domenica 17 marzo 2024

L'ANGOLO VINTAGE 2.0 - MARZO 2024

 



Cari lettori,

appuntamento straordinario di domenica – con tanto di festa del mio paese – perché è il 17 del mese e quindi è il momento de “L’angolo vintage”!


Con il post di oggi continuo a smaltire la mia pila immaginaria di ebook romance di cui avevo fatto scorta nel 2020 perché, per via dell’iniziativa #Ioleggoacasa, erano stati messi in promozione gratuita. Di sicuro ne ho ancora a disposizione e devo dire che questa rubrica mi è utilissima… sia per le recensioni che per cambiare un po’ genere, perché forse, nell’ultimo mese e mezzo, ho letto troppi gialli/thriller e dopo qualche tempo stare sempre sul medesimo genere mi stufa.


I romance di oggi sono entrambi caratterizzati da un pizzico di enemies to lovers (anche se forse non appartengono propriamente a questo sottogenere), sono uno di un’autrice straniera e l’altro di una scrittrice self nostrana, e sono piuttosto carini! Vediamoli meglio insieme…



Tutto l’amore che voglio, di Corinne Michaels


Catherine Pope, la protagonista di questa storia, è una giovane donna che è già stata delusa a sufficienza dagli uomini della sua vita: il padre l’ha fatta soffrire, l’ex fidanzato Neil l’ha lasciata ad un passo dal matrimonio ed in quello che è davvero il peggiore dei modi.


Catherine è una ragazza che ama avere tutto sotto controllo, ma la vita privata pare sfuggirle. Così ella decide di investire tutto il suo impegno nel suo lavoro come pubblicitaria: le ore in ufficio non sono mai abbastanza per lei, ed i suoi clienti sono molto soddisfatti.


Un giorno ella si ritrova di fronte Jackson, un committente davvero atipico, per almeno due motivi. Il primo è che i due, come quasi da tradizione nelle commedie romantiche, si sono già incontrati praticamente per sbaglio. Il secondo è che egli è amministratore delegato di un’azienda di cosmetici e prodotti di bellezza, e questa sua nuova attività è piuttosto incongruente con il suo passato di ex militare.


Ottenere il lavoro è piuttosto difficile, perché Neil e la sua nuova compagna, la donna che ha preso il suo posto con prepotenza, fanno davvero di tutto per mettere i bastoni tra le ruote a Catherine ed ai suoi collaboratori. A sorpresa, però, Jackson rimane colpito proprio dalla proposta lavorativa della nostra protagonista e decide che sarà lei ad affiancarlo per le campagne pubblicitarie.


Già pochi giorni dopo i due partono per una trasferta che permette a Catherine di conoscere meglio Jackson, anche se i dubbi sul suo conto si moltiplicano: l’uomo è rimasto molto legato all’ambiente militare, ha aperto un’azienda nel ramo della sicurezza con degli ex commilitoni, e sembra dover mandare avanti la ditta di cosmetici per forza, come se fosse un debito da pagare o una promessa da mantenere.


Tra Cat e Jackson nasce un’inevitabile attrazione, ma entrambi dovranno combattere una serie di fantasmi del passato prima di poter dare inizio ad un nuovo capitolo delle loro vite.



Tutto l’amore che voglio, come dicevo prima, si presenta come una sorta di enemies to lovers, ma più si va avanti con la lettura e più altri due “tropes” prendono il sopravvento: l’office e il military.


La vita di Cat, ragazza in carriera delusa nel privato che sarebbe la perfetta protagonista di una rom-com, è quasi tutta compressa nel suo ufficio, dove però, ahinoi, si ritrova ad avere a che fare con l’uomo che le ha spezzato il cuore e con la sua amante clandestina. Sempre il lavoro, tuttavia, le dà la possibilità di ricominciare ad essere felice, sia con delle nuove soddisfazioni professionali che grazie a Jackson. Personalmente tendo a dubitare – molto – di queste storie in cui professionale e privato si intrecciano ed un unico posto diventa sia il luogo del lavoro che quello del batticuore: credo che la dura realtà sia molto più prosaica e che storie di questo genere siano spesso destinate a finire male, o ad essere piantate a metà con rabbia di fronte ad un caffè e ad una riunione. Tuttavia, visto che stiamo parlando di un ebook romance, ho messo in pratica volentieri un po’ di sospensione dell’incredulità (senza contare che, a dispetto di una scetticona come me, sono tante le persone che in effetti si innamorano in ufficio).


Non ho nemmeno grande simpatia per le storie in cui i militari sono eroicizzati, ma mi rendo anche conto che in America su questo tema la pensano in modo diverso da noi. Comunque devo dire che l’elemento military ci regala dei colpi di scena niente male ed un finale che necessita assolutamente di una continuazione!


So che c’è un sequel: non l’ho ancora scaricato ma prima o poi vorrei farlo. Ho già letto un romanzo che Corinne Michaels aveva scritto insieme ad un’altra autrice e, anche se nessuna delle due storie è proprio memorabile per i miei gusti, la trovo comunque una storia gradevole. È una buona lettura d’intrattenimento, soprattutto per chi apprezza i “tropes” di cui vi ho detto.


Vi farò sapere se leggo il seguito!



I’m yours, di Katia Arduini


Eroina di questa storia è Julia Torres, una ragazza di venticinque anni che vive a Los Angeles ed è madre single di un bambino di sei. Il piccolo è molto bravo e maturo, ma il padre è del tutto inaffidabile: prima è sparito per qualche anno, ora è tornato con pretese di paternità e mostrandosi – piuttosto scioccamente – geloso di Julia. Fortunatamente ella ha dalla sua parte due genitori presenti e comprensivi, che sono anche degli ottimi nonni, e l’amica del cuore Paula, con la quale condivide il lavoro come cameriera. Un’esistenza piuttosto tranquilla ed ordinaria, la sua.


Niente a che vedere con quella di Kenneth Brent, un giovanissimo produttore cinematografico che ha ereditato l’impero paterno e vive un’esistenza decisamente sregolata nella città degli angeli. Quando non lavora e non si allena, egli passa il suo tempo libero tra i locali, a caccia di conquiste che per lui sono sempre molto facili, grazie alle sue fatue promesse di lavoro nel mondo del cinema. Anche se egli racconta – soprattutto a se stesso – di avere il meglio di tutto, in realtà il suo è il classico profilo di un uomo solo: genitori anaffettivi con cui ha troncato i rapporti, amicizie di convenienza, un ricordo molto traumatico del passato che continua a condizionare il suo presente. I suoi unici veri amici sono il personal trainer Braxton e l’anziano autista Robert (due uomini dotati di grande pazienza, se volete un parere non richiesto).


Un giorno, per caso, sulla spiaggia, il piccolo di Julia ci mette lo zampino e questi due mondi così agli antipodi si scontrano. All’inizio, sia al mare che al bar dove lavora la nostra protagonista, Julia e Kenneth non si piacciono, o meglio, si attraggono molto ma finiscono quasi sempre per litigare (come spesso capita negli enemies to lovers). Pian piano, però, lui inizia ad apprezzare i valori di Julia e la tranquillità che lei gli infonde, e lei, d’altro canto, si sente nuovamente corteggiata e cercata da un uomo sicuro di sé, dopo essere stata ripetutamente delusa da un indeciso cronico.


Il passato traumatico di lui e la paura di impegnarsi nuovamente di lei, però, saranno ostacoli da considerare.



È la prima volta che leggo un romanzo di Katia Arduini e nel complesso il mio parere è positivo. La scrittura non è complessa, ma scorrevole e godibile. I personaggi sono abbastanza in linea con una serie di cliché, ma ci sono qua e là delle piccole scintille di originalità, soprattutto nei secondari. Purtroppo un trope su cui ho ancora più dubbi del military è quello del playboy che “si redime” con una brava ragazza: insomma, sappiamo tutti che il lupo perde il pelo ma non il vizio… ma il percorso di Kenneth è piuttosto convincente, quindi, anche in questo caso, viva la sospensione dell’incredulità.


Come si suol dire sul BookTok, è un romanzo spicy… ma non in modo esagerato, il giusto. Può andare bene anche per chi non è proprio una spicy lover, come me.


So che I’m yours è uno dei primi lavori dell’autrice, quindi, se già questo romanzo è carino e piacevole, immagino che gli altri siano ancora più curati e ben costruiti. Vi farò sapere se leggo qualcos’altro di suo!





Questo è quanto per l’angolino vintage di marzo!

Vi ricordo di passare a trovare anche le altre partecipanti alla rubrica di questo mese.

Che mi raccontate? Conoscete le autrici?

Avete letto questi romanzi? Che ne pensate?

Fatemi sapere!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)



giovedì 14 marzo 2024

DIGITALE PURPUREA

 Spazio Scrittura Creativa: marzo 2024




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di marzo con la rubrica “Spazio Scrittura Creativa”!


Oggi, come già fatto a Dicembre '22, torniamo nel mondo di Harry Potter, che sapete essermi molto caro, con una nuova fanfiction. 

Per onestà devo dirvi che non si tratta di un inedito, e non solo perché effettivamente in questo periodo ho lavorato ad un altro progettino al di là del blog (e spero di farvi avere delle buone notizie nei prossimi mesi). Il fatto è che ho nel computer una serie di file, scritti tempo fa, e per altre occasioni. Alcuni non mi piacciono più come una volta, altri andrebbero almeno ripresi… altri, però, mi convincono ancora, e mi sembra un peccato non condividerli con voi proprio qui, su questo sito che è il mio angolino speciale da quasi nove anni. 


Digitale purpurea è uno dei tanti frutti dei miei anni universitari, una storia a metà strada tra il drammatico ed il “romantico”, per così dire. Era un periodo in cui ero attratta dai villain: forse ora scriverei di altro, ma continuo ad essere soddisfatta di questa storia.


Inoltre è un racconto quasi del tutto al femminile (e siamo ancora in zona 8 marzo) e c’è un accenno alla bella stagione in arrivo. Mi è sembrato coerente con questo mese.


Infine, ci tengo a dire che ovviamente i versi poetici all’interno del racconto non sono miei, ma sono tratti dalla poesia Digitale purpurea di Giovanni Pascoli.

Non credo di avere altro da aggiungere… quindi buona lettura!



Digitale purpurea


Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice di vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,

l’altra… I due occhi semplici e modesti
fissano gli altri due ch’ardono.


La notte era profonda e silenziosa: la luna illuminava un paesaggio suggestivo, ma deserto. Su una piccola collina del Wiltshire si estendeva una bella dimora gentilizia. Di certo in passato doveva essere stato un luogo di ritrovo, di ricevimenti, di occasioni mondane, ma in quel momento non si sentiva provenire neanche un rumore, nemmeno un fruscio. Il silenzio che la sovrastava era quasi inquietante. Le lame di luce della luna, che a tratti veniva coperta da nuvole rapide, mostravano una grande fontana di pietra senz’acqua, delle alte e scure siepi che sembravano voler celare la dimora alla vista altrui ed un vialetto fatto di pietre immacolate, che conducevano al grande portone d’ingresso. L’interno della casa era completamente buio, fatta eccezione per una piccola finestra illuminata: era la luce di una sola candela accesa in uno dei salotti da tè al piano rialzato.


In quella stanza antica ed elegante una donna dall’aspetto stanco e malinconico era seduta su una sedia con una tazza di tè. Le sembianze angeliche del suo volto erano in curioso contrasto con la preoccupazione che si intuiva dai suoi gesti. I capelli biondi le ricadevano in morbide onde sulle spalle, gli occhi azzurri illuminavano il volto dalla pelle candida; la vestaglia grigio argento e lo scialle bianco posto sulle spalle mettevano in chiaro risalto la magrezza della figura. Era rivolta verso la finestra, e gettava fugaci occhiate all’esterno, come se si aspettasse la comparsa di un imminente pericolo. La vista della notte silenziosa sembrò tranquillizzarla: sospirò e si versò dell’altro tè.


Cissy, vuoi smetterla? Mi rendi nervosa solo a guardarti! Si può sapere che cosa ti preoccupa?”

A parlare era stata la donna sdraiata dall’altra parte della stanza, quasi del tutto immersa nell’oscurità. Non sarebbe potuta essere più diversa dalla composta signora accanto alla finestra: c’era qualcosa in lei che dava l’idea di un furioso impeto, di una passione incontrollabile. I capelli neri, ricci e lunghissimi, erano disordinatamente sparsi in ciocche, anche davanti al viso; la scura sottoveste la copriva a malapena e ne mostrava le forme; era rilassata su un divanetto e giocava distrattamente con la sua bacchetta; sull’avambraccio sinistro spiccava un orribile, enorme tatuaggio nero.


Come, cosa mi preoccupa?” rispose Narcissa. “Questa situazione… la tensione in cui è stata messa la nostra famiglia… c’è una guerra là fuori, Bella! E tu dovresti saperlo meglio di me!”

“…Cissy, credimi: non hai ragione di comportarti così. La guerra è quasi finita, ormai abbiamo vinto. Saremo ricoperti di onori. Siamo dalla parte giusta.”

Narcissa, però, non si sentiva per niente rassicurata dalle parole della sorella. Da tempo, ormai, aveva smesso di crederle. Quando Bella la guardava con quegli occhi scuri e profondi, illuminati di un innaturale furore, sembrava del tutto fuori di sé. E Narcissa era sicura che le parole di sua sorella, per quanto sincere, non corrispondessero a realtà. In quel momento, poi, aveva un’altra questione da discutere con lei.


* * *


«E mai
non ci tornasti?» «Mai!» «Non le vedesti

più?» «Non più, cara.»


Bella, dobbiamo decidere cosa fare con la vecchia casa dei nostri genitori.”
“Mmm…perché?” chiese l’altra, come se la cosa non la riguardasse. Narcissa se lo aspettava: se c’era una, tra le due, attenta al patrimonio ed ai ricordi di famiglia, quella non era di certo sua sorella.


Perché, se ben ricordi, abbiamo pensato di vendere la proprietà. Non vi abita più nessuno, e di questi tempi è solo un impiccio. Persino a noi che siamo sempre state ricche ora sembrano non bastare più i soldi…Certo sarà un peccato dare via quella casa…mi sembra di essermene andata ieri! Ci sei più tornata negli ultimi anni? Io ogni tanto ho passeggiato fin lì.”

“…No, ti sembra possibile?!? Non sono una signora come te, non ho tutto il tempo di questo mondo!”

Non è cambiato niente, sai? Ci sono i quadri che piacevano tanto a nostra madre, e gli arazzi nel salone centrale, e tutti i vestitini di quando eravamo ragazze…”

“…compresi quelli che ho strappato, rovinato e che ho nascosto per non doverli mettere?”

Le due sorelle si scambiarono il primo vero sorriso di quella notte. Entrambe ricordavano.


* * *


Vedono; e si profuma il lor pensiero
d’odor di rose e di viole a ciocche,
di sentor d’innocenza e di mistero.

E negli orecchi ronzano, alle bocche
salgono melodie, dimenticate,
là, da tastiere appena appena tocche…


La campagna inglese si dispiegava in tutta la sua bellezza, con il suo tripudio di fiori e profumi. L’estate stava arrivando, e ciò riempiva di gioia il cuore della piccola Narcissa. La si poteva vedere lì, sul vialetto di casa sua, che sorrideva deliziata, con la gioia dei suoi otto anni appena compiuti, mentre si toglieva dalla testa il cappellino di paglia e cercava di infilarvi una mezza dozzina di margherite e un rosso papavero per decorarlo. Quando ebbe finito, si guardò nello specchietto e si compiacque di come quelle sfumature rosa e rosse s’intonassero al vestitino bianco latte, tutto nastri e fiocchi.


Un rumore improvviso la costrinse a voltarsi bruscamente. Una ragazzina sui dodici anni, bruna e vestita come lei, correva a perdifiato, insieme ad un ragazzo magro e scuro della stessa età. Entrambi erano sudati e spettinati; il pregiato abito della ragazza era macchiato di fango. Ella però non sembrava curarsene: si fermò accanto alla sorella e, rivolta al ragazzo, disse: “Sono arrivata! Ho vinto io!” Quest’ultimo non sembrò prendersela più di tanto: sembrava rassegnato a darla vinta alla sua compagna tutte le volte che lei lo desiderava. Si limitò a scuotere la testa ed a dire: “Se non mi avessi buttato in quel fossato, forse ce l’avrei fatta.” La ragazza bruna gli rispose, ridendo: “Ti lamenti ancora? Sei peggio di mia sorella! E comunque non ti sei fatto niente!”

Narcissa si aspettava che il ragazzo si arrabbiasse, invece, con sua grande sorpresa, entrambi scoppiarono a ridere. Dopodiché egli disse “Ora devo andare, Bella. Ci vediamo domani” e si allontanò sul vialetto che conduceva fuori dalla proprietà.


Narcissa guardò la sorella con aria di rimprovero. “Non è vero che io mi lamento sempre. E non mi piace che giochi con quello invece che con me.”

Oh, tu non vuoi mai fare niente che non sia pettinare le bambole o lucidare le tue belle scarpine. E poi Roddy è un mio amico” rispose Bella con noncuranza.

E comunque a mamma non piace che ti comporti così! Sei sempre in mezzo ai ragazzi, e fai un sacco di dispetti a tutti!” Bella le sorrise: “Dai, Cissy. Tra qualche anno sarai cresciuta e ti divertirai come me…lo faremo insieme!”


* * *


L’altra sorrise. «E di’: non lo ricordi
quell’orto chiuso? i rovi con le more?

i ginepri tra cui zirlano i tordi?
i bussi amari? quel segreto canto
misterioso, con quel fiore, fior di…?»

«morte: sì, cara».


E invece non era andata così. Erano andate entrambe a Hogwarts, nella casa di Serpeverde, ma gli amici di una non erano mai stati quelli dell’altra, e tutti avevano imparato a fare una netta distinzione tra le due. Erano cresciute con due caratteri e due modi di pensare ben distinti. Una sola cosa le accomunava: la straordinaria ammirazione che Narcissa nutriva per la sorella maggiore. Per questo motivo la assecondava spesso ed era considerata da tutti la più remissiva tra le due. Non avrebbe mai creduto, un giorno, di trovarsi in così netto disaccordo con la sua cara Bella. Eppure successe.


Quell’anno per Cissy sarebbe stato l’ultimo a Hogwarts, e si sentiva sola più che mai. Bella aveva conseguito i M.A.G.O. ormai da un po’, e così anche Andromeda, l’altra loro sorella, che era fuggita con un ragazzo di origini non magiche, disonorando tutta la famiglia. Inutile dire che la sua fuga aveva avvicinato ancora di più Narcissa a Bella.


Si avvicinavano le vacanze di Natale, ed ella aveva deciso di tornare a casa per festeggiarle. Voleva stare un po’ insieme alla sua famiglia. Si aspettava di trovare la sorella eccitata e nervosa per il suo imminente matrimonio con Roddy, l’amico di sempre; tuttavia scoprì che le cose non stavano propriamente così. Bella era distante, distaccata, come se avesse altri pensieri per la testa. Non aveva più quell’aria scanzonata ed arrogante: era come se qualcosa, o qualcuno, la stesse costringendo a fare i conti con i suoi stessi limiti.


Una mattina il padre delle due sorelle si congedò presto da casa, dicendo di dover sbrigare degli affari urgenti in città, e le lasciò sole con la madre. Narcissa notò che Bella aspettava il ritorno del padre con impazienza, e non ne capiva il motivo.

Finalmente la carrozza di famiglia apparve davanti all’ingresso, come una grande macchia nera e argento sulla distesa ghiacciata. Ne scese il padre delle due ragazze, e, a breve distanza, un’alta figura incappucciata, irriconoscibile in mezzo ai freddi vapori d’inverno. I due si incamminarono lungo il viale, poi si sedettero in un gazebo riscaldato, abbastanza vicino alla finestra da dove le due sorelle stavano spiando.

Cissy, è lui!” sussurrò Bella con impazienza, gli occhi neri fattisi d’un tratto intensi e ardenti. “Lord Voldemort!”


Lo sconosciuto abbassò il cappuccio: si trattava senza dubbio di un bell’uomo, ormai un po’ avanti con gli anni, che recava i tratti di un grande fascino, ormai perduto. Il biancore di tutta la sua pelle era particolarmente evidente se si osservavano le lunghe mani, che ghermivano saldamente la bacchetta, come se l’uomo fosse stato preso dall’ansia di vedersela portare via. All’improvviso alzò gli occhi, e le due sorelle poterono distinguere un lampo rosso e fulmineo nelle iridi. C’era qualcosa di strano in quello sguardo…qualcosa di violento, pericoloso, per niente rassicurante.


Lord Voldemort?” si chiese Cissy, piano. “Allora non è solo una leggenda che raccontano i miei compagni di classe… esiste davvero…”
“Certo che esiste davvero, sciocca! Hai sentito del suo progetto?”

Sì, certo. Gira voce che si stia circondando di maghi e streghe potentissimi e di ogni genere di creatura oscura… per poter ristabilire il predominio della magia nel mondo… ed anche il mio fidanzato pensava di contattarlo ed unirsi a lui” rispose Cissy, pensierosa.

Lo so, lo so, me ne ha parlato l’altro giorno. E anche Roddy e… anch’io.” L’ultima parola di Bella era quasi un sussurro, ma si poteva capire con quanta passione ed orgoglio l’avesse pronunciata. Sporta verso la finestra, incollata al vetro, con lo sguardo che seguiva avidamente i gesti dell’uomo seduto in terrazza, sembrava esprimere un incontenibile desiderio di raggiungerlo. Per un attimo Narcissa ebbe il presentimento che la sorella si sarebbe subito fiondata fuori, in mezzo alla brina ed al gelo, per richiedere l’ammissione a quello strano esercito. Forse fu per quello che la prese per mano e la costrinse a voltarsi verso di lei.

Sei fuori di senno?!? Hai ventun’anni! Vuoi sprecare la tua giovinezza dietro a quella setta di fanatici?”

“…Ma come? Pensavo che fossi d’accordo con gli ideali di Lord Voldemort!”

Beh, in teoria, ecco, ma… “
“…In teoria! In teoria! Tu ed i nostri genitori non fate altro che parlare e non agite mai, ecco tutto! Non vi siete ribellate alla fuga di Andromeda, non fate mai nulla in reazione agli eventi che leggiamo ogni giorno sul giornale! Io voglio agire, voglio fare qualcosa per Lui!”

Lui? Ma che t’importa di Lui? Lo conosci appena, non ci hai mai parlato!”


Bella non aveva una risposta a quella domanda. O forse sì, ma, almeno per ora, non l’avrebbe potuta condividere con nessuno. Si limitò a restare lì, in quella posizione assurda, presso il vetro, in attesa. Narcissa invece si diresse verso le scale, non prima di aver dato un’ultima occhiata a quell’uomo misterioso. Era uscito dal gazebo e si avviava verso il grande cancello in ferro battuto della proprietà. Camminava con disinvoltura sul terreno ghiacciato, senza alcuna paura di scivolare. Aveva qualcosa di stranamente sovrannaturale. Non le piaceva.


* * *



In disparte da loro agili e sane,
una spiga di fiori, anzi di dita
spruzzolate di sangue, dita umane,

l’alito ignoto spande di sua vita.


Quella notte Narcissa non riuscì a dormire. Strane immagini si affollavano nella sua mente. Pensava a quella figura dalle sembianze demoniache. A quelle lunghe mani, con le dita che sembravano dei candidi fiori tubolari: la loro presa salda sulla bacchetta rivelava tutta l’energia combattiva di quell’uomo. Sapeva per certo che era un assassino, e che la sua setta si era già guadagnata la reputazione di essere un assembramento di fanatici. Quel candore era macchiato di sangue, ne era sicura. Bastava guardare il lampo purpureo dei suoi occhi… dentro e fuori di lui, vi era l’impeto del diavolo. E allora, come poteva suo padre invitarlo a casa loro come se niente fosse? Come potevano il suo ragazzo e sua sorella volere… anche solo pensare di unirsi a lui?


Narcissa sapeva che non si sarebbe mai, mai fidata di quell’individuo. Ma stimava troppo il padre, il fidanzato, la sorella per parlare loro chiaramente dei suoi presentimenti. Decise che, forse, attraverso i loro occhi, avrebbe potuto accettare la situazione. Non lo sapeva ancora, ma questo sarebbe stato il suo più grande errore.


Di altro genere erano i pensieri di Bella, decisa a non dormire perché troppo indaffarata. Stava catalogando gli ingredienti per le sue pozioni alla luce tremula di una candela. L’occhio le cadde su un sacchetto ancora quasi del tutto pieno: polvere di digitale purpurea… ottimo per i veleni, molto potente, dal colore rosso-viola intenso. Bella si ritrovò a pensare che quel colore gli ricordava gli occhi del suo Signore. O meglio, futuro Signore. Si scoprì l’avambraccio sinistro, e vederlo ancora così candido gli provocò una grandissima rabbia. Sapeva di essere ancora una ragazzina ai suoi occhi…e non poteva accettarlo. Desiderava essere marchiata da Lui, in quel momento e sempre. Ma non sapeva che quello che voleva tanto era già successo. Quell’uomo le era tanto entrato nell’animo e nel cuore che ormai lei stessa non era più in sé. Come la polvere di digitale purpurea che stava facendo passare distrattamente tra le dita, era un potente veleno, che l’aveva corrosa fin nel suo intimo.

Era giunto a prenderla, per portarla via da tutto il resto del mondo.

Era venuto a mostrarle come esprimere odio, per scatenare in lei il più folle degli amori.


* * *


«Io,»

mormora, «sì: sentii quel fiore. Sola
ero con le cetonie verdi. Il vento
portava odor di rose e di viole a

ciocche. Nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.

ricordo quella grave sera.
L’aria soffiava luce di baleni
silenzïosi. M’inoltrai leggiera,

cauta, su per i molli terrapieni
erbosi. I piedi mi tenea la folta
erba. Sorridi? E dirmi sentia: Vieni!

Vieni! E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi…


Tutti quei ricordi si intrecciavano, confusi, insieme alle chiacchiere delle due sorelle. “Sì, Bella, mi ricordo quella volta che conoscemmo Lord Voldemort. Ma a quel tempo non sapevamo dove ci avrebbe portato quell’uomo…”

E dove ci porterà, Cissy! Ma non capisci? Siamo appena all’inizio! Quando tutti i nostri nemici saranno morti…” Ma Narcissa non voleva più starla a sentire, mentre parlava di sangue e di morte con quel tono.

Basta, Bella! Basta! Non posso sopportare che mia sorella sia un’assassina!” Si aspettava una reazione dalla sorella, ma quella rimase a guardarla con i suoi grandi occhi neri, perciò continuò: “Perché sei cambiata così, sorella mia? Pensavo che almeno il carcere ti avrebbe aperto gli occhi su di Lui! E invece continui ad avere quell’assurda devozione, quell’inquietante frenesia… come se…”

Già, Cissy. Come se” rispose Bella. “Finalmente l’hai capito.”


Un silenzio atterrito regnò per qualche secondo nella stanza, poi Narcissa parlò piano: “Ma tu… ami quell’uomo?”

Ma lo sguardo della sorella era una risposta già più che soddisfacente. “Io ho fatto tutto per Lui, Cissy, tutto. Sono andata a cercarlo quando tutti lo ritenevano caduto, mi sono fatta imprigionare. Ed ho atteso ed ancora atteso, in quella prigione infernale, in mezzo al mare, fra freddo e fame. La mia era più che una speranza. Oh, non guardarmi così! Non è stato né duro né difficile come pensi.

Ogni volta che mi sono fatta coraggio pensando a Lui, mi sembrava di tornare bambina, di dare vita ai miei impulsi più segreti. Ti ricordi, Cissy, quei bei fiori rossi che usavi per decorare i tuoi vestiti da piccola? Lui per me era come un papavero color sangue, una rosa dalle spine appuntite… un fiore velenoso. Un fiore di morte. E più passa il tempo, più Lui sarà così per me. E non mi spaventa niente: anche se Lui non crede in nessun sentimento che non siano la rabbia o l’odio, non importa. Oh, Cissy, non è una follia! Troverà sempre me, e anche se l’amore per Lui non esiste, senz’altro per Lui esisterò io… ed io…”


* * *


(l’altra lo stupore
alza degli occhi, e vede ora, ed ascolta

con un suo lungo brivido…)


Narcissa fissava sua sorella, sconvolta. Tutto ciò era grave, terribile, eppure ora, in qualche modo, capiva. Sì: quella notte, in quella casa, rivedeva per davvero sua sorella, dopo tanto tempo. Comprendeva finalmente la motivazione di ogni suo singolo gesto, della sua inquietudine, della sua eterna insoddisfazione. Di quei suoi occhi che si erano accesi di un desiderio bruciante ormai da troppo tempo.


Ma non era quello il motivo per cui era scossa dai brividi: c’era dell’altro, lo sapeva.


La guerra imperversava, la battaglia finale era alle porte… e sua sorella non sarebbe mai sopravvissuta senza il suo Signore. Era ormai un po’ di tempo che Narcissa aveva dei brutti presentimenti sulla guerra: le cose non andavano come diceva Bella, il pericolo era incombente e non c’era più sicurezza per nessuno, nemmeno per chi, come Lord Voldemort, si credeva vincente ed inattaccabile.


E, se le cose fossero andate male, Narcissa non aveva dubbi su come sarebbe finita sua sorella: sarebbe stata uccisa in battaglia, oppure si sarebbe trafitta col suo pugnale sul cadavere del suo Signore. E anche se l’imminente guerra fosse andata bene, molto probabilmente sarebbe giunto il momento in cui Lord Voldemort, in un modo o nell’altro, avrebbe abbandonato la sorella. E lei non si sarebbe mai permessa di sopravvivere senza di Lui.


L’amara verità era ora chiara davanti ai suoi occhi: Bella si era condannata a morte. A Narcissa non rimase che osservare la sorella, che si era avvicinata a lei ed alla vetrata illuminata dalla luna. Non sapeva se questa sarebbe stata l’ultima notte che avrebbero passato insieme, o se ce ne sarebbero state molte altre negli anni a venire; sapeva solo che lo sguardo che si stavano scambiando era fin troppo significativo. 


Si stavano dicendo addio.



E fu molta la dolcezza! molta!
tanta, che, vedi… […] si muore!»


FINE



ma quanto mi piaceva scrivere, già allora, eh?

Lo so, è un po’ lungo. Per questo ringrazio tantissimo tutti voi che avete avuto la pazienza di leggere. Anni fa avevo scritto questa storia in modo forse un po’ più ingenuo, confrontandomi sul dualismo tra una donna introversa e dedita alla famiglia ed una mossa da una passione folle, ma adesso mi rendo conto di quanti temi importanti la saga di Harry Potter ci ha fatto dono, temi che spero traspaiano in questa storia: l’ignavia che porta alla perdizione, l’importanza di pensare con la propria testa, la follia delle idee razziste e suprematiste che purtroppo in questo periodo storico stanno dilagando, i legami familiari che resistono alle prove più impensate… c’è tanto ancora a cui pensare, secondo me, e non solo rileggendo Harry Potter.

Comunque spero che questo mio racconto vi sia piaciuto!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 11 marzo 2024

IL TEMPO

 Novecento in poesia #7




Cari lettori, 

benvenuti all'appuntamento di marzo con "L'angolo della poesia"! Abbiamo già parlato di passato e di futuro... oggi affrontiamo insieme il tempo in tutte le sue sfumature. Dall'arrivo dell'estate al Capodanno, dai momenti in cui il tempo sembra fermo a quelli cruciali, vediamo insieme come la pensano i grandi autori italiani del Novecento!



Il canto smarrito, di Angelo Barile


Ora che la ginestra

intenerisce anche le scabre

rupi sul nostro mare,

ora vengono i giorni

grandi, d’argento. Li apre

a prim’ estate

questo favellìo di campane

che c’invita domani

ai canti del Corpus Domini.


Domani andremo per campi

a far bracciate di rami

e riempir d’oro canestre;

paveseremo le finestre,

rallegreremo di frasche

le vecchie vie dove le case

si tengono strette abbracciate

in una fuga d’archi – e laggiù

palpita un riso di mare.


Forse domani le anziane

donne apprenderanno alle spose

in processione con loro

la laude che non cantano più

da tanto tempo: e questi

erano i giorni. Saliva

all’allegrezza della fede

un coro d’anime in festa.


Oh, ravvivaci ancora,

nostra laude disimparata,

canto di gioia smarrito

nella penosa memoria

irta di sterpi… Domani

forse domani t’udremo

ritremare sgorgare vivo

quando passa Gesù.



Fra terra e mare, di Pietro Bigongiari


L’onda che si accavalla

trova in se stessa sponda all’infinito,

ha udito, nel suo orecchio, in una stalla

il muggito più fievole dei secoli

che propone a finito ed infinito

di toccarsi fra loro, trastullarsi

in un piccolo corpo infreddolito.


Se le eriche là al vento rosseggiano

e il mare trova in schiume l’elemento

del suo frangersi in luce, chi, chi attento

al quasi nulla sente quasi tutto

stringersi in sé mentre intorno a sé espande

anche il pianto d’un re. Ande remote

nevano l’orizzonte: è qui che è grande.


Il qui che non è qui. Se si sgranchiscono

le gambe di chi tanto ha camminato

sul suo qui, è il suo qui, tese le rande,

che ascolta il vento empirgli del profumo

dell’altrove le nari: ancora ballano

sulle maree le navi, ascolta lungo

i travi scricchiolare


nelle murate il soffitto degli avi.



Per l’ultimo dell’anno 1975 ad Andrea Zanzotto, di Franco Fortini


Come nel buio si ritrae lento,

Andrea, questo anno già da sé diviso.

Ora nel vischio del suo fiele intriso

starà così per sempre dunque spento.


Ma quel che in noi di anno in anno è deriso

o incompiuto o deforme non lamento:

se uno è vinto e un altro è stato ucciso,

uno ha durato contro lo sgomento.


Qui stiamo a udire la sentenza. E non

ci sarà, lo sappiamo, una sentenza.

A uno a uno siamo in noi giù volti.


Quanto sei bella, giglio di Saron,

Gerusalemme che ci avrai raccolti.

Quanto lucente la tua inesistenza.



A vacanza conclusa, di Vivian Lamarque


A vacanza conclusa dal treno vedere

chi ancora sulla spiaggia gioca si bagna

la loro vacanza non è ancora finita:

sarà così sarà così

lasciare la vita?



Nell’imminenza dei quarant’anni, di Mario Luzi


Il pensiero m’insegue in questo borgo

cupo ove corre un vento d’altipiano

e il tuffo del rondone taglia il filo

sottile in lontananza dei monti.


Sono tra poco quarant’anni d’ansia,

d’uggia, d’ilarità improvvise, rapide

com’è rapida a marzo la ventata

che sparge luce e pioggia, son gli indugi,

lo strappo a mani tese dei miei cari,

dai miei luoghi, abitudini di anni

rotte a un tratto che devo ora comprendere.

L’albero di dolore scuote i rami…


Si sollevano gli anni alle mie spalle

a sciami. Non fu vano, è questa l’opera

che si compie ciascuno e tutti insieme

i vivi i morti, penetrare il mondo

opaco lungo vie chiare e cunicoli

fitti d’incontri effimeri e di perdite

o d’amore in amore o in uno solo

di padre in figlio fino a che sia limpido.


E detto questo posso incamminarmi

spedito tra l’eterna compresenza

del tutto nella vita nella morte,

sparire nella polvere o nel fuoco

se il fuoco oltre la fiamma dura ancora.



Gloria del disteso mezzogiorno, di Eugenio Montale


Gloria del disteso mezzogiorno

quand’ombra non rendono gli alberi,

e più e più si mostrano d’attorno

per troppa luce, le parvenze, falbe.


Il sole, in alto, - e un secco greto.

Il mio giorno non è dunque passato:

l’ora più bella è di là dal muretto

che rinchiude in un occaso scialbato.


L’arsura, in giro; un martin pescatore

volteggia s’una reliquia di vita.

La buona pioggia è di là dallo squallore,

ma in attendere è gioia più compita.



Tremolio, di Fabio Pusterla


In questa vasta desolazione d’inverni,


mentre la terra rannicchiata si torce

e qualcosa declina, che certi chiamano secolo

o con fierezza immotivata millennio,


e il signor Swatch propone un nuovo tempo

universale, rivoluzionano, che scandisca

il giorno in mille unità uguali per tutti,


e tutti finalmente saranno in orario

nella rete, nel sacco, nel disastro

pilotato, felicemente privi di tempo o passato,


inutilmente tesi a un futuro virtuale

globale e inesistente, grazie al quale

la gleba del presente sarà lieve,


in questa vastissima desolazione di inverni,


mia nonna Idelma Formenti Bussolini

di anni novantanove, sorda quasi del tutto,

elusa la sorveglianza, è uscita sul balcone


e lì guarda e declama.



Le quattro cifre, di Silvio Ramat


No, non ci sarà posto per entrambi.

Ma sarebbe insensato dire: o io

o lui. Vista ch’è sua tutta la forza,

la facile irruenza del futuro.

Lui: l’anno 2000. Un colpo di mano,

una bravata, cancellare a freddo -

sostituirle in una sola notte -

tutte e quattro le cifre della vita.

Chi per dodici lustri ha militato

in un secolo, non vorrà servire

di punto in bianco sotto nuove insegne.

Chiudere gli occhi, far finta di niente?

No. Ma, ai primi chiari, imboccare un’erta

e nel gelo che iberna bacca e rovo

bussare al monastero. Esser dei loro.

Imparare arti schiette – svinatura,

torchio – e poi, a ore fisse, la lettura

in una cerchia d’angeli canuti

ai quali i secoli sono farfalle,

non idoli o catene. Coltivare,

potare: attingere acqua tacendo

mentre giù a valle accendono il 2000.



Frammento VI, di Clemente Rebora


Sciorinati giorni dispersi,

Cenci all’aria insaziabile:

Prementi ore senza uscita,

Fanghiglia d’acqua sorgiva:

Torpor d’àttimi lascivi

Fra lo spirito e il senso;

Forsennato voler che a libertà

Si lancia e ricade,

Inseguita locusta tra sterpi;

E superbo disprezzo

E fatica e rimorso e vano intendere:

E rigirìo sul luogo come cane,

Per invilire poi, fuggendo il lezzo,

La verità lontano in pigro scorno;

E ritorno, uguale ritorno

Dell’indifferente vita,

Mentr’echeggia la via

Consueti fragori e nelle corti

S’amplian faccende in conosciute voci

[…]

Oh per l’umano divenir possente

Certezza ineluttabile del vero,

Ordisci, ordisci de’ tuoi fili il panno

Che saldamente nel tessuto è storia

E nel disegno eternamente è Dio:

Ma così, cieco e ignavo,

Tra morte e morte vil ritmo fuggente,

Anch’io t’avrò fatto; anch’io.



Frammento XI, di Clemente Rebora


O carro vuoto sul binario morto,

Ecco per te la merce rude d’urti

E tonfi. Gravido ora pesi

Sui telai tesi;

Ma nei ràntoli gonfi

Si crolla fumida e viene

Annusando con fàscino orribile

La macchina ad aggiogarti.

Via dal tuo spazio assorto

All’aspro rullare d’acciaio

Al trabalzante stridere dei freni,

Incatenato nel gregge

Per l’immutabile legge

Del continuo aperto cammino:

E trascinato tramandi

E irrigidito rattieni

Le chiuse forze inespresse

Su ruote vicine e rotaie

Incongiungibili e oppresse,

Sotto il ciel che balzano

Nel labirinto dei giorni

Nel bivio delle stagioni

Contro la noia sguinzaglia l’eterno,

Verso l’amore pertugia l’esteso,

E non muore e vorrebbe, e non vive e vorrebbe,

Mentre la terra gli chiede il suo verbo

E appassionata nel volere acerbo

Paga col sangue, sola, la sua fede.



Dall’imagine tesa, di Clemente Rebora


Dall’imagine tesa

Vigilo l’istante

Con imminenza di attesa -

E non aspetto nessuno:

Nell’ombra accesa

Spio il campanello

Che impercettibile spande

Un polline di suono -

E non aspetto nessuno:

Fra quattro mura

Stupefatte di spazio

Più che un deserto

Non aspetto nessuno:

Ma deve venire,

Verrà, se resisto

A sbocciare non visto,

Verrà d’improvviso,

Quando meno l’avverto.

Verrà quasi perdono

Di quanto fa morire,

Verrà a farmi certo

Del suo e mio tesoro,

Verrà come ristoro

Delle mie e sue pene,

Verrà, forse già viene

Il suo bisbiglio.



Un nuovo giorno comincia, di Rocco Scotellaro


Un nuovo giorno comincia con un pensiero non nuovo

di te, della vita, delle strade di città dove andremo a finire.

Non posso dimenticare quante ne conobbi, tutte

simili e belle e cattive che mi volevano – dicevano – mangiare.

Né si può scordare i malfattori che solo

mi vollero male scostandomi lo sguardo

per paura o per degnazione.


Ma ecco i grandi amici numerosi

come le mosche e come le stelle

venivano sempre quando non li cercavo.

Se sono vicini, nello stesso paese o città,

ora dormono ancora e sono già

nei loro posti di lavoro o nelle terre lontane.

Se sono lontani, a quest’ora possono

morire e io non ho nulla da fare per loro.

Viene mia madre: - Quando ti farai grande? -

C’è nei nostri modi quello di essere

grandi, a una certa età, per tenere come

figli il padre e la madre. E io non sto

crescendo abbastanza.



L’onda, di Maria Luisa Spaziani


L’onda che batte mi consuma il tempo.

Rosicchia il golfo, sbriciola scogliere,

dissotterra pugnali circassi,

rapina ossa di gabbiani e tori.


L’onda che scava è un grosso cane pazzo,

non sa la morte e sfida ogni millennio.

È un cane da tartufi vittima di un equivoco.

Il suo tartufo è il disperante vuoto.



Che mi dite? Quale componimento vi è piaciuto di più? 

Io credo che il più incisivo, per quanto mi riguarda, sia quello di Lamarque. 

Mi piace tanto anche quello di Mario Luzi: ci tengo però a dire che, anche se ho messo una mia foto, io ho 34 anni, non sono proprio nell'imminenza dei quaranta... aspettiamo ancora un po'! 

Scherzi a parte, aspetto un vostro parere nei commenti! 

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)