Novecento in poesia #11
Cari lettori,
oggi il nostro percorso alla scoperta del "Novecento in poesia" arriva alla sua conclusione.
Sono un po' dispiaciuta, perché mi sembra ieri - o quasi - che rispolveravo l'antologia del mio corso di Letteratura italiana contemporanea. Però da settembre a qui abbiamo affrontato insieme davvero tantissimi temi, dal contatto con la natura ai personaggi da ricordare, dall'amore alla morte, dal senso del tempo ai luoghi del cuore.
Oggi lascio che i poeti riflettano... sulla poesia stessa, e sull'arte in tutte le sue sfaccettature!
Da “Proclama sul fascino”, di Dario Bellezza
Oggi, dopo una notte d’insonnia,
coltivata da mille barbiturici
pillole colorate che danno ansia
ripresi a scrivere poesia
contro la poesia, con pudore
fastidio, inesorabile declino,
con la certezza idiota dei deboli.
Bando, di Sergio Corazzini
Avanti! Si accendono i lumi
nelle sale della mia reggia!
Signori! Ha principio la vendita
delle mie idee.
Avanti! Chi le vuole?
Idee originali
a prezzi normali.
Io vendo perché voglio
raggomitolarmi al sole
come un gatto a dormire
fino alla consumazione
de’ secoli! Avanti! L’occasione
è favorevole. Signori,
non ve ne andate, non ve ne andate;
vendo a così poco prezzo!
Diventerete celebri
con pochi denari.
Pensate: l’occasione è favorevole!
Non si ripeterà.
Oh! Non abbiate timore di offendermi
con un’offerta irrisoria!
Che m’importa della gloria!
E non badate, Dio mio, non badate
troppo alla mia voce
piangevole!
Le stirpi canore, di Gabriele D’Annunzio
I miei carmi son prole
delle foreste,
altri dell’onde,
altri delle arene,
altri del Sole,
altri del vento Argeste.
Le mie parole
sono profonde
come le radici
terrene,
altre serene
come i firmamenti,
fervide come le vene
degli adolescenti,
ispide come i dumi,
confuse come i fumi
confusi,
nette come i cristalli
del monte,
tremule come le fronde
del pioppo,
tumide come le narici
dei cavalli
a galoppo,
labili come i profumi
diffusi,
vergini come i calici
appena schiusi,
notturne come le rugiade
dei cieli,
funebri come gli asfodeli
dell’Ade,
pieghevoli come i salici
dello stagno,
tenui come i teli
che fra due steli
tesse il ragno.
Nominativo, di Milo De Angelis
Foglie volano tra i centri nervosi. Est
è la parola più scossa. Non è il peso
della sua sillaba. A lungo guardi la lettiga
gremita d’inchiostro: metà
nella terra che discende, metà nella
prima ora. «Abbiamo visto un lago,
abbiamo parlato.» Penetrazione dei vetri
nella fame. Padre che mi chiama padre.
Grido, di Luigi Fallacara
Ma se tutti i colori aperti e pieni
d’un calice non fanno di luce onda!
Tenebra v’incorona, astri sereni,
e la notte del sole in ombra abbonda!
O parola, parola, tu che tieni
ogni cuore se dentro sovrabbonda,
fa che, quando al mio labbro accesa vieni,
il silenzio non abbia ove s’asconda.
Cantami il canto delle vette chiare,
vasto, sui venti più ripidi d’ale,
rombo di terra che in cielo si svita,
senza mai appagarti ad ascoltare
l’urlo che in carne opaca più prevale,
per far del nulla ardenza di salita.
Da “Esercizi di tiptologia”, di Valerio Magrelli
Il bagno che allenta, che disfa,
scioglie, ma perché sciogliersi
se io sono il nodo,
l’intreccio,
se io, nodo, sono
il fiocchetto
delle paure?
I limoni, di Vincenzo Montale
Ascoltami, i poeti laureati
si muovono soltanto fra le piante
dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti.
Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi
fossi dove in pozzanghere
mezzo seccate agguantano i ragazzi
qualche sparuta anguilla:
le viuzze che seguono i ciglioni,
discendono tra i ciuffi delle canne
e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni.
Meglio se le gazzarre degli uccelli
si spengono inghiottite dall’azzurro:
più chiaro si ascolta il sussurro
dei rami amici nell’aria che quasi non si muove,
e i sensi di quest’odore
che non sa staccarsi da terra
e piove in petto una dolcezza inquieta.
Qui delle divertite passioni
per miracolo tace la guerra,
qui tocca anche a noi poveri la nostra parte di ricchezza
ed è l’odore dei limoni.
Vedi, in questi silenzi in cui le cose
s’abbandonano e sembrano vicine
a tradire il loro ultimo segreto,
talora ci si aspetta
di scoprire uno sbaglio di Natura,
il punto morto del mondo, l’anello che non tiene,
il filo da disbrogliare che finalmente ci metta
nel mezzo di una verità.
Lo sguardo fruga d’intorno,
la mente indaga accorda disunisce
nel profumo che dilaga
quando il giorno più languisce.
Sono i silenzi in cui si vede
in ogni ombra umana che s’allontana
qualche disturbata Divinità.
Ma l’illusione manca e ci riporta il tempo
nelle città rumorose dove l’azzurro si mostra
soltanto a pezzi, in alto, tra le cimase.
La pioggia stanca la terra, di poi; s’affolta
il tedio dell’inverno sulle case,
la luce si fa avara – amara l’anima.
Quando un giorno da un malchiuso portone
tra gli alberi di una corte
ci si mostrano i gialli dei limoni;
e il gelo del cuore si sfa,
e in petto ci scrosciano
le loro canzoni
le trombe d’oro della solarità.
Da “Ossi di seppia”, di Eugenio Montale
Potessi almeno costringere
in questo mio ritmo stento
qualche poco del mio vaneggiamento;
dato mi fosse accordare
alle tue voci il mio balbo parlare: -
io che sognava rapirti
le salmastre parole
in cui natura ed arte si confondono,
per gridar meglio la mia malinconia
di fanciullo invecchiato che non doveva pensare.
Ed invece non ho che le lettere fruste
dei dizionari, e l’oscura
voce che amore detta s’affioca,
si fa lamentosa letteratura.
Non ho che queste parole
che come donne pubblicate
s’offrono a chi le richiede;
non ho che queste frasi stancate
che potranno rubarmi anche domani
gli studenti canaglie in versi veri.
Ed il tuo rombo cresce, e si dilata
azzurra l’ombra nuova.
M’abbandonano a prova i miei pensieri.
Sensi non ho; né senso. Non ho limite.
Da “Cartoline di mare”, di Nico Orengo
Se scrivo rosa
e una rosa poi scompare…;
se scrivo mare e
il mare poi, si va
ad abbassare…;
se scrivo cielo
e il cielo poi,
diventa un buco nero…;
se scrivere è consumare.
Chi sono?, di Aldo Palazzeschi
Chi sono?
Son forse un poeta?
No, certo.
Non scrive che una parola, ben strana,
la penna dell’anima mia:
follia.
Son dunque un pittore?
Neanche.
Non à che un colore
la tavolozza dell’anima mia:
malinconia.
Un musico, allora?
Nemmeno.
Non c’è che una nota
nella tastiera dell’anima mia:
nostalgia.
Son dunque… che cosa?
Io metto una lente
davanti al mio core,
per farlo vedere alla gente.
Chi sono?
Il saltimbanco dell’anima mia.
Da “Giovanili ritrovate”, di Sandro Penna
La mia poesia non sarà
un giuoco leggero
fatto con parole delicate
e malate
(sole chiaro di marzo
su foglie rabbrividenti
di platani di un verde troppo chiaro).
La mia poesia lancerà la sua forza
a perdersi nell’infinito
(giuochi di un atleta bello
nel vespero lungo d’estate).
Nietzsche, di Umberto Saba
Intorno a una grandezza solitaria
non volano gli uccelli, né quei vaghi
gli fanno, accanto, il nido. Altro non odi
che il silenzio, non vedi altro che l’aria.
Commiato, di Leonardo Sinisgalli
O musa, vecchia musa decrepita, il poeta è ogni anno più cieco.
Il tuo riso à una smorfia Calliope nel losco mattino. In una
striscia di sole il gattino va a caccia di mosche. Anche il
poeta reumatico stenta a cogliere al volo un pensiero, sempre
meno matematico, sull’essenza dello Zero.
Il porto sepolto, di Giuseppe Ungaretti
(Cima Quattro il 22 dicembre 1915)
Vi arriva il poeta
e poi torna alla luce con i suoi canti
e li disperde
Di
questa poesia
mi resta
quel nulla
d’inesauribile segreto
Commiato, di Giuseppe Ungaretti
(Locvizza il 12 ottobre 1916)
Gentile
Ettore Serra
poesia
è il mondo l’umanità
la propria vita
fioriti dalla parola
la limpida meraviglia
di un delirante fermento
Quando trovo
in questo mio silenzio
una parola
scavata è nella mia vita
come un abisso
Generare, di Valentino Zeichen
In questa estesa tipografia della natura che è il mondo
si ristampano tutte le memorie genetiche; siamo ancora
i successori di coloro che sono appena nati che già
di noi lo saranno quelli che intanto sono giunti.
L’amore per la stampa accomuna i corpi
che compongono con caratteri ereditari,
stampiamo biglietti da visita,
per l’occasione la fedeltà anastatica ci tradisce,
quale variante si legge il nome dei figli.
Noi vorremo eternarci nella copia
ma la natura più inventiva di noi
varia la monotonia dell’amor proprio
facendoci riprodurre il nostro dissimile
così
cadiamo nell’errore ortografico.
E così, anche questo progetto letterario giunge alla fine!
Io per ora vi do appuntamento ai prossimi post della rubrica "Il momento dei classici" (sto cercando di leggere un classico ogni bimestre e per ora ci sto riuscendo). Non so ancora bene quali altri progetti letterari proporvi dall'autunno in avanti, ma a luglio non lo so mai... ci penserò e vi farò sapere, come al solito!
Nel frattempo mi piacerebbe davvero sapere quali dei tanti temi toccati vi è piaciuto di più, o quali autori vi hanno colpito...
Grazie per la lettura e per il supporto di questi mesi, al prossimo post :-)
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