Gli eroi di Sofocle #6
Cari lettori,
benvenuti all’ultimo post del nostro percorso per la rubrica “L’angolo della poesia”, dedicato agli eroi di Sofocle!
Prima di addentrarci un po’ di più in questa “ultima puntata”, vi lascio un riepilogo degli episodi precedenti:
1) Elettra (inserita in un progetto precedente);
2) Aiace (settembre);
3) Trachinie (ottobre);
4) Filottete (novembre);
5) Antigone (dicembre);
6) Edipo Re (gennaio)
Oggi concludiamo questo nostro percorso con Edipo a Colono, una tragedia nettamente meno famosa dei capolavori del drammaturgo Antigone ed Edipo Re, ma che di queste due opere famosissime costituisce proprio un collegamento.
Vediamola meglio insieme!
Un uomo che ha perso tutto
La tragedia ha luogo sulle porte di Atene. Edipo, dopo aver fatto la terribile scoperta che gli ha rivelato che tutta la sua vita è un inganno, si è accecato per la disperazione ed ha chiesto di essere allontanato dalla città.
In un primo momento, egli non è stato accontentato: il fratello di Giocasta, Creonte, temeva che allontanare un uomo infermo significasse altri guai per la città di Tebe. In seguito, però, sono stati gli stessi figli maschi di Edipo, Eteocle e Polinice, ambiziosi e già in lotta per il predominio della città, a scacciare l’anziano padre.
Ad Edipo non è rimasta altra scelta se non quella di andare via da Tebe insieme alla figlia Antigone, una giovane donna da tutti ritenuta virtuosa ed amorevole. La ragazza, che già in questa tragedia mostra la sua determinazione ed il suo amore per la famiglia, due punti di forza che poi saranno all’origine del suo dramma personale, non si è fatta problemi a fare “da occhi” per il padre cieco, a mendicare per i boschi cercando sostentamento, ad accompagnare il genitore fino alle porte di una città dove non si sa ancora se sarà accolto.
Non appena Edipo ed Antigone arrivano a Colono, sulle porte di Atene, dal coro, costituito da anziani della città, si stacca un corifeo, che lo invita a non oltrepassare la zona senza il permesso del re, perché essa è sacra alle Eumenidi (letteralmente “le benevole”, è il soprannome con il quale sono state ribattezzate le Erinni, le furie vendicatrici della famiglia).
Edipo, nel sentire questa notizia, si blocca, terrorizzato da due minacce differenti. La prima è la paura di offendere il re Teseo commettendo un atto empio e di non ottenere così la grazia che egli cerca e desidera. La seconda, ancora più terribile, è quella di risvegliare la collera delle Eumenidi/Erinni: esse sono le vendicatrici della famiglia, e lui, anche se suo malgrado, è pur sempre un parricida.
Mentre Edipo ed Antigone attendono l’arrivo di Teseo, un nuovo personaggio entra in scena, con notizie tutt’altro che rassicuranti: Ismene, la sorella di Antigone.
Ella era rimasta a Tebe sotto la custodia di Creonte, ma è riuscita a sfuggirgli per poter portare a padre e sorella una terribile ambasciata: Eteocle e Polinice, da tempo rivali, si sono dichiarati ufficialmente guerra. Essi erano d’accordo per governare la città un anno a turno, ma alla fine del suo primo anno Eteocle si è rifiutato di cedere il trono a Polinice, il quale non ha perso tempo in trattative e sta già preparando un esercito per marciare contro il fratello.
Sono gli eventi immediatamente precedenti ai Sette contro Tebe, la celeberrima tragedia di Eschilo, e ad Antigone: eventi che vengono accolti con grande dolore da Edipo, al quale sembra che la maledizione della sua famiglia sia destinata a non avere mai fine.
Un corpo conteso
Quando Teseo, ex eroe del Labirinto contro il Minotauro e ora Re di Atene, entra in scena, il lettore/spettatore si aspetterebbe la più classica delle richieste di ospitalità che tanto sono frequenti non solo all’interno di opere teatrali greche, ma anche nei poemi. C’è, però, un inatteso colpo di scena: ad Edipo non interessa entrare in Atene. Egli si accontenterebbe di restare fuori dalla città, continuando a vivere di espedienti, senza che nessuno lo cacci. Quel che gli preme davvero è che, una volta morto, egli venga seppellito lì, in città.
Quando Teseo gli chiede perché per lui sia così importante la sepoltura ad Atene, al punto da rinunciare a tutto quello che potrebbe rendere dignitosi i suoi ultimi anni di vita, Edipo fa riferimento a dei vaticini di Apollo: l’Oracolo, infatti, gli ha predetto che presto o tardi Atene e Tebe entreranno in guerra, e che i favori degli dei andranno alla città dove sarà stato seppellito il suo corpo.
Teseo, udendo questi vaticini, rassicura subito Edipo, dicendo che verrà accontentato. Proprio in quel momento, però, irrompe alle porte della città Creonte con il suo esercito, che ordina ad Edipo di consegnarsi a lui, minacciandolo persino di rapire le sue stesse figlie.
Questo è, a mio parere, il cuore della tragedia. Certo, ad una prima lettura l’impulso è quello di catalogare subito Creonte come il villain che si rivelerà poi in Antigone: imputato innocente in Edipo Re, egli si mostra sempre più assetato di potere, fino a pagare la propria ambizione e ferocia con il prezzo più alto (i suicidi della moglie e del figlio). Teseo, d’altra parte, non ci mette poi molto a calarsi nuovamente nei panni dell’eroe (ogni volta che gli conviene…) ed a scagliare il suo esercito contro Creonte per salvare le due fanciulle in difficoltà.
Purtroppo io credo che la vera tragedia qui sia un’altra, al di là delle schermaglie di guerra che sembrano poco più che spacconate: un uomo che è stato maledetto da un destino orribile, che è caduto in disgrazia, che nessuno voleva più, che è stato costretto a camminare per i boschi sostenuto dalla figlia… all’improvviso diventa un oggetto di contesa primaria, manco fosse fatto d’oro, perché il luogo in cui verrà sepolto sarà quello della vittoria in una guerra che al momento nemmeno esiste. È come se Sofocle ci volesse dire: quanto è misera la commedia umana! Quanto sono sciocchi i potenti a disputarsi la sorte di un povero vecchio… per un briciolo di potere in più!
La risoluzione della tragedia
L’impressione che ha il lettore/spettatore è che Edipo, dopo una giovinezza sfolgorante (infanzia dorata a Corinto, peregrinazioni in giro per la Grecia in cerca di fama, risoluzione dell’enigma della Sfinge, salita al trono di Tebe), sia troppo provato dalle amarezze che la vita gli ha riservato in età matura.
Ce ne sarebbe per far impazzire chiunque: la scoperta di essere un parricida e di aver sposato la sua stessa madre, la cacciata dalla città da parte dei suoi stessi figli, il rischio che hanno corso più volte le sue figlie (le uniche ad essergli rimaste accanto).
Forse il momento più amaro della tragedia è l’incontro con Polinice, che, “pentitosi” di aver cacciato il padre, lo raggiunge, al solo scopo di avere la sua intercessione con Eteocle, o, almeno, la sua benedizione prima di andare in guerra contro di lui. Edipo lo caccia con rabbia, perché comprende che, ancora una volta, non è l’affetto a muovere il figlio, bensì l’interesse. Polinice reagisce molto drammaticamente, facendo comprendere alle sorelle che la prossima volta lo rivedranno morto (cosa che in effetti avverrà).
Edipo, solo e sconfortato, tormentato dalla sensazione di essere ormai solo un oggetto conteso e non più una persona, è in un impasse che, come nella tradizione della tragedia, non può che essere risolto da un deus ex machina, un dio che decide di intervenire direttamente nelle questioni degli uomini.
È lo stesso Zeus a far tuonare il cielo ed a richiamare a sé Edipo in un luogo isolato fuori Atene. Edipo si fa accompagnare da Teseo, il suo ultimo difensore, e dalle sue figlie, ma solo fino ad un certo punto, affinché non assistano alla sua fine.
Dopodiché… sparisce nel nulla, e nessuno ha più notizie di lui. Così si conclude il destino di Edipo, da eroe dell’antichità a più infelice tra gli uomini.
Gli eroi di Sofocle
Siamo giunti alla conclusione di questo percorso, ed abbiamo conosciuto gli eroi sofoclei: Elettra, Aiace, Eracle, Filottete, Antigone, Edipo.
Nessuno di questi personaggi è esemplare, a mio parere. C’è chi resta legato al passato e ad alcuni esponenti della famiglia che non ci sono più, senza apprezzare né riconoscere il valore di chi c’è ancora, come Elettra ed Antigone. Chi per orgoglio mette a rischio la sua stessa vita e sceglie un’esistenza miserabile, come Filottete, e chi per una singola macchia sulla sua reputazione pone fine ad una vita piena di soddisfazioni pubbliche e gioie intime, come Aiace. Ci sono eroi al tramonto, come Eracle, ed alcuni il cui destino è segnato da errori inconsapevoli, come Edipo, che porta con sé nella disgrazia anche i suoi figli, soprattutto Antigone.
Nessun eroe dell’antichità greca è davvero senza macchia: i personaggi impeccabili, tra santi e martiri, arriveranno con la cristianità ed il Medioevo. La letteratura ed il teatro greco avevano ben altro scopo: non forniva esempi da seguire, bensì personaggi nei quali difetti il pubblico si potesse rivedere.
Abbiamo già parlato del pianto che suscitava negli spettatori l’errore fatale o il gesto empio che commetteva l’eroe sulla scena, e della conseguente catarsi, ovvero la “purificazione” (in parole semplici, lo spettatore veniva dissuaso dal ripetere ciò che veniva portato in scena, dal parricidio alla ribellione contro l’autorità, dal tradimento degli ospiti e degli amici al mancato rispetto degli dei).
Questo è comune a tutti i tre grandi tragediografi, Eschilo, Sofocle ed Euripide, ed anche a tutti i loro imitatori che ci sono pervenuti in modo più frammentario.
Io credo che però, quando parliamo/scriviamo di Sofocle, sia necessario soffermarsi sui suoi protagonisti per un importante motivo.
Il mondo di Eschilo è l’unico che dobbiamo ancora affrontare insieme (magari in un prossimo progetto, chissà) ma è ancora molto arcaico: uomini di classe sociale meno abbienti e donne di ogni classe sociale sono destinati a restare al loro posto per sempre, persino gli uomini potenti sono schiacciati dalla volontà divina, gli orizzonti sono ancora piuttosto chiusi.
Nel progetto Le donne di Euripide di qualche anno fa (a questo link il post che riepiloga tutti gli altri) vi avevo parlato dell’evoluzione della figura femminile in pochi decenni, ma anche di dei che prendono persino ordini dagli umani (nel Reso), di divinità che proteggono chi ha compiuto qualcosa di empio (Medea), di tragedie “a lieto fine” perché l’eroe comprende i suoi errori e, pur pagando, riesce ad aver salva la sua vita e quella dei suoi cari.
Com’è stato possibile un tale cambiamento? Ecco, io credo che il merito sia in buona parte di Sofocle e dei suoi eroi. Per la prima volta nella storia del teatro greco, i protagonisti che lui ha reso celeberrimi si autodeterminano, o almeno provano a farlo.
Donne che prendono il posto degli uomini vendicando chi è stato ucciso con l’inganno, ragazze che sfidano le leggi della città perché rispondono solo a quelle della famiglia, eroi che “si dimettono” dalla loro posizione perché riconoscono di essere indegni, vecchie glorie che inseguono un’ultima missione anche se sarebbe il momento di ritirarsi, soldati semplici che rispondono male ai loro superiori perché non trovano giusto subire un sopruso.
Abbiamo molto da imparare dagli eroi sofoclei, in materia di giustizia, di ribellione a sistemi normalizzati ma sbagliati, di coscienza di sé, di autodeterminazione contro chi ci vuole manipolare. Personalmente ho trovato questo percorso una riscoperta, anche se avevo già studiato in vari modi almeno la metà di queste opere. Tra riletture private di opere che hanno fatto parte dei miei studi e del mio lavoro, e gemme meno conosciute che sono riuscita ad affrontare per la prima volta, credo e spero che non dimenticherò facilmente questi sei mesi in compagnia di Sofocle.
Eccoci giunti alla fine!
Ringrazio moltissimo tutti voi lettori, sia chi ha voluto dirmi la sua che chi ha preferito rimanere silenzioso. Sono consapevole di aver proposto un percorso complicato, quindi vi ringrazio per l’attenzione e la pazienza nel leggermi.
Un nuovo progetto letterario è giunto a compimento ed ancora non sono sicura di che cosa potreste trovare su questi schermi da marzo in avanti. Dopo essermi dedicata molto ad opere di altri tempi ed a rispolverare i miei studi, prima con Dante ed ora con il teatro greco, non mi dispiacerebbe un percorso narrativo, qualcosa che possa essere a metà tra un progetto letterario ed una classica challenge di lettura.
Ho delle mezze idee (una rilettura che rimando da troppo? Una o due saghe che da tempo mi stuzzicano?), ma per ora non svelo, perché ci vorrei proprio meditarci su e poi c’è quella piccola cosa chiamata vita adulta con lavoro e vari imprevisti che insomma, ci mette sempre in difficoltà, o sbaglio?
Spero che con l’arrivo della primavera o giù di lì saprete tutto!
Nel frattempo attendo i vostri pareri su questo percorso nel mondo sofocleo!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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