giovedì 23 febbraio 2023

IL VENTAGLIO DI CARNOVALE

 Spazio Scrittura Creativa: febbraio 2023




Cari lettori,

bentornati all’appuntamento con lo Spazio Scrittura Creativa!


Abbiamo iniziato l’anno con Una bambola rotta, il mio racconto dedicato alla Giornata della Memoria, che trovate a questo link. Toccare temi così importanti e delicati è sempre impegnativo, così ho deciso di proporvi qualcosa di più leggero per il mese di febbraio.


L’anno scorso, in collaborazione con il gruppo di scrittura Storytelling Chronicles di cui ho fatto parte fino a circa sei mesi fa, mi sono dedicata al giorno più romantico dell’anno con Il peggior San Valentino di sempre (lo trovate qui).


Quest’anno ho preferito l’altra importante ricorrenza di questo mese (anche se qualche volta arriva a inizio marzo): il Carnevale. Che cosa c’è di più rappresentativo di questa festività delle atmosfere di Venezia? E chi ha incarnato meglio lo spirito di questa città del drammaturgo Carlo Goldoni?


Il racconto di oggi è una commedia degli equivoci che omaggia lui e tutto il mondo della Venezia del 1700, tra vizi e virtù. Anche nel titolo ho fatto un mix tra Il ventaglio e Una delle ultime sere di Carnovale, due commedie di Goldoni.


Spero che la lettura vi divertirà!




IL VENTAGLIO DI CARNOVALE



Venezia, febbraio 1760. Martedì Grasso. Ore 11. San Marco


Un tripudio di coriandoli.

Il Marchese Evaristo cammina rapido, scostando cumuli di carta con i piedi. Certo il Carnovale sarà anche una delle meraviglie della nostra città, pensa. Però quanto disordine, quante distrazioni. E lui quel giorno di distrazioni non ne vuole proprio.


Sa che attraversando un calle dopo l’altro si arriva più o meno a metà lunghezza della Chiesa di San Marco, vicino alla porticina che le fedeli vecchine utilizzano per la Messa del mattino. Da lì basta scantonare a destra, evitare un paio di eleganti caffè senza cadere nella tentazione di un bianchino prima della colazione di mezzogiorno e poi eccole lì, le eleganti botteghe.


I turisti provenienti da Milano o da Roma per qualche petit tour che includa necessariamente Venezia ed il suo Carnovale fanno dentro e fuori dai negozietti, indecisi su quale souvenir scegliere per poi esporlo nelle loro camere delle meraviglie (più verosimilmente, nei loro tentativi di ricostruirne una). Probabilmente finiranno per scegliere un oggetto per ogni negozio, creando così una teca intitolata alla loro bella città, e potendosi così vantare di tornarci ogni anno (dalle loro parti gli anni durano poche ore, si vede).


Il Marchese Evaristo non ha tempo da perdere con i turisti e con le frivolezze. Lui lavora, fa fruttare le sue rendite, collabora attivamente con la Repubblica della Serenissima, che ultimamente non sarà più quella di una volta, ma almeno continua a consentire agli onesti cittadini come lui di amministrare denaro. E mentre dice questo a se stesso, facendo ondeggiare la testa ornata da un grosso cappello a tre punte e schivando gomitoli di stelle cadenti, gonfiandosi il petto d’orgoglio, non sa quanto somiglia ai gentiluomini di quella città nordica che ha appena denigrato. Amore per il bianchino a parte.


Ma dicevamo, il Marchese Evaristo è uno che centra il bersaglio senza mai sbagliare. Ed anche in amore ha le idee ben chiare: sposerà Giacinta, la figlia del Barone Bastiano, uomo di fiducia del Doge. È una ragazza mite, premurosa, con la testa sulle spalle; un po’ troppo allegra, alle volte, ma, si sa… le donne sono così. O meglio, questo è quello che racconta a se stesso. Quello che non ammetterebbe mai, nemmeno allo specchio, è che egli sa benissimo di essere un musone e l’allegria di Giacinta è come un sole che entra nella stanza prima del solito le mattine di febbraio, quando i giorni della festa anticipano la primavera. In poche parole, è ciò che ci vuole per lui.


Per questo motivo egli sta entrando dal Sior Lazaro, il fabbricante di ventagli. Gli ha commissionato un’opera sopraffina, degna di un artista. Su un candido ventaglio di stoffa ha fatto dipingere l’effigie di Colombina, una delle maschere di Carnovale più note. Spera di poter dire a Giacinta che ella l’ha colpito perché è una donna nobile, ma anche umile e semplice e pronta al sorriso, come la fidanzata di Arlecchino.


Quando il Sior Lazaro dispiega il ventaglio e dal pizzo candido emerge la figura di Colombina seduta su una gondola, sullo sfondo di una tenue alba veneziana fatta di raggi di sole e foschia, persino un ragioniere ante litteram come lui non pensa al prezzo (almeno per i primi dieci secondi, insomma) e resta senza parole.


Tutto procede come previsto, si dice tirando un sospiro di sollievo. Andrà a quella festa a casa del Barone Bastiano, si mescolerà alla gente in maschera che ha tanta voglia di festeggiare questa caotica ricorrenza, e darà a Giacinta il ventaglio. Forse lei capirà. E si renderà conto del suo discreto corteggiamento. Perché no, il Marchese Evaristo non ha ancora trovato il modo di far capire a Giacinta che lo sta corteggiando. Da bravo affarista di successo, l’uomo che non deve chiedere mai, in effetti non ha chiesto.


* * *


Venezia, febbraio 1760. Martedì Grasso. Ore 13. Casa del Marchese Evaristo


Il guaio è che il Marchese Evaristo non ha nemmeno chiesto al suo maggiordomo quali fossero gli impegni della giornata. Così si è completamente dimenticato di aver fissato un pranzo d’affari proprio oggi, perché convinto che Il Martedì Grasso è impossibile stare alla scrivania, e dunque tanto vale concedersi frivolezze”.


Ora è a tavola con due gentiluomini nelle cui grazie vorrebbe entrare a tutti i costi per far fruttare un suo podere nell’entroterra veneto, e con le loro mogli, due matrone costrette in abiti che chiunque non viva nel XVIII secolo definirebbe giustamente arnesi da tortura. Il supplizio è coronato da una serie di quattro parrucche candide, mai lavate ma impregnate di costosissimi profumi che, tutti insieme, fanno venire il mal di testa e sovrastano l’effluvio della carne e delle patate arrosto.


Tanto vale finirlo, questo arrosto” osserva uno dei due gentiluomini. “Non posso pensare che da domani saremo in Quaresima e ci toccherà il digiuno.”

Ma sentilo, il digiuno!” lo rimbecca la moglie, con quella che potrebbe sembrare un’audace forchettata per arrivare al piatto delle patate ed è invece una gomitata a tutti gli effetti. “Non lo hai mai fatto in vita tua...”

Ma se ho mangiato sempre carni bianche in Quaresima! Non un coniglio, non un po’ di cacciagione, nemmeno una stramaledettissima quaglia...”

Sì, certo! Soltanto chili e chili di gallina lessa!”


Dietro la porta, in attesa di servire il vassoio con i formaggi, c’è Martin, il garzone della cuoca. Quante storie questi ricchi, pensa con una certa rabbia. Oggi mangiamo l’arrosto di maiale, domani la gallina in brodo perché il calendario dice così. Il suo, di calendario, segna una cosa sola: la fame. È un mese che va avanti con pane secco e acciughe magre, quelle che il pescivendolo non riesce a vendere alle cuoche perché sono tutte lische e non son buone nemmeno per pulirle e metterle sotto sale. Darebbe qualsiasi cosa per un pezzetto di carne, ma riesce solo a rubacchiare magri ritagli dalla cucina, prima che la cuoca decida che i cani randagi se lo meritano più di lui. Quell’avaro professionista del maggiordomo ripete da sei mesi che gli aumenterà la paga, ma non accade mai. Settimana prossima sarà il compleanno della sua fidanzata Giannina, che fa la servetta a casa della Contessa D’Albafiorita, e lui non sa che cosa regalarle, a parte tutto il suo amore, che sarà anche grande ma notoriamente non si impacchetta.


È proprio mentre pensa a quest’ultima parola che vede sul buffet, dietro al tavolo dei commensali, un pacchetto dono lungo e sottile in carta color panna, con il sigillo della bottega del Sior Lazaro. Sicuramente si tratta di un ventaglio dipinto, un oggetto che Giannina ha sempre invidiato tanto alla sua padrona ed alle signore eleganti che ogni giorno deve servire nel palazzo. Le piacerebbe moltissimo. Ed il Marchese Evaristo non si renderà nemmeno conto di averlo perduto, il buffet è stracarico di oggettini di dubbio gusto. Forse è uno dei tanti acquisti che hanno fatto quelle due megere sedute al tavolo, venute dalla campagna solo per vuotare le tasche ai mariti. In ogni caso non succederà niente se si portano a casa 9 souvenir invece di 10.


I formaggi, signori” dice Martin entrando in salotto con il suo passo leggero e discreto. Appoggia il vassoio con i latticini proprio di fronte al marito goloso. E, leggiadro com’è entrato, fa scivolare discretamente il pacchetto in una tasca interna della giacca.


E se finissimo anche il cacio?”

Gomitata. “Ma allora, la smetti di usare la Quaresima come scusa per ingozzarti?”


* * *


Venezia, febbraio 1760, Martedì Grasso. Ore 15. Palazzo della Contessa d’Albafiorita


Giannina si rigira incredula il ventaglio tra le mani.


Dovrebbe proprio rientrare nel palazzo. A quest’ora la Contessa fa sempre un riposino, ma oggi si è ritirata presto, e lei è già in giardino da un’ora, a scaldarsi con il raro sole di febbraio sulla panchina di pietra del cortiletto sul retro.


È lì che di solito Martin si intrufola per salutarla, dopo aver servito il pranzo al Marchese Evaristo ed ai suoi eventuali ospiti. Oggi avrebbe dovuto capire che c’era qualcosa di strano fin da subito: il suo sorriso era troppo largo per essere quello di chi si è alzato alle cinque per andare al mercato del pesce, il suo passo troppo rilassato considerando che era solo a metà di una lunga giornata, e poi teneva le mani dietro la schiena in modo misterioso.


Il suo segreto si è rivelato essere un pacchetto del Sior Lazaro, il fabbricante di ventagli più prestigioso della città. “Per il tuo compleanno, un pensiero fatto apposta per te” gli ha confessato Martin, tra il romantico ed il soddisfatto. Giannina non poteva credere che quella delicata nuvola di pizzo bianco, stoffa dipinta e legni sottili fosse proprio per lei.


Infatti non ci crede. Martin ha uno stipendio, per così dire, che gli consente a malapena di mangiare: certe volte lei si fa trovare alla loro panchina con un involto contenente le pietanze che la Contessa, sempre più anziana e magra, non è riuscita a toccare, e come se le divora lui!


Un oggetto del genere costa tante monete quante ne guadagnano sia lui che lei. Insieme. In tre mesi. Se lui non avesse una camera in affitto, se lei non dovesse pagare le medicine del padre, se entrambi non stessero risparmiando ogni centesimo per potersi sposare.


Il mio povero Martin, pensa Giannina sconsolata guardando il sorriso fisso di Colombina. Chissà dove ha trovato questo ventaglio. Forse dal Marchese Evaristo, forse servendo in salotto tra ospiti importanti. Rischierebbe di essere accusato di furto pur di far felice me.


È vero, Giannina ha sempre invidiato i ventagli che, specie in estate, sfoggiano la Contessa e le sue amiche. E più belli ancora, più al passo con la moda, sono quelli della figlia e della nuora, quando vengono a trovarla. Presi anche quelli nella bottega del Sior Lazaro, probabilmente. Però sa che non è un oggetto adatto a lei. Quando potrebbe sfoggiarlo? Lavora tutto il giorno ed anche stasera non parteciperà ad uno straccio di festa: non può lasciare la madre da sola la notte con il padre in quelle condizioni. Che dovrebbe fare, pavoneggiarsi con il ventaglio mentre spolvera? Il pensiero sul momento la fa ridere, ma poi si rende conto che sarebbe molto pericoloso mostrare l’oggetto sul lavoro. La Contessa sarà anche vecchiotta ed in un mondo tutto suo, ma quella vipera della governante non ci metterebbe nulla a risalire a Martin. E da lì, forse anche alla gentildonna a cui il ventaglio è stato sicuramente sottratto.


Idea! Dopo aver concluso il turno, appena prima di cena, passerà a trovare la sua amica ricca, Vittoria. Si sono conosciute per caso mesi fa, al mercato, ma Vittoria è una di quelle diventate ricche per denaro, non per nobiltà, e non si è mai formalizzata all’idea di essere amica di una ragazza che sta a servizio.


Vittoria non resisterà all’idea di sfoggiare un nuovo accessorio stasera, alla festa del Barone. Giannina glielo venderà ad un prezzo di favore, meno della metà di quello che chiederebbe Sior Lazaro. Una cifra da poco per tanti veneziani, ma che le consentirà di raddoppiare il gruzzolo che tiene da parte per il matrimonio.


* * *


Venezia, febbraio 1760. Martedì Grasso. Ore 19. Palazzo del Barone Bastiano


Vittoria percorre il vialetto che dalla vettura la conduce verso il Palazzo del Barone Bastiano. Si potrebbe dire che più che passeggiare si trascina, e qualcuno, vedendola, potrebbe chiedersi come farà a danzare.


Non che le altre ospiti siano meno voluminose, ma lei ha proprio dato il meglio di sé. Il meglio che ci si aspetta da una fanciulla in età da marito nel 1760, ovviamente. Il suo abito color argento brilla quasi nella notte, la generosa scollatura è coperta da quattro giri di collier di diamanti, dalle orecchie pendono due lampadari, le scarpe sono degne di trampolieri da circo (anche se il circo ancora non esiste), il trucco è un trionfo di labbra scarlatte, guance bianche e nei finti. Se non altro la giovane età le ha risparmiato il parruccone.


Vittoria, però, non se ne cura affatto, anzi, è felice ed è sicura che farà una splendida figura nel suo abito da fata. Già, perché è pur sempre Carnevale, ed il suo look è coronato da una maschera argentata e piumata.


Giannina ha avuto una bellissima idea. Quando ella ha aperto l’involto portato dall’amica ed ha visto quel che conteneva, stava per venir meno dall’emozione. Che importanza ha se le informazioni sulla provenienza del ventaglio sono state piuttosto evasive: il sigillo è quello di una delle migliori botteghe della città, e non ci è voluto l’occhio di un commerciante per comprendere che la fattura è ottima ed il prezzo che le ha chiesto Giannina è ridicolo. Come dice sempre suo padre: se un fornitore ti propone un buon prodotto, non indagare sul modo in cui se l’è procurato. Soprattutto se ti chiede pochi soldi. E ti serve a far colpo sui signori veri.


Come tutte le figlie di mercanti che si rispettino, Vittoria punta al matrimonio con un giovane della nobiltà. Quale, non ha importanza. Quel che conta davvero è che il suo sposalizio farà fare il salto definitivo alla sua famiglia. Suo padre ha fatto i soldi, ed a volte tira fuori l’idea di comprare una contea, ma sua madre insiste nel dire che l’unico modo davvero dignitoso di diventare nobile è sposare uno di loro, e lei è d’accordo.


Per la verità, i discorsi dei nobili la annoiano un po’, li trova difficili. Preferisce di gran lunga andare al mercato della domenica con Giannina. Ma qualche sacrificio si deve pur fare.


Così, quando, entrata nella sala da ballo, tra le varie maschere riconosce il Conte di Ripafratta, tutto intento a parlare con un gruppo di persone, non ci pensa due volte a raggiungerlo. Ed a mollare incautamente borsetta e ventaglio su una delle poltroncine imbottite.


Avete letto l’ultima opera di Voltaire?”

Conte! Non sarete anche voi un illuminista...

Ne ho letta una parte, ma sapete com’è, il francese...”

Però quell’idea finale sul coltivare il proprio giardino non è poi bislacca, per essere di un illuminista...”


Mentre ognuno degli invitati cerca di presentarsi al meglio e di dimostrare che ne sa di più degli altri, il valletto Fabrizio fa sparire il ventaglio e riserva loro uno sguardo sprezzante.

E allora coltivatevi da soli il giardino e pure l’orto, zucche vuote.


* * *


Venezia, febbraio 1760. Martedì Grasso. Ore 21. Palazzo del Barone Bastiano


Fabrizio ha un urgente bisogno di soldi, i suoi amici al tavolo da gioco stanno diventando piuttosto impazienti. Forse la figlia del padrone avrà pietà di lui e gli donerà qualche moneta in cambio di questo inutile gingillo.


Giacinta è seduta appena fuori dalle sue stanze, lontano dalla portata degli ospiti. Si è seduta un attimo per riprendersi. La cena è stata impegnativa, non osa immaginare quando inizieranno le danze. Quando finisce questo dannato Carnovale, a cui suo padre sembra tenere così tanto?

Se solo… no, non importa. Non è il caso di stare a rimuginare. Se una persona non ti degna di attenzioni, perché dovresti sprecare il tuo prezioso tempo a pensare a lei?


Fabrizio nota che il volto di Giacinta non è proprio, come dire, un Carnevale. Ma è solo quando la fanciulla schiude il ventaglio, incredula, che comprende con precisione la portata della sua idiozia. Che cosa gli è saltato in mente? Rubare agli ospiti del padrone e poi mostrare il maltolto alla figlia? Altro che moneta. È già tanto se non lo cacciano a calci. Inizia a sudare freddo.


Giacinta scruta seria il ventaglio e non dice niente. Poi, di colpo, rientra in camera sua, ne esce tenendo in mano una moneta, la dà a Fabrizio.

Sparisci” gli dice sottovoce. Il valletto corre via con il passo di chi è stato graziato.

Giacinta si rigira il ventaglio tra le mani. Almeno ora avrà di che fare durante la serata, si consola. Dovrà cercare di scoprire di chi è il ventaglio, e con discrezione, prima che a suo padre arrivi l’eco di quello che ha combinato Fabrizio.


Certo che è un gran bel ventaglio, e la servetta Colombina sembra quasi elegante. E c’è una scritta nell’angolo, in basso a destra, così piccola che ad una prima occhiata nessuno la vede. Per la baronessa Giacinta. Un presente dal Marchese Evaristo.


Giacinta è talmente stupefatta che il suo primo istinto è quello di arrabbiarsi. Quel serio, noioso, compassato affarista! Non ha fatto altro che ostentare indifferenza verso di lei per tutta la cena, quasi ella gli avesse fatto un inspiegabile torto. Per tutto il tempo Giacinta si è sentita sconfortata: non è forse questo l’atteggiamento che assumono gli uomini quando i loro favori sono passati ad un’altra donna? È arrivata persino a dirsi che non c’era niente di davvero importante di cui preoccuparsi: una ragazza abbiente come lei non ci avrebbe messo nulla per voltare pagina.

Ma quel ventaglio è lì, a dirle che, forse, è stato tutto un grande equivoco.



Il Marchese Evaristo è disperato. Al di sotto della sua triste maschera da Pantalone, non ha fatto altro, per tutta la sera, che evitare Giacinta. Certo, una sorpresa è tale per definizione, e la fanciulla stasera non si aspettava nulla da lui, ma la vergogna di aver perduto il ventaglio era troppa, e inspiegabile (si sa che la casa nasconde ma non ruba). Forse la soluzione migliore è dichiarare la sua sconfitta e lasciare in anticipo la serata.

Avete così tanta fretta, Marchese Evaristo?”

Pantalone/Evaristo si volta, incredulo. Di fronte a lui c’è la sua Colombina preferita, Giacinta. Con in mano il ventaglio.

Voi? Come avete avuto…?”

Il ventaglio? Temo che sia una lunga storia. Ma ditemi, a che cosa devo questo presente?”


FINE




Qualche nota:


1) Tutti i nomi dei personaggi sono tratti da opere di Goldoni, in particolare La trilogia della villeggiatura, La locandiera, Il ventaglio, Una delle ultime sere di Carnovale.


2) Il 1760 è anche l’anno di uscita della Trilogia della villeggiatura. Candido di Voltaire è invece del 1759.


3) Vi consiglio di accompagnare la lettura con l’ascolto del Carnevale di Venezia di Paganini, che trovate a questo link.




Questa volta ho voluto viaggiare con la fantasia fino al Carnevale di Venezia di qualche secolo fa :-) Che ne dite? Esperimento e follia?

Come sempre, grazie se avete letto fin qui, e fatemi sapere che cosa ne pensate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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