giovedì 30 giugno 2022

I PREFERITI DI GIUGNO 2022

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese





Cari lettori,

ultimissimo giorno di giugno!

Questo mese è stato molto ricco per me, una vera girandola di emozioni… tra lavoro, scuola di danza ed altro ancora, ho raggiunto dei traguardi importanti ed attesi.

Ve ne parlo meglio alla fine del post… nel frattempo vi racconto tutto quello che mi è piaciuto di più in queste settimane, dai libri ai film, dalla musica alla poesia!



Il libro del mese


In un post di qualche settimana fa mi ripromettevo di proseguire la serie di Roberto Centazzo ambientata a Cala Marina, ed eccomi qua a recensirvi Il rappresentante di cartoline!


A Cala Marina, immaginario paesino della Riviera Ligure (per il quale però l’autore ha dichiarato di essersi ispirato ad una località ben precisa), è arrivata l’estate. Siamo nel 1967 e sono gli anni delle lunghe ferie estive. I personaggi della stazione di Cala Marina, che ci hanno accompagnato anche negli scorsi episodi della serie (trovate le recensioni qua e qua) sono molto indaffarati. Il capostazione Dalmasso deve assicurarsi che nessun turista imprudente attraversi i binari e, ovviamente, controllare il traffico dei tanti treni regionali estivi; Bartolomeo il tassista, Ludovica la barista e Silvano l’edicolante hanno finalmente tanti clienti da accontentare; Adelmo, l’uomo delle pulizie, voce narrante, continua a comportarsi come se la stazione fosse la sua seconda casa. L’unico almeno in parte disoccupato è il professor Martinelli, che però sente la mancanza delle aule del liceo e passa i pomeriggi in spiaggia a proporre giochi matematici a bambini e ragazzi.


La mattina del 17 luglio un personaggio giovane, elegante e distinto scende dal treno proveniente da Milano e si presenta come Teo Zeno, fotografo e rappresentante di cartoline. Appena sceso dal regionale, egli ha l’infausta idea di attaccare bottone con Ludovica, incorrendo così subito nella gelosia del maresciallo Norberto, il rappresentante della Polfer che passa dalle parti di Cala Marina un po’ più del necessario. Il fervente servitore dello Stato, pronto a controllare chiunque transiti intorno a Ludovica (con la quale fa sempre il brillante pur essendo sposato) ed a coinvolgere il suo paziente sottoposto Zappa, cerca subito di sapere qualcosa di più sul sospetto Teo Zeno, in apparenza un fotografo come tanti altri.


Da una prima indagine egli non sembra fare nulla di illegale, ma Norberto non manca di notare alcuni atteggiamenti come minimo stravaganti. Innanzitutto, Teo Zeno si è stabilito in una modesta pensioncina – pur ostentando vestiti di sartoria e l’esistenza di un grande negozio a Milano – ed è entrato fin da subito in grande confidenza con Maria Sole, la proprietaria, una giovane donna che si sente bruttina e sola. Inoltre, egli passa la sua giornata a girare gli esercizi commerciali di Cala Marina, proponendo a tutti i negozianti la stessa idea: inserire, di volta in volta, il negozio del suo cliente in uno dei riquadri di una cartolina, insieme alla scritta “Benvenuti a Cala Marina” e ad una foto della spiaggia della riviera.


Non ci sarebbe niente di male, se non ci fossero due problemi. Il primo è che Teo Zeno, dopo le prime settimane, inizia a scomparire e ricomparire misteriosamente, accampando scuse con Maria Sole e lasciando i clienti in attesa delle tanto sospirate cartoline. Il secondo è che egli sembra prediligere come clienti soggetti in qualche modo fragili, come Modesto, il titolare di un negozio di ferramenta che soffre la mancanza di donne nella sua vita, o Emma, una giovane che ogni giorno vede allontanarsi sempre più il sogno di diventare modella. Che egli sia davvero un truffatore? Oppure è tutta una fantasia di Norberto?



Sono una lettrice di Centazzo fin dai primi episodi dell’altra sua serie, quella che ha per protagonisti i poliziotti in pensione della Squadra speciale Minestrina in brodo. Egli si è sempre definito un creatore di “commedie gialle”, definizione che trovo azzeccata, e devo dire che all’interno dei romanzi ambientati a Cala Marina la componente “commedia” è ancora più marcata.


In questo romanzo (e nei due precedenti) siamo condotti all’interno di un microcosmo, quello dei piccoli paesini turistici della riviera ligure, che io, da milanese che ha come seconda casa la Liguria, conosco molto bene. In particolare io credo che le piccole stazioni locali, cuore della narrazione, siano dei luoghi dove il tempo si è fermato: non credo che ci siano state grosse modifiche dagli anni ‘60 ad oggi, al di là delle ovvie ristrutturazioni e degli schermi con gli annunci dei treni. Le edicole, i bar, i tanti regionali, i pochi binari effettivamente funzionanti (insieme a quelli “morti” sempre incautamente attraversati…) ci sono ancora e l’ambiente sembra pervaso dal medesimo clima familiare che l’autore descrive.


I personaggi che frequentano la stazione abitualmente erano interessanti fin dall’inizio, ma hanno acquistato profondità, soprattutto Norberto, che continua ad essere un po’ spaccone ed a mettere a dura prova i nervi del povero Zappa, ma dimostra anche di saper fare il suo mestiere.


Quanto all’indagine raccontata, sembra che un tema ricorrente sia la solitudine delle donne: prima la misteriosa forestiera in Tutti i giorni è così; poi Barbara, moglie insoddisfatta e nuora oberata di lavoro, che in Bevande incluse desidera la fuga; ora Maria Sole, una donna adulta, indipendente e lavoratrice che dovrebbe essere più soddisfatta di se stessa ed invece non fa che rimpiangere la mancanza di un uomo nella sua vita.


Ho notato che ogni volta che recensisco un romanzo di questa serie non posso fare a meno di inserirlo tra i “Preferiti del mese”… quindi non mi resta che sperare che usciranno nuovi capitoli delle avventure di Cala Marina!



Il film del mese


Dopo tanti mesi in cui ho riscoperto il piacere di andare al cinema, devo ammettere che con l’arrivo della stagione estiva le proposte si sono fatte un pochino meno interessanti, almeno per me, e non sono più andata a vedere nulla di nuovo. Così ho pensato di parlarvi di un film di qualche anno fa, che avevo visto e che mi era piaciuto, ma di cui non vi ho ancora raccontato nulla.


Il diritto di contare è ambientato ad Hampton, in Virginia, nel 1961, nel pieno della segregazione razziale. Ogni mattina, a bordo di una macchina che ha decisamente bisogno di manutenzione, nonché di costante benzina, ci sono tre donne afroamericane: Katherine Johnson, matematica, Dorothy Vaughan, supervisore, e Mary Jackson, aspirante ingegnere. Il viaggio è lungo e difficoltoso, la partenza è alla mattina presto ed il ritorno con il buio, e le tre donne si lasciano alle spalle tutto il giorno le rispettive famiglie, ma tutte sono molto motivate dal loro incarico al Langley Research Center, uno storico centro della NASA, al tempo il più importante.


È un momento storico: dopo il primo volo spaziale di Gagarin, la NASA sente la necessità di intensificare le sue attività e di proseguire con altri lanci. Le tre protagoniste credono molto in questa causa e sono sicure delle loro competenze in merito, ma il loro lavoro è molto difficile ogni giorno.


Dorothy svolge, di fatto, mansioni da responsabile senza esserlo davvero, trovandosi così a dover sottostare ai capricci di donne bianche che solo teoricamente avrebbero grado inferiore. Mary è consapevole di essere solo “aspirante ingegnere” perché donna e di colore, e perché frenata nella sua carriera dalla vita familiare, e prova a conseguire il titolo di studio che le manca tramite la scuola serale.


Katherine, invece, è appena stata spostata allo Space Task Group, perché tutti riconoscono le sue attività di calcolo, ma è la prima persona nera a far parte di un gruppo così importante e per lei non c’è nemmeno una toilette.


Il lancio della capsula spaziale si avvicina e, con grande determinazione, le tre protagoniste riescono a superare gli ostacoli che si pongono sul loro cammino: Katherine ottiene la fiducia di Harrison, il responsabile dello Space Task Group; Dorothy trova il modo di scongiurare il licenziamento di alcune sue colleghe, che rischiano di essere sostituite dai calcolatori elettronici; Mary, con grande fatica, chiede ed ottiene il permesso di frequentare un liceo per soli uomini bianchi. Le difficoltà, però, le attendono fino all’ultima curva della strada.


Il diritto di contare non mi ha colpito quanto The Help, che forse resta la mia pellicola preferita sulla questione razziale americana negli anni ‘60, ma è comunque un film super interessante da vedere. Katherine, Dorothy e Mary, le tre protagoniste, pagano un triplice scotto: il colore della loro pelle, il fatto di essere donne e quello di essere scienziate.


La questione razziale è presentata in maniera decisamente diversa rispetto a The Help: se lì le donne afroamericane erano da tutte considerate inferiori, ed a chiare lettere, in quanto destinate ad essere unicamente le cameriere delle donne bianche, qui la questione è più sottile. In apparenza, al Langley Research Center, tutti hanno come unico obiettivo il lavoro e non si curano di chi hanno per collega, ma di fatto, spesso subdolamente, tanti sgarbi vengono commessi nei confronti del personale di colore. Anche chi davvero non ha pregiudizi non si rende conto dei privilegi che ha finché Katherine non gli parla chiaramente dei suoi problemi (salvo poi farsi perdonare distruggendo a martellate la scritta “Bagno per neri”).


Forse meno dibattuta tra libri e film è invece la questione “Donne nella scienza”, che invece non riguarda solo l’America degli anni ‘60, ma è di straordinaria attualità. Purtroppo, anche nella nostra Italia, ancora oggi ci sono tanti mestieri che vengono classificati come “da uomo” e “da donna”. I lavori che hanno a che fare con materie scientifiche, ingegneria e calcoli, o – peggio mi sento – quelli che prevedono un impegno totalizzante ed una certa ambizione per fare carriera, sono ancora visti come appannaggio maschile da parte di tanta gente che non vuole capire che i tempi sono proprio cambiati.


Di questo genere di considerazioni a volte mi sento vittima persino io che ho scelto un percorso che in quest’ottica sarebbe considerato “da donna”: studi umanistici (perché si sa, non si possono scegliere semplicemente perché si amano, così come altre mie amiche erano innamorate della matematica), lavoro principalmente come insegnante che a quanto pare lascia cosìììì tanto tempo – mah… - da devolvere ovviamente alla cura familiare, perché un giorno è scontato che avrò una famiglia, oh, come puoi non averla?!?


Ecco, a questo genere di sciocche considerazioni questo film risponde con i fatti, presentando tre donne che con coraggio e determinazione fanno della ricerca scientifica la priorità della loro esistenza. È tratto da una storia vera… e da molte che, secondo me, aspettano ancora di essere raccontate.



La musica del mese


La parola chiave di questo mese è danza. Dopo due anni in cui abbiamo dovuto rinunciare al nostro spettacolo di fine anno, qualche settimana fa siamo finalmente tornati sul palco, così oggi vi racconto con quali musiche sono tornata sotto le luci della ribalta!



Con il mio corso di moderno, che ho frequentato il lunedì ed il giovedì, ho preparato due pezzi molto diversi tra di loro: Jerusalema, che trovate a questo link, e Di sole e d’azzurro di Giorgia, il cui video è qui.



Tutte noi “grandi”, classico e moderno insieme, abbiamo preparato altri due pezzi. Il primo è una danza irlandese, Reel around the Sun, che è stata il nostro finale, e che trovate a questo link. Il secondo è un medley di varie musiche che sono state sigle del vecchio programma Studio Uno: Quelli belli come noiSe telefonando e La notte è piccola per noi.

Si tratta di due brani che avevamo iniziato a preparare tra gennaio e febbraio del 2020… una soddisfazione immensa portarli sul palco. Abbiamo dovuto aspettare tanto… ma ne è valsa la pena!


Un po’ per caso sono finita dentro ad un pezzo del corso di classico, Lo spettro della rosa. Ho interpretato il ruolo di una principessa che torna a casa da un ballo con una rosa in mano e danza felice. Poi si addormenta e, sulle note di A million dreams, gli spiriti del sogno vengono a trovarla…



Il sesto ed ultimo pezzo che ho portato sulla scena è la mia variazione, sulle note di Take me to church. Salire sul palco da sola è sempre stato l’impegno più grosso per me, anche e soprattutto dal punto di vista emotivo… figuriamoci dopo un paio di anni così inusuali! Ma è andata più che bene...



La poesia del mese


Per questo mese ho scelto un componimento di Giosué Carducci, intitolato proprio Giugno.


È il mese dei prati erbosi e delle rose;

il mese dei giorni lunghi e delle notti chiare.

Le rose fioriscono nei giardini, si arrampicano

sui muri delle case. Nei campi, tra il grano,

fioriscono gli azzurri fiordalisi e i papaveri

fiammanti e la sera mille e mille lucciole

scintillano tra le spighe.

Il campo di grano ondeggia al passare

del vento: sembra un mare d’oro.

Il contadino guarda le messi e sorride. Ancora

pochi giorni e raccoglierà il frutto delle sue fatiche.



Le fotografie del mese



Della sera del 6 giugno e dello spettacolo vi ho già detto praticamente tutto, anche in questo post… metto solo una foto scattata subito dopo il finale irlandese, con tutte noi felici e soddisfatte dopo aver realizzato il nostro sogno di aver di nuovo calcato il palco dopo il momentaccio!



Questa in realtà è una foto dell’ultimo weekend di maggio, ma non ho avuto modo di postarla prima! Sono riuscita a fare una scappata a Varazze in occasione del grande ritorno del “Cundigiùn”, una sagra gastronomica che capita solo una volta all’anno e che per ovvi motivi non si faceva dal maggio 2019. Fortunatamente sabato il clima era molto bello e caldo e sono riuscita a fare il mio primissimo bagno (ghiacciato) della stagione!



Domenica 19 giugno io e la mia amica Mara ci siamo concesse un piccolo grande regalo di inizio estate: lo spettacolo Bolle and Friends al Teatro degli Arcimboldi! Ne parlo meglio in questo post.



Oggi è una giornata molto speciale! Come vi raccontavo meglio in questo post, per il secondo anno consecutivo ho lavorato in un Istituto Comprensivo del mio paese… ed oggi è il mio ultimo giorno! Sono sempre più grata di quest’esperienza che mi ha fatto crescere professionalmente e scoprire modalità d’insegnamento per me nuove, un po’ diverse da quelle che ho conosciuto con i miei studi e le mie prime supplenze, ma ugualmente stimolanti. Oggi lunghissima giornata… e poi mi attende l’estate!




E questo è tutto per il mio giugno!

Da domani ha inizio la mia estate, un tempo sicuramente “sospeso” per noi precari della scuola, ma anche di riposo e divertimento. Un periodo che in tanti giorni di questo fine anno ho invocato ed aspettato con ansia, ma che ora mi coglie quasi...impreparata? Con tutte le emozioni delle ultime settimane, mi sento come se stessi ancora correndo (letteralmente, tra bimbi e balletti...) e dovessi re-imparare a fermarmi. Ma è la cosa giusta da fare: oltre alla stanchezza mentale che inizia sempre a salire da inizio maggio in avanti, quest’anno anche il corpo chiede proprio relax e ripresa. Che dire, andare in vacanza è un duro mestiere, ma qualcuno dovrà pur farlo…!

Vi terrò compagnia con il blog ancora per il mese di luglio, poi in agosto farò la solita pausa. Nel frattempo attendo i vostri commenti per sapere com’è andato il vostro giugno!

Grazie per la lettura, ci risentiamo in luglio :-)


lunedì 27 giugno 2022

BOLLE AND FRIENDS

 Uno splendido pomeriggio di danza al Teatro degli Arcimboldi




Cari lettori,

oggi sono felicissima di iniziare la settimana con un post speciale della rubrica “Consigli per gli amanti della danza”!

Domenica 19 giugno sono andata con la mia amica Mara al Teatro Arcimboldi per un appuntamento che attendevo con impazienza da settimane: lo spettacolo Bolle and friends! Devo ammettere che senza Mara, sempre molto attenta alle offerte di TicketOne ed agli eventi di Milano città, non so se sarei riuscita a trovare i biglietti, ma in ogni caso sono felicissima di averlo fatto.

Oggi vi propongo la mia recensione, che forse sarà fatta più di sensazioni ed emozioni che di cronaca, ma… potete immaginare la gioia di una ballerina dilettante come me davanti ad uno spettacolo così bello!



La struttura dello spettacolo


Chi come me ha visto le cinque edizioni di Danza con me, lo spettacolo di Roberto Bolle che viene abitualmente trasmesso la sera del 1 gennaio su Rai Uno, può farsi un’idea di come funzioni lo spettacolo Bolle and friends.


Anche in questo caso Roberto Bolle è il protagonista assoluto, talvolta da solo, talvolta in compagnia di ospiti di altissimo livello. Tra un numero che lo vede protagonista ed un altro ci sono altre esibizioni di artisti provenienti dal Royal Ballet di Londra, dal San Francisco Ballet e da altre importantissime realtà del balletto mondiale.


Rispetto a Danza con me, il tono è sicuramente meno da varietà televisiva e più teatrale. Inoltre, se in tv Roberto Bolle si è dilettato anche a far ballare personaggi che nulla hanno a che fare con la danza, qui egli è tra colleghi. Infine, la scelta delle musiche è decisamente classica, o almeno classicheggiante: anche i brani che non appartengono proprio ad un repertorio tradizionale sono comunque melodie che si ispirano alla classicità, senza testi di accompagnamento. La musica leggera, le atmosfere da musical ed altri generi che Roberto Bolle ha portato in tv sono stati qui messi da parte a favore di un repertorio più settoriale.



Roberto Bolle protagonista...


Lo spettacolo dura circa due ore senza intervallo ed è composto da dieci esibizioni, a volte costituite da brani singoli, altre volte da medley.


Roberto Bolle si esibisce in due assoli tra loro molto diversi, ma che mi hanno molto colpito per la loro intensità. Il primo, su una musica di Ezio Bosso, In your black eyes, è un omaggio al compositore scomparso, tra gli abiti neri e l’interpretazione drammatica. Il secondo, Duel, mi ha colpito moltissimo per la straordinaria capacità che ha dimostrato Bolle nel danzare unicamente sul suono delle percussioni di un bravissimo batterista, senza una vera e propria melodia, che di solito permette a chi danza sul palco di collegare i movimenti tra di loro… non muoversi a scatti, quando tutto quello che hai a disposizione è il ritmo imposto dalla batteria, è davvero una prova complessa!


Gli altri tre numeri in cui Bolle si esibisce prevedono una vecchia conoscenza dei suoi fan ed una new entry, almeno per me.


Due esibizioni sono in coppia con Melissa Hamilton, l’étoile del Royal Ballet di Londra che ormai da tempo collabora con Bolle. I Tre Preludi classici con pianoforte dal vivo mi hanno emozionato, anche per l’originalità dell’utilizzo della sbarra. Quello che però mi ha commosso – e non per modo di dire – è stato vedere dal vivo L’Altro Casanova, un brano che avevo visto su Rai Uno tempo fa. Ricordo di aver visto in pieno lockdown una replica di Danza con me, la sera della Giornata Internazionale della Danza; questo era uno dei miei brani preferiti, e, credetemi, mi sembra di sentire ancora adesso il morso acuto della nostalgia per il mondo della danza e l’insita consapevolezza che quell’anno, per la prima volta, avremmo dovuto annullare il nostro spettacolo, perché ormai maggio era alle porte e tutto era chiuso. Ecco, posso dirvi con tanta emozione che rivedere quel balletto che mi era piaciuto tanto, dal vivo, in un teatro gremito, in compagnia di un’amica e due settimane dopo il mio personalissimo ritorno sul palco… ha tutto un altro sapore!


Un’ultima esibizione di Bolle, Sentieri, è invece in collaborazione con due artisti, Casia Vengoechea e Toon Lobach: un trio di virtuosismi in cui talvolta l’étoile danza seguendo gli altri due protagonisti, talvolta si discosta.



...and friends


Tra le cinque esibizioni di altri artisti, il repertorio classico la fa da padrone. Le stelle internazionali Anastasia Matvienko, Bakhtiyar Adamzhan, Fumi Kaneko, Vadim Muntagirov e Misa Kuranaga si alternano sul palco per una serie di pas de deux e variazioni singole sulle note di tre grandi titoli della tradizione: Il Corsaro, Il lago dei cigni e Don Chisciotte.


Ho notato alcune analogie tra le coreografie che sono state proposte; non so se è stata una scelta voluta o se dipenda soprattutto dal fatto che alcuni tòpos della danza classica si ripetono quasi in ogni balletto famoso, ma ho visto una gran quantità di gran jeté e acrobazie da parte degli uomini, e soprattutto invidiabili serie di giri con fuettés compiuti dalle ballerine (fino a 32), che non hanno proprio giovato alla mia autostima da ballerina dilettante. Uno dei segreti più importanti di questo tipo di passi (o anche solo dei giri “normali”) è il modo di fare girare la testa, in maniera indipendente rispetto al corpo… e niente, sono praticamente vent’anni che ci provo, ed alla “sostanza” sono arrivata, ma… quando vedo la pulizia del movimento e l’agilità dei professionisti, resto ancora un pochino delusa.


Unico numero che potremmo definire contemporaneo tra quelli dei “friends” di Bolle è O, una lunga esibizione di Casia Venhoechea e Toon Lobach, gli stessi artisti di Sentieri: un balletto molto strano, sicuramente originale, ma ipnotico, che evidenzia una scioltezza del corpo davvero invidiabile.



Un atteso ritorno in scena!


Durante questi due anni difficili di lockdown e zone rosse, che per noi amanti della danza amatoriale si sono tradotti in serrate, videolezioni da casa e spettacoli annullati, ho seguito con piacere ed interesse Roberto Bolle ed altri suoi colleghi sui social. Mi ha colpito la determinazione che hanno dimostrato nel portare avanti delle giuste battaglie per i lavoratori dello spettacolo, non solo per loro stessi che sono le étoile, ma anche per tutti coloro che stanno dietro alle quinte e sono stati in cassa integrazione o in altre situazioni difficili per mesi e mesi.


Quando ho saputo dello spettacolo Bolle and friends, mi è sembrata la cosa più giusta festeggiare il mio ritorno alla danza in presenza e sul palcoscenico… facendo da spettatrice per una sera, finalmente dal vivo e non più in tv.


Credo che, senza ulteriori discorsi, tutti voi abbiate capito che sono rimasta davvero incantata da questo spettacolo. Sapevo di aver scelto qualcosa di qualitativamente molto alto, ma non mi aspettavo un simile tornado di emozioni. Giugno è da sempre, per me, il mese della danza, e quest’anno mi sono tolta delle belle soddisfazioni sia come ballerina che come spettatrice.





I gala milanesi si sono conclusi proprio ieri, ma so che lo spettacolo andrà avanti in tante importanti città d’Italia per tutta estate. Voi andrete?

Avete mai visto una delle edizioni di Bolle and friends? Vi è piaciuto lo spettacolo?

Oppure, proprio come me, siete stati agli Arcimboldi in questi giorni?

Fatemi sapere!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 23 giugno 2022

DALLA PARRUCCHIERA

 Storytelling Chronicles: giugno 2022



Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di giugno con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Per i tre mesi estivi, la nostra amministratrice Lara ha pensato ad un’organizzazione un po’ più libera rispetto al nostro solito: ci ha lasciato tre “compiti delle vacanze”, uno per ogni mese, senza però obbligarci a pubblicare nel mese esatto.


Voi però sapete ormai che io sono piuttosto precisina, così ho pensato di proporvi comunque in giugno ed in luglio i “compiti delle vacanze” corrispondenti, mentre in agosto farò la solita chiusura del blog (anche se non è escluso che recuperi il terzo tema in settembre).


Il compito di giugno era decisamente intrigante: “Il giorno 14 giugno, ore 16.50, guardate alla vostra destra: il primo oggetto che il vostro occhio osserverà, sarà il protagonista del vostro racconto”.


Ecco, ammetto di non averlo fatto proprio apposta, dal momento che il calendario di giugno è, ehm, pienotto. Vi dico solo che ho appeso il calendario del Wwf in cucina, che la foto di giugno è quella di un cucciolo di leoncino ed io ogni volta che lo guardo penso “Ecco giugno, un mese da leoni”. Fatto sta che il 14 sono riuscita ad incastrare la parrucchiera, e così alla mia destra, ma pure alla mia sinistra, in alto e in basso, c’erano solo attrezzi da lavoro, lavandini, specchi e caschi. Ho pensato così di ambientare il mio racconto proprio in un negozio di acconciature. So che teoricamente il nostro “Summer Countdown” è finito, ma ne è uscito fuori comunque un racconto tutto dedicato all’attesa dell’estate. Vi lascio alla mia storia Dalla parrucchiera, sperando che vi piacerà!



DALLA PARRUCCHIERA


Ancora due colpetti di forbice e potrò alzarmi, pensa Martino con un leggero sospiro d’impazienza. Non aveva previsto di passare dalla parrucchiera quel pomeriggio, ma il martedì non c’è mai molta gente e lui ha proprio bisogno di una risistemata. Mentre si guarda allo specchio, egli non può fare a meno di notare che oggi Sarah ha utilizzato una tecnica nuova per il suo solito taglio da dieci euro. Con i capelli riportati tutti a sinistra ed ancora bagnati, sembra davvero un vecchietto pronto per la villeggiatura… cosa che in effetti è.

Tutti pensano che i pensionati abbiano tempo da buttare via, giornate infinite ed uno strano, ingiustificabile desiderio di tenere occupati con le loro richieste per nulla urgenti gli altri, che invece hanno tanto da fare, perché lavorano ed il loro tempo è contato.


Invece Martino ripensa spesso con nostalgia ed una punta di rimpianto alla sua bottega di falegname, quella che ha dovuto chiudere subito dopo il suo pensionamento perché suo figlio ha studiato altro e comunque si sa che l’artigianato svolto con metodi tradizionali non rende più. Se chiude gli occhi, mentre le forbici di Sarah continuano a lavorare, riesce a risentire tutti i suoni dei suoi vecchi attrezzi: ognuno aveva una sua particolare sonorità, come gli strumenti di un’orchestra sinfonica che non va mai fuori tempo. Gli piacerebbe ritrovarsi ancora lì a tagliare con precisione un'asse di legno, a ripassare con la carta vetrata una punta piena di spigoli, a piantare chiodi tra lastre perpendicolari ed iniziare a vedere che si sta lentamente componendo lo scheletro di un mobile. Non che ora non lo faccia mai; semplicemente non è la stessa cosa. Un tempo era un lavoratore, ora è un pensionato hobbista.

A casa sua ci sono due garage; nel primo c’è la sua vecchia utilitaria, al quale egli cerca di allungare la vita il più possibile; il secondo ha ospitato per qualche anno la macchina nuova da neopatentato di Alessandro, suo figlio, ed ora è diventato una sorta di laboratorio. Lì Martino può rivivere tutte le gioie e le fatiche della sua professione, componendo mobili per casa sua, o per amici e parenti, in tutta tranquillità… almeno così credeva all’inizio. Da quando Alessandro è diventato padre, egli ha scoperto di essere stato appena assunto per una professione molto più complessa e totalizzante: il nonno.


Quest’autunno Gioia compirà sei anni; Gabriele, invece, ha appena spento quattro candeline. E questo martedì Martino ha una gran fretta perché domani mattina lui, la moglie ed i nipotini si metteranno in macchina circondati da valigie piene di utile e (molto più) futile, galleggianti a forma di fenicottero rosa, sporte di spesa avanzata che è un peccato non portarsi da casa e borse termiche piene di acqua e di succhi. Direzione Riviera Ligure, per quindici giorni di relax (la sola parola gli fa ridere e spostare la testa, che Sarah prontamente gli raddrizza), in attesa che anche i genitori dei bambini inizino le tanto sospirate ferie. La vigilia della partenza è sempre un momento frenetico, soprattutto quando ci sono di mezzo i bambini, ma Martino si sente felice: anche lui, proprio come i suoi nipoti, adora il mare. Solo, ogni tanto, negli ultimi giorni, prova una strana sensazione. Come se avesse tre desideri da chiedere ad un fantomatico genio della lampada.



Vorrei che i miei nipotini, qualche volta, smettessero di correre e di saltarmi intorno per sedersi ad ascoltare qualche storia del loro vecchio nonno.

Per una volta, mi piacerebbe andare in vacanza con mia moglie da solo, come ai vecchi tempi. Magari sui monti, a prendere un po’ d’aria fresca dopo tutto quel sole e quella salsedine.

Spero che i miei mobili resteranno nelle case dei miei ex clienti per generazioni, anche quando della mia bottega non sarà rimasto nemmeno il ricordo.


* * *


Tra effetto balayage, shampoo e taglio oggi ci vorrà un po’, considera pensierosa Giuditta. Mentre osserva Sarah girare intorno a lei con spatola e stagnole, pronta ad impacchettare i suoi capelli una ciocca sì e due no per regalare delle sfumature di castano ramato ai suoi lunghi capelli neri, si rende conto che la radio è stranamente spenta. Eppure lei ha continuato a canticchiare per tutta la durata dell’operazione tricologica. Non riesce a togliersi di testa quella canzone che si intitola Più felice che mai e invece forse non ha molto a che fare con la felicità. Non è un brano sereno e spensierato, uno di quelli che ti capita di sentire in radio ad inizio giugno, la solita sequela infinita di feste, falò sulla spiaggia ed amori improvvisi. Happier than ever è una canzone sul sollievo, sulla sensazione di aver “scansato un fosso” - come diceva la nonna di Giuditta -, di essersi liberati da una situazione tossica.


Al centro della storia c’è la relazione di una donna con l’uomo sbagliato, ma Giuditta è single da più di due anni e davvero non sa spiegarsi perché nelle ultime settimane si sia ritrovata a cantare quella canzone con tanto sentimento – rabbia, se vogliamo dargli un nome. Proprio ora, però, mentre Sarah la obbliga a non avere nulla da fare ed a pazientare, si chiede se le parole del brano, specie dell’ultima strofa (un vero colpo al cuore) non si possano riferire anche a situazioni diverse dalla relazione amorosa. Ad un gruppo di amici che tale non è, per esempio.

Subito dopo la fine della sua storia con Lorenzo, Giuditta si era sentita molto sola. Si era fatta prendere dallo sconforto, dai discorsi retorici su quanto è difficile rifarsi una vita sentimentale (o anche solo dalle amicizie) dopo i trenta, da una sensazione di vuoto che la terrorizzava. Certo, c’erano la sua famiglia d’origine, le sue due amiche del cuore, il suo lavoro da impiegata in un ufficio con qualche collega un po’ anziana e rassicurante con cui si era sempre trovata bene, ma tutto questo, all’improvviso, non le bastava.


Un po’ per noia ed un po’ per tristezza, si era fatta trascinare da un vecchio amico di Lorenzo, forse rattristato dalla loro rottura, ad una serata con una compagnia del paese piuttosto vasta: persone che in parte conosceva dall’adolescenza e che in parte non aveva ancora avuto occasione di incontrare. A poco a poco Giuditta era integrata nel gruppo – o almeno così le sembrava – e per lei era iniziata una lunga serie di serate divertenti, vacanze programmate nelle località più esclusive d’Italia e d’Europa, domeniche fuori porta tra grigliate, gite ed altro ancora. Le piaceva sentirsi ancora come una studentessa universitaria a caccia di indipendenza nel tempo libero; le sembrava di aver trovato nuove amicizie femminili a portata di mano, con le quali condividere la sua quotidianità; si era persino divertita a flirtare con un ragazzo del gruppo.

Ben presto, però, la situazione aveva iniziato a prendere un’altra piega. E lei per troppo tempo aveva chiuso gli occhi volontariamente davanti a ciò che non andava.


Non ho niente a che fare con te, no, perché io non tratterei mai me stessa così male. Ancora le parole di quella canzone che tornano a tormentarla. È che purtroppo non è facile rendersi conto progressivamente che per le persone che tu consideri ormai care sei una sorta di presenza in più, utile a fare numero, ma della quale nessuno, in fondo, sente la mancanza quando non c’è. Tu mi hai fatto odiare questa città. Giuditta si è resa conto, giorno dopo giorno e suo malgrado, dell’imbarazzante chiusura mentale di tante delle persone di quel giro, delle loro battutacce medioevali, della loro pruderie camuffata da ironia, e si è chiesta per mesi se davvero tutti i suoi concittadini siano così o se si tratti soltanto di una sfortunata coincidenza. Tu eri il mio tutto, e tutto quel che hai fatto è stato rendermi incredibilmente triste. Ormai Giuditta stava iniziando a considerare quelle persone come una sorta di “chosen family”… ed invece si è ritrovata a doversi difendere dalle cattiverie, a scoprire profondi disaccordi all’interno della compagnia stessa, a dover fare finta di divertirsi all’ennesima serata di finta allegria, avendo peraltro la sensazione di non essere l’unica a recitare. Quindi non sprecare il tempo che non ho. Soltanto ora che il dispiacere per la rottura con Lorenzo si è definitivamente dissolto, Giuditta comprende di aver sempre avuto una vita piena, con un lavoro che le piace, poche persone fidate, tanti interessi. E di non avere più tempo per la ricerca di un divertimento a tutti i costi con persone che non si sforzano neanche di conoscerla meglio. E non provare a farmi sentire male, potrei parlare di tutte le volte che ci sei stato quando ho avuto bisogno di te, ma avrei una pagina vuota, perché non l’hai mai fatto. Perché alla fine lei c’è stata sempre per quei cosiddetti amici, ma ha dovuto affrontare da sola i momenti di dolore e di sconforto. Non c’è nulla di peggio di quando ti rendi conto di essere sempre andata incontro a qualcuno con energia positiva ed entusiasmo, e di aver ricevuto in cambio indifferenza nel migliore dei casi, una sonora porta in faccia in tutti gli altri.


Mentre Sarah toglie i quadratini di stagnola sotto il getto del lavandino e le restituisce i suoi capelli in colorazioni diverse, Giuditta sente che nello scarico stanno finendo anche la rabbia ed il dispiacere. Per la prima volta dopo tanto tempo si sente cresciuta, sicura e pronta ad iniziare un nuovo capitolo. E l’inizio dell’estate è il momento migliore per ricominciare. È stufa di pseudo divertirsi a Ibiza e Mykonos finendo poi per litigare tutti i giorni perché si è in troppi e tanto diversi. Quest’anno mare in tranquillità con le sue due amiche vere.




Vorrei godermi finalmente la libertà di essere me stessa con le persone che amo, o anche da sola, facendo quel che voglio quando voglio.

Mi piacerebbe avere dei momenti di pace quest’estate in cui mi godo il momento, vivendo appieno un periodo tanto atteso, invece di essere sempre presa dall’ansia di dover dimostrare agli altri che mi sto divertendo.

Spero di ricordare per sempre queste mie sensazioni, perché mi sa che sì, un fosso l’ho scansato davvero.


* * *


Un taglio veloce e dopo potrò tornare a casa, pensa Veronica. Mentre Sarah le poggia sulle spalle la mantellina colorata, ella guarda il suo riflesso nel lungo specchio rettangolare, dai capelli bagnati alle scarpe da ginnastica semi nascoste sotto i jeans.


Lavora con i libri e la cultura, quindi in ufficio le è consentito essere informale. Anche perché è l’ultima ruota del carro. “Hai solo ventisei anni e tutto il tempo che vuoi per fare esperienza”, le dicono. Il che significa che ha ancora poco più di tre anni per tentare con gli stage a quattrocento euro al mese, poi nel giro di una notte passerà da troppo giovane a troppo vecchia.


Nella casa editrice dove lavora adesso è riuscita a strapparne quattrocentotrentatré, che le accreditano ogni due mesi perché evidentemente non vale la pena di emettere un assegno così misero e così di frequente. Ora che è arrivata l’estate vorrebbe rilassarsi, ma non può. I suoi sei mesi scadranno proprio con l’inizio di agosto, e la sua responsabile le ha detto di non aspettarsi nulla nel mese per eccellenza delle ferie, ma che “Vedrai, per settembre ci sarà sicuramente bisogno di te, insomma, io sono ottimista”. A Veronica piacerebbe considerare l’attestato di stima della sua responsabile come una garanzia di essere richiamata, ma già una volta ci è caduta ed il risultato è stato un mese trascorso a piangere davanti al telefono che non squillava.


Ella sa di non avere più molto tempo a disposizione per tentare di entrare in una casa editrice come impiegata vera e propria. Se continua a fare stage per altri tre anni, dopo i trenta diverrà quella che “se non è stata assunta c’è un perché” (ha amiche più grandi a cui questa frase è stata ripetuta più volte durante i colloqui) e dovrà mettersi a cercare in altri settori, sperando che siano meno complessi di quello dell’editoria. Oppure si dovrà inoltrare nel campo minato del libero professionismo e della partita IVA.


Desidererebbe con tutte le sue forze proseguire nel suo attuale posto di lavoro. O meglio, questo è quello che le suggerisce l’istinto di sopravvivenza che pulsa in lei come una bestia affamata, soprattutto le notti in cui non riesce a dormire pensando che solo l’altroieri aveva a che fare con le sessioni estive ed ora ha paura di essere, in un certo senso, già troppo grande. In realtà, se chiude gli occhi ed ascolta solo le forbici di Sarah che si muovono ritmicamente, si rende conto che la sua parte emotiva, più sincera, non vuole sempre fortemente quel posto. Il viaggio sui mezzi pubblici è abbastanza lungo e scomodo; più volte si è ritrovata a dover rimandare impegni importanti per un problema che le è stato rovesciato addosso all’ultimo minuto; è dovuta venire a presidiare l’ufficio persino il 2 giugno (che si tratti di una casa editrice monarchica?). Inoltre, ella da tempo ha capito che non è proprio tutto oro ciò che luccica. In nome della lettura e della cultura, fini generalmente considerati “alti” ed importanti, ella ha visto colleghi e responsabili giustificare dei mezzi… come minimo discutibili.


Nonostante tutto questo, Veronica vorrebbe rimanere. Perché crede ancora che sia possibile lavorare nel mondo dei libri e della cultura cercando di restare fedeli a se stessi. Perché avere un posto dove, pur con i soliti alti e bassi, le cose nel complesso funzionano la fa sentire adulta ed indipendente. Perché – e questo è quello che le costa di più ammettere – anche se questo posto non è il top, questo posto è meglio, meglio di tante cose che nei suoi due anni e mezzo da neolaureata ha già visto: i colloqui truffa, le giornate “di prova” non pagate con sparizione annessa, i contratti recisi da un giorno all’altro senza preavviso, il mobbing.


E mentre Sarah tira fuori spazzola tonda e phon per sistemarle la piega, ella vorrebbe tanto dare un taglio a tutte le sue preoccupazioni. I suoi desideri sono come una marea discontinua, fatta di onde che cozzano l’una contro l’altra.



Vorrei avere la forza di dirmi che nelle prossime sei settimane farò semplicemente del mio meglio, e che poi mi merito le vacanze.

Mi piacerebbe staccare ad agosto con serenità, anche se mi accontenterò della casa in montagna con mamma e papà, perché già mi vergogno a non essere indipendente, figuriamoci a chiedere i soldi per un viaggio.

Spero che l’estate mi insegnerà a vedere il mio futuro con meno paura e più fiducia in me stessa.



* * *


È solo martedì, pensa Sarah spazzando il pavimento del negozio. Il martedì dei parrucchieri è il lunedì della maggior parte delle persone, ma questo per lei non è un problema, anzi, si ripete questa frase con una velata allegria. È solo martedì e lei ha già portato a casa un ottimo risultato per quanto riguarda i suoi due lavori.

Sì, perché Sarah sa bene di essere sia una parrucchiera che una collezionista di storie. Le legge tutte negli occhi dei clienti, tra un tic nervoso con la gamba che denota impazienza, un sospiro soddisfatto mentre scorre l’acqua del lavandino ed uno sguardo fisso ma assente allo specchio.

Oggi crede di averne sentite tre davvero interessanti; tre classici, se vogliamo, ma proprio per questo sempre attuali.

Manca esattamente una settimana al Solstizio d’Estate ed all’inizio della stagione delle giornate infinite, dei tramonti pieni di speranze, delle serate tiepide e piene di luci. Sarah sa che i clienti lo sentono, perché giugno è il mese in cui, in assoluto, raccoglie più storie. E stasera, proprio all’inizio di una settimana che sa già le regalerà moltissime emozioni, vorrebbe anche lei esprimere i tre desideri che i suoi clienti hanno espresso durante il pomeriggio.



Vorrei che Martino trovasse il coraggio per abbracciare una nuova fase della sua vita e si godesse tutto quello che il suo presente può offrirgli, senza nostalgia per ciò che non può ritornare.

Spero che Giuditta comprenda che essere felici e voler dimostrare a tutti di esserlo (anche a se stessi) sono cose ben diverse, e che duecento sconosciuti che riempiono la tavola non hanno lo stesso valore di due veri amici.

Spero di vedere tornare Veronica sorridente dalla montagna, consapevole che, qualunque cosa accadrà, la sua vita è molto più grande della decisione altrui di farla lavorare o meno.



Con un ultimo sorriso soddisfatto, Sarah dà tre mandate alla porta del negozio e si allontana nella notte. Tiepida e piena di luci. E di promesse di storie.



FINE




Eccoci arrivati alla fine!

Come sempre, aspetto i vostri commenti per sapere che cosa ne pensate! Vi invito anche a leggere, come al solito, gli altri post con il banner della rubrica Storytelling Chronicles… così scoprirete qual è l’oggetto o il luogo prescelto dalle mie compagne d’avventura!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)