Novecento in poesia #5
Cari lettori,
benvenuti al primo appuntamento dell’anno con il nostro progetto letterario per la rubrica “L’angolo della poesia”!
Piccolo riepilogo delle puntate precedenti: siamo partiti a settembre ed abbiamo attraversato il Novecento poetico procedendo per tematiche. Siamo stati a contatto con la natura, abbiamo ascoltato le nostre emozioni, abbiamo parlato di passato e di futuro.
Il post di oggi è un po’… insolito! Ispirandomi ad uno dei miei attori preferiti, Charles Baudelaire, che basava la sua poetica sulla contrapposizione tra spleen (male di vivere) e ideale, ho scelto di parlarvi di sogno e di incubo, quasi sempre coincidente con l’omicidio.
Partiamo con una delle poesie più strane che io abbia mai letto e proseguiamo con tante variazioni su questi due temi opposti!
Osservazioni sul volo degli uccelli, di Nanni Balestrini
Sul pelo dell’acqua avanzare la pinna,
non si dovrebbe incoraggiare la gente a farlo,
dopo lui giunse (osserviamoli) tutta vestita di
(mentre) con un mazzo di rose bianco
sull’arenile c’erano ancora le aste; non si tratta
di un bisogno puramente sensuale (per gli antichi
Garamanti, il problema della comunicabilità); lasciamo
senza candele la direzione del naso, la cera
cavata dalle orecchie, le otto differenti
posizioni; nel cono d’ombra della terra
giace aperto, con gli occhi supini, l’acqua
non era molto alta, in piena bocca (due o più volte)
trafiggendo il cervello; fanno il bagno una volta
il mese, e poi Nadar lo fotografò.
Appressandosi la notte la folla va diramandosi;
ripulito del sangue delle sue vittime
(non sono in grado di dire con altra intonazione),
qualche volta considerato peccaminoso, è un semplice
problema matematico. Tu pensi? Io credo
avesse molti tentacoli, un crepitio più intenso
delle fiamme proseguendo il gioco e le parole
echeggiarono per le gallerie lunghe della mente.
La febbre nel sangue (non posso leggere),
l’intossicazione sul fiume, la prima volta verdissimi;
poi prese tutte le misure (per continuare) e sempre
più di quanto non avrebbe sparato i piedi
dissipati, le mani minuziose i vari modi
di innescare l’esca, infatti l’ultimo
inverno si è fermato di colpo nella gabbia.
La chimera, di Dino Campana
Non so se tra roccie il tuo pallido
Viso m’apparve, o sorriso
Di lontananze ignote
Fosti, la china eburnea
Fronte fulgente o giovine
Suora de la Gioconda:
O delle primavere
Spente, per i tuoi mitici pallori
O Regina o Regina adolescente:
Ma per il tuo ignoto poema
Di voluttà e di dolore
Musica fanciulla esangue,
Segnato di linea di sangue
Nel cerchio delle labbra sinuose,
Regina de la melodia:
Ma per il vergine capo
Reclino, io poeta notturno
Vegliai le stelle vivide nei pelaghi del cielo,
Io per il tuo dolce mistero
Io per il tuo divenir taciturno.
Non so se la fiamma pallida
Fu dei capelli il vivente
Segno del suo pallore,
Non so se fu un dolce vapore,
Dolce sul mio dolore,
Sorriso di un volto notturno:
Guardo le bianche rocce le mute fonti dei venti
E l’immobilità dei firmamenti
E i gonfii rivi che vanno piangenti
E l’ombre del lavoro umano curve là sui poggi algenti
E ancora per teneri cieli lontane chiare ombre correnti
E ancora ti chiamo Chimera.
Genova, di Dino Campana
[…]
Per i vichi marini nell’ambigua
Sera cacciava il vento tra i fanali
Preludii dal groviglio delle navi:
I palazzi marini avevan bianchi
Arabeschi nell’ombra illanguidita
Ed andavamo io e la sera ambigua:
Ed io gli occhi alzavo su ai mille
E mille e mille occhi benevoli
Delle Chimere nei cieli: …
Quando,
Melodiosamente
D’alto sale, il vento come bianca finse una visione di Grazia
Come dalla vicenda infaticabile
De le nuvole e de le stelle dentro del cielo serale
Dentro il vico marino in alto sale,…
Dentro il vico ché rosse in alto sale
Marino l’ali rosse dei fanali
Rabescavano l’ombra illanguidita, …
Che nel vico marino, in alto sale
Che bianca e lieve e querula salì!
«Come nell’ali rosse dei fanali
Bianca e rossa nell’ombra del fanale
Che bianca e lieve e tremula salì: ...»
Ora di già nel rosso del fanale
Era già l’ombra faticosamente
Bianca ……
Bianca quando nel rosso del fanale
Bianca lontana faticosamente
L’eco attonita rise un irreale
Riso: e che l’eco faticosamente
E bianca e lieve e attonita salì…
[…]
La casa, gli estranei, i parenti prossimi, di Maurizio Cucchi
1
Nei pressi di… trovata la Lambretta. Impolverata,
a pezzi. Nessuno di noi ha mai pensato
seriamente a ritirarla. Forse la paura. Rovistando
nel cassetto, al solito, il furbo di cui al seguito
ha ripescato una fascia elastica, una foto o due,
un dente da latte e un ricciolo rimasti nel portafogli,
dieci lire (che non c’entravano per niente…)
In aggiunta a tutto ricordo che quando venivo su dalle scale io
era di giovedì, finita la scuola, verso mezzogiorno; ma era
anche un ritorno diverso dal solito… Ci sarà
un aggancio.
Adesso comunque, eccomi qui e:
- Credimi, fai caso
a quel tale andare tirandosi dietro le gambe e tutto, con gli occhietti
ancora appiccicati, nel pigiama, goffo da cane,
rigido inamidato. Ma il bello è
che me ne accorgo. E allora con che faccia
fingere un’altra volta il tono giusto, le parole,
cioè, un po’ stiracchiate; il vestire in qualche modo?
(Che i morti siano due? Ma quello giusto?
Indifferente? E il primo,
come una specie di confidenza notturna, non è un parente stretto?
Strettissimo?)
(Dimmi tu se è possibile. Pochi giorni fa
era lì che faceva i suoi lavori. Pareva pacifico.)
È morto per un infarto (o per un incidente stradale, per un malore,
per via di un sasso): sì va bene, ma ci sarà
pure un colpevole, un responsabile
diretto, qualcuno che l’ha fatto fuori.
Il tranviere metafisico, di Luciano Erba
Ritorna a volte il sogno in cui mi avviene
di manovrare un tram senza rotaie
tra campi di patate e fichi verdi
nel coltivato le ruote non sprofondano
schivo spaventapasseri e capanni
vado incontro a settembre, verso ottobre
i passeggeri sono i miei defunti.
Al risveglio rispunta il dubbio antico
se questa vita non sia evento del caso
e il nostro solo un povero monologo
di domande e risposte fatte in casa.
Credo, non credo, quando credo vorrei
portarmi all’al di là un po’ di qua
anche la cicatrice che mi segna
una gamba e mi fa compagnia.
Già, ma allora? Sembra dica in excelsis
un’altra voce.
Altra?
La fata, di Umberto Piersanti
nessuno deve entrare dentro
il bosco che la vitalba chiude
e cinge intorno,
ma lui lascia le pecore
e s’inoltra, spezza i fili
coi denti, li butta in aria,
pesta rami e grovigli,
niente lo ferma
dopo gli animali nei rami, sottoterra,
cessano di frinire, vede il prato,
l’erbe azzurrate e intatte, silenziose,
s’aprono i bei lecci, fanno corona
al grande ceppo della rosa bianca
esce la fata fuori dalla corteccia
Silvia l’incantatrice lì dimora,
i suoi capelli splendono, la pelle,
le lunghe gambe nate da quei rami
un grande rischio corre
chi la vede,
la seguirono in molti,
senza tornare
- pastore, io t’ho scelto,
sei fortunato, alla tua vita
dono un giorno colmo.
Dopo… dopo che importa?
Solo chi non ha colto rosa
non s’è punto -
e la fata prese lui per mano
si stese dentro l’erba,
lo tirò dentro
si risvegliò nel fosso,
le sue pecore attorno
col muso giù a brucare,
solo che era inquieto,
senza sapere
Meridiani e paralleli, di Antonio Porta
1
L’esplosione dell’albero, estate, il castello carico di storia:
la passeggiata del granturco, libri, umanisti, cani
corrono il gran parco,
un alterco più dietro…
Per la strada al passaggio impietrì
della giovane musa, ostinato
l’inseguì, poi, sicuro di non raggiungerla.
Tentò un camion di travolgerlo,
sparì al di là del traffico
e una ferita nel dolente capo
attraversato da un’escavatrice. È vero,
raggiungere voleva il filo dell’Adriatico
e scovare lì notizie,
come chi su una nuvola scruta la trascrizione di sé.
Sembrò per un momento l’appagasse
il mare di tulipani, il prato del castello tenuto verde al mattino
dove di sé tutto obliò.
L’autore del delitto rimase sconosciuto: e la sega
partendo di fianco riesce a lacerare, il tutto
abbandonando nell’ombra.
2
Salito a bordo si avvia: senza intoppi il motore lo conduce
nell’aria di un aperto mare trapassato
da alti pali di ronzanti telegrafi.
Fermo ad ascoltare, l’onda leggera risciacqua.
Ormai in navigazione, coperto di sale, prosegue
e pensa intanto ad una terra
come l’antico folle scopritore:
d’alberi nuovi si vela l’orizzonte,
di uccelli. Galleggiano gusci scagliati da un vento.
Là doveva giungere e approdare? Eretta
nell’isola rapidamente una tenda,
visse per anni, impazzito.
Sparsi, attorno, cadaveri a migliaia, di pappagalli.
Che ne dite? Avete preferito il sogno o l’incubo?
Ringrazio tutti voi che state seguendo questo mio piccolo percorso poetico. So che per i miei progetti letterari non scelgo mai temi facili.
Se tutto va come penso, leggeremo insieme poesie una volta al mese fino all’estate!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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