martedì 22 settembre 2015

LEZIONI DI LETTERATURA E DI VITA

Quello che ho imparato dalla Facoltà di Lettere

 


Se avete seguito il mio blog fin dall'inizio, saprete che spesso mi ritrovo a sorridere delle mie peripezie e disavventure. Alcune volte, tuttavia, è necessario essere seri.

Ci sono periodi, soprattutto durante l'immediato post-laurea, in cui ci sembra che la scelta universitaria sia stata, a posteriori, uno sbaglio. Capita di pensare che sarebbe stato meglio un corso di laurea più funzionale, meno teorico, adeguato a quello che questi tempi di crisi ci richiedono.

Quando succede a me, finisco col ripensare a quello che Lettere mi ha veramente insegnato. Ecco quello di cui mi sono resa conto.






Dante mi ha insegnato che, qualunque sia il cammino che percorriamo, abbiamo sempre bisogno di una guida amica, perché come potremmo fare senza di lei? Chi ci aiuterebbe, altrimenti, a scalare le montagne della vita? E, tuttavia, dobbiamo anche accettare i suoi momenti di tristezza e di pentimento, altrimenti non le saremmo veramente amici.




Montale mi ha mostrato che, molte volte, ci capita di sorridere amaramente dei nostri limiti davanti ad infinite possibilità, come se fossimo su una piccola spiaggia davanti al mare aperto, ed allora la cosa migliore che possiamo fare è spingere il nostro sguardo in là ed affidare la nostra speranza a qualcun altro, sperando di sentire presto il suo cuore che salpa per l'eterno.





Ungaretti mi ha confortato, perché mai, mai nessuno saprà come ci illumina quell'ombra che ci si pone a lato, timida, quando non speriamo più.




Calvino mi ha ricordato che ci sono città che si fingono ricche, città dove ogni giorno si recita una sorta di spettacolo, città dove si scambiano racconti come monete e città dove puoi essere identificato con un congiunto ormai morto; tuttavia, dobbiamo sforzarci di amare queste città e di renderle felici, altrimenti l'inferno non sarebbe una proiezione dell'aldilà, ma una condizione reale.




Pavese mi ha incoraggiato: la paura di amare, non è in fondo già un po' amore?




Alfonso Gatto mi ha dato speranza: un giorno, dopo anni di tristezza e di oppressione, possiamo sentirci vivi in un istante, perché ci è spuntato il cuore in mezzo al petto.




Ariosto mi ha rivelato che tutte le corti più sfarzose del mondo non valgono la gioia di una piccola casa di proprietà.




Tasso mi ha fatto sentire meno incompresa: quando una ragazza non è ricambiata, è normale che desideri stringere il suo innamorato, per strozzarlo, ma forse anche per baciarlo, e può succedere che si perda nei boschi perché è disperata, e anche che casualmente trovi il suo amore, che (finalmente!) ha bisogno di lei.




Pascoli mi ha dato fiducia: un vecchio poeta, durante la sua ricerca, può correre grandi pericoli, ed anche trovare la morte, ma la sua arte non morirà, perché la sua cetra continuerà ad oscillare al vento.




Pirandello ha suscitato in me passione: a volte, a noi donne si presentano davanti due occhi che ci fissano con insistenza; ed allora ci vuole prudenza, perché sarebbe dolce cedere a quegli occhi, ma anche pericolosissimo.




Quasimodo mi ha dato un esempio: tradurre i classici può essere la più bella avventura di un letterato seduto alla scrivania.




Sofocle mi ha fatto stimare di più me stessa: noi donne siamo una forza della natura, e si può diventare eroi ogni giorno, se con il cuore si sceglie la strada giusta; inoltre, se si vuole davvero una cosa, prima o poi la si ottiene.




Aristofane mi ha fatto ridere: un po' di sana autocritica rende anche gli eroi più credibili e più amati.




Orazio mi ha invitato a sorridere, perché spesso quello che cerchiamo è solo una persona che parla dolcemente e dolcemente ride.




Catullo mi ha aiutato nel corso di un amore infelice, perché un'offesa spinge ad amare di più, ma a voler bene di meno.




Seneca mi ha avvertito: non è vero che abbiamo poco tempo, la verità è che ne sprechiamo molto.




Platone mi ha consolato, perché tutti, almeno una volta nella vita, siamo stati attratti da quel cosino piccolo, brutto, povero, lacero e sporco chiamato amore.




Cimabue mi ha dato la voglia di trasmettere qualcosa agli altri: se il tuo allievo diventa tanto bravo da superarti, allora la tua vita e la tua opera sono state spese bene.




Raffaello mi ha reso curiosa: se il tuo lavoro è riuscito bene, puoi avere anche il coraggio di buttarti in qualcosa di non tuo, come la poesia.




Shakespeare mi ha restituito il senso della realtà: se ci si può perdere nella foresta dell'amore, è vero anche che, mettendo il filtro giusto sugli occhi, tutto si può sistemare.




Ibsen mi ha regalato una importantissima lezione: noi donne possiamo sbagliare, fare matrimoni di convenienza, rifugiarci tra le braccia di uomini ipocriti, ma possiamo anche riscuoterci, capire che non siamo le bamboline di nessuno, ed andare per la nostra strada.




O' Neill mi ha messo in guardia: una famiglia in cui sincerità ed amore vengono dimenticati diventa una scuola d'odio ed una trappola senza scampo.




Brecht mi ha fatto rivalutare la quotidianità, perché, se non apprezziamo i doni che abbiamo avuto in vita e continuiamo ad inseguire ciò che non abbiamo, finiremo per piangere amaramente davanti al niente.




I trovatori provenzali mi hanno divertito: l'approccio con l'altro sesso dev'essere molto cauto e galante, altrimenti sono bastonate!




Baudelaire mi ha aiutato ad ammettere che, a volte, il nostro più intimo desiderio è rivedere una persona cara scomparsa, ancora lì dove l'abbiamo lasciata, al focolare casalingo, che culla, con il suo occhio materno, quel bimbo ormai cresciuto che un tempo eravamo noi.




Rimbaud mi ha fatto guardare verso il cielo: se si piange troppo, ogni alba è straziante, ogni luna è atroce ed ogni sole amaro, ma, per tirarci su, possiamo tendere dei fili dorati da lampione a lampione, da campanile a campanile, da stella a stella, e danzare.




Yeats mi ha donato una riflessione: anche se la giovinezza è bella, ed ognuno di noi si impegna per amare nell'antico e sublime modo di amare, e tutto può sembrare così felice, potremmo comunque rischiare di ritrovarci, da adulti, con un cuore misero come una vuota luna.




Keats mi ha ricordato che non c'è niente di meglio di riposare sul petto del proprio amore e sempre, sempre sentire il suo respiro attenuato.





Non devo, non posso e soprattutto NON VOGLIO sostituire questo.

Ogni volta che questi insegnamenti di letteratura, di arte e di vita mi tornano in mente, capisco di avere fatto la scelta più giusta per me, e soprattutto di avere avuto accesso a qualcosa di straordinario.

 

Ovviamente si accettano contributi a proposito di che cosa i classici ed i grandi autori abbiano insegnato a voi!
Come sempre, grazie per aver letto.

mercoledì 9 settembre 2015

TIPI DI PERSONE IN BIBLIOTECA

Dall'innocuo studente al temutissimo serial reader

 




L'ispirazione per questo post mi è venuta guardando alcuni simpatici video su YouTube appartenenti alla categoria “tipi di persone”. Avete presente, no? Quei brevi filmati che, in qualche minuto, danno un quadro esaustivo delle diverse tipologie umane che si aggirano in stazione, al cinema o ai concerti. 
Mi sono chiesta: quale potrebbe essere il mio contributo? Qual è il luogo che, in assoluto, prediligo e frequento con assiduità?

Ecco a voi, dunque, un catalogo dei tipi di persone che si possono trovare in tutti i più noti locali notturni tra Rimini e Riccione!









Ok, scherzavo. Non penso che nessuno mi abbia creduto. Anche perché avete letto il titolo, e, anche se non l'aveste letto, non mi avreste creduto comunque. Sarà una vera gioia introdurvi alla tipica fauna che popola il regno dei libri.




LO STUDENTE (SERIO). 

Voi lo noterete subito, ma lui non noterà voi. Lo studente serio è solitamente seduto ad uno dei tavoli della biblioteca, ed è chino, quasi a 90°, su: a- un quaderno pieno di appunti; 
b- un librone; 
c – un pc o un tablet (in tal caso, non siate sicuri al 100% che l'individuo in questione stia studiando. Personalmente, ne ho beccati un paio che si guardavano videoclip di Rihanna su Mtv.)


Lo studente serio occupa la biblioteca quasi tutto il giorno, perché ritiene che un luogo come quello, silenzioso ed occupato quasi solamente da libri, sia del tutto privo di distrazioni. (Piccola nota autore, forse non necessaria: io non ho mai, mai studiato in biblioteca.)


Lo studente serio spesso si sente sommerso dallo studio, preso con gli esami e senza alcuna speranza, ma può consolarsi: mentre impreca con appunti e manuali, se non altro, sta rendendo felice qualcuno. 
Quel qualcuno sono tutti i neolaureati molto precari come la sottoscritta, i quali, già messi alla prova da una vita un po' incerta, guardando lo studente serio tirano finalmente un sospiro di sollievo e si ripetono: Almeno non devo più fare questo! Almeno non devo più fare questo! Almeno… (andare avanti altre 120 volte).





LO STUDENTE (UN PO' MENO SERIO). 

Come lo studente serio, è piuttosto semplice da trovare: basta rivolgere lo sguardo in direzione tutti i luoghi che non siano i tavoli della biblioteca. Si può individuare al bar, al di fuori della struttura a fumare, seduto su una panchina nei giardinetti a fianco. 

Normalmente, la giornata dello studente un po' meno serio è la seguente: primo caffè perché se no non si carbura, pausa sigaretta, due chiacchiere fuori perché è ancora troppo presto, seconda colazione più sostenuta perché è arrivata gente che si conosce, discussione con gli amici al bar (sarebbe maleducato andarsene, no?), breve puntata nei locali della biblioteca che si finisce per trascorrere di fronte al computer, “ormai è arrivata ora di pranzo”, smaltimento della pausa pranzo su una panchina dei giardinetti, altra pausa sigaretta, ulteriore oretta di fronte al computer, pausa gelato, ennesima chiacchierata con gli amici. 

Nel momento in cui la biblioteca chiude, lo studente un po' meno serio guarda meravigliato il suo libro e si dice: “Come, non sono riuscito a studiare? Eppure sono stato qui in biblioteca tutto il giorno...”





LA SIGNORA IN PENSIONE. 

Arriva in biblioteca con una borsa della Conad o dell'Esselunga contenente i romanzi che ha già letto. Con tutta la calma di questo mondo, si mette a girovagare tra gli scaffali di narrativa.

La signora in pensione, generalmente, si divide in due categorie: signora da romanzi rosa e signora da romanzi gialli. È difficile, tuttavia, fare una distinzione, in quanto, di solito, entrambe le tipologie presentano cardigan color pastello, calze color carne e occhiali da presbite. 
 

La scelta delle prossime letture è davvero difficile per la signora in pensione, perché, probabilmente, ha già letto buona parte di quello che offre la biblioteca. Tuttavia, ogni singola volta, ella esce soddisfatta e con la borsa della Conad/Esselunga nuovamente piena.
 

Ad essere sincera, la signora in pensione mi fa simpatia. Quasi la invidio. Un giorno offrirò un cappuccino ad una di loro e mi farò consigliare qualche lettura.





IL SIGNORE IN PENSIONE. 

Variante della signora in pensione. Cardigan, calzini ed occhiali sono molto simili alla versione femminile. Il signore in pensione, però, entra in biblioteca leggero e disinvolto, senza borse né borsette. Il suo obiettivo, infatti, non sono gli scaffali dei libri di narrativa, bensì l'emeroteca. È lì che viene custodito il più prezioso dei tesori, il più pregevole patrimonio della biblioteca, l'oggetto di così tante contese da rendere quasi insignificante il Pomo dorato della Discordia: … la Gazzetta dello Sport. 

Nel momento in cui cerca di conquistarsi l'ambitissimo premio, tutta l'abituale calma del signore in pensione sparisce. Inizia ad adocchiare nervosamente la persona che sta leggendo il sopracitato giornale, chiedendosi quando finirà, e, nel momento in cui il lettore precedente sta per rimettere la Gazzetta al suo posto, si prepara ad uno scatto da centometrista. Non sono da escludere gomitate e tentativi di far inciampare qualche rivale con il bastone.


Gli unici a restare al di fuori della lotta sono gli juventini, troppo occupati nel contendersi Tuttosport.





IL BAMBINO. 

Esemplare molto numeroso. Fortunatamente, molti gestori di biblioteche hanno avuto il buonsenso di adibire un'area apposita. In tale zona, la regola d'oro del silenzio viene spesso magicamente infranta. Gli unici in silenzio sono i genitori dei bambini in questione, che, al contrario della maggior parte dei presenti, sembrano molto rilassati. Probabilmente, dal loro punto di vista, il figliolo fa pur sempre meno confusione lì che in casa.


Intendiamoci: io potrei parlare per ore ed ore di come le aree under 14 siano un'idea fantastica. È bello che bambini e ragazzi abbiano uno spazio in cui ci siano le letture più adatte a loro, dei piccoli tavoli per fare i compiti, delle poltroncine dove leggere una favola con mamma e papà. Però sarete d'accordo con me che, specie per chi spesso lavora già con i più giovani, non sono proprio i posti ideali per rilassarsi.





IL BIBLIOTECARIO ADDETTO ALLA SEZIONE BAMBINI.  

Può avere qualsiasi età, essere uomo o donna, presentarsi con qualsiasi aspetto. Un'unica caratteristica, però, lo rende inconfondibile: se vi vede, si illumina. 

No, non avete un aspetto particolarmente radioso. 
No, non lo avete nemmeno abbagliato con il vostro sorriso. 
Avete semplicemente più di 14 anni. (Nel caso qualcuno di voi lettori avesse meno di 14 anni, sappiate che sono stupita ma molto felice). 

I pensieri del bibliotecario addetto alla sezione bambini possono variare da “E pensare che ho accettato questo lavoro perché pensavo fosse tranquillo” a “Domani mi rilasso, devo solo spostare ed impilare 264 volumi”.

Per conquistarsi definitivamente le sue simpatie, basta parlargli a bassissima voce.





L'AVVENTORE OCCASIONALE. 

La biblioteca non è il suo mondo, e lo si capisce con facilità. Lo riconoscerete facilmente per via del suo sguardo curioso e dell'espressione un po' a disagio di chi non sa bene dove andare. 

Di solito, se l'avventore occasionale è entrato in biblioteca, è per un motivo ben preciso: per questo motivo, egli tende ad evitare i vari scaffali ed a chiedere direttamente a qualche bibliotecario. La variante che preferisce la tecnologia ai libri spesso si dirige speranzosa verso la postazione dei computer e sceglie di consultare l'archivio informatico.


Di norma, la richiesta dell'avventore occasionale non è troppo difficile, così egli finisce per uscire piuttosto soddisfatto. I bibliotecari, vedendolo andare via, sorridono sollevati. Fossero tutti così facili da accontentare!





IL SERIAL READER. 

Tra tutti i tipi di persone che si possono incontrare in biblioteca, questa è la tipologia di cui nessuno parla mai, ma che, secondo me, è la più frequente. Gli unici che conoscono veramente il serial reader sono i bibliotecari, i quali, con un misto di divertimento e compassione, lo riconoscono mentre, a fatica, arranca verso la loro posizione con una pila infinita di libri, sia da restituire che da prendere in prestito. 

 

Per il resto, nessuno conosce realmente il serial reader. Studenti più o meno seri, signori e signore in pensione, bambini ed avventori occasionali osservano con preoccupazione quella strana persona che si aggira per gli scaffali con lo sguardo dilatato ed un sorriso inspiegabile, forse covando il sospetto di qualche cattiva intenzione. I più si tranquillizzano, poi, vedendo il serial reader che si piega in due, si alza sulle punte dei piedi o si contorce in qualche posizione innaturale per raggiungere qualche volume. 
 

Quello che, però, gli altri non capiscono è che il lungo e difficoltoso pellegrinaggio tra gli scaffali per il serial reader costituisce non solo un divertimento, ma quasi un sacro rito. Il serial reader, a volte, vorrebbe rinunciare, vorrebbe lasciare un po' più di spazio ad altri hobbies, vorrebbe, soprattutto, restare indifferente di fronte alle tentazioni che gli si presentano davanti. 
Il punto è che non può, non riesce: lui deve leggere le ultime uscite dei suoi autori preferiti. 
O anche, volendo, il volume uscito 30 anni fa di un autore mai sentito in vita sua. 
Lui è fatto così e non può fare altrimenti.


Un ultimo indizio per smascherare il serial reader: sono io.






Grazie a chi è arrivato fin qui. Spero che, leggendo questo post, vi siate divertiti e, almeno un po', riconosciuti. Al di là degli scherzi: la biblioteca è una grande invenzione. Meriterebbe di essere frequentata di più. Parola di serial reader!