lunedì 12 settembre 2022

A VENEZIA... IN GIALLO

 Due romanzi di Paolo Forcellini e Anna Vera Sullam




Cari lettori,

oggi, per la nostra rubrica “Letture...a tema”, visitiamo la meravigliosa città di Venezia! Sono stata lì solo una volta nel 2007, ma tornerei volentieri a perdermi tra le calli, nel mezzo di un’architettura davvero unica al mondo. C’è chi la trova una città triste, ma io, forse perché l’ho visitata durante tre giorni di luglio particolarmente caldi, ne ho un ricordo molto felice.


Passiamo insieme da Venezia per leggere e recensire due gialli, uno contemporaneo e l’altro storico. Sono state due mie letture di inizio estate, poi, tra una rubrica e la pausa estiva, non c’è stata più occasione di parlarvene. Oggi ve li racconto per bene!



Vipere a San Marco, di Paolo Forcellini


A Venezia sta arrivando l’estate e la redazione di un quotidiano locale, L’Istrice, è in fermento per l’abituale “messa cantata”, che è il soprannome scherzoso che in tanti attribuiscono alla riunione settimanale nel corso della quale il direttore assegna vari incarichi.


In un angolo, un po’ lontano, c’è il maturo cronista Alvise Salvadego, da tempo nome di punta della sezione di cronaca nera. Egli è riuscito a conservare il suo posto perché ama il suo lavoro ed è molto capace, ma non è molto gradito ai piani alti, principalmente per la sua tendenza ad agire in autonomia.


La “messa cantata” promette di essere la solita noia mortale, ma un imprevisto mette in secondo piano l’ordinario andamento del giornale: il patriarca di Venezia, una figura tradizionale ancora considerata importantissima in città, è sparito nel nulla e sembra essere stato rapito.


Pur essendo, come buona parte degli abitanti della sua regione, un ateo non troppo in armonia con il clero, Alvise va abbastanza d’accordo con un alto prelato veneto, un uomo che come lui ama i piaceri della buona tavola e che ogni tanto lo invita a cena. È proprio durante uno di questi ritrovi che egli cerca di ottenere qualche informazione in più sul patriarca scomparso, ma le informazioni ottenute sono scarse e poco soddisfacenti: l’uomo, nonostante l’importanza della sua posizione, conduceva una vita morigerata, non aveva grandi amicizie ed ultimamente aveva sofferto molto per la morte del fratello. Per questo motivo, qualcuno inizia a parlare più di suicidio che di rapimento, ma Alvise non è per nulla convinto.


I suoi sospetti si intensificano quando, in laguna, viene trovato il cadavere di un uomo dal passato poco limpido, proprietario di una barca che veniva utilizzata per traffici non ben identificati. La sensazione di Alvise è che l’uomo sia stato usato dai rapitori del patriarca come trasportatore, e che poi sia stato ucciso perché scomodo o perché aveva preteso dei soldi.


I capi di Salvadego, come al solito, non sono favorevoli alle sue personali iniziative, e gli ordinano di limitarsi a fare il suo lavoro evitando di curiosare in giro. Alvise, però, si disinteressa delle istruzioni ricevute dall’alto e continua a seguire il suo fiuto, tanto più che non è solo, bensì affiancato da alcuni amici e/o colleghi che credono in lui.


Uno è un giovanissimo cronista dell’Istrice, desideroso di mettersi alla prova e di fare il suo primo vero scoop. Un altro è un commissario di polizia con il quale c’è una vecchia e solida amicizia, e che si rivela una fondamentale spalla nel corso delle sue “indagini non autorizzate”. Ultima ma non meno importante è Gaspara Maravegia, una ragazza di trentacinque anni che lavora con Alvise al giornale e da tempo ormai si occupa della pagina culturale: la sua conoscenza della storia dell’arte e dei simboli religiosi sarà utilissima per comprendere che cosa si nasconde dietro alla scomparsa del patriarca.



Vipere a San Marco è il primo romanzo che leggo di Paolo Forcellini, un autore che sicuramente potremmo definire… patriottico. Pagina dopo pagina, infatti, il lettore si fa una vera e propria cultura di dialetto veneziano: Alvise ed i suoi lo alternano all’italiano con grande naturalezza, ma personalmente non ho trovato la lettura difficoltosa per questo, anzi, è piacevole, quasi musicale.


L’intreccio giallo è il motore della storia, ma due tematiche importanti accompagnano il lettore quasi in ogni pagina: l’arte veneziana, spiegata spesso nel dettaglio e talvolta con approfondimenti difficili da trovare sui classici manuali, e la gastronomia, perché, diciamocelo… il buon Alvise pensa sempre a mangiare!


Da solo, perché no; ma anche in compagnia del suo amico poliziotto, di altre importanti personalità veneziane, e soprattutto di Gaspara, per il quale egli prova da tempo un sentimento che fatica a dichiarare. Di certo questo libro non sconfina nel rosa, però contiene delle sfumature romance tra il buffo ed il tenero che mi sono molto piaciute: Alvise si fa moltissimi problemi sia per gli oltre vent’anni di differenza che per il suo passato burrascoso da divorziato, ma a Gaspara, tutto sommato, l’idea di conoscere meglio il collega non sembra dispiacere…


L’autore, tuttavia, perde la sua tenerezza sia quando parla del mondo del giornalismo, i cui limiti sono aspramente criticati dal sarcastico protagonista, sia quando disvela gli intrighi del clero veneziano, che di certo non è immune dai peccati, specie quelli legati all’ingordigia di ogni genere.


Personalmente l’ho trovato un romanzo super piacevole, in apparenza giallo “da ombrellone”, ma ricchissimo di curiosità artistiche e storiche su Venezia, e di riflessioni spesso tutt’altro che leggere.



Il sesto comandamento, di Anna Vera Sullam


Venezia, 1940. La Seconda Guerra Mondiale è scoppiata da circa un anno e l’Italia è ancora ignara di dover affrontare il peggio di lì a poco. Se la maggior parte dei cittadini italiani cerca di vivere con un briciolo di serenità, sperando nella fine del conflitto, per la popolazione ebraica è quasi impossibile sforzarsi di essere ottimisti.


Privati di moltissimi diritti dopo le leggi razziali del ‘38, isolati e mal voluti da tantissime persone, molti ebrei si sono chiusi in un ghetto e alcuni di essi, avendo perso i loro mestieri precedenti, hanno messo su delle scuole per poter garantire il diritto allo studio ai loro bambini e ragazzi.


Rodolfo, il segretario della scuola media e superiore ebraica, è uno di essi. Egli proviene da una famiglia che è ebrea per nascita ma non di fatto, non è mai stato praticante, e ha sofferto molto la sua estromissione dal suo precedente posto di lavoro. Alla scuola, però, è molto affezionato, al punto che, in un nebbioso giorno autunnale, invece di andarsi a riposare dopo essere stato operato da uno dei pochi dentisti ancora disponibili ad avere pazienti ebrei, decide di tornarvi per verificare se è tutto ok e se qualcuno ha ancora bisogno di lui.


Trovando la scuola abbastanza silenziosa, Rodolfo decide di dare un’occhiata all’ex biblioteca, convertita in sala professori, ma lo attende un’amarissima sorpresa: tra tavoli e mensole c’è il cadavere di Ida Forti, la professoressa di latino e greco.


L’indagine viene subito affidata a Italo Gigli, un vicequestore che ha in antipatia gli ebrei e vuole risolvere il caso in più in fretta possibile, in modo da accelerare la sua procedura di trasferimento e tornare a Roma, dove vorrebbe fare base. Purtroppo, la condotta vergognosa di Gigli miete la sua prima vittima: viene accusato in fretta e furia un pover’uomo che bazzicava tra la scuola e gli altri edifici del quartiere ebraico per chiedere l’elemosina. L’uomo, un pittore spiantato al quale nessuno voleva male, viene incriminato per tentato furto del portafoglio della professoressa e conseguente assassinio, dopo essere stato colto sul fatto dalla derubata; dopo pochi giorni, egli non regge la dura vita del carcere e si toglie la vita.


Restano in due a non essere convinti davanti al tragico epilogo: Rodolfo, che conosceva sia vittima che imputato e non ci vuole credere, ed il maresciallo Russo, un giovane sottoposto di Gigli arrivato dal Sud da non tanto, solo ed un po’ malinconico ma anche molto determinato. I due all’inizio si scontrano, poi comprendono che potrebbero essere amici ed aiutarsi a vederci più chiaro.


Le indagini, nella scuola ebraica, si rivelano subito piuttosto difficoltose, perché a quell’ora l’istituto era un vero porto di mare, e, tra insegnanti e studenti, più di una persona nasconde un segreto che il più delle volte non ha proprio niente a che fare con la professoressa Forti, ma è comunque troppo scabroso da rivelare, almeno nella mente di chi lo conserva.


Inoltre, sul luogo del delitto è stato visto un uomo distinto ed importante che sembrerebbe non avere nulla a che fare con il quartiere ebraico: un direttore di banca, che però è anche il padre di Elena, l’ex fidanzata di Rodolfo, una ragazza di religione cristiana. Il suo ex suocero è chiaramente un “intoccabile” e il vicequestore Gigli sta facendo l’impossibile per tenerlo fuori, ma Rodolfo e l’ispettore Russo non possono fare a meno di notare che la sua presenza è sospetta.


Un’altra pista interessante potrebbe essere fornita dagli album di fotografie che Ida Forti portava sempre con sé: scatti che, forse, celano un mistero.



Il sesto comandamento racconta una pagina davvero vergognosa della storia italiana: anni in cui le persone di religione ebraica venivano trattate come se fossero una razza a parte e defraudate di ogni bene e diritto ed in cui persino a bambini e ragazzi era vietato studiare insieme ai loro coetanei di religione cristiana. Rodolfo ed il maresciallo Russo mal si adattano a questo tempo storico, anche se per due motivi differenti: il primo è una delle tante vittime, ed oltre al danno deve subire la beffa, perché non è mai stato osservante; il secondo non ha pregiudizi di sorta, ma deve subire quelli del superiore.


Forse proprio per sottolineare il tempo difficile che viene raccontato tra le pagine, l’autrice non ci porta in una Venezia solare e quasi vacanziera come quella del collega Forcellini, bensì ci presenta una città buia e umida, avvolta dalla nebbia e dal sospetto.


Interessanti i due protagonisti, e simpatica anche la dattilografa della scuola, Stella, che vorrebbe tanto che Rodolfo voltasse pagina con lei dopo la difficile conclusione della sua storia con Elena.


Come ormai credo saprete, i romanzi storici mi piacciono molto, e la componente historical, secondo me, dà sempre un tocco affascinante sia ai romance che ai gialli. Questa volta, invece di un’epoca ideale e vagheggiata (come possono essere quella classica o quella rinascimentale) si affronta una pagina molto buia della storia del nostro paese, una pagina che nessuno dovrebbe mai scordare.


Ho letto il romanzo abbastanza lentamente, perché era un periodo (giugno) in cui mi sentivo davvero stanca sotto vari punti di vista; nonostante questo, però, la scrittura mi è parsa piuttosto scorrevole e molto dettagliata.


È un buon romanzo, a metà strada tra il giallo e lo storico: l’ho trovato quasi per caso, nella collana “Brividi d’estate” che regalavano alla Conad insieme alla spesa, ma devo dire che è stata proprio una bella scoperta!





Viaggio a Venezia terminato!

Fatemi sapere che ne pensate: conoscete questi autori?

Avete letto questi romanzi? Che ne pensate?

Quale vi ispira di più?

Aspetto i vostri pareri!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


2 commenti :

  1. Non conoscevo questi libri ma sono entrambi molto interessanti ❤️. In particolare il primo è quello che mi interessa di più, e forse per l'approfondimento sul mondo del giornalismo. Il secondo, invece, è ambientato in un periodo vergognoso della nostra storia e come per molti libri che parlano della seconda guerra mondiale e dell'antisemitismo temi che avrei difficoltà a leggerlo perché ci starei troppo male.❤️

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    1. Ciao Enrica! Anche io di solito sono impressionabile con i libri/film di guerra e sulla Shoah, ma questo è un poliziesco ordinario con approfondimenti storici, non l'ho trovata una storia violenta o in qualche modo disturbante. Almeno per me!
      Invece l'amico Alvise se la prende un po' con i suoi colleghi direttori, ahah :-) L'unica collega che gli piace è Gaspara, chissà perché...

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