosa lo muovesse, eppure alle prime note di quella insopportabile marcetta mattutina era già giù dal letto. Per fare cosa, non ne era sicuro.



Eppure tutto era sempre andato come avrebbe dovuto. Mentre tanti suoi coetanei si erano iscritti ad Economia solo perché, a detta dei loro genitori, era una delle poche facoltà che ancora consentiva tanti sicuri sbocchi lavorativi, lui aveva fatto la sua scelta spinto da un sincero interesse per quelle materie. Così, intanto che i suoi compagni si perdevano tra esami da ripetere e sessioni saltate, lui, al netto di qualche piccolo incidente di percorso, era andato avanti nel suo percorso universitario con tranquillità.


Poi, dopo la laurea, mille ostacoli inaspettati avevano sorpreso sia i suoi ex compagni, erroneamente convinti che il peggio fosse alle spalle, sia i loro genitori, che forse avevano un ricordo della Facoltà di Economia che apparteneva più agli anni ‘80 che al 2010. Lavori “sicuri” in studi commerciali che in realtà avevano l’unica sicurezza di farti fare praticantato gratuito, enti importanti che sfruttavano i migliori laureati come tappabuchi per le malattie e le ferie estive, aziende che storcevano il naso di fronte ad una richiesta di orari chiari o, non sia mai, di un’idea di stipendio.

Anche lui, nei primi tempi, si era ritrovato invischiato in questa giungla, ma da ormai sei anni era felicemente impiegato come responsabile della contabilità per un’azienda non particolarmente grande ma abbastanza fruttuosa, ed aveva sempre lavorato con interesse e profitto. “Non c’è niente che non vada”, si ripeté mentre accendeva il fuoco sotto la moka.


Qualcosa c’era, invece. Qualche cosa a cui non aveva il coraggio di dare un nome e che lo aveva tormentato negli ultimi mesi. Si sentiva come il condannato all’Inferno di uno dei tanti gironi danteschi, costretto a trasportare sulla schiena una pietra che si faceva di giorno in giorno più pesante.


Aveva iniziato a lavorare quando la crisi finanziaria del 2008 aveva già abbondantemente colpito, ma negli ultimi tempi, tra emergenze sanitarie, politiche, internazionali, la situazione era drammaticamente peggiorata. Ogni giorno alla scrivania finiva per trasformarsi in una sorta di corsa cieca, alla fine della quale lo aspettava solo il minimo degli obiettivi che si era prefissato. Uno dei punti di forza del suo posto di lavoro era il buon rapporto con la maggior parte dei colleghi, ma lo sconfortava spegnere il computer alle sei e leggere nei loro occhi il senso di frustrazione che sapeva appartenere anche a lui.


Inoltre, gli sembrava di non uscire mai dall’ufficio. Emergenze improrogabili si susseguivano anche fuori dall’orario di servizio, tra mail e gruppi WhatsApp era una sinfonia di squilli fino a tarda serata ed a volte temeva il momento in cui, alla mattina, proprio mentre preparava il suo amato caffè, riaccendeva il Wi-fi sul telefono. Quel gesto era una sua vecchia consuetudine, per stare tranquillo nel caso ci fossero comunicazioni urgenti da parte dei suoi o della sua amica del cuore Sofia. Negli ultimi tempi, però, la quasi totalità delle volte il dispositivo iniziava a vibrare forsennatamente, a causa dell’arrivo in contemporanea di circa una trentina di messaggi su un gruppo WhatsApp del lavoro, sul quale qualcuno aveva iniziato a scrivere alle sei del mattino.


Avrebbe potuto dare la colpa di questa situazione a qualunque fattore esterno: il periodo difficile per tutti, il senso di isolamento degli ultimi due anni che tanti avevano esorcizzato legandosi di più al lavoro, il delicato periodo tra inverno e primavera che portava con sé sempre tanta stanchezza. Ma sapeva che non prendere in considerazione se stesso e ciò che girava nella sua mente in quel periodo sarebbe stata una fuga vigliacca.


* * *


Dopo la pioggia ed il gelo

Oltre le stelle ed il cielo

Vedo fiorire il buono di noi

Il sole e l’azzurro sopra i nevai


Sei davvero di compagnia, stasera. Tra un po’ mi metto a parlare con il cestino del pane. È più loquace” osservò Sofia, finendo le ultime tracce di birra.

Scusami. Sto guardando nel vuoto, lo so.” rispose Edoardo, masticando controvoglia una fetta della sua pizza.

Sofia capì che non era proprio il momento di scherzare, poggiò il bicchiere ed abbandonò l’idea di chiedere un altro giro.

Edo, non capisco. Sei solo da un anno dopo che Laura se n’è andata, ma mi sei sempre sembrato sereno. Pentimento tardivo? Hai ricominciato a sentirti solo?”

Edoardo scosse la testa. “No, non penso molto a questo, non ho nessuno per la testa, lo sai.”

E allora che succede? I tuoi stanno bene. Io e te non abbiamo litigato, mi pare. Ancora qualcosa sul lavoro?”

Qualcosa?” sbuffò pesantemente Edoardo. All’improvviso si sentì gonfio di rabbia trattenuta. “Di’ pure tutto”

A costo di ripetermi, Edo, ma non capisco. Ti sei sempre trovato bene. E poi tu non ti occupi di numeri e bollette perché devi, come tanti altri. A te piace quello che fai, ti è sempre piaciuto. E guarda che trentacinque anni sono pochini per sognare la pensione” concluse, sperando di strappargli un sorriso.

Non me lo dire” ribatté cupamente Edoardo. “Non saprei nemmeno da dove iniziare a spiegarti.”

Perché non provi a raccontarmi come ti senti, innanzitutto?” replicò Sofia, incoraggiante.

Okay, proviamo. Posso dire che mi sento come… diviso, ecco. Una parte di me è ancora legata a questo lavoro. Voglio proseguire, fare questo tipo di carriera. Come hai detto tu, non mi è capitato, l’ho scelto. Ma mi sento svogliato, per non dire svuotato. Quasi ogni giorno mi viene da chiedermi se davvero starei peggio da disoccupato, aiutando mia madre con le borse del mercato, finendo quei libri che ho sul comodino da una vita, iscrivendomi finalmente a quei corsi di aggiornamento che ho sempre rimandato. Sento addosso una sensazione di inutilità, come se tutto quello che facessi fosse vano. Come la lotta contro i mulini a vento di Don Chisciotte.”

Parlare per la prima volta a cuore aperto dei dubbi che lo avevano assillato negli ultimi tempi era come mollare gli argini di una diga. Edoardo sentiva che, una volta iniziato il discorso, non poteva interromperlo.

...e quindi?” lo incoraggiò Sofia, che lo aveva capito benissimo.

E quindi mi sono messo a cercare su Google sindrome da burnout. Sì, googlo i sintomi, faccio proprio pena.”

E corrispondono a come ti senti?”

Boh. Non ho capito. Alcuni sì. Altri no. Ma tanto...”

...tanto il tuo metro di paragone è un altro, ho capito.”

Come spesso accadeva, Sofia era arrivata prima di lui alla questione più dolorosa, quella che proprio non riusciva ad affrontare. Il suo fantasma che da anni incombeva sopra di lui.


* * *


Voglio parlare al tuo cuore

Come acqua fresca d’estate

Far rifiorire quel buono di noi

Anche se tu, tu non lo sai


Estate 1997


Edoardo! È pronta la merenda!”

Arrivo, zia!”

Edoardo uscì dall’acqua, correndo. La spiaggia di Misano era lunghissima e doveva superare molte file di ombrelloni prima di arrivare al suo. Era sicuro che la zia gli avesse lavato e tagliato le albicocche del suo orto, e non c’era niente di più buono al mondo dopo un bagno con gli amici.


Arrivato al suo ombrellone, vide che zia Arianna, come al solito, aveva disposto le albicocche a pezzi in una ciotolina di plastica appoggiata sul lettino, con un tovagliolo accanto. Lei da lontano sembrava una signora alla moda e sorridente, con i corti capelli neri, il costume a fantasia floreale ed il cappello di paglia sormontato da un fiocco rosa, ma quando Edoardo la guardava negli occhi vedeva le borse nere sulla palpebra inferiore e qualcosa di inquieto. Zia Arianna si era portata dietro una bottiglia d’acqua ed il suo solito bicchierone di plastica fuxia. Edoardo sapeva che c’erano dentro delle goccine magiche. A dieci anni era grande abbastanza da sapere che non si trattava di una pozione magica, come gli avevano fatto credere a tre anni, bensì di medicinali, probabilmente molto più pesanti delle pilloline che gli dava mamma quando aveva la febbre, ma non gli importava. Se servivano a fare stare meglio sua zia, preferiva fare finta di avere ancora tre anni e che lei sarebbe guarita per magia.


Alcuni giorni zia Arianna stava male, davvero male. Si chiudeva in cucina e nessuno poteva raggiungerla: né lo zio, né sua madre, che pure era sua sorella. Soltanto Edoardo, dopo aver bussato timidamente alla porta ed avere chiesto: “Zia, ci sei?” riusciva ad entrare nel suo rifugio. Il più delle volte trovava la cucina in uno stato pietoso: ingredienti per il pranzo sparpagliati sul tavolo, cumuli di piatti ancora sporchi in attesa di essere infilati nella lavastoviglie, persino la bilancia con la quantità di riso già pesata sul piattino ed il fondo di olio e soffritto del risotto che prendeva aria nella padella senza che nessuno si fosse preoccupato di accendere la fiamma.

Sei triste, zia?” le chiedeva sempre Edoardo.

Sono stanca, è tutto così faticoso” rispondeva lei guardando per terra e poi sollevando verso di lui due occhi chiari e umidi.

Edoardo non capiva. Lo zio lavorava, mamma e papà pure. Lei si occupava della casa: non avrebbe dovuto piacerle? Perché, se era stufa di cucinare e pulire e fare l’orto, non riprendeva a lavorare anche lei?


Non capiva, ma poteva aiutarla. Si trasformava così in una sorta di tuttofare: infilava i piatti nella lavastoviglie, apriva armadi e cassetti e buttava dentro a casaccio accessori casalinghi, con grande cautela accendeva la fiamma e lanciava il riso sopra il soffritto. Zia Arianna lo fissava tamponandosi gli occhi con un fazzoletto, qualche volta provava a fermarlo (“No, Edo, la fiamma no! Sei ancora piccolo!”), ma poi finiva per porgergli un briciolo di sorriso (“Bravo, sei il mio aiuto cuoco preferito!”). Solo allora uscivano entrambi dalla cucina e chiedevano aiuto per il pranzo alla mamma di Edoardo.



Nel periodo estivo zia Arianna si sentiva un po’ meglio, e loro due passavano insieme tutte le giornate dal lunedì al venerdì. Lo zio continuava a lavorare molto, mamma e papà erano liberi solo per un paio di settimane in agosto, e la zia si occupava di lui. In estate Misano diventava il parco giochi di Edoardo: alcuni giorni dava una mano nell’orto degli zii o potava le ortensie in giardino, altri ancora andava a prendere il gelato in centro ed accompagnava la zia per negozi.

I suoi giorni preferiti, però, erano quelli di sole pieno passati interamente sulla spiaggia. Lui faceva lunghi bagni e giocava con i compagni di classe che aveva ritrovato in riva al mare, zia Arianna leggeva sotto l’ombrellone, gli preparava pranzo e merenda ed a volte se ne stava semplicemente a fissare il mare, come in quel momento.

Zia, ma perché guardi sempre il mare?” le chiese lui all’improvviso.

Io penso che il mare illumini l’anima” rispose lei.

E che vorrebbe dire? Si chiese Edoardo.

In che senso?”

Nel senso che basta guardarlo per calmarsi. Per non pensare più alle difficoltà. E quando il sole scende sul mare è anche meglio. Li vedi laggiù in fondo quei cristalli gialli e azzurri? Non ti sembrano lo spettacolo più bello del mondo?”

Lo erano. Nel cuore di Edoardo lo sarebbero stati sempre.


* * *


Vorrei illuminarti l’anima

nel blu dei giorni tuoi più fragili

io ci sarò

come una musica, come domenica

di sole e d’azzurro


Edoardo, come stai?”

Dai mamma, lo sai bene come sto. Mi hai chiesto di passare dopo il lavoro dicendo che dovevi dirmi qualcosa di importante. Poi hai iniziato a guardarti in giro. Guarda che conosco i segni. Hai saputo come sto e non sai da dove iniziare, giusto?”

Mah, sai, è che… io e Sofia ci siamo sentite...”

...e questo era ovvio. E quindi?”

Tesoro, so che non vuoi parlare della zia, ma...”

Non è che non voglio parlarne, mamma. È che c’è ben poco da dire. Era depressa, lo sapevate tutti. Lo zio non ha mai neanche provato a proporle di ritornare al lavoro. Nella sua mente bastava il suo lavoro da imprenditore e toh guarda, che grande uomo sono, posso mantenere mia moglie, posso tenerla chiusa in casa a fare la calza e cucinare pranzetti! Peccato che a volte lei era così esausta che non riusciva neanche a fare il sugo per la pasta!”

Edoardo, non dire così, per favore. Lo sai che anche lo zio ha sofferto tanto. Si è rimproverato di non averla capita. E non sarebbe guarita semplicemente lavorando, aggiungendo stress a quello che già provava.”

Già, perché niente la guariva veramente, no? Continuava ed entrare e uscire dalla depressione. La facevano stare bene solo la compagnia ed il mare. Ma non è bastato. Si è arresa.”

A tua zia è venuto un tumore al pancreas. Era ancora troppo giovane. Lo sai anche tu che non c’era più speranza.”

C’è pieno di gente giovane a cui vengono diagnosticati tumori. Anche ragazzi della mia età. Lei non ha lottato. Ha fatto fare alla malattia quello che non riusciva a fare da sola.”

Ecco, aveva tirato fuori il fantasma che lo angosciava ormai da anni.

La paura logorante che sua zia non avesse voluto affrontare la malattia. Che fosse stata la consapevolezza di avere un male dentro a farla morire, e non il tumore in sé. Che la depressione le avesse tolto le forze per vivere, prima ancora che si ammalasse.


Edoardo era consapevole di aver appena detto un pensiero molto forte ed era quasi sicuro che sua madre si sarebbe arrabbiata. Lei invece continuava ad osservarlo, e nei suoi occhi le parve di cogliere una nuova luce.

Cosa credi, che io non sappia che per te la depressione della zia è un mostro da evitare? Che ti immergi nel lavoro per evitare di sentirti anche solo un pochino annoiato come spesso si sentiva lei? Sei mio figlio, lo so. Però non immaginavo che pensassi anche questo. Altrimenti ti avrei mostrato prima qualcosa.”

Senza aggiungere altro, sua madre si voltò, andò verso la camera da letto e tornò indietro dopo un paio di minuti tenendo in mano una piccola busta di carta.


Questa è una delle lettere che tua zia mi scriveva dall’ospedale. Le ho sempre chiesto perché mi consegnasse a mano queste buste quando andavo a trovarla, invece di parlarmi direttamente. Lei mi rispondeva che certi concetti a voce sono difficili, e che scrivere le permetteva di pensare e di far uscire da se stessa tanti pensieri negativi. Aprila, per favore. Leggi cosa c’è scritto.”

Edoardo prese la busta, la aprì e riconobbe l’inconfondibile calligrafia di zia Arianna.


* * *


Vorrei liberarti l’anima, come vorrei

nel blu dei giorni tuoi,

e fingere che ci sarò

come una musica, come domenica

di sole e d’azzurro


3 marzo 2006


Cara sorella,

come al solito qui i medici non mi dicono niente. Forse mi ritengono fragile per via della mia depressione. Mi verrebbe quasi da ridere: perché dovrei essere io quella più indifesa qua dentro? Io, più di tutti, so cosa significa avere un mostro che ti divora dall’interno, e lo sapevo ben prima di scoprire del mio tumore. Questo mi ha spinto a pensare: se ciò che ho nel pancreas è altro da me e va espulso, allora lo è anche ciò che ho nella testa. Io non sono la mia depressione. E per questo motivo, se mai uscirò di qui, farò il possibile per lasciare giù non uno, ma due pesi morti.

Penso spesso ai momenti in cui, nonostante tutto, mi sono sentita, se non felice, almeno curata nell’animo. Ricordi le estati in cui mi occupavo di Edoardo? La luce del giorno dopo tante ore passate rinchiusa in cucina, il rumore delle onde che non mi faceva più sentire i miei pensieri, e la migliore compagnia possibile. Edo quest’anno ha la Maturità e di sicuro poi andrà ad Ibiza o a Mikonos come fanno tutti i suoi coetanei. Ma forse, se sarò fuori di qui, mi concederà una passeggiatina in riva al mare. Ha sempre accettato tutte le proposte della sua vecchia e stramba zia. Più resto qui, in questo limbo di non-vita che non ho scelto né desiderato, e più mi rendo conto che siamo vivi davvero quando facciamo ciò che ci illumina l’anima. È questo che voglio fare d’ora in poi. Per nove volte che mi rifugerò nel buio, altre dieci uscirò nella luce.



Il vento era freddo, ma l’indomani sarebbe stato il primo giorno di primavera, e la luce del sole sembrava promettere felicità. La spiaggia di Misano era già affollata ed i cristalli di mare dorato rilucevano all’orizzonte. Edoardo camminava sulla battigia, vicino alle onde. Da quando aveva scoperto che zia Arianna, nonostante tutto, voleva disperatamente vivere, non aveva più paura. Non ho più paura di assomigliarle, si disse. Lei lo aveva amato e lui avrebbe tentato di fare quello che lei non aveva potuto portare a termine: al di là di ogni difficoltà che la vita gli avrebbe messo davanti, avrebbe sempre cercato luce per la sua anima.


Voglio parlare al tuo cuore

voglio vivere per te

di sole e d’azzurro.



FINE



Eccoci arrivati alla fine di questa storia dominata dal giallo e dall’azzurro!

So che stavolta ho toccato una serie di temi piuttosto impegnativi, quindi vi ringrazio moltissimo per la lettura e per l’attenzione ed attendo i vostri pensieri in proposito.

Non so dirvi se qualche altra compagna di avventura della rubrica Storytelling Chronicles si aggregherà a me questo mese, ma vi consiglio comunque di aguzzare la vista e farci caso se il nostro banner rossiccio vi compare nell’elenco di lettura dei blog che seguite.

Nel frattempo grazie per la lettura, al prossimo post :-)


Nessun commento :

Posta un commento