giovedì 27 aprile 2023

I PREFERITI DI APRILE 2023

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

eccoci arrivati agli ultimissimi giorni di aprile ed ai nostri soliti “Preferiti del mese”!

Definire l’aprile appena trascorso è davvero difficile per me. La sensazione che sto vivendo da qualche settimana a questa parte è quella di stare a bordo di una montagna russa che si innalza e si abbassa moltissimo ed all’improvviso.


Dal punto di vista del lavoro, è stato un mese “corto” per via di vacanze di Pasqua e ponti, ma il calendario dei prossimi 40 giorni mi fa tremare, e poi nel bel mezzo c’è stata la gita, una giornata che allo stesso tempo mi ha fatto tornare a casa stanchissima e raggiante (a proposito di contraddizioni). Quanto a tutto il resto, ho alternato giorni in cui ero perfettamente felice e rilassata, come quelli pasquali al mare e le gite fuori porta per il ponte, giorni in cui mi è sembrato di essere sulla strada giusta per portare a compimento i miei sogni – ci sono state delle belle novità anche a scuola di danza-, e giorni in cui, purtroppo, alcuni miei problemi personali mi hanno portato in dono lacrime, gastrite ed insonnia.


È difficile dirsi di “tenere duro” quando sta per arrivare un periodo molto intenso e si è già parecchio stanchi, ma penso di dovere a me stessa almeno un tentativo. Nessuno è perfetto, ma penso di meritarmi anche di raccogliere i frutti di tutto quello che ho seminato in questa lunga e ricca annata (scolastica e non solo).


Nel frattempo, vediamo insieme libri, film, poesie e canzoni che mi hanno accompagnato!



Il libro del mese


Protagonista di questa storia è Giulia, una donna milanese benestante e realizzata che da tempo lavora come giornalista di moda e costume per una rivista. Il suo profilo è quello della classica “milanese trendy” che chi vive nella mia zona conosce bene: il lavoro come centro della propria vita, giornate frenetiche tra ufficio ed eventi nella grande città, amiche in carriera, tante possibilità economiche.


Questa, però, è solo una facciata. Nel passato di Giulia, e nella sua vita intima, c’è ben altro. La sua infanzia è stata un incubo: il padre, un uomo buono ma senza autorità, se n’è andato presto, risposandosi e costruendo una nuova vita con una donna che non c’entra niente con la madre di Giulia. Quest’ultima, Teresa, è un’egoista in piena regola, dipendente dal gioco e dall’alcool e manipolatrice nei confronti di tutti, soprattutto della figlia. Ancora adesso, a quasi cinquant’anni, a Giulia capita di tornare a casa piangendo dopo aver subito le sue cattiverie. Fortunatamente dal padre e dalla matrigna è sempre ben accetta, e poi c’è Emanuele, il suo fratellastro, la persona più importante della sua vita, che ha ideali completamente diversi dai suoi e vive in campagna con la fidanzata e tanti animali, ma ricambia il suo affetto in modo sincero.


Il conflitto tra quel che Giulia cerca di sembrare e quello che sa di essere nel suo intimo un giorno si fa insopportabile. La mattina del suo 49esimo compleanno, mentre sta facendo colazione, ella ha un attacco di panico in piena regola. In pochi, terribili attimi, Giulia si rende conto di stare per perdere una possibilità che non ha mai considerato: quella di diventare madre. La sua vita sentimentale è da tempo ridotta ad un compromesso un po’ tiepido: ella ha un compagno, Massimo, giornalista come lei, ma la loro relazione, basata sull’indipendenza e sul cercarsi solo per cene, serate e vacanze, all’improvviso sembra non bastarle.


Massimo, sulle prime, è sconvolto dal desiderio di Giulia, che ella non le ha mai esternato, ma, anche se tentennante, poi decide di accettare di diventare genitore insieme a lei. Giulia, da brava milanese in carriera che non perde tempo, affronta la questione di petto: prende appuntamento con i ginecologi più stimati, inizia subito a sottoporsi alle cure ed intraprende un percorso di fecondazione assistita. Quel che ancora non sa è che questa novità nella sua vita metterà in discussione tutto il resto.


Innanzitutto le “amiche”, che non le sono di alcun supporto. Poi il lavoro, che perde consistenza ai suoi occhi giorno dopo giorno: i consigli che ella ha dato per anni a donne come lei iniziano a sembrarle improvvisamente frivoli e superficiali, inutili per chi lotta tutti i giorni contro dolori profondi. Infine i suoi rapporti con la madre Teresa e con Massimo, che crollano a picco.


Teresa inizia a sembrarle quasi gelosa, quasi invidiosa del fatto che, per via del percorso che ella sta compiendo verso la maternità, tutte le attenzioni non siano più riservate soltanto a lei. Massimo, invece, inizia a comportarsi in modo sempre più confuso, ad alternare momenti di affetto e gioia ad altri di manipolazione e cattiveria gratuita.


Giulia, però, non si perde d’animo e, anche grazie all’affetto dei familiari che le vogliono davvero bene e di nuovi amici sinceri, riesce ad andare incontro ad una fase inedita della sua vita.



Non dimenticarlo mai è una delle ultime uscite di Federica Bosco, un’autrice che mi piace fin dai tempi dell’Università e che non smette mai di coinvolgermi. Quello che apprezzo di lei è che, pur continuando a scrivere di temi che restano sostanzialmente gli stessi (amore, relazioni, famiglia, amicizie), lo fa di volta in volta con uno stile diverso, toccando problematiche differenti e sfumature che nei precedenti romanzi non erano state considerate.


Questo romanzo, per esempio, mi ha fatto un certo male. La prima metà, come promesso dalla trama in quarta di copertina, racconta soprattutto le difficoltà di chi decide di diventare madre “ai tempi supplementari”: un tema delicato ma che, almeno per ora, non mi riguarda in prima persona. La seconda metà, invece, pone al centro dell’attenzione gli abusi perpetrati dai narcisisti patologici nei confronti delle loro vittime.


Devo confessarvi che questo, invece, mi riguarda. Ho incontrato una sola persona nella mia vita che corrisponde alla descrizione che gli specialisti fanno di “Narcisista patologico”, una persona che mi era superiore in uno dei primi contesti lavorativi che ho affrontato, solo per una manciata di mesi, e posso assicurarvi che il solo pensiero che qualcuno possa avere una madre o un compagno così mi fa piangere. Sono passati anni, ma quella persona a volte è ancora nei miei incubi. 

Ciò che ho apprezzato di più nella storia di Federica Bosco è il fatto che lei ponga l’accento su tante, tante situazioni reali che si verificano quando una persona del genere ti elegge come sua “vittima”: la paura di un’ombra malvagia che ti osserva e che ti segue, aspettando i tuoi sempre più rari momenti di felicità per rubarteli o rovinarteli; la sensazione di essere defraudata di tutta la propria energia positiva; la consapevolezza che ogni volta che ti prenderai qualche libertà verrai “punita”; la tendenza di questa persona a mettere in mezzo persone che ami pur di fare del male a te; le scenate patetiche che a freddo e da lontano ti fanno quasi ridere, ma da vicino ti rendono incapace di reagire; le giustificazioni del tipo “lo faccio per te, è per il tuo bene, lo hanno fatto anche con me da giovane”. Soprattutto la sensazione che in pochissimi ti credano quando ti stai lamentando di questa persona, perché lui/lei ti rende così emotivamente fragile che gli altri non possono fare a meno di vederti stressata e di dirti, spesso in buona fede, che magari stai esagerando, sei solo stanca, vedrai che le cose andranno meglio.


E invece no, questo non è normale. È una sensazione specifica, orribile, che non auguro nemmeno a chi mi è antipatico, perché se no l’antipatica diventerei io. Credetemi, visto che nel mio caso parliamo di lavoro, negli ultimi anni, tra Covid e mansioni nuove, non sono mancati né stress lavorativo né momenti delicati, ma mai più, nemmeno un solo giorno, ho provato quella sensazione, da quando quella persona è uscita dalla mia vita.


Ecco, chapeau a Federica Bosco per aver raccontato tutto questo. Si sente che è un romanzo in buona parte autobiografico, ma questo suo coinvolgimento personale me la fa apprezzare ancora di più.



Il film del mese


Aprile è stato un mese ricchissimo e, come avrete intuito, tutt’altro che casalingo. Per questo motivo, tra una cosa e l’altra, il cinema, purtroppo, non c’è stato.


Ho pensato così di raccontarvi una commedia che ho rivisto lo scorso sabato e che mi fa sempre ridere, anche se il presupposto su cui poggia è decisamente… amaro.


Protagonista di questa storia è Claudia Maria Lusi (Miriam Leone), una delle tante lavoratrici nell’ambito dei Beni Culturali di questo paese, perennemente precaria ed in difficoltà. Ella ha un piccolo laboratorio di restauro e da tempo sta aspettando alcuni finanziamenti dalla Regione, ma l’attesa di mesi è diventata l’inutile illusione di anni. Al momento, lei e le sue due collaboratrici sopravvivono con la pensione della nonna, vedova molto ricca di un imprenditore, nonché unico membro della famiglia di Claudia dopo l’abbandono della madre.


Una mattina, però, dopo la sua solita colazione abbondante, nonna Birgit muore serenamente. Claudia e le sue due socie stanno per telefonare al medico di guardia, ma poi si rendono conto di essere completamente rovinate senza la pensione della signora. Con la morte nel cuore, esse decidono di nascondere il corpo della nonna nel grande congelatore di casa.


Non hanno fatto i conti, però, con Simone Recchia (Fabio De Luigi), un implacabile Maresciallo della Finanza. Divorziato da una dentista dopo averle imposto una multa salatissima per delle carie curate in nero, egli ha deciso di devolvere tutta la sua vita al lavoro ed impone ai colleghi blitz di sabato e riunioni fino a tarda sera. Un giorno, però, egli irrompe proprio in Regione, per arrestare un funzionario corrotto… proprio quello che, da tanto tempo, sta negando il finanziamento a Claudia.


Simone inizia a passare a trovare Claudia con qualsiasi scusa di tipo finanziario e burocratico, perché non sa come fare a corteggiarla. Lei prima lo asseconda ed esce con lui pur di non farlo restare a casa con il rischio che guardi nel congelatore, poi tenta di scacciarlo malamente, infine si rende conto che – nonostante tutte le sue stranezze – è una brava persona e se ne innamora.


Ma una love story con queste premesse non può portare che guai!



Metti la nonna in freezer mi fa ridere ogni volta che Rai Movie o Rai 3 lo ripassano, però la verità è che è una commedia di denuncia con un fondo molto triste. Claudia ha amato moltissimo la nonna Birgit, che è stata, di fatto, la sua vera madre, eppure è costretta dalle circostanze a compiere un gesto terribile, occultando il suo corpo pur di continuare ad avere i soldi per sopravvivere (sia lei che le sue due socie). Si parla tanto e ovunque del fatto che i 30enni/40enni di oggi sono ancora in buona parte sostenuti da genitori e parenti anziani, perché con la crisi e le varie difficoltà è una generazione più povera di quella che l’ha preceduta, ma questo film sembra dire che finché alle parole non seguiranno i fatti, ci sarà sempre qualche disperato che tenterà di frodare la legge.


Persino l’irreprensibile Simone, che all’inizio del film si dichiara stupito del fatto che tutti gli evasori d’Italia compiano un atto illegale “per dare da mangiare ai propri figli”, verrà costretto a ricredersi.


Riuscire a fare ridere su questi temi, secondo me, è prova di una commedia davvero ben fatta. E, nonostante tutto, leggera e divertente.



La musica del mese


Proseguiamo il nostro viaggio con Taylor Swift!


A gennaio abbiamo riflettuto sulla felicità, a febbraio sull’amore a prima vista, a marzo sulla perdita e sul cambiamento.


Per il mese di aprile vi propongo Daylight, brano di chiusura del settimo CD Lover e mio preferito del disco.


Daylight è una grande metafora: dopo un lungo periodo trascorso in una “lunga notte”, andando avanti alla cieca dopo un momento difficile e destreggiandosi tra persone che non sempre volevano il nostro bene, finalmente si arriva a “vedere il giorno”, cioè ad incontrare qualcuno di importante (o ad apprezzare chi c’è già) ed a mettere se stessi al centro.


La fortuna del disegno dipinge soltanto lo sfortunato

e così sono diventata lo zimbello di tutti

ho ferito il buono e mi sono fidata del malvagio,

cercando di pulire l’aria, ho respirato il fumo […]

Non voglio guardare nient’altro ora che ho visto te

Non voglio pensare a nient’altro ora che ho pensato a te

Ho dormito così tanto in una notte buia di vent’anni

ed ora vedo la luce del giorno, vedo solo la luce del giorno


Questa canzone segna un momento di svolta e di maturità in cui mi sono rivista molto: la consapevolezza che l’amore vero, quello duraturo, non è una fiamma ardente che ti fa sentire come su un’auto in corsa e prossima a schiantarsi (tanto per riferirsi ad una canzone più vecchia di Taylor, Red), ma è caldo ed accogliente come la luce del giorno.


Un tempo credevo che l’amore fosse rosso e bruciante

ma è dorato, come la luce del giorno


Quello che mi piace più di tutto di questa canzone, però, è la conclusione, un piccolo discorso parlato alla conclusione della musica. È da sempre un mantra che cerco di seguire, ma in queste settimane di “montagne russe”, come potrete immaginare, è stato particolarmente importante per me. Trovate Daylight qui.


Voglio essere definita dalle cose che amo.

Non da quelle che odio, non da quelle che mi spaventano,

dalle cose che mi tormentano nel mezzo della notte.

Penso solo che… tu sei ciò che ami.



La poesia del mese


Per il mese di aprile, con tutte le sue contraddizioni e l’arrivo della primavera, ho pensato ad un componimento di Guido Gozzano, dal titolo Speranza.


Il gigantesco rovere abbattuto

l’intero inverno giacque sulla zolla,

mostrando, in cerchi, nelle sue midolla

i centonovant’anni che ha vissuto.


Ma poi che Primavera ogni corolla

dischiuse con le mani di velluto,

dai monchi nodi qua e là rampolla

e sogna ancora d’essere fronzuto.


Rampolla e sogna – immemore di scuri -

l’eterna volta cerula e serena

e gli ospiti canori e i frutti e l’ire


aquilonari e i secoli futuri…

Non so perché mi faccia tanta pena

quel moribondo che non vuol morire.



Le foto del mese


Aprile è stato un mese costantemente… in viaggio! Dal 6 all’11, in occasione delle vacanze di Pasqua, sono stata a Varazze con la mia famiglia, com’è tradizione. Ha piovuto un po’ solo venerdì, per il resto sono state giornate di sole e spiaggia, passeggiate, ottimi pranzetti e relax!



I look di questa primavera, ed in particolare di queste vacanze di Pasqua, sono in buona parte sui toni dell’azzurro!



Il 19, insieme ai miei colleghi, ho portato le classi in gita in Val Camonica! La mattina abbiamo visitato il parco delle incisioni rupestri di Naquane, un posto incredibile che non avevo ancora visto…



...e nel pomeriggio siamo stati in Archeopark, per fare alcune attività legate alla preistoria! Mi sono divertita particolarmente sulla zattera e poi con il tiro con l’arco :-)



Il 22 sono stata con i miei genitori a Cremona, una bella città che merita davvero! Tra seconda colazione con pasticcini, mercato dei fiori, Duomo e battistero, salita in cima alla torre con terrazza panoramica, buon pranzetto in osteria, Museo del Violino e Museo Diocesano è stata una giornata lunghissima… e molto bella! Conto di parlarvi meglio di questo tour in un post :-)



Infine, il 24, sempre in famiglia, sono stata a Bellano! Ho visitato il percorso dell'Orrido che non avevo mai visto (spettacolare!), passeggiato e preso il sole sul lungolago e fatto un pranzetto di pesce. Magari anche queste foto finiranno in un post tutto loro!




Ecco il mio aprile in breve!

Come avete visto, il lato positivo è molto ricco. Quanto a qualche difficoltà che ho avuto ultimamente, conto che pian piano le cose andranno meglio.

Il calendario di maggio mi fa una certa paura, ma farò il possibile per essere costante anche su questi schermi.

Raccontatemi un po’ il vostro aprile!

Grazie per la lettura, ci rileggiamo in maggio :-)


lunedì 24 aprile 2023

UN PENSIERO SOLO PER LE TUE ORECCHIE

 Spazio Scrittura Creativa: aprile 2023




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di aprile con la rubrica “Spazio Scrittura Creativa”!


marzo ci siamo dedicati alla poesia; oggi torniamo con gioia alla prosa, anzi, alla narrazione un po’ letteraria.


So che domani è la Giornata della Liberazione, ed ho pensato tanto se scrivervi qualcosa in proposito, ma l’unica idea davvero valida mi è venuta tre anni fa, con La staffetta, quindi, se avete voglia di leggere qualcosa di questo tipo, vi rimando a questo link.


Oggi, però, ho pensato comunque di omaggiare un autore che, anche in un contesto diverso da quello che festeggeremo domani, ha creduto moltissimo nella sua nazione ed ha contribuito alla lotta per la sua libertà ed indipendenza. Sto parlando di W.B.Yeats, poeta, narratore e senatore irlandese, vissuto tra il 1865 e il 1939.


Ho studiato bene questo autore il primo anno di Università, per il corso di Letteratura inglese, ed alcuni suoi componimenti – come il protagonista di questo racconto, Adam’s curse – mi sono rimasti davvero impressi.


Oggi ho pensato di raccontarvi Un pensiero solo per le tue orecchie!



Un pensiero solo per le tue orecchie


Sedevamo insieme alla fine di un’estate,

quella bella donna mite, tua intima amica,

ed io e te, e parlavamo di poesia.

Io dissi: “Un verso, forse, ci prenderà delle ore;

e nonostante questo, se non sembra il pensiero di un momento,

il nostro cucire e scucire è stato vano.

Meglio allora piegarsi sulle proprie ginocchia

e grattare il pavimento di una cucina, o rompere pietre

come un vecchio poveraccio, in tutti i generi di clima;

perché articolare dolci suoni insieme

è un lavoro più duro di tutti questi, e nonostante questo

siamo ritenuti dei fannulloni dal rumoroso assembramento

di banchieri, insegnanti, preti

che i martiri chiamano “il mondo”."



Dublino, Trinity College, settembre 2015


Quella mattina il vento leggero ma già troppo freddo sembrava accarezzare l’erba dei prati. Dietro al complesso di edifici dell’Università il vasto spazio dove gli studenti avevano trascorso l’estate, preparando gli esami sotto la luce del pallido sole irlandese, chiacchierando in circoli improvvisati e scaldandosi con una birra, intrecciando relazioni ed abbandonandone brutalmente altre, era insolitamente vuoto.


Wesley era seduto da solo sotto un albero, con il libro di Letteratura Inglese in mano. La sua prima estate universitaria era trascorsa, dopo un anno da matricola, ed egli si sentiva come se non avesse preso parte per niente alla girandola di allegria e festeggiamenti che aveva avuto luogo nei due mesi precedenti. Non dubitava che, tra una serata in compagnia ed un pomeriggio passato a prendere il sole, i suoi compagni di corso avessero anche studiato, ma egli era sicuro che persino quella fatica, condivisa, fosse pesata di meno a tutti. A tutti, tranne che a lui. Certo, non pensava che sarebbe stato facile arrivare dal confine con l’Irlanda del Nord e farsi degli amici nel cuore di Dublino: certi pregiudizi sono duri a morire, e, nel suo paese, più si proveniva da Nord e più si era guardati con diffidenza. Tuttavia non si aspettava di fare così tanta fatica a fare amicizia con chiunque: un po’ per colpa del suo carattere timido, un po’ per l’esistenza di gruppi di amicizie risalenti alle scuole superiori e già esistenti al suo arrivo, egli spesso si era sentito escluso.


Il mese di agosto aveva finito per sentirsi così solo che era tornato a casa dalla sua famiglia, con la quale si era giustificato dicendo di essere in pari con gli esami. Non era certo una bugia: Wesley amava il corso di laurea in inglese ed a luglio aveva già concluso tutti i programmi, mentre i suoi compagni – che però si divertivano, erano felici – arrancavano un po’.


Dovrei trovare qualcuno con i miei stessi interessi, si ripeté sconsolato per l’ennesima volta. Il corso di laurea in inglese era troppo grande per il suo animo timido. Per questo motivo egli aveva deciso di fare quello che, per i suoi standard, era già un coraggioso tentativo.


Quella sera sarebbe andato alla prima riunione di una neonato gruppo di studio su William Butler Yeats. Wesley stava per iniziare il secondo anno, aveva passato il primo tra la nascita del poema epico e le novelle di Chaucer, e di certo non era ancora un grande esperto di letteratura novecentesca (anche se gli sarebbe piaciuto tanto esserlo). Ma W.B.Yeats era per tutti un simbolo del Novecento irlandese, e quell’anno, nel mese di giugno, era caduto il 150esimo anniversario della sua nascita.


Per questo motivo l’Università di Dublino aveva deciso di istituire un “anno Yeatsiano” con tante attività dedicate al poeta e senatore, e di affidare l’organizzazione di alcuni eventi culturali ad un gruppo di studenti particolarmente dotati. E così i leader del gruppetto, nelle ultime settimane, avevano pubblicizzato un ciclo di incontri serali per conoscere meglio l’autore e le sue opere.


Wesley aveva pensato quasi subito di partecipare, poi aveva cambiato idea ogni singolo giorno. Che cosa vado a fare, magari sto zitto in un angolo ed ascolto e mi annoio pure, magari Yeats mi fa schifo, ma perché sono così introverso. Anche quel pomeriggio, mentre faceva finta di studiare per i nuovi corsi, non aveva fatto altro che tormentarsi a proposito dell’imminente serata. Alla fine, stupendo anche se stesso, aveva deciso di tenere fede al suo proposito e di presentarsi.



Come poteva immaginarsi, la sala che i professori avevano destinato agli incontri su Yeats era spoglia, piuttosto buia e forse pulita l’ultima volta settimane prima. I professori universitari spesso si fanno belli con il lavoro studentesco, ma lasciano che esso si compia nelle pieghe nascoste dell’ambiente universitario, quasi come se sapessero bene che trarre linfa vitale da chi invece dovrebbe essere l’oggetto del tuo spendersi è qualcosa di cui vergognarsi. Wesley si era messo in prima fila, per ascoltare meglio, ma in un angolo, per non essere visto, come suo solito. Iniziamo bene, disse la solita vocina dentro la sua testa. Sei venuto qui con l’intento di fare nuove amicizie, ed invece fai tappezzeria. L’aula è gremita, ci sono tante persone del tuo corso, e tu taci.


I suoi pensieri – ed il rumoreggiante gruppo di spettatori – furono improvvisamente messi a tacere da una voce ben conosciuta dentro il microfono. La cattedra di fronte alla lavagna fu subito occupata da una persona che Wesley aveva visto fin troppe volte: Rupert Hayes, pupillo del suo professore di Letteratura inglese delle origini, già presidente di un paio di associazioni studentesche.


Un personaggio carismatico, sicuramente. Pieno di muscoli e di amici. Tutto il contrario di quello che era Wesley. Era bastato un suo “Buonasera a tutti” per zittire una platea già un po’ adorante. Wesley comprese che anche quella sera egli sarebbe stato solo una comparsa.


Dunque, sapete perché siamo qui: per l’anno Yeatsiano. Oggi inizieremo a parlarvi di William Butler Yeats, presentandovi alcune slide...”


Ma neanche per sogno!” esplose una voce dalla parte opposta a quella dove era seduto Wesley. A parlare era stata una ragazza con qualche anno in più di lui, che egli non aveva mai visto. Era una creatura esile, che sembrava tenuta in piedi da una sorta di energia nervosa. I lunghi capelli neri erano raccolti con una matita in una crocchia improvvisata, gli ampi occhi verdi erano rivolti verso Rupert (e Wesley) e gli abiti scuri erano accesi da una collana composta da grandi pietre naturali di tutti i colori.


Rupert, non erano questi i patti” continuò la ragazza. “La tua idea era quella di sostituirti al professor Graves e di metterti a pontificare su vita, morte e miracoli di Yeats. Su tutto quello che chiunque di loro può trovare su Wikipedia, in pratica. Noi altri ti abbiamo lasciato il ruolo di conduttore, perché sapevamo che tu non vedevi l’ora, a patto che ti attenessi a quello che ha deciso la maggior parte di noi.”


Uff, Maddie, lo sapevo che saresti stata tu a protestare. Fai una cosa, guarda: racconta loro che cosa avete pensato voi di fare, tu e quegli altri idealisti che mi sono dovuto accollare, e poi mettiamolo ai voti. Lasciamo che sia il pubblico a decidere. Non sei tu quella democratica?” concluse Rupert con una risatina di scherno.


Se tu non lo sei, Rupert, mi chiedo che cosa tu faccia qui a parlare di uno che ha lottato per la libertà. Comunque, come vuoi tu.”


Però, pensò Wesley ammirato. Io sono qui che a fatica capisco dove mi trovo e perché, e qui c’è qualcuno che non solo sa quel che sta facendo, ma risponde anche a tono ai personaggi importanti. Incredibile ma vero.


La ragazza, Maddie, riprese a parlare ancora più infervorata di prima. “La nostra idea” disse calcando sull’aggettivo possessivo “è quella di non imitare i professori, di lasciare perdere le slide e tutto il resto. Vorremmo leggere insieme le opere, e condividere liberamente quello che pensiamo. E soprattutto vorremmo che ognuno di voi, ispirato da Yeats, si sentisse a sua volta un po’ poeta. Vi siete mai chiesti perché il lavoro creativo è ancora così disprezzato? Perché pensare non è ritenuto utile da tanti in questo mondo, soprattutto fuori dall’Università? I professori ci riempiono di informazioni, ci insegnano ad amare gli artisti, e appena mettiamo un piede fuori da questo posto la maggior parte della gente li ritiene dei fannulloni, forse perché non ha gli strumenti per capirli. Dobbiamo uscire dalla torre d’avorio. Yeats non faceva poesia per gli accademici, ma perché sognava un mondo più giusto, un’Irlanda libera. Dobbiamo chiederci: come la poesia può essere ancora utile oggi, alla gente comune?”


Sì, sì, tutto molto bello, Maddie” disse Rupert “ma io credo che dovremmo sfruttare innanzitutto questo tempo per portarci avanti con lo studio e guadagnare i nostri crediti universitari agli eventi. Abbiamo tutti tanto da fare… chi sta con me?”


Come previsto, un bel po’ di mani si alzarono. Non quante Wesley avrebbe immaginato, però: una metà scarsa. Dovuta più all’influenza di Rupert che alla consistenza del suo progetto.


Maddie non riuscì a reprimere un sorrisetto. “Bene, bene. E allora quanti a favore della mia tesi?”


Contrariamente a quanto Wesley si aspettava, per qualche minuto nessuno alzò la mano. Nessuno aveva il coraggio di essere il primo, di schierarsi contro il capetto locale, anche in caso di dissenso. Ma io che ho da perdere? Si chiese Wesley.


Fu lento, esitante. Ma alzò la mano, sorridendo apertamente a Maddie. In meno di dieci secondi, una selva di mani scattò verso l’alto.


Ottimo” disse Maddie, guardando Wesley compiaciuta. “E tu che apprezzi così tanto la mia idea, come ti chiami?”


* * *


E poi

quella bella mite donna per la quale

ci sono molti che si ritroverebbero ad avere un infarto

scoprendo che la sua voce è dolce e bassa

rispose “Essere nata donna significa conoscere -

anche se non ne parlano a scuola -

che dobbiamo faticare per essere belle.”

Io dissi: “Di certo non c’è una cosa ben fatta,

fin dalla caduta di Adamo, che non richieda fatica.

Ci sono stati amanti che pensavano che l’amore avrebbe dovuto essere

così tanto impregnato di alta cortesia

che avrebbero dovuto sospirare e citare, con sguardi studiati,

i precedenti dai bei libri antichi;

ma ora tutto questo sembra un ozioso mestiere.”


Sandymount, gennaio 2016


Il gruppo di lettura di Yeats era terminato con il Natale, ma non l’amicizia tra Wesley e Maddie.


Quel giorno ella gli aveva proposto di andare a Sandymount, luogo natale di Yeats, ed egli aveva accettato con forse troppo entusiasmo.


Poteva mentire a lei, ma non a se stesso. Si era innamorato di Maddie giorno dopo giorno, ascoltandola parlare con lui e con altri, condividendo le sue idee sulla poesia, ammirando la sua serietà ed il suo fervore. Maddie non era una persona come Rupert, che assumeva ruoli di responsabilità per potersene prendere i meriti. Ella tendeva a complicarsi un po’ la vita, e talvolta, guardandola, Wesley non poteva fare a meno di chiedersi: ma perché, ma che voglia ha, ma io nemmeno morto… poi però manteneva davvero quel che prometteva. Era seriamente legata al corso di laurea in inglese, teneva molto alla poesia, aveva imparato ad amare le opere di Yeats. Come lui.


Quando Wesley e Maddie erano soli, lei abbandonava quel tono sostenuto ed ironico che era la sua caratteristica distintiva nel gruppo, e parlava quietamente, con un tono sommesso e gentile che per Wesley era il più grande dei tesori.



Sandymount era molto più battuta dal vento di quanto non lo fosse il centro di Dublino. La spiaggia di gennaio era deserta, la sabbia era impregnata d’acqua ed il mare in tempesta sembrava ululare.


Maddie, però, disinteressandosi come al solito delle condizioni avverse – di qualsiasi genere - , aveva portato con sé degli spessi teli di spugna e dei grandi k-way impermeabili. Si erano seduti a debita distanza dal mare, vicino a degli scogli che li tenevano un po’ riparati dal vento.


Per un po’ avevano bevuto lentamente i caffè che avevano preso al bar poco distante, tenendo tra le mani i grandi bicchieri di carta per scaldarsi. Poi, tutto ad un tratto, Maddie aveva chiesto:

Pensi che avrò fortuna uscendo dall’Università?”

Ma che cosa dici, Maddie? Certo che sì! Con il tuo carattere, la tua determinazione...”

Sì, certo. Qui dentro. Sai qual è la verità, Wesley? Io mi lamento tanto delle brutture del sistema universitario, e non dico certe cose tanto per dire, penso davvero che certe situazioni vadano migliorate… però non conosco altro. A luglio mi laureo e non ho la minima idea di cosa potrebbe succedere.”

Servirebbe a qualcosa dirti che sono sicuro che qualsiasi cosa vorrai fare, la farai bene?”

Non mi aspetterei una risposta così scontata da te.”

E infatti non te lo dico, fai conto che non abbia detto niente. Prova a pensare a dove siamo, allora. Qui è nato un uomo che ci ha detto chiaramente di non aspettarci la pappa pronta. Qualsiasi cosa bella è frutto di fatica. E tu sicuramente non hai alcuna paura di faticare.”

Sei rimasto proprio colpito da Adam’s curse, eh? Non ti facevo così banale.”

Sono un uomo semplice, cosa vuoi. Mica come te.”


Nuvole nere fendevano la quiete dell’orizzonte, il vento sembrava quasi essersi intensificato, i caffè erano finiti, il gelo e l’umidità penetravano nelle ossa. Eppure Wesley e Maddie erano felici.


* * *


Ci sedemmo, diventati quieti di fronte al nome dell’amore;

vedemmo morire le ultime braci del giorno,

e nel tremante blu-verde del cielo

una luna, consumata come se fosse stata una conchiglia

lavata dalle acque del tempo mentre esse salivano e scendevano

tra le stelle infrangendosi in giorni ed anni.


Dublino, aprile 2016


L’anno Yeatsiano era agli sgoccioli: da lì a poco sarebbe iniziato l’ultimo mese di lezioni, e poi la sessione estiva, che avrebbe nuovamente diviso gli studenti che fino a quel momento avevano frequentato tutti insieme.


Quella sera Wesley sedeva orgoglioso in prima fila, ma al centro, nel posto che Maddie aveva scelto per lui. Lei e gli altri leader del gruppo di lettura di Yeats erano riusciti a contattare uno dei più importanti studiosi dell’autore, e, con pazienza e determinazione, lo avevano convinto a presenziare in Università per una serata organizzata dagli studenti.


L’idea era stata un successo. Tutt’intorno a Wesley c’erano studenti entusiasti, alcuni dei quali si erano fermati a parlare con lui prima di prendere posto: mese dopo mese, egli aveva imparato a vincere la sua timidezza, ed anche se egli non poteva certo dire di essersi fatto degli altri cari amici come Maddie, almeno adesso poteva contare su qualche persona per preparare gli esami insieme, pranzare tra una lezione e l’altra e chiacchierare. Per la prima volta egli si sentiva a suo agio, quasi nel suo elemento.


L’unico problema in quel momento era l’improvvisa sparizione di Maddie. Ella aveva occupato tre posti, uno per lui, uno per sé ed uno forse perché l’ospite d’onore potesse appoggiarci i suoi libri, e poi si era assentata con aria misteriosa, dicendogli di aspettarlo e di tenere i posti. Sicuramente era andata a prendere il professore, ma forse ci stava mettendo troppo.


Wesley si voltò per l’ennesima volta verso il fondo dell’aula, dov’era posizionato l’ingresso, e fu allora che vide tre persone. La prima era chiaramente lo studioso invitato all’evento: tutto in lui lo dichiarava, dall’età matura al completo elegante, dalla valigetta da professore alla raccolta di poesie sotto il braccio.

La seconda era Maddie, illuminata da un sorriso che Wesley ultimamente non le aveva più visto. La terza era un ragazzo sui 25 anni che camminava accanto a lei con aria complice.


Il professore si diresse verso la cattedra, appoggiando i suoi averi e sistemando i microfoni. Maddie, invece, si fermò di fronte a lui e, parlando al ragazzo che l’accompagnava, disse: “Jack, questo è Wesley, un mio caro amico. E Wesley, questo è Jack, architetto a Dublino.”

Wesley strinse la mano a Jack, sempre più perplesso, mentre quest’ultimo aggiungeva con calore: “Maddie mi ha parlato molto di te, ero curioso di conoscerti!”

Poi Maddie, sedendosi in mezzo tra Jack e Wesley, disse a quest’ultimo a bassa voce: “Scusa se ti ho tenuta nascosta questa cosa, domani ne parliamo meglio. Ma sono felice!”

E Wesley non ebbe più dubbi.



Ci sono moltissimi romanzi, film e, per l’appunto, poesie, che raccontano il rumore che fa un cuore spezzato. Ma quasi tutti loro raccontano la delusione dopo la fine di una relazione, quando ci si è innamorati in due, quando un “noi” è esistito concretamente, su solide basi, credibili. Yeats invece no, lui aveva capito.

Lui sapeva che cosa vuol dire vedere il proprio castello in aria che crolla miseramente.

Confondere l’amicizia, la condivisione di un interesse, l’ammirazione e la stima con altri sentimenti, e poi ritrovarsi messi da parte per qualcuno che sembra non c’entrare niente né con se stessi né con la persona amata.

Voler urlare ma dover fare finta di niente, perché è stato tutto nella tua testa, quindi che cosa pretendi?

Sentirsi in colpa e stupidi per aver creato equivoci, per averci creduto, perché il rifiuto brucia anche quando non è stato apertamente dichiarato.

Perché l’amicizia dovrebbe essere qualcosa di bellissimo, e quando è qualcosa di cui ci si accontenta, fa male come poche cose nella vita.



L’aria primaverile era insolitamente calda e dolce. Il freddo e piovoso aprile irlandese sembrava essersi preso una pausa, e Wesley, uscito nell’oscurità per respirare un po’ di aria fresca, pensò che gli sembrava tutto così crudele. Era ingiusto che il prato che in autunno era così battuto dal vento ora fosse costellato da erbe profumate e fiori che si intravedevano persino al dubbio. Tutti partecipavano alla felicità della natura, mentre lui si sentiva piccolo, e fragile, e pieno di paura per il futuro.


Wesley non sapeva che cosa sarebbe successo di lì a poco: se la storia tra Maddie e Jack sarebbe proseguita, se sarebbe riuscito a salvare la sua amicizia con Maddie, se il suo cuore spezzato sarebbe mai guarito.


Tutto quello che riusciva a pensare era che certo, la letteratura consola, e questo vale soprattutto per chi la studia da sempre, ma forse W.B.Yeats era arrivato davvero al momento giusto. Forse perché egli aveva inseguito con determinazione il suo sogno. Nonostante la sua amata Maud avesse sposato un altro, egli aveva continuato ad amarla, e questo suo sentimento lo aveva spinto a continuare a comporre poesie, a diventare un autore sempre più importante… a vivere, in definitiva. E lui? Non aveva fatto lo stesso, amando Maddie? Non aveva trovato il coraggio di aprirsi in Università, di partecipare al gruppo di lettura, di farsi dei nuovi amici, di integrarsi dopo un anno da escluso?


Forse la chiave di tutto era stata proprio il voler bene, senza pretendere nulla in cambio. Ed anche se in quel momento Wesley si sentiva come se il suo cuore fosse una misera conchiglia vuota, dentro di sé sapeva che i sentimenti, quando sono puri, non sono mai sprecati.



Ho un pensiero solo per le tue orecchie:

che tu eri bella, e che io avevo fatto di tutto per amarti

nell’antico, sublime modo di amare;

che era sembrato tutto così felice,

e che tuttavia siamo cresciuti

con un cuore misero come quella vuota luna.


FINE




Qualche nota autrice veloce:


1) Adam’s curse, la poesia che accompagna questo racconto, è un componimento del 1903 incluso nella raccolta In the seven woods.


2) L’idea di un “anno Yeatsiano” al Trinity College di Dublino è frutto della mia immaginazione, non so se ci siano effettivamente state delle iniziative in onore di questo autore nel 2015.


3) Potete accompagnare la lettura di questo racconto con l’ascolto della danza irlandese Reel around the sun, che trovate a questo link.


4) I nomi Wesley, Maddie e Jack sono degli omaggi ai veri protagonisti di questa poesia. Ho scelto infatti le stesse iniziali di William Butler Yeats, di Maud Gonne (la donna da lui amata) e di John Mac Bride (il marito di lei).




Eccoci arrivati alla fine!

Dopo tanti racconti romance con un lieto fine, questo mese ho voluto raccontarvi qualcosa di diverso. Ultimamente ho riflettuto tanto sulle differenze tra i sentimenti che partono “dalla testa” e quelli che partono “dal cuore”, sulle tante sfumature che può assumere l’amicizia e sul coraggio di superare i propri limiti, e forse i miei vecchi studi su Yeats mi sono spuntati nella mente al momento opportuno.

Fatemi sapere un po’ quali sono state le vostre impressioni!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)