giovedì 1 giugno 2023

STORIA DELLA BAMBINA PERDUTA

 Rilettura del quarto ed ultimo volume della tetralogia di Elena Ferrante




Cari lettori,

inauguriamo giugno con la nostra rubrica “Donne straordinarie” e con la conclusione del progetto dedicato ad Elena Ferrante ed alla rilettura della serie L’Amica Geniale.


Tra i quattro romanzi, questo era quello che ricordavo meno, perché la mia memoria non era stata ancora rinfrescata dalla fiction (che so essere in lavorazione).


A marzo abbiamo visto infanzia ed adolescenza di Lila e Lenù con L'amica geniale; in aprile abbiamo ripercorso la tarda adolescenza e la giovinezza con Storia del nuovo cognome; a maggio abbiamo affrontato l’inizio dell’età adulta con Storia di chi fugge e di chi resta.


Storia della bambina perduta racconta il resto della vita delle protagoniste, dall’approssimarsi dei quarant’anni alla vecchiaia. È stato nuovamente emozionante – ed un po’ difficile – per me “salutare” Lila e Lenù, che mi hanno fatto fare un viaggio straordinario, così bello e ricco di riflessioni importanti che, come avete visto, non ho resistito all’idea di rileggere un’intera tetralogia.



Oggi rivediamo bene insieme l’ultimo capitolo! Vi avviso che in questo post ci sono spoiler grandi come una casa, quindi, se non vi va di rovinarvi il finale dei romanzi e/o della fiction (che deve ancora uscire), passate pure oltre. Altrimenti, buona lettura!



La storia di Lenù e Nino


Storia di chi fugge e di chi resta si era concluso con la scelta di Lenù di divorziare da Pietro, con il quale la relazione era diventata da tempo infelice, e di iniziare una nuova vita andando a Montpellier con Nino, che ha a sua volta lasciato la moglie.


Il convegno in Francia è l’occasione per la nuova coppia di trascorrere dei giorni sereni, ma al rientro in Italia iniziano i problemi. Nino ha acquistato per sé, per Lenù e per le sue figlie Dede ed Elsa un appartamento in via Tasso a Napoli (lui non può lasciare la città per motivi di lavoro e per la vicinanza del figlio).


In un modo o nell’altro, Lenù torna a Napoli con le figlie, anche se in un quartiere molto più agiato di quello in cui è cresciuta, e riprende a frequentare assiduamente Lila, che per anni era stata solo una “voce nel telefono”.


Lila è diventata una donna potente: dopo aver appreso i segreti dell’informatica nel centro di Michele Solara, lei ed Enzo hanno aperto un’azienda tutta loro, dando lavoro a tante persone che erano state licenziate per ingiusta causa (come Alfonso Carracci, dichiaratamente omosessuale) o che erano in strada a disposizione della malavita (come Peppe e Gianni, fratelli di Lenù). Tutti la considerano con improvviso rispetto e si rivolgono a lei, ma ella non ne è entusiasta, sa bene che si tratta di piaggeria dovuta ai soldi.


Il rapporto tra Lila e Lenù diventa quasi quello di una volta, ma c’è un’ombra tra di loro: la relazione di Lenù con Nino, che prosegue nonostante tutto. Dopo qualche tempo, Lenù scopre quello che Lila aveva cercato di comunicarle con lo sguardo ma non era riuscita a dirle a parole: Nino non ha mai lasciato la moglie, che, anzi, ora è incinta nuovamente. Lenù prova molte volte ad allontanarsi da Nino, ma egli riesce a farsi perdonare tutto: l’unione formale con la moglie, che, poveretta, ha minacciato il suicidio; le molte amanti o ex amanti che spuntano da ogni dove, perché secondo lui non contano niente, servono solo alla sua carriera; le inspiegabili sparizioni che egli giustifica in modo sempre più fantasioso. 

Lenù persevera in quello che si ostina a chiamare “amore” e non si rende conto che sta umiliando se stessa, anzi, resta persino incinta di Nino, mettendo al mondo una figlia di nome Imma, come la madre (che poco dopo muore di cancro, ammettendo, dopo una vita di rimproveri, che Lenù è sempre stata la sua figlia prediletta). Pochi mesi dopo, anche Lila ha una figlia da Enzo, Nunzia detta Tina.


Personalmente non riesco a non vederlo come un periodo buio della vita di Lenù, che continua a giustificare Nino vivendo nel mito di un uomo che non esiste, anzi, addirittura, di un ragazzo che era stato il suo primo sogno. Questo argomento mi tocca particolarmente in questo periodo, ma forse, per una donna estremamente cerebrale ed immersa nella letteratura, è davvero uno degli errori più comuni perdere la testa per l’idea di un uomo e non voler vedere realmente com’è, presa dalla favola creata nella propria mente e dalla paura di infrangere il sogno che sembra darti le forze di andare avanti.


Non a caso la gelosia di Lenù non è rivolta né alla moglie di Nino né alle amanti occasionali, ma, ancora una volta, a Lila ed a quell’amore ischitano che nella sua testa non si è mai spento:


Nino amava le donne, certo, ma era soprattutto un cultore delle relazioni utili. Ciò che la sua intelligenza produceva non avrebbe mai avuto, da solo, senza la rete di potere che era andato tessendo fin da ragazzo, energia sufficiente per imporsi. Ma allora Lila? […] Forse ciò che aveva attratto Nino era l’impressione di aver trovato in Lila ciò che anche lui aveva presunto di avere e che ora, proprio per confronto, scopriva di non avere. Lei possedeva intelligenza e non la metteva a frutto, ma anzi la sperperava come una gran signora per la quale tutte le ricchezze del mondo sono solo un segno di volgarità. Questo era il dato di fatto che doveva aver ammaliato Nino: la gratuità dell’intelligenza di Lila.”


Un giorno, però, Lenù rientra in casa in un momento imprevisto e trova Nino insieme alla donna delle pulizie, una signora quasi anziana, in una scena di raro squallore. Vedere con i suoi occhi a quale bassezza può scendere l’uomo che crede di amare è l’affronto definitivo: ella si rende conto sia di essere stata una delle tante sfruttate da Nino (nel suo caso per pubblicare un libro), sia di aver sempre “amato” un’immagine che non esiste.



La svolta definitiva con la carriera


Quando Lenù decide di tornare a Napoli, deve lottare molto per portarsi via le figlie dalla casa di Genova dei suoceri. Devo ammettere che non ricordavo un deteriorarsi così rapido dei rapporti tra Lenù e la suocera Adele, che fin dall’inizio l’aveva accolta bene nella famiglia Airota, l’aveva favorita nella pubblicazione del suo primo romanzo, aveva sempre sostenuto la sua attività letteraria. Quello che più mi ha colpito – e che anche l’autrice presenta come un piccolo shock per Lenù – è la nuova consapevolezza che Adele non abbia mai voluto un bene sincero alla nuora, semplicemente come donna innamorata del figlio, ma che abbia sempre portato una maschera, facendo buon viso a cattivo gioco. Tutto quello che ha fatto per la protagonista ha sempre fatto parte di una serie di tentativi di trasformare Elena Greco in Elena Airota, di ripulire l’immagine popolare della nuora facendola diventare una scrittrice famosa.


Nella mente di Lenù il mondo dorato che le aveva schiuso la famiglia Airota perde di valore, assumendo sempre più la connotazione di una farsa, un universo chiuso in cui pochi davvero sono interessati alla cultura, e la maggior parte mira semplicemente ad elevarsi denigrando il lavoro altrui.


Per questo motivo, quando Lenù si trova senza più Nino ed in difficoltà economiche, ella prende delle importanti decisioni.


Innanzitutto ella si fa convincere da Lila a tornare al rione e ad occupare l’appartamento proprio sopra il suo. Sembra ormai lontano il tempo in cui la giovanissima Lenù era disposta a fare qualsiasi cosa pur di andare via di casa, pur di “fuggire da quello schifo”. Gli eventi della vita le hanno dimostrato che, per dirla con semplicità, tutto il mondo è paese. La cattiveria calcolata, fatta di frecciatine colte e brutti tiri alla sua carriera, del mondo degli intellettuali, non le sembra poi tanto diversa dalla cattiveria fatta di sopraffazione del mondo da cui proviene. Il suicidio di Franco Mari, il suo fidanzato dell’Università, che ha assistito al crollo delle ideologie a cui ha dedicato la sua vita, le ha ricordato troppo da vicino quello di Giuseppina Peluso, che ha ceduto dopo la morte in carcere del marito. A me sembra che comunque questi paragoni siano un po’ sforzati, perché, per quanti problemi ci possano essere anche tra ricchi e tra persone acculturate, i problemi socio economici del rione sono grossi ed innegabili, ma capisco anche che Lenù abbia preferito “il diavolo che conosce”, come si suol dire.


Poi, quando il suo editore si fa vivo chiedendole la pubblicazione tassativa di un altro libro, ma ella non ha né testa per scrivere né tempo con tre figlie da gestire, decide di prendere una folle decisione: inviare quel manoscritto che avrebbe dovuto essere il suo secondo romanzo e che era stato bocciato sia da Adele, che lo aveva definito vecchio, che da Lila, che lo aveva trovato brutto. È un atto di vendetta nei confronti di chi, a suo parere, cerca di manovrarla come un burattino, ma si rivela una scelta più che mai azzeccata, perché il romanzo è un successo. Da quel momento in avanti, la sua carriera letteraria, messa in secondo piano per anni da vicende personali, non si arresterà più, tra romanzi e lavoro per una Casa Editrice.



La tragedia di Lila ed il “cattivo sangue”


Mentre Lenù, dopo anni bui in cui si è sentita dipendere in tutto e per tutto da Nino, sta riconquistando i suoi spazi e dipendendo solo da se stessa, Lila inizia a sentirsi sempre più fragile, con grande sconcerto della nostra protagonista.


Il primo episodio avviene quando Lila e Lenù sono ancora incinte, Napoli viene sconvolta dal terremoto dell’Irpinia e Lenù, confidando nell’amica, scopre invece che è lei quella tra le due che ha più bisogno di essere calmata:


Faticai a decidermi. Raggiungerla era difficile, e tuttavia si trattava solo di un passo. L’afferrai alla fine per un braccio, la scrollai, lei aprì gli occhi che mi sembrarono bianchi. Il rumore era insopportabile, faceva rumore tutta la città, il Vesuvio, le strade, il mare, le case vecchie dei Tribunali e dei Quartieri, quelle nuove di Posillipo. Lila si divincolò, gridò: non mi toccare. Fu un urlo rabbioso, m’è rimasto impresso più dei secondi lunghissimi del terremoto. Capii che mi ero sbagliata: lei, sempre al governo di tutto, in quel momento non stava governando niente. Era immobile per l’orrore, temeva che se solo l’avessi sfiorata si sarebbe rotta.”


Passano gli anni e la rivalità tra Lila ed i Solara, che ora gestiscono il giro della droga nel rione, non accenna a placarsi. Michele, in particolare, dopo un periodo in cui non sembrava più lui, è tornato in affari più crudele di prima, e cerca vendetta contro Lila che lo ha, a suo dire, usato ed abbandonato. Al funerale di Alfonso Carracci, ammazzato di botte per la sua omosessualità, le tensioni riesplodono.


Un giorno, durante una festa domenicale del rione, accade un fatto gravissimo: la piccola Tina scompare nella folla. Inutili sono le ricerche disperate, le indagini che durano giorni: la bambina si perde per sempre tra le vie del rione.


Questo evento è il fulcro del romanzo, una tragedia che lascia attoniti i lettori e che scardina il mondo che i personaggi avevano faticosamente cercato di creare e conservare.


I primi sospettati sono ovviamente i Solara, ma le prove per incriminarli non salteranno mai fuori. Tutto crolla in modo veloce, anzi, nella parte del romanzo riferita alla vecchiaia delle protagoniste gli eventi sembrano affastellarsi, e ben pochi sono positivi, anzi, morte e disgrazie prevalgono.


Enzo e Lila non hanno più testa per il lavoro, finiscono per vendere l’azienda e per separarsi loro stessi. Enzo, distrutto dal duplice dolore di aver perduto Tina e di non essere più amato da Lila, va al Nord. Pasquale e Nadia, finito il tempo delle Brigate Rosse, vengono arrestati. Muore il fratello di Lila, Rino, consumato dalla droga, e rischia l’overdose anche suo figlio Gennaro, salvato per un pelo da Enzo. Muoiono gli stessi Solara, il cui potere è ormai tramontato, uccisi da una sparatoria di fronte alla chiesa. Elisa, la sorella di Lenù, rimasta vedova di Marcello Solara, scappa con il figlio al Nord, dove si risposa. È illuminante il un passo che riguarda la morte dei Solara, proprio esemplificativo della banalità del male:


Proprio mentre mi accorgevo di sapere quelle cose scoprii che erano importanti. Segnalavano come io e mille e mille altre persone perbene di tutta Napoli eravamo state dentro il mondo dei Solara, avevamo partecipato all’inaugurazione dei loro negozi, avevamo comprato paste nel loro bar, avevamo festeggiato i loro matrimoni, avevamo comprato le loro scarpe, eravamo stati ospiti nelle loro case, avevamo mangiato alla loro stessa tavola, avevamo preso in modo diretto o indiretto il loro denaro, avevamo subito la loro violenza, e avevamo fatto finta di niente.”



L’epilogo


Più la generazione di Lila e Lenù sembra tramontare, più quella dei loro figli è vitale: fa, disfa, sbaglia, si conquista il mondo senza rendersi conto di quanti privilegi in più ha rispetto ai suoi genitori.


Da anziana, Lenù si trasferisce a Torino. Porta avanti qualche ultimo lavoro, anche se sa che è ormai il momento di ritirarsi. Non ha più grandi amori, solo compagni occasionali. Le sue figlie vivono e lavorano all’estero, Dede l’ha fatta diventare nonna. Lila non le parla più da quando ella ha pubblicato il racconto Un’amicizia, che narrava fin troppo di entrambe.


Poi, all’improvviso, l’enigma finale. La scomparsa di Lila, la sua fuga, la scancellazione che aveva già preannunciato in vari modi ma che nessuno aveva mai davvero ascoltato.


Qualche tempo dopo, Lenù riceve un pacco senza nome, ma comprende subito chi è il mittente. Tra carta e cartone, infatti, ci sono le due bambole dell’infanzia di Lila e Lenù, le stesse bambole che entrambe avevano buttato per dispetto nello scantinato dov’era nascosto Don Achille, e che sembravano scomparse per sempre. L’ultimo pensiero di Lenù è: ora che Lila si è fatta vedere così chiaramente, devo rassegnarmi a non vederla più.


Mi sto ancora interrogando sul senso di questo epilogo. In che modo Lila si è fatta vedere così chiaramente? Come persona intelligente ma cattiva, perché ha fatto credere a Lenù che le bambole fossero scomparse? Come amica che però ha avuto per tutta la vita dei segreti con chiunque, persino con lei? Come persona bisognosa di Lenù, perché con la vicenda delle bambole l’ha definitivamente legata a sé?


Le opzioni sono tante. L’unica certezza è che Lenù è stata l’unica persona che Lila ha voluto contattare, facendole sapere, a modo suo, che è viva e che sta bene, lontano da tutti coloro che le hanno fatto del male ed hanno reso la sua vita una tragedia.





...e questa è la fine!

Sapevo che sarebbe valsa la pena di rileggere questa tetralogia, ma non immaginavo di rivivere così tante emozioni e soprattutto di scoprire sfumature che non avevo mai considerato. Credo che, in questo senso, anche l’età ed il passare del tempo facciano molto. Non vedo l’ora che esca anche l’ultima serie della fiction: so che il cast è cambiato per motivi anagrafici e sono curiosa di vedere i nuovi volti.

Nel frattempo, fatemi sapere che cosa ne pensate di queste mie ultime riflessioni sulla serie!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


2 commenti :

  1. Io purtroppo mi sono fermata al primo libro (che mi era piaciuto) e non ho ancora ripreso,ma lo farò! La serie tv mi sta piacendo, spero prosegua presto!
    Ammetto di non provare una totale simpatia né per il personaggio di lenú né per Lila,ma la complessità del loro rapporto mi intriga.
    Ciao Silvia

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    Risposte
    1. Ciao Angela! Fammi sapere quando proseguirai la serie, allora :-) Lenù e Lila sono due personaggi complessi, è difficile provare una vera simpatia per entrambe. Io pensavo di rivedermi più in Lenù, ma nel quarto libro anche lei compie delle scelte piuttosto lontane da me... o forse semplicemente non sono ancora arrivata a quell'età e non capisco alcune cose. Comunque hai ragione, la complessità del rapporto è il cuore della tetralogia!

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