giovedì 7 dicembre 2023

IL FUTURO

 Novecento in poesia #4




Cari lettori, 

proseguiamo nel nostro percorso alla scoperta del Novecento in poesia! 

Il protagonista del mese scorso è stato il passato, quindi oggi non potevamo che parlare di futuro. Speranza dopo la guerra, sogni per l'età adulta, pensieri dedicati ai figli, progetti personali, sogni di tipo lavorativo o sociale... vedrete che c'è un po' di tutto!



Domani, di Carlo Betocchi


Se saran queste strade di sole

che un giorno (quando avremo ali)

ci porteran lontani;


e non più mireremo dai cari

colli le case gioviali

che c’invitano ai piani:


appena un persuasivo candore

vedremo, delle montagne,

come le vene d’erba,


e il mare, dentro nullo colore,

come un vano occhio che piagne,

come una gemma acerba.


In un aere senza il dolce azzurro

dove il sole è l’etern’onda

andremo via giulivi;


con stupend’ali senza sussurro

verso una riva gioconda,

profondamente vivi.



L’idrometra, di Giorgio Caproni


Di noi, testimoni del mondo,

tutte andranno perdute

le nostre testimonianze.

Le vere come le false.

La realtà come l’arte.


Il mondo delle sembianze

e della storia, egualmente

porteremo con noi

in fondo all’acqua, incerta

e lucida, il cui velo nero

nessun idrometra più

pattinerà – nessuna

libellula sorvolerà

nel deserto, intero.



Nell’atrio, in attesa, di Bartolo Cattafi


Rimangono in un mucchio scolorito

rose e urine nell’atrio. Ignoto è il regno,

alba e attesa, crepuscolo di nubi dove Dio

s’annida, come un colombo gutturale.

Oscuro è il regno, ospite nell’atrio

mano incerta e straniera stacca al vento

la lampada incostante, scendila al petto

per leggerci l’epigrafe, sugli occhi

se le statue biancheggiano, su un triste

insetto stria la nostra mente.

L’arpa celeste insiste nelle stanze

tra un biondo cerchio di scheletri e di sedie;

arpa che ancora insisti, uccello

della morte lenta, sul fuoco polveroso.



Il magone, di Maurizio Cucchi


Se mi guardi bene sto già pensando

al giorno non lontano in cui dovrò sgomberare la mia roba di qui

per portare tutto nell’altra casa.

I libri e il pianoforte che ancora non ho imparato a suonare.


E già premedito l’inevitabile magone di cui

potrò dirmi che è la mia parte migliore.


E il pacco, che scarti mentre dici

«qui c’è il pigiama nuovo che ti ho preso per la dote»…

di dietro agli occhi tanto per cambiare

sento la lacrima che sale, ma questa volta

ce la faccio e mi trattengo. Non è questione

d’essere mammone, è che lo spettro

della solitudine ormai doppia (non mia)… e quella musica

alla radio della domenica nel primo pomeriggio confessa

e stabilisce la quantità della pena. E qui


di fare il bravo il duro di giocare d’ironia

per non sentirsi dentro

straziare dalla commozione questione…

questione non è più ti dico.



Da “La vita in versi”, di Giovanni Giudici


Vivranno per sempre?

Sempre, sì – mi dicevo

e le vedevo

alla distanza del tempo rimpicciolire

lontanissime, in piedi, a braccia conserte

su quelle stesse soglie, o leggendo gli stessi giornali

crollando il capo, scuotendo gli stessi grembiali,

di nero o di grigio vestite e decisamente

fuori di moda come diventerà

ogni persona vivente

- ovunque e su quella stessa

strada fra il mare e una fila di platani

dove quieta ubbidiente e dimessa passò

la mia età infantile

- quelle persone viventi

che passarono poi come l’età

rispondendo di no alla domanda

che avevo dimenticata: no (dicendo)

non vivremo per sempre

- senza notizia alcuna, senza coscienza

di storia o di giustizia, senza il minimo dubbio

che un’altra vita sarebbe stata a venire

più vera, con più intelligenza:


e dunque senza viltà consegnate alla sorte

- alcune con stupore della morte,

con desiderio altre, con sofferenza.



Alla vita, di Mario Luzi


Amici ci aspetta una barca e dondola

nella luce ove il cielo s’inarca

e tocca il mare,

volano creature pazze ad amare

il viso d’Iddio caldo di speranza

in alto in basso cercando

affetto in ogni occulta distanza

e piangono: noi siamo in terra

ma ci potremo un giorno librare

esilmente piegare sul seno divino

come rose dai muri nelle strade odorose

sul bimbo che le chiede senza voce.


Amici dalla barca si vede il mondo

e in lui una verità che procede

intrepida, un sospiro profondo

dalle foci alle sorgenti;

la Madonna dagli occhi trasparenti

scende adagio incontro ai morenti,

raccoglie il cumulo della vita, i dolori

le voglie segrete da anni sulla faccia inumidita.

Le ragazze alla finestra annerita

con lo sguardo verso i monti

non sanno finire di aspettare l’avvenire.


Nelle stanze la voce materna

senza origine, senza profondità s’alterna

col silenzio della terra, è bella

e tutto par nato da quella.



Da “Vuoto d’amore”, di Alda Merini


Lascio a te queste impronte sulla terra

tenere dolci, che si possa dire:

qui è passata una gemma o una tempesta,

una donna che avida di dire

disse cose notturne e delicate,

una donna che non fu mai amata.

Qui passò forse una furiosa bestia

avida sete che dette tempesta

alla terra, a ogni clima, al firmamento,

ma qui passò soltanto il mio tormento.



Ho fiori e di notte invito i pioppi, di Salvatore Quasimodo


(Ospedale di Sesto San Giovanni, novembre 1965)


La mia ombra è su un altro muro

d’ospedale. Ho fiori e di notte

invito i pioppi e i platani del parco,

alberi di foglie cadute, non gialle,

quasi bianche. Le monache irlandesi

non parlano mai di morte, sembrano

mosse dal vento, non si meravigliano

di essere giovani e gentili: un voto

che si libera nelle preghiere aspre.

Mi sembra di essere un emigrante

che veglia chiuso nelle sue coperte,

tranquillo, per terra. Forse muoio sempre.

Ma ascolto volentieri le parole della vita

che non ho mai inteso, mi fermo

su lunghe ipotesi. Certo non potrò sfuggire;

sarò fedele alla vita e alla morte

nel corpo e nello spirito

in ogni direzione prevista, visibile.

A intervalli qualcosa mi supera

leggera, un tempo paziente,

l’assurda indifferenza che corre

tra la morte e l’illusione

del battere del cuore.



Frammento I, di Clemente Rebora


L’egual vita diversa urge intorno;

Cerco e non trovo e m’avvio

Nell’incessante suo moto:

A secondarlo par uso o ventura,

Ma dentro fa paura.

Perde, chi scruta,

L’irrevocabil presente;

Né i melliflui abbandoni

Né l’oblïoso incanto

Dell’ora il ferreo bàttito concede.

E quando per cingerti io balzo

- Sirena del tempo -

Un morso appena e una ciocca ho di te:

O non ghermita fuggi, e senza grido

Nel pensiero ti uccido

E nell’atto mi annego.

Se a me fusto è l’eterno,

Fronda la storia e patria il fiore,

Pur vorrei maturar da radice

La mia linfa nel vivido tutto

E con alterno vigore felice

Suggere il sole e prodigar il frutto;

Vorrei palesasse il mio cuore

Nel suo ritmo l’umano destino,

E che voi diveniste – veggente

Passïone del mondo,

Bella gagliarda bontà -

L’aria di chi respira

Mentre rinchiuso in sua fatica va.

Qui nasce, qui muore il mio canto:

E parrà forse vano

Accordo solitario;

Ma tu che ascolti, rècalo

Al tuo bene e al tuo male:

E non ti sarà oscuro.



Bartolomeo, di Davide Rondoni


Quando anche tu ti fermerai in questo grande

autogrill e il viso stanco

vedrai rapido

sui vetri, sull’alluminio del banco,


sarà una sera come questa

che nel vento rompe la luce

e le nubi del giorno, sarà

un grande momento:

lo sapremo io e te soli.


Ripartirai

con un lieve turbamento, quasi

un ricordo e i silenzi delle scansie di oggetti,

dei benzinai, dei loro berretti,

sentirai alle tue spalle leggero

divenire un canto.


La felicità del tempo è dirti sì,

ci sei, una forza segreta

uno sgomento ti fa, non la mia

giovinezza che cede, non l’età

matura, non il mio invecchiamento -

la nostra vera somiglianza

è là dove non si vede.


Mio figlio mio viaggiatore,

sarà il tuo inferno, la tua virtù

questo udito da cane o da angelo

che sente all’unisono il giro dei pianeti

e la pastiglia cadere nel bicchiere

due piani sotto, dove due vecchi

si accudiscono.

Sarà questo amore strepitoso

tuo padre, quello vero.


Fermati ancora in questo autogrill,

dal buio mi piacerà rivederti…




A me questa volta sono piaciuti particolarmente Giorgio Caproni e Mario Luzi! 

Voi che ne dite? Apprezzate questi componimenti? Li conoscevate già? 

Fatemi sapere che cosa ne pensate... 

Gli appuntamenti poetici del 2023 finiscono qua, ma ce ne saranno altri nel 2024! 

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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