giovedì 30 maggio 2024

I PREFERITI DI MAGGIO 2024

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

è il penultimo giorno di maggio… ed io quasi non l’ho visto! Chi mi conosce – compresi molti di voi che mi seguono da un bel po’ - sa che questo mese è quasi sempre per me uno dei più ricchi ed impegnativi dell’anno, ed anche questa volta non ha fatto eccezione. Ho davvero tante cose da raccontarvi, ma inizierò, come al solito, con i libri, i film, la musica e la poesia!



Il libro del mese


La protagonista di questo romanzo si chiama Sasha, ha trentatré anni e, almeno sulla carta, un ottimo lavoro. Ella riveste una posizione di responsabilità in una di quelle start up digitali – in questo caso un’app di viaggi – che tutti ritengono il futuro, nonché un buon traguardo lavorativo se si fa parte della squadra. Non è tutto oro quello che luccica, però. L’amministratore delegato è troppo permissivo con il fratello, che è il capo di Sasha. Nessuno dura molto con lui: gli stagisti litigano e fuggono dopo due settimane malpagate, gli impiegati full time resistono più che possono ma finiscono per licenziarsi, e nessuno viene assunto al posto di chi scappa. 

Sasha è schiacciata dalle mansioni altrui, inseguita dalla responsabile delle Risorse Umane che le fa prediche che trasudano insoddisfazione, talmente oberata da non vedere nulla che non sia il lavoro. Quando stacca dall’ufficio, più disperata che semplicemente insoddisfatta, compra ogni sera il medesimo menù da Pret a Manger, fa partire lo stesso film e lo guarda solo per i primi dieci minuti, dopodiché passa il resto della serata a rispondere alle mail arretrate, finché non si addormenta.


È impossibile per qualunque umano andare avanti così, ed infatti, da un giorno all’altro, tutto precipita. Sasha viene a scoprire all’improvviso che una delle sue colleghe più affidabili si è licenziata piuttosto malamente e che quindi il suo carico di lavoro aumenterà ulteriormente. Presa dal panico, fa finta di andare in bagno e dà il via ad una fuga rocambolesca, prima rifugiandosi nel convento di fronte all’ufficio, poi scappando dalla responsabile delle Risorse Umane, infine finendo contro un muro. Quasi divertente, se non fosse così tragico.


Messa in ferie forzate in attesa di capire che cosa fare del suo lavoro, Sasha decide di seguire i consigli della madre, che è fanatica di varie teorie new age di rinascita, e di partire per il mare. Indecisa sulla meta, ella sceglie il piccolo villaggio del Devon che è stato meta delle sue vacanze da bambina, prima che il padre lasciasse prematuramente lei, la madre e la sorella a causa di un male incurabile.


Il viaggio, tra vicini di posto invadenti e bagagli ingombranti, non è il top, ma la delusione arriva subito dopo. Sasha ha lasciato un posto che era molto alla moda e richiesto e così pensava di ritrovarlo. Il mondo, però, in vent’anni è completamente cambiato, e quel villaggio non fa eccezione. L’hotel più ambito è diventato un posto semideserto, popolato da pochi personaggi che starebbero meglio al centro di uno show di comici. Il freddo di febbraio fa pensare a tutto tranne che ad estati roventi sulla spiaggia. I bungalow per i clienti più ricchi sono abbandonati ed a sua disposizione… peccato che siano piuttosto inagibili. Molti negozi hanno chiuso ed altri ne sono sorti.


Quel che è peggio è che Sasha deve condividere spiaggia e salone ristorante con Finn, un ragazzo che ha fatto con lei il viaggio in treno e che a lei è sembrato un autentico maleducato. Con il tempo, però, ella scopre due cose su di lui: la prima è che anch’egli è in fuga da un lavoro troppo pesante, la seconda è che entrambi condividono un’adolescenza su questa spiaggia… e forse loro due non sono gli unici del luogo ad avere nostalgia dei bei tempi andati.



Sono esaurita è una lettura che avevo prenotato da qualche mese in biblioteca e che, devo dire, non solo non mi ha deluso, ma si è rivelato proprio il romanzo giusto nel periodo giusto. La Kinsella è una delle prime autrici romance che ho scoperto, ai tempi dell’Università, e non l’ho mai abbandonata, anche perché ha saputo reinventarsi a livello di tematiche e proporre questioni socio economiche coerenti con l’attualità. Questa volta il silenzioso – ma molto presente – protagonista è il burnout, un problema con cui credo che quasi tutti noi abbiamo avuto a che fare. 


Questi sono tempi in cui anche solo ottenerlo, un lavoro, specie se si tratta di posto a tempo indeterminato, è un traguardo. Così è difficile che in molti prestino attenzione a chi lavora e soffre, perché “ringrazia che ce l’hai, un lavoro”. Il guaio è che negli ultimi anni, complice la crisi che investe molti dei privati ed alcune istituzioni statali che sono messe sempre più difficoltà di anno in anno, le condizioni lavorative sono sempre più difficili ed il burnout, un tempo problema di chi sognava la pensione e/o di chi aveva gravi problemi personali, adesso investe anche tante persone giovani, sane e che avrebbero la possibilità di godersi la vita alla grande.


In Sasha ho ritrovato tanti sintomi che, anche se sporadicamente e senza la stessa intensità, ho sentito vicini a me: le sere passate a guardare certi film che servono più a spegnere la mente che a riprendersi, il desiderio di evasione, le emozioni che “cedono” appena si ha un vero stacco, il senso di non potersi godere le soddisfazioni del presente perché c’è sempre un futuro che incombe e tanto altro ancora.

Sapete che anche io, spesso e volentieri, trovo conforto nel “mio mare”.


Come in ogni romanzo della Kinsella, non manca una parte comica, ed anche questa volta trovo che l’autrice sia stata molto attuale nel criticare, anche se con il sorriso, tutti i contenuti di rinascita/teorie new age/legge dell’attrazione che ultimamente spopolano e che chiunque abbia un profilo Instagram o TikTok conosce molto bene. Sembra banale, ma non lo è: per ricaricare davvero le batterie non è necessario bere bibitoni di super food, fare meditazione e grounding, imparare delle nuove skills trasformando la vacanza in una nuova marcia forzata. Se quel che ci vuole davvero sono una pizza ed una birra sulla spiaggia in compagnia di un amico, benone così.


Un’unica piccola osservazione: non posso fare spoiler, ma trovo che nel finale il lato lavorativo si risolva con un po’ troppo ottimismo. Non penso proprio che nella realtà le cose possano avere una soluzione così agevole.


A parte questo, consiglio di cuore il romanzo e auguro a Sophie Kinsella una pronta guarigione!



Il film del mese


Roma, giorni nostri. Michele Cortese è un maestro elementare che, dopo trent’anni di insegnamento, ha perso due mogli, è diventato sempre più insoddisfatto ed ora è costantemente inseguito da parenti dei suoi alunni che “lo vogliono menare” per un voto troppo basso. Un giorno, però, una notizia rischiara la sua quotidianità difficile: la sua domanda di assegnazione provvisoria è stata accettata.


Felice come non lo era da tempo, Michele prende armi e bagagli, lascia la capitale ed il suo traffico e va verso il piccolo paese di Rupe, in Abruzzo. Già l’accoglienza, però, è meno idilliaca del previsto: la tempesta di neve infuria, persino le gomme invernali sono insufficienti ed in suo soccorso deve arrivare la vicepreside Agnese, molto più abituata a quel clima.


L’organico della piccola scuola, che è il cuore di un paesino di 364 abitanti, è davvero scarno: oltre a Michele a Agnese ci sono soltanto un collaboratore scolastico ed una giovane supplente spezzonista.


Michele è arrivato a Rupe perché pensa che in una località vicina alla natura potrà svolgere progetti di scienze e sensibilizzare i suoi alunni a proposito di ecologia e  risparmio energetico, ma ben presto egli si rende conto di aver inseguito un’illusione. Gli abitanti del luogo sono arrabbiati e disillusi, consapevoli che ben presto i figli li abbandoneranno per cercare fortuna altrove. Agnese e gli altri colleghi sono terrorizzati all’idea che la scuola, composta da un’unica multiclasse, presto chiuderà, e senza la possibilità di un’istruzione il paese morirà in pochi anni.


Mese dopo mese, Michele affronterà l’anno scolastico più insolito della sua vita, chiuso in un mondo a parte che non era come se l’aspettava ma che lo accoglierà con calore.



Per questi preferiti del mese ho scelto un romanzo che parla di burnout e, senza farlo apposta, anche questo film tocca il medesimo tema. Sapete che in questo decennio da quando ho finito l’Università ho lavorato soprattutto a scuola e credo proprio che negli ultimi anni una delle categorie lavorative sempre più soggette a burnout sia quella degli insegnanti, dagli educatori del nido ai professori universitari. In più, spesso tanti di noi devono affrontare la beffa oltre il danno, ovvero i commentini cattivi, le frecciatine e persino le risate in faccia quando esci stanca da scuola… tutti provenienti da persone che non hanno mai messo un piede nell’insegnamento, eppure sono arci sicuri che si tratti di un lavoro “facile”.


Devo anche dire che è sempre più difficile trovare film e fiction che raccontino il mondo della scuola rendendogli giustizia: per esempio, per me Un professore è stata una delusione (e no, non bastano le ship che piacciono agli adolescenti per riscattarla).


Un mondo a parte, invece, riesce a centrare entrambi gli obiettivi: raccontare i sintomi di burnout degli insegnanti e presentare la scuola così com’è, riuscendo persino ad infilare con ironia quelle piccole minuzie burocratiche che conoscono solo gli addetti ai lavori. È una commedia intelligente, sorprendente, per certi versi necessaria in un paese che guarda sempre più alla scuola come un problema di second’ordine.



La musica del mese


Maggio è un mese del cuore per me e le mie compagne di danza: la nostra piccola scuola diventa la nostra seconda casa. E da questa casa… vediamo il mondo! Con il Coro a bocca chiusa tratto da Madama Butterfly, per esempio, siamo andate in Oriente… due volte, una nel 2008 e l’altra nel 2016. Questa è la versione più recente! A questo link potete ascoltarla.



Maggio è anche il mese della Festa della mamma: sempre nel 2016 abbiamo portato in scena Viva la mamma di Bennato! (Link per l’ascolto).



La poesia del mese


Per il mese di maggio, un classico che non ho mai pubblicato qui: Ben venga maggio di Angelo Poliziano.


Ben venga maggio

e ‘l gonfalon selvaggio!

Ben venga primavera,

che vuol l’uom s’innamori:

e voi, donzelle, a schiera

con li vostri amadori,

che di rose e di fiori,,

vi fate belle il maggio,

venite alla frescura

delli verdi arbuscelli.


Ogni bella è sicura

tra tanti damigelli,

ché le fiere e gli uccelli

ardon d’amore il maggio.

Chi è giovane e bella

deh non sié punto acerba,

ché non si rinnovella

l’età come fa l’erba;

nessuna stia superba

all’amadore il maggio


[...]



Le foto del mese


Venerdì 3 è atterrata la mia amica Luana dall’Inghilterra e per l’occasione le ho preparato una cenetta di pesce! Era da un po’ che non avevo ospiti e ne sono stata davvero felice…



In maggio sono riuscita a vedere un buon numero di mostre: Cézanne e Renoir, un paio di esposizioni gratuite a Palazzo Reale e gli Etruschi alla Fondazione Rovati. Pian piano ve le racconterò…



Domenica 12, a Cassina De’ Pecchi, c’è stata la premiazione del Concorso Letterario Scintilla! Per questa volta ho vinto solo la medaglia di partecipazione, ma è già andata bene così… Il racconto che ho presentato è già online a questo link.



L’ultimo weekend di maggio sono riuscita a fare una scappata a Varazze! Eccomi all’esposizione di auto d’epoca sul molo…



Il giorno dopo c’è stato tempo per godersi le prelibatezze della sagra e per la prima mattinata in spiaggia dell’anno, dopo una primavera davvero uggiosa!





Eccoci arrivati alla fine di maggio!

A giugno mi aspettano obiettivi importanti e sono già un po’ agitata, ma anche positiva e pronta a buttare fuori le ultime energie prima che in estate la situazione rallenti un po’.

Nel frattempo fatemi sapere come state e com’è andato il vostro maggio!

Grazie per la lettura, ci rileggiamo in giugno :-)


lunedì 27 maggio 2024

FEDERIGO TOZZI: TRE CROCI... ED ALTRO

 Recensioni classiche 2024




Cari lettori,

fedele al mio buon proposito di proporvi un classico ogni due mesi, oggi vi propongo il terzo appuntamento con “Il momento dei classici” del 2024!

Ho pensato di anticipare un po’ rispetto alla cadenza degli altri due post, perché queste che vi presento sono le letture scelte per il bimestre maggio/giugno, ma il prossimo mese, a parte la prima settimana, sarà tutta dedicata al nostro countdown estivo, e sinceramente faticherei un po’ ad inserire questo tipo di post tra uno di foto di viaggi ed uno di letture da spiaggia.


Visto che si torna sempre dove si è stati bene, ho pensato di approfondire la conoscenza dell’autore che vi avevo presentato a gennaio/febbraio, ovvero Federigo Tozzi. Dopo avervi parlato diffusamente di "Con gli occhi chiusi", ho cercato un po’ nella libreria di famiglia ed ho trovato altri due volumi interessanti: Tre croci, che sarà l’argomento principale di oggi, ed un’antologia che vi racconterò sul finire del post.


Sono molto soddisfatta di aver conosciuto maggiormente questo autore ed anche di aver tenuto fede al mio proposito finora, nonostante tutte le nuove uscite di autori che amo che ci sono state in questi mesi (sembra che le cose belle da leggere non finiscano mai, e, da un certo punto di vista, meno male!)


Vediamo meglio insieme Tre croci…



La storia raccontata


La storia, esattamente come nel caso di Con gli occhi chiusi, ha luogo circa cent’anni fa, nel primo Novecento, a Siena e nei dintorni campagnoli.


I protagonisti sono tre fratelli appartenenti alla classe sociale della piccola borghesia lavoratrice, che non potrebbero essere più diversi. Giulio, il maggiore, è libraio: è il più introverso del trio, nonché il più responsabile. È lui a tenere insieme il rapporto di fratellanza – che senza la sua presenza si sarebbe sfaldato da tempo – e la famiglia, lui quello con un’incrollabile etica del lavoro. Niccolò è antiquario ed è il fratello di mezzo, in bilico tra l’esempio dato da Giulio e la tentazione della dissolutezza: afferma di tenerci molto al lavoro – e di lavorare tutto il giorno – ma passa la mattina a dormire in negozio, a meno che non arrivino clienti; rimprovera Enrico, il fratello minore, per la gestione del denaro, ma poi è il primo a spendere, soprattutto quando si tratta di cibo; è l’unico con una moglie, ma la tratta come una serva e si sorprende se ella addirittura “osa parlare”. Enrico, infine, è il minore: lavora come legatore, ma è inaffidabile e discontinuo, e l’autore stesso lo definisce sgarbato e prepotente.


La vita dei tre fratelli, immersi in una campagna che sembra quieta ma – come scopriremo – non lo è affatto, potrebbe scorrere tranquilla. Ma i tre pagano ben presto lo scotto dell’aver voluto vivere al di sopra delle loro possibilità, nel tentativo di fare un salto di carriera e di ingraziarsi personaggi della classe sociale alta.


Ben presto i debiti diventano troppi da sostenere. Per l’ennesima volta è Giulio a farsi carico della situazione problematica, ma egli fa un azzardo troppo grande: falsifica delle cambiali in banca, apponendo la firma sotto il nominativo di un amico ricco che li ha già aiutati più volte, ma che in questo caso è del tutto all’oscuro.


Un’azione forse tanto spregiudicata quanto efficace, se la commettesse qualcuno che non ha peli sullo stomaco. Ma i tre fratelli protagonisti, per quanto se la vogliano raccontare, non sono dei disonesti. L’azione scorretta che hanno compiuto aleggia sempre più tra loro come un fantasma che si ingrossa: Giulio, che già prima era il più spirituale dei tre, inizia a provare sensi di colpa di stampo religioso; Niccolò comincia ad attaccare briga con i suoi prestigiosi clienti, talvolta tentando di passare alle mani; Enrico, infine, mette più volte nei guai la famiglia.


La controparte femminile del nucleo familiare, ovvero Modesta, la moglie di Niccolò, e due nipoti alla lontana che soggiornano dai tre fratelli perché nel bisogno, cercano di comprendere meglio che cosa sta succedendo, ma non è loro concesso nemmeno di parlare. Non resta loro che arrendersi alla disgrazia che sta travolgendo i tre fratelli.



Un’ambientazione poco accogliente


Tre croci si presenta come un libretto, ma vi assicuro che, pur da lettrice accanita ed abbastanza veloce, ho fatto una certa fatica: ci ho messo quasi tutte le vacanze di Pasqua (e lo so che voi mi direte: grazie mille Silvia, un giorno eri a Genova, un altro a spasso per Varazze, un altro ancora a fare pranzi… ma comunque di solito il relax delle vacanze mi aiuta molto, ed in questo caso invece ho arrancato anche con la mente sgombra).


Le parti che mi hanno creato più difficoltà non sono state quelle che vi ho raccontato sopra, ovvero le descrizioni dei protagonisti, i dialoghi tra di loro, le vicende raccontate, i colpi di scena.


Ciò che mi ha fatto molto rallentare e riflettere sono state le parti descrittive, sia dal punto di vista della presentazione della città di Siena e del paesaggio campagnolo tutt’intorno, sia dal punto di vista dei personaggi subalterni, raccontati come archetipi della società del tempo.


Più leggevo, dovendomi soffermare su ogni parola e creare una nuova immagine nella mia mente ad ogni rigo, più mi rendevo conto che le scelte stilistiche dell’autore erano tutt’altro che casuali. Paesaggio e società sono proprio come l’autore ne scrive: difficili, non accoglienti.


Da un punto di vista puramente paesaggistico/naturale, penso che il topos sia quello del falso idillio: la campagna è magnifica, ma perché si mantenga così ci vuole un durissimo lavoro dell’uomo, una fatica che a quei tempi ti faceva ammalare e morire molto presto; ci sono tanti edifici pregevoli, chiese storiche, mura medioevali che vengono continuamente citati, ma nessuno ha davvero il tempo o la voglia di apprezzare questi tesori, che vanno sempre più in rovina e sono tenuti in considerazione solo quando si danno indicazioni stradali; la città di Siena è la metropoli della zona, con tutte le sue attrazioni, ma chi ha sempre vissuto e lavorato in campagna, specie le donne, è così intimidito da non mettervi piede.


Quanto alla società, come dice la quarta di copertina del mio libro, siamo di fronte ad una realtà gretta, maldicente, provinciale.

Gretta perché anche quando si parla di libri, cultura ed oggetti d’antiquariato, alla fin fine si bada solo al soldo.

Maldicente perché i tre protagonisti non vedono l’ora che i loro ricchi clienti – che ammirano ed invidiano allo stesso tempo – escano dal negozio per poterne sparlare, e viceversa, i ricchi blandiscono i tre fratelli perché hanno bisogno dei loro manufatti ad un buon prezzo (anche la ricchezza è più apparenza che sostanza) ma non li considereranno mai amici.

Provinciale perché i senesi di città si credono chissà chi, ma non si rendono conto di far parte di realtà molto arretrate rispetto a città come Milano, Roma o la stessa Firenze che è poco distante.


I tre fratelli sguazzano in questo ambiente, convinti di essere più furbi e di non doversi privare di niente, specie dei piaceri della tavola che a volte assumono il contorno dell’ossessione… ma ad un certo punto la realtà li travolge.



Il destino dei tre protagonisti


Inutile girarci tanto intorno: la fine dei tre fratelli è già scritta nel titolo, in quelle Tre croci che le nipoti porranno a ricordo degli zii che nonostante tutto sono stati tanto generosi con loro, seppellendo così, sia in senso letterale che metaforico, una vecchia generazione di senesi che si è appigliata alla speranza di una vita migliore e ad un salto di classe sociale senza fare delle dovute riflessioni. La generazione delle nipoti, come l’autore fa intuire in poche ma significative pagine, ha già le “spalle più larghe” e, almeno finché è giovane e di belle speranze, tenterà di non fare i medesimi errori di genitori e zii.


Le edizioni critiche dei romanzi di Tozzi sottolineano giustamente l’importanza della visione religiosa per l’autore, ma io credo che in questo libro egli, senza rinnegare il suo credo, voglia però porre l’importanza di perseguire un “giusto mezzo”: non si può essere troppo terreni, materiali, avidi, ma nemmeno eccessivamente spirituali.


Giulio, infatti, che più di tutti segue i dettami della religione, finisce per trasformare la sua fede in una nevrosi, e, di fronte alla vergogna derivante dalla scoperta della sua scorrettezza, si uccide. Niccolò ed Enrico, che continueranno a pensare alla ricchezza per il resto delle loro vite, perderanno quel che rende davvero ricco un uomo: i rapporti umani, che andranno presto in rovina dopo la morte di Giulio, e la salute, perché la loro morte verrà causata principalmente dalla gotta, un male che affligge quei nobili che hanno sempre cercato di imitare.


Un romanzo, va detto, ben più pessimista di Con gli occhi chiusi, per i cui protagonisti, nonostante tutto, c’era ancora di fronte una vita da vivere.



Non solo “Tre croci”: un’antologia dell’autore


Subito dopo aver ultimato Tre croci, per chiudere un po’ il cerchio, ho deciso di leggere anche i brani contenuti in questa antologia che ho trovato a casa. Sembra un volume piuttosto consistente, lo so, ma in fin dei conti tante pagine sono di analisi o di proposta di lavoro didattica, e poi ci sono due sezioni dedicate ai libri che ho già letto. Mi sono dedicata solo alle sezioni di opere che non conoscevo.


Piuttosto interessante mi è sembrata Adele, una storia tragica di nevrosi femminile, tra famiglia d’origine e sentimenti.



Ricordi di un impiegato invece tratta i temi del mondo del lavoro e delle aspettative genitoriali su questo argomento, e su come sacrificare la propria inclinazione possa portare allo spegnimento di una persona: ai tempi di Federigo Tozzi questa era una storia solo per figli maschi e specialmente unici o primogeniti, ora potrebbe adattarsi a tutti noi giovanotti/e precari/e.



Bestie è una raccolta di insoliti frammenti nei quali l’uomo è accostato di volta in volta ad un diverso rappresentante del mondo animale.



Il podere fa parte probabilmente del Tozzi più classico, quello che racconta della campagna toscana, delle storie di famiglia, degli interessi economici che possono esserci intorno ad una proprietà rurale.



Gli egoisti indaga il mondo artistico di musicisti e pittori, e delle loro amanti.


Le novelle, infine, trattano temi molto diversi tra loro, ma in qualche modo comunque coerenti con l’universo tozziano.



Non so ancora se leggerò alcune di queste opere, ma almeno mi sono fatta un’idea!




Questo è quanto per il nostro appuntamento con i classici!

Devo ammettere che, quando arrivo alla fine di post del genere, tiro un piccolo sospiro di sollievo. Ho sempre paura di non avere abbastanza da scrivere su queste letture così impegnative, soprattutto perché l’anno della laurea si allontana sempre più e sul lavoro spesso non riesci a rispolverare ed insegnare tutto quello che vorresti… nemmeno con i più grandi, figurarsi con i più piccoli. Però ogni volta che mi siedo al computer parole e riflessioni mi vengono fuori da sole. Come dire: once a letterata, always a letterata…

Scherzi a parte, spero di potervi proporre altri tre classici validi per la seconda parte dell’anno. Magari potrei tornare anche alle opere di Matilde Serao, oppure occuparmi di altri autori… vedremo.

Nel frattempo grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 23 maggio 2024

LIBRI NELL'ARTE

Un giro alla mostra di Palazzo Grimaldi della Meridiana




Cari lettori,

incredibile ma vero!

Dopo avervela nominata più volte ed avervi promesso una recensione dettagliata in tempi brevi, finalmente oggi, per i nostri “Consigli artistici”, sono riuscita a trovare uno spazietto per raccontarvi la mostra Libri nell’arte a Palazzo Grimaldi della Meridiana.


Sono stata a Genova il 29 marzo, durante le vacanze di Pasqua, e in questo post vi ho raccontato le mie peregrinazioni in giro per la città. È stata una gita molto ricca, che si è conclusa proprio con la visita a questa mostra, che abbiamo scoperto quasi per caso, guardando il tg regionale proprio la sera prima di partire.


Abituata al tam tam ed alla calca delle grandi mostre milanesi, mi sono ritrovata in un luogo per me del tutto nuovo, con un’atmosfera molto tranquilla. Anche per questo ho pensato di dedicare un post solo alla mostra: vorrei che fosse più conosciuta e magari più visitata da chi di voi abita al Nord, o magari deve raggiungerlo per i motivi più svariati. Troppo spesso anche gli eventi culturali vanno “a mode” e succede che certe mostre, certe fiere del libro, certi spettacoli siano praticamente blindati, mentre altre realtà culturali, ugualmente meritevoli, sono poco visitate o conosciute.


La mostra si snoda in quattro sale di Palazzo Grimaldi ed indaga il rapporto tra letteratura e arte, in un percorso che va dal Medioevo alle sperimentazioni della contemporaneità. Facciamo questo tour insieme!



Il Medioevo e gli amanuensi


La prima delle quattro sale della mostra è tutta dedicata al Medioevo ed alla nascita del libro, dopo il tramonto dell’Impero Romano e dell’epoca classica, con tutto il suo carico di rotoli e di pergamene.


Nelle teche sono esposti alcuni bellissimi manoscritti dei monaci amanuensi, che copiavano a mano testi sacri e profani decorando ogni pagina con illustrazioni spettacolari, che erano delle vere e proprie opere d’arte in miniatura.



Ci sono anche sculture e dipinti che ritraggono il libro come oggetto d’arte, come in questa Annunciazione.



Gli amanuensi copiavano anche la musica sacra ed i canti da intonare in chiesa: si tratta, ovviamente, di inni in latino, con uno spartito piuttosto diverso da quello in voga oggi…



Dal Cinquecento all’Ottocento


Le due sale successive presentano l’epoca moderna in tutte le sue declinazioni.


Grande rivoluzione del Cinquecento è quella della stampa: la macchina creata da Gutenberg viene importata un po’ ovunque in Europa. Una delle opere più stampate in Italia è sicuramente la Commedia dantesca.



Libro, candela e teschio sono tre elementi ricorrenti nei ritratti di epoca barocca: in questa tela sono presenti tutti e tre, a simboleggiare la breve e fugace esistenza di una donna che si è dedicata tutta la vita all’attività intellettuale.



Dai pensatori solitari ai salotti degli Illuministi: un uomo ed una donna si confrontano a proposito dei loro studi in questa tela.



Nel XIX secolo ormai si parla di lettura a più livelli: non sono solo aristocratici ed intellettuali a leggere, ma anche i borghesi, e non solo per studio, ma anche per intrattenimento, come fa questo gruppo di giovani donne che sembra star facendo una gita fuori porta.



Il cantiere del Novecento


L’ultima parte della mostra è dedicata al XX secolo, che è stato più che mai pieno di sperimentazioni. Non ci sono solo dipinti, ma anche sculture e oggetti-libro che vengono reinventati in modo del tutto originale.



Il libro futurista di inizio secolo è inchiodato da due bulloni…



...e quello di Vincenzo Agnetti, artista concettuale del Dopoguerra, è di fatto inesistente! Resta solo l’idea, in linea con questa corrente artistica…



La meraviglia di Palazzo Grimaldi della Meridiana


Non so se riuscirete a visitare Genova nei prossimi mesi, ma, nel caso vi capiti, vi consiglio comunque di passare per Palazzo della Meridiana, qualunque sia l’esposizione del periodo. È un palazzo bellissimo ed il chiostro è incredibile!



Il tetto presenta questo bellissimo vetro quadrato finemente decorato…



e lungo i quattro lati dei chiostri ci sono cupole e capriate, tutte diverse l’una dall’altra!




La mostra resterà a Genova fino al 14 luglio!

Penso che, tra tutte le esposizioni che vi ho raccontato in questi anni – negli ultimi mesi sono stata un po’ e ne sono molto contenta -, questa presenti un tema che davvero mette d’accordo tutti noi appassionati di libri e di cultura in generale.

Fatemi sapere se ci siete stati anche voi e se vi piacerebbe andare!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 20 maggio 2024

IL PADRE DELLA DANZA

 Spazio Scrittura Creativa: maggio 2024




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di maggio con la rubrica “Spazio Scrittura Creativa”!


Oggi riesco finalmente a proporvi qualcosa che per me è molto speciale. Senza dirvi niente… all’inizio di marzo ho lavorato ad un piccolo progettino “dietro le quinte”. Un po’ last minute, infatti, ho deciso di partecipare al concorso letterario Scintilla, indetto dal Comune di Cassina De’ Pecchi, vicino al mio Cernusco sul Naviglio. Il tema era libero, anche se c’era un richiamo alla “scintilla” che accende la creatività di scrittori ed artisti in generale.


Il mio racconto è nato dopo un’illuminazione che ho avuto visitando la mostra Rodin e la danza al Mudec di Milano (a questo link la recensione). Chi ha già partecipato ai concorsi letterari sa che ci sono tante emozioni in gioco, ma i giorni della creazione e dell’invio sono stati davvero un momento felice.


Ad un paio di mesi di distanza, è arrivato il responso! Purtroppo – o per fortuna, visto che non ero sicura che avrei partecipato – per questa volta ho portato a casa solo la medaglia di partecipazione, che è comunque un bel ricordo. Se vi interessa vedermi in veste di vincitrice, vi rimando a questo link per il concorso della Bbc a cui avevo partecipato nel 2018.


C’è un vantaggio, però! Visto che questo racconto non è finalista e la pubblicazione non farà parte del libretto comunale, posso condividerlo con voi!


La mia storia si intitola il padre della danza e… adesso è fuori dal cassetto, è anche vostra!



Il padre della danza



Parigi, 10 luglio 1906


Avevo sentito raccontare tante storie su questa città. Favole, forse leggende, riportate da tante ballerine come me. Pensavo di essere preparata a conoscere Parigi e credevo che questo viaggio non avrebbe avuto segreti per me. Mi sbagliavo.


Mi avevano detto di prepararmi ad un caldo, nel pieno dell’estate, diverso da quello a cui ero abituata. Invece stasera una brezza piacevole porta la serenità della notte e, se non fossimo costrette a restare in camerino per non rivelare i nostri costumi, sono sicura che qualcuna di noi sarebbe già uscita su quel magnifico balconcino in ferro battuto. Mi avevano anche presentato la città come frenetica e mai addormentata, ma qui, dall’alto, vedo solo grandi viali alberati, persone minuscole ed un’infinità di luci che dovrebbero far pensare alla vita mondana ed ai suoi pericoli, ed invece a me trasmettono tanta sicurezza, quasi un senso di pace.


A casa mia, in Cambogia, i villaggi sono isolati, immersi nella natura. Si può fare affidamento su poche persone, che diventano tutto il tuo mondo. Mi sembra incredibile immaginare che migliaia e migliaia di sconosciuti possano vivere insieme in una grande città e dare vita a qualcosa di così armonioso. Ho studiato qualche parola di francese prima di venire qui, ma stasera, con il naso appiccicato contro il vetro, con il mio costume da scena, credo che non riuscirei ad esprimere la mia meraviglia nemmeno nella mia lingua.


Mi chiamo Roa e sono una ballerina della corte reale. Non ho passato tutta la vita nel villaggio dove sono nata, conosco già la vita a palazzo e le esistenze luccicanti dei potenti, eppure né io né le mie compagne di ballo abbiamo mai visto qualcosa di simile.


Il teatro è gigantesco, i camerini sono più grandi del nostro palcoscenico a casa. Il cartellone degli spettacoli è fittissimo e non riusciamo a credere di essere proprio noi l’attrazione principale di quest’anno.


Ci esibiamo in due pezzi, la Danza dei ventagli e la Danza delle farfalle. Non sono brani facili. Innanzitutto, oltre agli abiti finemente decorati e ricchi di laccetti che rischiano di incastrarsi ovunque, c’è il nostro copricapo, che fa sempre colpo sul pubblico, soprattutto su questi occidentali abituati a minuscole figurine in chignon. Eppure nessuno sa quanto sia difficile portare sulla testa un cappello del genere: già è complicato eseguire delle coreografie con qualcosa che deve stare fermo sul capo, figurarsi se quel qualcosa è in oro e con pietre preziose. Quindi dobbiamo stare attente ad inclinare la testa solo fino ad un certo punto, e poi ci sono i ventagli che vanno aperti e chiusi al momento giusto, i copridita e le lunghe ali che applichiamo dietro le braccia e che ci rendono farfalle, la coordinazione di mani e piedi, tutti i passi da ricordare. E mentre facciamo tutto questo non dobbiamo scordarci di sorridere, perché il pubblico vuole questo, giusto?


Eppure è la mia vita. Probabilmente sorriderei anche con dei pesetti di ferro attaccati ad ogni singolo dito del piede. Sono una ragazza di soli diciott’anni e il mio lavoro come ballerina mi impedisce di avere un marito ed una famiglia mia, ma credo di aver imparato molto sull’amore grazie alla danza. Il sentimento forte che provo ogni volta che salgo sul palco mi ha consentito di superare alcune mie grandi paure.


Le preoccupazioni nel lasciare la mia famiglia ed il mio villaggio per danzare alla corte del re. L’autentico terrore che mi ha preso nell’attraversare l’Asia e mezza Europa con mezzi a me finora sconosciuti per arrivare qui a Parigi. Quei due minuti di paura che mi paralizzano prima di salire sul palco ed invece si rivelano sempre, puntualmente, l’anticamera del Paradiso.


Anche stasera è giunto il momento di diventare prima una modesta portatrice di ventaglio e poi una bellissima farfalla.


* * *


Una brava ballerina supera la paura di quel buio ignoto, quell’oscurità brulicante dentro alla quale si nascondono gli spettatori. Qualche volta però il buio è di conforto: si sa che qualcuno c’è, ma non lo si vede in faccia.


Invece questa sera le luci sul palco erano molto forti, quelle in platea soffuse, e così ho potuto vedere gli spettatori delle prime file. Ho dato solo un’occhiata veloce, perché basta un attimo per distrarsi… e stavolta davvero stava per succedere.


Solitamente gli uomini ci osservano in gruppo, commentano, a volte giudicano. I più felici di assistere al nostro spettacolo sono i giovani, quelli che qui in Occidente chiamerebbero “uomini di mondo”. Quello spettatore, invece, aveva sicuramente cinquant’anni, per non dire sessanta, e se ne stava in disparte. Aveva una barba lunga, gli occhiali, un vestito che forse aveva visto giorni migliori, e sembrava animato da un sincero interesse.


Come al solito sono l’ultima ad avviarmi verso il camerino. Quando l’esibizione finisce a volte resto lì, tra parquet e sipario, un po’ persa ed un po’ ammirata, incredula che sia di nuovo tutto finito, che ancora una volta la danza abbia compiuto la sua magia. Senza nemmeno accorgermi di dove sto andando, all’improvviso mi trovo di fronte proprio lui, lo spettatore misterioso.


Sembra voler parlare con me. Mi dice scusa se disturbo nella mia lingua, e capisco che ha imparato queste parole, che sperava di incontrare una di noi. Poi si batte il petto e ripete: “Rodin, R-O-D-I-N.” Strano nome, ma non tanto più complicato del mio. A mia volta mi indico e sillabo lentamente: “Roa, R-O-A.”


Solo ora mi accorgo che Rodin ha con sé un voluminoso bagaglio. Sembra una cartella da cui fuoriescono tanti fogli. Un nastro con una matita chiude il plico. L’uomo segue il mio sguardo, osserva a sua volta le carte, forse non sa bene come presentarsi. “Un momento, per favore” dice infine nella sua lingua, lentamente, indicando un disimpegno a metà strada tra l’uscita del palco ed il camerino.


Esito. Tutti quanti ci hanno messo in guardia dagli uomini occidentali. E di sicuro tra poco qualcuno verrà a chiamarmi. Però basterebbero pochi minuti. Rodin potrebbe davvero essere mio nonno, mi sembra gentile, e di sicuro un malintenzionato non mi proporrebbe una stanza senza porta. Così lo seguo.


* * *


Come immaginavo, Rodin è un artista, e vuole provare a disegnare il mio costume.

S-C-U-L-T-O-R-E”, ripete, ma è una parola troppo difficile per me, e lui non sa come si traduca in cambogiano. Così mima delle forme in aria con le mani, ed io comprendo che non crea dipinti, bensì sculture. Da come muove la matita sul foglio, però, mi sembra abile anche nella pittura.


Più a gesti che a parole, Rodin mi chiede di mettermi in posa. Non mi è mai successo in tutta la mia vita e non so bene che fare, ma provo prima a replicare la posa finale dei Ventagli e poi quella iniziale delle Farfalle, e lui sembra entusiasta.


La mano scorre veloce sul foglio, la matita sembra creare magie. Rodin è concentrato sul suo lavoro, poi, all’improvviso, alza gli occhi. Il suo sguardo ride, pare quasi che egli voglia fare conversazione.

Amo danza!” mi dice in cambogiano, sorprendendomi.

Anche io” non posso fare a meno di rispondere.

Sembra un dialogo tra due bambini che devono ancora imparare a parlare, eppure i nostri sguardi, i nostri gesti, il nostro entusiasmo convogliano un caleidoscopio di emozioni dall’una all’altro.


Rodin appoggia un attimo i bozzetti su una sedia accanto a lui ed apre la cartella, invitandomi a guardare. Resto senza parole: non tutti i suoi fogli sono bianchi! Ha portato con sé molti dei suoi studi di danzatori e ballerine. Figure eteree, avvolte da impalpabili veli bianchi. Donne europee con una crocchia di capelli neri ed un lungo costume azzurro cielo. Fanciulle in quelle che riconosco essere le posizioni della loro danza francese. Una donna dall’aspetto severo che sembra orientale come me, forse cinese o giapponese.


Ho pensato che Rodin potrebbe essere mio nonno, ma quest’uomo è un padre… della danza. Un patrono generoso, un uomo innamorato del ballo che vive per ritrarre le sue “figlie” ballerine. In noi sono accese due scintille di creatività: la mia mi spinge a muovere il mio corpo secondo l’arte della danza, la sua lo porta a realizzare bozzetti da scolpire. Stasera le nostre due scintille si sono incontrate.


Non so perché, ma non credo che questo sarà il nostro ultimo incontro.



* * *



Marsiglia, 12 luglio 1906


Un nuovo spettacolo. Altri Ventagli, altre Farfalle.


Ed in prima fila, sulla destra, Rodin.


Sapevo che sarebbe tornato. Che ci avrebbe voluto rivedere.


Me lo sentivo già, ma adesso ho la certezza che, grazie a lui, anche quando tornerò in Cambogia, la mia arte resterà qui in Francia. E, chissà, forse andrà anche oltre.



FINE



Vi ringrazio ancora tantissimo per il vostro supporto, e non mi riferisco solo alla lettura del racconto di oggi. Senza i vostri feedback positivi di questi anni, di certo non avrei mai avuto il coraggio di mettermi in gioco in spazi ed occasioni differenti da questo blog, che è un po’ la mia seconda casa :-)


Come sempre, aspetto i vostri commenti e mando un grande abbraccio a tutti voi.


Grazie mille per la lettura, al prossimo post :-)