Viaggio alla scoperta della prima parte del nuovo album di Taylor Swift
Cari lettori,
tornano sul blog i nostri “Consigli musicali”, e questo è un mese molto atteso da tanti fan di Taylor Swift, perché questo weekend sarà in Italia, a San Siro, dopo ben 13 anni!
Non sarò della partita principalmente per una scelta economica – non mi manca niente, però è una cifra davvero eccessiva a prescindere – e di vacanze – ho aspettato tutto l’anno l’estate e preferisco godermi il mio mare…per tacere delle condizioni della mia pressione se mi ritrovassi sull'asfalto bollente di uno stadio un pomeriggio di luglio.
Tuttavia ho pensato che questo mese un po’ vacanziero, meno ricco di altri di eventi culturali, potesse essere un buon momento per due post a tema dedicati al suo ultimo album, The tortured poets deparment, uscito il 19 aprile.
Ho scelto di fare due post perché è un album doppio: Ttpd vero e proprio, che è caratterizzato dal colore bianco, e The Anthology, caratterizzato dal colore nero. Ho scelto dieci brani su 15/16 di ogni parte, ma sarebbe venuto comunque un unico post troppo lungo… anche perché di materiale da digerire ce n’è.
Ammetto infatti di aver aspettato quasi tre mesi dalla pubblicazione per parlarvene non solo perché la primavera è stata ricca di cultura e letture, ma anche perché i testi sono scritti in un inglese davvero complesso, ricco di figure retoriche, parole poco usate e canzoni della sua discografia precedente. 31 brani tutti insieme così non sono stati esattamente facili da elaborare, ma, credetemi, ne vale davvero la pena.
Considerato il livello già alto della sua musica e soprattutto dei suoi testi, questo è un ulteriore salto in avanti in cui non osavo sperare, e lo vedremo traccia per traccia.
Per ora, come indicazione generale, direi che se ci fosse un’emozione al controllo della “parte bianca” di questo disco, come in Inside Out, sarebbe Rabbia. I temi trattati sono tanti e profondi, ma il filo conduttore secondo me è quello di una donna di indole buona e romantica che è stata messa alla prova dalla vita ed è costretta ad evolvere, scoprendo altri lati di sé che non sempre si sarebbe aspettata.
Fortnight
Fortnight è il singolo di lancio, in collaborazione con Post Malone, e secondo me è la traccia meno “personale” del disco, ma è come un manifesto programmatico di quello che sarà l’album, o almeno dei più importanti tra i tanti temi trattati. Un sentimento che sembra amore e si rivela un istinto (auto)distruttivo; il malessere interiore che non sempre viene visto dagli altri, nemmeno dai cari; quei “poteva essere e non è” che a volte ti lasciano più distrutta di una relazione vera; il fatto che cambiare cielo non sempre basti a cambiare animo.
Avrei dovuto essere spedita via
ma si sono dimenticati di venirmi a prendere
ero un’alcoolizzata ad alto funzionamento
finché nessuno notava la mia nuova estetica
tutto questo per dirti che spero tu sia bene,
ma tu sei il motivo, e non c’è nessuno da incolpare,
ma che dire del tuo quieto tradimento?
E per due settimane è stato come per sempre
a volte mi imbatto in te e parlo del tempo
ora sei dietro il mio cortile, siamo diventati vicini,
tua moglie innaffia i fiori ed io voglio ucciderla
Tutte le mie mattine sono dei lunedì bloccati in un febbraio senza fine
ho preso la droga miracolosa per andare avanti
ma gli effetti sono stati temporanei
e ti amo, e sta rovinando la mia vita,
ti ho toccato solo per quattordici giorni…
The tortured poets department
La traccia che dà il titolo all’album è il racconto in retrospettiva di una relazione che è diventata più importante di quello che è sulla base di interessi culturali e lavorativi comuni. La protagonista è una donna intelligente che cerca una connessione a livello di affinità mentale, ma con suo grande dispiacere deve ammettere di aver incontrato un manipolatore che si credeva un “artista maledetto” e forse avrebbe anche approfittato del suo talento o del suo istinto da crocerossina.
Hai lasciato la tua macchina da scrivere nel mio appartamento
direttamente dal dipartimento dei poeti torturati
ed io penso cose che non dico mai
tipo “Ma chi usa ancora macchine da scrivere, comunque?”
Ma tu sei in modalità auto-sabotaggio
lanci chiodi lungo la strada
ma ho già visto questo episodio e comunque la serie mi è piaciuta
chi altri ti decifrerà?
E chi ti terrà stretto come me?
Chi ti conoscerà, se non me?
Ti ho riso in faccia e ti ho detto:
“Tu non sei Dylan Thomas, io non sono Patti Smith,
e questo non è il Chelsea Hotel, siamo idioti di questo tempo”
e chi ti terrà stretto come me?
So long, London
La fine di una lunga relazione con colui che la protagonista aveva creduto l’amore della sua vita (“Londra” è la metafora di una persona, più che una città) è al centro di questo brano. Personalmente sono rimasta colpitissima dal modo di raccontare com’è davvero stare vicino ad una persona affetta da depressione. Non avevo ancora trovato, in una canzone, una fotografia così efficace di com’è forzare la gioia quando in fondo sei umana anche tu, caricarsi sulle spalle il benessere altrui, camminare sulle uova perché c’è sempre il “quieto risentimento” della persona cara, doversi prendere delle pause da qualcuno a cui si vuole un bene dell’anima perché la tua vita da persona non malata si rivela un motivo di rancore.
E tu mi hai detto che ho abbandonato la nave
ma stavo affondando con lei
con le nocche delle mani bianche e la presa morente
mi tenevo stretta al tuo quieto risentimento
ed i miei amici dicono che non è giusto essere spaventati
ogni giorno in una relazione
ogni respiro sembra l’aria più preziosa
quando non sei sicura che lui voglia stare qui
Quindi quanta tristezza pensavi che io avessi in me?
Quanta tragedia?
Quanto in basso pensavi che sarei scesa?
Quanto a lungo pensavi che sarei andata avanti?
Prima di implodere
Prima di dovermene andare, libera
Hai giurato che mi amavi, ma dov’erano gli indizi?
Sono morta sull’altare aspettando la prova
ci hai sacrificato agli dèi dei tuoi giorni più cupi
e mi sta tornando proprio ora il colore sulla faccia
e sono arrabbiatissima perché amavo questo posto
Addio, Londra
abbiamo fatto una bella corsa
un momento di sole caldo
ma non sono quella giusta…
But Daddy I love him
Questa è la mia canzone preferita della “parte bianca”, anche per la melodia un po’ vecchio stampo, che strizza l’occhio a quando Taylor faceva ancora country.
Come il suo grande classico “Love story”, anche qui c’è un amore osteggiato, anche se in versione adulta. La protagonista ha semplicemente trovato una brava persona che però non fa parte dei giri ristretti della sua città, composta invece da personalità non proprio limpide… ma finalmente ha imparato a ragionare con la sua testa. Ci ho messo un po’ ad ascoltare questa canzone senza diventare emotiva. Chi ha avuto l’impressione di essere in una cittadina a volte soffocante, chi si è sentito sotto la lente del giudizio altrui con tanto di domande invadenti da parte di mezzi sconosciuti in luoghi pubblici, chi è fuggito dalle ipocrisie e dai bigottismi degli ambienti religiosi… sono sicura che mi capirà.
Ed ora vi dirò qualcosa
preferirei distruggere tutta la mia vita
che ascoltare un secondo in più
di tutti questi pettegolezzi e lamenti
vi dirò qualcosa sul mio buon nome
è un mio diritto farlo cadere in disgrazia
non devo provvedere io a tutte queste vipere
che indossano vesti da empatici
Che Dio protegga i più giudicanti impiccioni
che dicono che vogliono il meglio per me
che come in un sacramento si lanciano in monologhi che non sentirò mai
pensando che tutto ciò possa cambiare
il battito del mio cuore quando lui mi sfiora
e contrastare la chimica, e annullare il destino
non dovete pregare per me, io e il mio ragazzo
e la sua gioia selvaggia
se tutto quello che volete per me è il grigio
allora è solo rumore bianco, ed è solo una mia scelta […]
Ora danzo con il mio vestito al sole
ed anche a mio papà lui piace
sono la sua signora, e dovreste vedere le vostre facce
il tempo non mi ha dato “prospettive”
no, non potete venire al matrimonio
so che lui è folle, ma è quello che voglio
Florida!!
Questo brano con Florence Welch mi piace forse un po’ meno dal punto di vista del testo e di più da quello della musica: queste note rock, effettivamente, mancavano.
Dal punto di vista testuale mi sembra la continuazione del racconto giallo “No body, no crime” (Link per l'ascolto) tratto dall’album “Evermore”: la donna che ha commesso un crimine per vendicare la sua amica ha trovato un rifugio in Florida, Stato in cui nessuno la cercherà e potrà finalmente affrontare i suoi fantasmi.
L’uragano arriva con il mio nome
mi sono ubriacata ed ho tentato di cancellarmi
barricata nel bagno con una bottiglia di vino
io ed i miei fantasmi abbiamo avuto un momento d’inferno
sì, sono tormentata ma sto bene
tutte le mie amiche hanno il loro pizzi ed i loro crimini
ed il tuo marito traditore è scomparso?
Bene, nessuno fa domande qui [...]
Ho bisogno di dimenticare, quindi portami in Florida
Ho alcuni rimpianti, li seppellirò in Florida
dimmi che sono disprezzabile, di’ che è imperdonabile
almeno le bambole sono belle, distruggimi, Florida
Ho bisogno di dimenticare, quindi portami in Florida
ho alcuni rimpianti, li seppellirò in Florida
Dimmi che è disprezzabile, di’ che è imperdonabile
che schianto, che corsa, distruggimi, Florida
Who’s afraid of little old me?
La versione più consapevole di Vigilante Shit (Link per l'ascolto), brano rabbioso di Midnights che mi è sempre piaciuto. Questa per me è proprio la canzone delle persone buone e pazienti – donne giovani in particolare – che finalmente smascherano la manipolazione e ne hanno abbastanza. È ovvio che non appena le persone così si ribellano la prima reazione dei loro oppressori è quella di dare loro le colpe e trattarle come streghe impazzite, ma la protagonista è finalmente consapevole che non è lei ad aver perso le staffe come la Regina di Cuori di Alice, ma sono gli altri ad averle fatto qualcosa di sbagliato ed aver scatenato la sua rabbia.
Quindi mi dite che non tutto riguarda me
ma se invece lo riguardasse?
Dicono che non lo hanno fatto per ferirmi
ma se invece lo avessero fatto?
Voglio ringhiare e farvi vedere quanto questo mi abbia disturbato
non durereste un’ora nel manicomio che mi ha cresciuto
quindi voi ragazzini potete pure entrare a casa mia con tutte le ragnateli
sono sempre ubriaca delle mie lacrime, non è quello che dicono tutti?
Che ti farò causa se cammini sul mio prato
che sono temibile, miserabile, e che sbaglio
metto i narcotici in tutte le mie canzoni
ed è per questo che continuate a cantarle…
Quindi salto dalla forca e lievito giù nella vostra strada
e rovino le vostre feste come un disco incrinato mentre urlo
“Chi ha paura della piccola vecchia me?”
Ero addomesticata, ero gentile
finché la vita del circo mi ha reso meschina,
“Non preoccupatevi, amici, le abbiamo cavato tutti i denti”
Chi ha paura della vecchia piccola me?
Bene, dovreste averne
Perché mi avete attirata, e mi avete ferita, e mi avete insegnato
mi avete intrappolato e chiamato pazza
io sono quel che sono perché voi mi avete addestrato
quindi chi ha paura di me?
Loml
Se dovessi scegliere un’altra “preferita” della prima parte oltre a But Daddy I love him, penso che sceglierei questa. Loml (“amore della mia vita” che poi si rivela essere “perdita della mia vita”) è una ballata che si potrebbe definire romantica, ma forse non basterebbe. Il destinatario di questa canzone è una persona che continua a tornare nella vita della protagonista, che allude ma non mette in pratica, la chiama “amore” senza una relazione, promette ma non mantiene. Gli elementi che caratterizzano una relazione duratura si mescolano così a quelli di una situationship di scarso valore, creando grande confusione nella mente della protagonista. È difficile lasciare andare quello che per una vita, a più riprese e forse proprio nei momenti di difficoltà, è sembrato un bel sogno, ma si è rivelata solo un’illusione… ma è necessario.
Credo che come forma qui Taylor si sia superata, le figure retoriche sono incredibili.
Se lo sai in un’occhiata, è leggendario
io e te passiamo da un solo bacio al matrimonio
ancora vivi, ammazzando tempo al cimitero
mai davvero sepolti
nel tuo completo giacca e cravatta, in pochissimo tempo
tu ragazzo disonesto, protagonista di una farsa,
Spirito santo, mi hai detto che ero l’amore della tua vita
… almeno un milione di volte […]
Mi hai parlato di stupidaggini fino all’esasperazione,
parlando di anelli e di culle,
vorrei poter non continuare a rievocare
come stavamo per avere tutto,
fantasmi danzanti sul terrazzo,
sono forse in imbarazzo a causa nostra
perché non riesco ad uscire dal letto
dopo che qualcosa di contraffatto è morto?
Era leggendario, era momentaneo
non era necessario, avrebbe dovuto restare sepolto
Oh, che ruggito da eroe, e che blando addio
il codardo ha fatto finta di essere un leone
sto pettinando le trecce di bugie,
“non me ne andrò mai”, “non importa”,
Il nostro campo di sogni inghiottito dalle fiamme,
il tuo accendino doloso, i tuoi occhi cupi,
e lo vedrò sempre, finché non morirò,
tu sei la perdita della mia vita.
I can do it with a broken heart
Ammetto che questa non è stata una delle canzoni che mi ha colpito di più al “primo giro”, ma l’ho rivalutata con il tempo. Taylor prende spunto dal fatto di aver affrontato un dolore personale proprio nel mezzo del suo tour più di successo, mentre ogni sera doveva far divertire tantissima gente. Ne nasce un brano solo in apparenza allegro, in realtà molto sarcastico, su come tutti si fermino solo alla superficie e non riescano a vedere che quella donna allegra, produttiva, inarrestabile sia in realtà a pezzi.
Posso leggervi la mente
“Lei sta vivendo il momento migliore della sua vita”
là nel suo abito scintillante
le luci rifrangono stelle di seta sulla sua silhouette ogni notte
posso mostrarvi bugie
Perché sono una ragazza molto dura, posso gestire le mie cose
loro mi hanno detto “Fingi finché non sarà vero” e così ho fatto
Luci, foto, sorridi stronza, anche quando vuoi morire
lui mi ha detto che mi avrebbe amato tutta la vita
ma quella vita era troppo corta
crollando ho toccato il pavimento
tutti i pezzi di me si sono sparpagliati mentre la folla acclamava “Ancora!”
Stavo ghignando come se stessi vincendo, stavo riscuotendo successo
perché posso farlo anche con un cuore infranto
The smallest man who ever lived
Questo è forse uno dei testi più “pesanti”, e sì che finora di leggerezza non ne abbiamo vista tanta. Io ci vedo proprio un grido rabbioso di tutte quelle donne che sono state trattate con cattiveria o persino con violenza da un uomo che in qualche modo riesce sempre a cavarsela, a fare la faccia pulita, mentre alla vittima spetta sempre il ruolo della “donna isterica pazza che lo esasperava”. Perché la società giustificherà sempre l’uomo, anche se è imbottito di droga, anche se ha preso a calci le luci del palcoscenico mentre si stava esibendo, anche se ha già precedenti penali. Non parliamo, quindi, di tutti quei casi di maltrattamento verso le donne che ci siamo tristemente abituate a considerare “ordinaria amministrazione”…
Questa canzone mi ha ricordato molto da vicino un’altra che amo, “Happier than ever” di Billie Eilish (Link per l'ascolto). In entrambi i casi l’iniziale, quieta, balbettante autodifesa della vittima diventa un incontrollabile grido di rabbia. Ecco, io penso che, se in entrambi i casi il risultato è stato uno stadio pieno di donne che urlano in coro che non ne possono più, nei migliori dei casi dei mascalzoni misogini e nei peggiori degli abuser, beh… è un call out non indifferente alla nostra società.
E non ti rivoglio nemmeno, voglio solo sapere
se far arrugginire la mia frizzante estate fosse l’obiettivo
e non mi manca quel che avevamo, ma qualcuno potrebbe far recapitare
un messaggio all’uomo più piccolo che abbia mai vissuto?
Sei stato inviato da qualcuno che mi voleva morta?
Dormivi con un fucile sotto il nostro letto?
Volevi scrivere un libro? Eri parte di un programma di spie?
Nel giro di cinquant’anni tutto questo verrà declassato?
E confesserai perché lo hai fatto?
Ed io dirò “Che liberazione!”
perché non è stato nemmeno sexy quando non è stato più proibito
Sarei morta per i tuoi peccati, invece sono soltanto morta dentro
e ti meriti la prigione, ma non arriverà il tuo momento
Tu scivolerai tra la posta elettronica e attraverserai i bar
hai distrutto la mia festa e la tua auto a noleggio
dicevi che le ragazze normali erano per te “noiose”
ma al mattino te n’eri andato
hai preso a calci le luci sul palco ma ti fanno ancora esibire
E ti nascondi in piena vista
ma sei quello che hai fatto
e ti dimenticherò, ma non perdonerò mai
l’uomo più piccolo che abbia mai vissuto
Clara Bow
Il disco si chiude con una sorta versione internazionale de “Il gatto e la volpe” di Bennato, o almeno questa è l’associazione che mi è venuta in mente.
È un brano che mette in luce le falsità del mondo dello spettacolo, il fatto che gli squali delle case discografiche attirino i giovani ed ingenui talenti dicendo loro “sembri quel famoso artista, ma farai meglio” o “ricordi quella bellissima attrice, ma hai più grinta”. La comparazione solo uno dei tanti inganni messi in atto perché l’aspirante VIP di turno rinunci a tutto se stesso in nome della fama, del successo, del “farcela o morire”.
“Sembri Clara Bow in questa luce
notevole
sapevi già, in tutta la tua vita,
che ti avremmo scelta come una rosa?”
“Non sto provando ad esagerare
ma penso che morirei se succedesse a me
nessuno nella mia piccola città pensava
che avrei visto le luci di Manhattan”
“Questa città è falsa, ma tu sei autentica
un respiro d’aria fresca attraverso anelli di fumo
prendi la gloria e dai tutto di te
ti prometto che sarà abbagliante”
Tanto per cambiare, io ho parlato pure troppo, quindi lascio la parola a voi.
So di non avervi proposto esattamente dei tormentoni estivi da spiaggia, ma li sentiamo già tutti fin troppo, no? Mi sembrava il caso di proporvi qualcosa di un po’ diverso, che possa anche restare. Ci riaggiorniamo tra un paio di settimane per The Anthology… ma voi, se vi va, fatemi sapere che cosa avete preferito di The tortured poets department, nel frattempo!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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