giovedì 11 gennaio 2024

IL SOGNO E L'INCUBO

 Novecento in poesia #5



Cari lettori,

benvenuti al primo appuntamento dell’anno con il nostro progetto letterario per la rubrica “L’angolo della poesia”!


Piccolo riepilogo delle puntate precedenti: siamo partiti a settembre ed abbiamo attraversato il Novecento poetico procedendo per tematiche. Siamo stati a contatto con la natura, abbiamo ascoltato le nostre emozioni, abbiamo parlato di passato e di futuro.


Il post di oggi è un po’… insolito! Ispirandomi ad uno dei miei attori preferiti, Charles Baudelaire, che basava la sua poetica sulla contrapposizione tra spleen (male di vivere) e ideale, ho scelto di parlarvi di sogno e di incubo, quasi sempre coincidente con l’omicidio.


Partiamo con una delle poesie più strane che io abbia mai letto e proseguiamo con tante variazioni su questi due temi opposti!



Osservazioni sul volo degli uccelli, di Nanni Balestrini


Sul pelo dell’acqua avanzare la pinna,

non si dovrebbe incoraggiare la gente a farlo,

dopo lui giunse (osserviamoli) tutta vestita di

(mentre) con un mazzo di rose bianco

sull’arenile c’erano ancora le aste; non si tratta


di un bisogno puramente sensuale (per gli antichi

Garamanti, il problema della comunicabilità); lasciamo

senza candele la direzione del naso, la cera

cavata dalle orecchie, le otto differenti


posizioni; nel cono d’ombra della terra

giace aperto, con gli occhi supini, l’acqua

non era molto alta, in piena bocca (due o più volte)

trafiggendo il cervello; fanno il bagno una volta

il mese, e poi Nadar lo fotografò.


Appressandosi la notte la folla va diramandosi;

ripulito del sangue delle sue vittime

(non sono in grado di dire con altra intonazione),

qualche volta considerato peccaminoso, è un semplice

problema matematico. Tu pensi? Io credo


avesse molti tentacoli, un crepitio più intenso

delle fiamme proseguendo il gioco e le parole

echeggiarono per le gallerie lunghe della mente.

La febbre nel sangue (non posso leggere),

l’intossicazione sul fiume, la prima volta verdissimi;


poi prese tutte le misure (per continuare) e sempre

più di quanto non avrebbe sparato i piedi

dissipati, le mani minuziose i vari modi

di innescare l’esca, infatti l’ultimo

inverno si è fermato di colpo nella gabbia.



La chimera, di Dino Campana


Non so se tra roccie il tuo pallido

Viso m’apparve, o sorriso

Di lontananze ignote

Fosti, la china eburnea

Fronte fulgente o giovine

Suora de la Gioconda:

O delle primavere

Spente, per i tuoi mitici pallori

O Regina o Regina adolescente:

Ma per il tuo ignoto poema

Di voluttà e di dolore

Musica fanciulla esangue,

Segnato di linea di sangue

Nel cerchio delle labbra sinuose,

Regina de la melodia:

Ma per il vergine capo

Reclino, io poeta notturno

Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,

Io per il tuo dolce mistero

Io per il tuo divenir taciturno.

Non so se la fiamma pallida

Fu dei capelli il vivente

Segno del suo pallore,

Non so se fu un dolce vapore,

Dolce sul mio dolore,

Sorriso di un volto notturno:

Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti

E l’immobilità dei firmamenti

E i gonfii rivi che vanno piangenti

E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti

E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti

E ancora ti chiamo Chimera.



Genova, di Dino Campana


[…]


Per i vichi marini nell’ambigua

Sera cacciava il vento tra i fanali

Preludii dal groviglio delle navi:

I palazzi marini avevan bianchi

Arabeschi nell’ombra illanguidita

Ed andavamo io e la sera ambigua:

Ed io gli occhi alzavo su ai mille

E mille e mille occhi benevoli

Delle Chimere nei cieli: …

Quando,

Melodiosamente

D’alto sale, il vento come bianca finse una visione di Grazia

Come dalla vicenda infaticabile

De le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale

Dentro il vico marino in alto sale,…

Dentro il vico ché rosse in alto sale

Marino l’ali rosse dei fanali

Rabescavano l’ombra illanguidita, …

Che nel vico marino, in alto sale

Che bianca e lieve e querula salì!

«Come nell’ali rosse dei fanali

Bianca e rossa nell’ombra del fanale

Che bianca e lieve e tremula salì: ...»

Ora di già nel rosso del fanale

Era già l’ombra faticosamente

Bianca ……

Bianca quando nel rosso del fanale

Bianca lontana faticosamente

L’eco attonita rise un irreale

Riso: e che l’eco faticosamente

E bianca e lieve e attonita salì…

[…]



La casa, gli estranei, i parenti prossimi, di Maurizio Cucchi


1


Nei pressi di… trovata la Lambretta. Impolverata,

a pezzi. Nessuno di noi ha mai pensato

seriamente a ritirarla. Forse la paura. Rovistando

nel cassetto, al solito, il furbo di cui al seguito

ha ripescato una fascia elastica, una foto o due,

un dente da latte e un ricciolo rimasti nel portafogli,

dieci lire (che non c’entravano per niente…)


In aggiunta a tutto ricordo che quando venivo su dalle scale io

era di giovedì, finita la scuola, verso mezzogiorno; ma era

anche un ritorno diverso dal solito… Ci sarà

un aggancio.


Adesso comunque, eccomi qui e:

- Credimi, fai caso

a quel tale andare tirandosi dietro le gambe e tutto, con gli occhietti

ancora appiccicati, nel pigiama, goffo da cane,

rigido inamidato. Ma il bello è

che me ne accorgo. E allora con che faccia

fingere un’altra volta il tono giusto, le parole,

cioè, un po’ stiracchiate; il vestire in qualche modo?


(Che i morti siano due? Ma quello giusto?

Indifferente? E il primo,

come una specie di confidenza notturna, non è un parente stretto?

Strettissimo?)


(Dimmi tu se è possibile. Pochi giorni fa

era lì che faceva i suoi lavori. Pareva pacifico.)


È morto per un infarto (o per un incidente stradale, per un malore,

per via di un sasso): sì va bene, ma ci sarà

pure un colpevole, un responsabile

diretto, qualcuno che l’ha fatto fuori.



Il tranviere metafisico, di Luciano Erba


Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene

di manovrare un tram senza rotaie

tra campi di patate e fichi verdi

nel coltivato le ruote non sprofondano

schivo spaventapasseri e capanni

vado incontro a settembre, verso ottobre

i passeggeri sono i miei defunti.

Al risveglio rispunta il dubbio antico

se questa vita non sia evento del caso

e il nostro solo un povero monologo

di domande e risposte fatte in casa.

Credo, non credo, quando credo vorrei

portarmi all’al di là un po’ di qua

anche la cicatrice che mi segna

una gamba e mi fa compagnia.

Già, ma allora? Sembra dica in excelsis

un’altra voce.

Altra?



La fata, di Umberto Piersanti


nessuno deve entrare dentro

il bosco che la vitalba chiude

e cinge intorno,

ma lui lascia le pecore

e s’inoltra, spezza i fili

coi denti, li butta in aria,

pesta rami e grovigli,

niente lo ferma


dopo gli animali nei rami, sottoterra,

cessano di frinire, vede il prato,

l’erbe azzurrate e intatte, silenziose,

s’aprono i bei lecci, fanno corona

al grande ceppo della rosa bianca


esce la fata fuori dalla corteccia

Silvia l’incantatrice lì dimora,

i suoi capelli splendono, la pelle,

le lunghe gambe nate da quei rami

un grande rischio corre

chi la vede,

la seguirono in molti,

senza tornare


- pastore, io t’ho scelto,

sei fortunato, alla tua vita

dono un giorno colmo.

Dopo… dopo che importa?

Solo chi non ha colto rosa

non s’è punto -


e la fata prese lui per mano

si stese dentro l’erba,

lo tirò dentro


si risvegliò nel fosso,

le sue pecore attorno

col muso giù a brucare,

solo che era inquieto,

senza sapere



Meridiani e paralleli, di Antonio Porta


1


L’esplosione dell’albero, estate, il castello carico di storia:

la passeggiata del granturco, libri, umanisti, cani

corrono il gran parco,

un alterco più dietro…

Per la strada al passaggio impietrì

della giovane musa, ostinato

l’inseguì, poi, sicuro di non raggiungerla.

Tentò un camion di travolgerlo,

sparì al di là del traffico

e una ferita nel dolente capo

attraversato da un’escavatrice. È vero,

raggiungere voleva il filo dell’Adriatico

e scovare lì notizie,

come chi su una nuvola scruta la trascrizione di sé.


Sembrò per un momento l’appagasse

il mare di tulipani, il prato del castello tenuto verde al mattino

dove di sé tutto obliò.

L’autore del delitto rimase sconosciuto: e la sega

partendo di fianco riesce a lacerare, il tutto

abbandonando nell’ombra.


2


Salito a bordo si avvia: senza intoppi il motore lo conduce

nell’aria di un aperto mare trapassato

da alti pali di ronzanti telegrafi.

Fermo ad ascoltare, l’onda leggera risciacqua.

Ormai in navigazione, coperto di sale, prosegue

e pensa intanto ad una terra

come l’antico folle scopritore:

d’alberi nuovi si vela l’orizzonte,

di uccelli. Galleggiano gusci scagliati da un vento.

Là doveva giungere e approdare? Eretta

nell’isola rapidamente una tenda,

visse per anni, impazzito.

Sparsi, attorno, cadaveri a migliaia, di pappagalli.




Che ne dite? Avete preferito il sogno o l’incubo?

Ringrazio tutti voi che state seguendo questo mio piccolo percorso poetico. So che per i miei progetti letterari non scelgo mai temi facili.

Se tutto va come penso, leggeremo insieme poesie una volta al mese fino all’estate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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