giovedì 10 marzo 2022

BEATRICE

 Le donne raccontate da Dante #7




Cari lettori,

bentornati all’appuntamento di marzo con la rubrica “Donne straordinarie” e con il nostro percorso alla scoperta delle figure femminili della Commedia!


Innanzitutto, ricapitoliamo insieme i post precedenti:


L’Inferno:


1) Francesca e le donne del V canto

2) Le figure mitologiche

3) Le ingannatrici


Il Purgatorio:


4) Costanza d'Altavilla e Pia Dei Tolomei

5) L'invidia e la superbia

6) Matelda e le donne virtuose


È da poco passata la Festa della Donna ed in questo periodo così importante non potevamo non dedicare un post alla figura femminile cardine della poetica di Dante, quella più importante e celebrata: Beatrice.


Beatrice è la donna amata da Dante, che in vita è stato legato a Gemma Donati, ma nelle sue opere ha cantato sempre di lei. È la protagonista della Vita Nova, prima opera dantesca di fondamentale importanza, e torna nella Commedia come nuova guida di Dante. Se Virgilio simboleggiava la Razionalità, ella è la Teologia, scienza indispensabile per attraversare il Paradiso.


Oggi assistiamo insieme alla sua apparizione alla fine del Purgatorio e poi ci addentriamo con lei nella terza ed ultima Cantica, che ci farà compagnia in questi tre mesi primaverili.



La discesa di Beatrice dal Cielo


Io vidi già nel cominciar del giorno,

La parte oriental tutta rosata,

E l’altro ciel di bel sereno adorno,

E la faccia del sol nascere ombrata,

Sì che per temperanza di vapori,

L’occhio lo sostenea lunga fiata;

Così dentro una nuvola di fiori,

Che dalle mani angeliche saliva

E ricadeva giù dentro e di fuori,

Sovra candido vel cinto d’oliva

Donna m’apparve, sotto verde manto,

Vestita di color di fiamma viva,

E lo spirito mio, che già cotanto

Tempo era stato ch’alla sua presenza

Non era di stupor, tremando, affranto,

Senza degli occhi aver più conoscenza,

Per occulta virtù, che da lei mosse,

D’antico amor sentì la gran potenza.”

(Canto XXX Purgatorio, vv.22-39)


Il momento in cui Dante vede Beatrice per la prima volta è, allo stesso tempo, un omaggio al suo mentore Virgilio (che di lì a poco lo lascerà senza dire una parola, perché, di fronte alla Teologia, la Razionalità all’improvviso scompare) e un ritorno al Dolce Stil Novo, che è stato il movimento letterario di cui egli ha fatto parte scrivendo la Vita Nova.


In realtà non si può parlare di una corrente letteraria ben definita, dal momento che è Dante stesso a inventare questo nome, Dolce Stil Novo, facendolo pronunciare a Bonagiunta da Lucca, un personaggio del XXIV canto del Purgatorio. Con questo termine si definisce comunque una serie di opere che hanno visto la luce tra la metà del 1200 ed i primi decenni del 1300, principalmente quelle di Guido Guinizzelli, Guido Cavalcanti, e la Vita Nova stessa di Dante. Quest’ultima è un’opera in poesia e prosa divisa in tre parti: la prima, che narra il corteggiamento di Beatrice al fine di ricevere il “saluto che dà salute” (ovvero salvezza), è vicina all’amor cortese; la seconda, che mette al centro la lode disinteressata della donna, è un esempio di Dolce Stil Novo; la terza ed ultima parte, dopo la morte di lei, già si avvicina alle tematiche di tipo teologico che saranno trattate nella Commedia.


Dante, in questi versi, rievoca alcune atmosfere tipiche della lirica amorosa, come il cielo rosato, i fiori, l’immagine di Beatrice come “donna angelo”. Tutto sembra un suo ritorno alle origini, ma, allo stesso tempo, tutto è in una chiave mai vista: sta iniziando un nuovo giorno perché Dante, salendo in Paradiso con Beatrice, inizierà un’ulteriore nuova vita; i fiori accompagnavano anche Matelda, custode del Paradiso Terrestre e simbolo dell’affetto nei confronti della Chiesa cattolica; i colori con cui viene ritratta Beatrice sono gli stessi della Vergine Maria, con il verde che richiama alla speranza ed il rosso alla carità.


Nella settimana in cui Dante immagina di collocare il viaggio ultraterreno descritto nella Commedia, Beatrice è morta già da dieci anni, eppure, nel momento in cui egli vede la donna, egli sente la forza del suo antico amore che si rinnova. A me piace vederci una citazione dell’Eneide, quando Didone si innamora di Enea e dice di “riconoscere i segni dell’antica fiamma”, riferendosi al suo defunto marito.



I rimproveri di Beatrice nei confronti di Dante


Ond’ella a me: Per entro i miei disiri,

Che ti menavano ad amar lo bene,

Di là dal qual non è a che s’aspiri,

Quai fosse attraversate, o quai catene

Trovasti, per che del passare innanzi

Dovessiti così spogliar la spene?

E quali agevolezze, o quali avanzi

Nella fronte degli altri si mostraro,

Per che dovessi lor passeggiare anzi?

Dopo la tratta d’un sospiro amaro,

A pena ebbi la voce che rispose,

E le labbra a fatica la formaro.

Piangendo dissi: le presenti cose

Col falso lor piacer volser miei passi,

Tosto che il vostro viso si nascose.

Ed ella: Se tacessi, o se negassi

Ciò che confessi, non fora men nota

La colpa tua: da tal giudice sassi.

Ma quando scoppia dalla propria gota

L’accusa del peccato, in nostra corte

Rivolge sé contro il taglio la rota.”

(Canto XXXI Purgatorio, vv.22-42)


Beatrice, nella Vita Nova, era descritta come un perfetto esempio delle virtù delle donne cortesi: riservata, elegante, di buona fama, con un rigido codice etico, ma anche amante della compagnia di altre dame e delle persone della sua classe sociale. La Beatrice della Commedia, invece, è tutta tesa alla dimensione ultraterrena, e molto più severa con il suo prossimo, in particolare con Dante.


Ella, infatti, inizia a rimproverarlo nel momento in cui egli si accorge dell’assenza di Virgilio e ne rimane sconvolto. Con parole che assomigliano più che altro a dogmi, Beatrice ricorda a Dante che il luogo in cui essi si stanno dirigendo non è consono a Virgilio che, per quanto sia un’anima grande, è pur sempre vissuto in un tempo che non ha conosciuto la cristianità e quindi non è destinato a vedere il Paradiso.


In un secondo momento, Beatrice rievoca l’amore terreno che Dante ha provato per lei. Innanzitutto ella gli ricorda la natura secolare dei suoi sentimenti, in quanto Dante ha a lungo amato Beatrice in quanto donna, e solo dopo la sua morte l’ha trasformata in una sorta di figura Christi. Poi gli fa presente che, anche se nell’ultima parte della Vita Nova egli sembrava aver imboccato la giusta strada, negli anni successivi egli si è perso dietro ad altri frivoli piaceri terreni.


Torna, come in una sorta di chiusura di un cerchio, il riferimento alla selva oscura nella quale Dante si è sentito immerso all’inizio dell’Inferno, che è, fuor di metafora, il periodo difficile della sua vita che lo ha portato alla composizione della Commedia.

Dante è consapevole dei suoi errori e li ammette.


È allora che la Teologia, nella persona di Beatrice, mostra il suo secondo volto, quello benevolo: dopo il rimprovero per i molti peccati commessi e la richiesta di pentimento, arriva il perdono, perché la confessione è stata spontanea.


La Beatrice della Commedia, dunque, sembra più dura e proterva di quanto non sia stata quella della Vita Nova, ma si dimostra, alla prova dei fatti, più clemente: se in vita ha tolto il saluto a Dante per la questione delle “donne schermo”, ora rinfodera la spada della giustizia divina di fronte ad un’onesta ammissione di aver sbagliato.



La salita di Beatrice e Dante in Paradiso


Trasumanar significar per verba

Non si poria; però l’esemplo basti

A cui esperienza grazia serba.

S’io era sol di me quel che creasti

Novellamente, Amor che il ciel governi,

Tu il sai, che col tuo lume mi levasti.

Quando la ruota, che tu sempiterni

Desiderato, a sé mi fece atteso,

Con l’armonia che temperi e discerni,

Parvemi tanto allor del cielo acceso

Dalla fiamma del sol, che pioggia o fiume

Lago non fece mai tanto disteso.

La novità del suono e il grande lume

Di lor cagion m’accesero un disio

Mai non sentito di cotanto acume.

Ond’ella che vedea me, sì com’io,

Ad acquetarmi l’animo commosso,

Pria ch’io a dimandar, la bocca aprio,

E cominciò: Tu stesso ti fai grosso

Col falso immaginar, sì che non vedi

Ciò che vedresti, se l’avessi scosso.

Tu non se’ in terra, sì come tu credi;

Ma folgore, fuggendo il proprio sito,

Non corse, come tu che ad esso riedi.”

(Canto I Paradiso, vv. 70-93)


Una volta lavatosi e purificatosi nei fiumi Lete ed Eunoè, Dante è pronto per salire al Cielo insieme a Beatrice ed iniziare così a conoscere il Paradiso.


Già nel primo canto c’è uno dei momenti cosiddetti ineffabili dei quali è costellata la cantica: azioni, gesti, avvenimenti che non si possono descrivere. Dante e Beatrice, infatti, vengono sollevati verso l’alto da una forza sovrumana, qualcosa che il poeta non può identificare, ma che lo fa improvvisamente sentire leggero e lo spinge alla commozione. Si tratta di sensazioni generate dall’amore, di cui Beatrice è, ancora una volta, il simbolo: se però nella Vita Nova si trattava di un sentimento cortese, o comunque terreno, ora è un amore esclusivamente teologico.


Sopra di sé, infatti, Dante vede una distesa luce del colore delle fiamme, simbolo cromatico della Carità. Beatrice è figura Christi: se all’inizio della Cantica Dante si sente rapito dall’amore per lei, alla fine proverà lo stesso senso di ineffabilità e completezza di fronte alla visione di Dio. Fuor di metafora, la Teologia alimenta l’amore divino.


Solo un dubbio frena Dante: egli si chiede come sia possibile che il suo corpo mortale, vivo e pesante, sia attratto con così tanta naturalezza verso l’alto. Beatrice lo richiama, chiedendogli di non fare errori grossolani: egli non è attirato da un ambiente nuovo per lui, ma sta semplicemente tornando a casa, nel luogo dove, per le concezioni scientifiche e teologiche del tempo, era giusto che le anime purificate trovassero la loro collocazione.


Beatrice prosegue con le sue dissertazioni a metà strada tra astronomia e teologia anche nel II canto, tutto dedicato all’osservazione della Luna e delle sue macchie. Dal III canto in avanti, invece, iniziano a comparire le anime dei beati, tra le quali ci sono delle figure femminili di cui parleremo nel prossimo post.




Spero di avervi raccontato bene perché Beatrice è così importante per Dante :-)

Come avrete intuito, anche la lettura della Vita Nova è stata molto importante per me. Mi piace la Beatrice dei canti a cavallo tra Purgatorio e Paradiso perché ha caratteristiche che appartengono sia al “vecchio mondo” di Dante, dedicato principalmente al Dolce Stil Novo ed ai sentimenti terreni, che a quello ultraterreno che egli presto conoscerà salendo in Paradiso.

Ringrazio ancora di cuore tutti voi che state seguendo questo percorso con me, che leggete e che commentate. Ancora una volta grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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