lunedì 14 novembre 2022

FILOTTETE

 Gli eroi di Sofocle #3




Cari lettori,

iniziamo la settimana con il nostro “Angolo della poesia” ed il progetto letterario dedicato agli eroi di Sofocle!

Dopo esserci occupati di Aiace e delle Trachinie oggi affrontiamo una tragedia meno conosciuta del drammaturgo: Filottete.


Devo dire che non conoscevo l’opera e che si tratta di una lettura che mi ha lasciata piuttosto perplessa. Certo, è un dramma insolito per Sofocle, dal momento che c’è una sorta di “lieto fine”. Non è solo questo, però, a rendere l’opera unica nel suo genere, ma anche altri aspetti che oggi vorrei approfondire insieme a voi. Vediamoli meglio!



Un eroe abbandonato


La tragedia si svolge interamente sull’isola di Lemno, che già in passato è stata teatro di un atto terribilmente empio. Protagonista della storia è Filottete, un personaggio di certo ben conosciuto da chi ha letto le Trachinie. In questa tragedia, che abbiamo visto insieme il mese scorso, sono narrate infatti le ultime gesta di Eracle, il grande eroe costretto a soccombere per l’avvelenamento involontario causato dalla moglie Deianira. Eracle, sul finire della tragedia, chiede al figlio Illo di preparare un rogo affinché lui possa esservi posto sopra ormai moribondo, ma il ragazzo non ha cuore di compiere un simile gesto, decretando così la morte di suo padre. Sarà un pastore a farlo: Filottete, per l’appunto, che ritroviamo qui, abbandonato sull’isola di Lemno, un luogo caro ad Efesto, aspro e roccioso.


Qual è la colpa che il ragazzo deve espiare? In effetti nessuna. Egli è salpato per Troia insieme all’armata di Odisseo, pronto ad andare in guerra come tutti gli altri, ma si è malauguratamente avvicinato troppo al tempio della severa ninfa Crisa, che gli ha scatenato contro il suo serpente velenoso. Il risultato di questo incauto comportamento è stata una piaga virulenta sul piede, che, come un cancro, continua a far male e non guarisce mai.


Odisseo ed i suoi, quando Filottete è rimasto ferito, non hanno trovato soluzione migliore dell’abbandono. Ora però la guerra di Troia sta andando molto male: Aiace è morto, Achille pure, la situazione è in netto stallo, e, se Filottete con quel suo male potrebbe risultare comunque inutile, lo stesso non si può dire del suo miracoloso arco, un manufatto con la magica dote dell’infallibilità.


Ecco perché, all’inizio della tragedia, Odisseo ed i suoi compagni sbarcano a Lemno, decisi ad incontrare Filottete.



Neottolemo in vesti insolite


Primo motivo della mia perplessità in corso di lettura: in questa tragedia è presente un eroe mitologico… in vesti molto diverse rispetto a com’è presentato nella tradizione epica, sia greca che latina. Mi riferisco a Pirro/Neottolemo, il figlio di Achille che notoriamente arriva a Troia dopo la morte del padre e si distingue per spregiudicatezza e ferocia. In particolare, penso che chiunque abbia studiato almeno in parte l’Eneide ricordi l’orribile ed empio delitto che Neottolemo compie di fronte agli altari troiani, uccidendo il vecchio ed indifeso Priamo senza alcuna pietà.


Ecco, qui Neottolemo ha un ruolo… spiazzante.

Perché Odisseo, proprio l’astuto, il multiforme Odisseo, sapendo bene che Filottete ce l’ha a morte con lui e non salirà mai sulla sua nave, ha scelto proprio Neottolemo come intermediario. Il ragazzo, inizialmente intimidito all’idea di usare la parola per persuadere qualcuno, poi assolve bene il suo compito, e riesce a portare Filottete dalla sua parte ed a convincerlo ad imbarcarsi con lui (ovviamente omettendo il “piccolo particolare” che il comandante è un altro). A questo punto, in Neottolemo subentra addirittura un pentimento, che all’inizio sconcerta il lettore/spettatore, ma che, ad una più attenta riflessione, ha delle motivazioni profonde.


Neottolemo e Filottete sono entrambi “figli di Achille” (anche se solo uno lo è biologicamente): entrambi sono nati guerrieri e comprendono solo questa vita. Il loro codice d’onore è quello dei soldati, e l’intesa tra loro è quasi immediata.



Una versione di Odisseo non proprio esemplare


È ovvio che il tentennante Neottolemo, appena arrivato dalla Grecia, sul punto di rendere omaggio ad un padre che non ha mai conosciuto davvero, non avrebbe mai avuto da solo l’idea di andare a parlare con Filottete. Ancora una volta, come già accaduto in tante opere epiche e tragiche, è l’astuzia di Odisseo ad essere il motore dell’azione. Egli ha compreso subito che tra Neottolemo e Filottete ci sono delle affinità, e preferisce inviare lui piuttosto che un uomo della sua armata.


Questo ci porta, però, al secondo motivo di perplessità in corso di lettura: proverbiale astuzia a parte, qui Odisseo non fa per niente una bella figura. Già in antefatto ha compiuto un’empietà, abbandonando un uomo valoroso perché ferito. Nella tragedia, poi, si comporta da perfetto opportunista, tornando da Filottete soltanto per il suo arco fenomenale, che potrebbe essere determinante per le sorti della guerra.


In questo senso, credo che uno dei grandi punti di forza dell’opera di Sofocle sia il fatto che egli non glorifica nessuno dei cosiddetti “eroi per definizione”, preferendo, se necessario, porre al centro della scena gli “eroi per caso”.


Come già accaduto nelle Trachinie con Eracle, anche Odisseo viene prima esaltato (nell’Aiace) e poi dipinto nei suoi aspetti più meschini.


Credo anche che qui Sofocle voglia porre l’attenzione sul fatto che, di fronte all’istinto di sopravvivenza (specie se tramite la sopraffazione del prossimo), anche il più mirabile degli uomini può fare una ben magra figura.



Un “lieto fine”?


Veniamo al terzo ed ultimo motivo di perplessità in corso di lettura: il finale della tragedia.


Quando Filottete scopre che Neottolemo è stato mandato a trattare da Odisseo, reagisce come solo un eroe potrebbe fare: consegnando l’arco per il bene della Grecia, ma rifiutandosi di salire sulle navi. In questo modo, egli sta per condannarsi a morte per inedia, dal momento che per anni si è nutrito con le prede uccise dal suo arco infallibile. Quando anche Neottolemo, vedendo Filottete risoluto, sta per desistere, arriva il deus ex machina, cioè Eracle in persona, direttamente dall’Olimpo. È lui ad ordinare a Filottete la partenza per Troia, dove lo attende un destino di gloria.


Ora, questo è per molti versi un lieto fine, ben inusuale nelle opere sofoclee (sarà presente in Euripide). Resta però il fatto che Filottete ha vissuto una tragedia disumanizzante: prima è stato scartato perché con il suo male era un peso morto, poi è stato ripreso solo in virtù di ciò che ha e non di ciò che è.


Forse è questo l’aspetto più attuale della tragedia: tramite la storia di Filottete, Sofocle invita tutti noi a non misurare le persone in base alla loro produttività/utilità, o ai beni materiali che possiedono.




Ecco la mia analisi del Filottete!

Devo dire che sono soddisfatta: è stata una lettura insolita ed un po’ spiazzante, ma anche un recupero molto interessante.

Voi che ne pensate? Avete letto l’opera, o l’avete vista rappresentata?

Condividete le mie perplessità? Fatemi sapere che ne pensate!

Spero di riuscire a condividere un altro post del progetto ad inizio dicembre, prima di iniziare il nostro tradizionale “Christmas Countdown”, altrimenti ci riaggiorneremo da gennaio in avanti con le altre tre tragedie di Sofocle!

Nel frattempo grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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