lunedì 6 marzo 2023

L'AMICA GENIALE

 Rilettura del primo volume della tetralogia di Elena Ferrante




Cari lettori,

con oggi inauguriamo una serie di quattro post per la nostra rubrica “Donne straordinarie”.


Se ben ricordate, in febbraio abbiamo concluso il nostro percorso letterario dedicato agli eroi di Sofocle (a questo link il riepilogo). Nell’ultimo post del progetto avevo espresso il desiderio di passare ad un percorso narrativo, anche se non avevo proprio le idee chiare.


Alla fine, dopo averci riflettuto, ho pensato di fare quello che, per varie ragioni, rimandavo da troppo tempo: rileggere la tetralogia dell’Amica geniale di Elena Ferrante.


Ho iniziato e concluso questa serie nella prima metà del 2015, su consiglio di alcune amiche. Nel frattempo, in aprile, il blog ha preso vita, ed ho cominciato a scrivere i primi post, dedicati più che altro alle mie prime esperienze a scuola, a qualche recensione teatrale, a critiche letterarie. In giugno ho pubblicato un post, 10 motivi per leggere L’amica geniale, che trovate a questo link. Da allora anche – e soprattutto – le letture sono state il cuore del blog, anche se, come sapete, su queste pagine non ci sono solo libri, ma anche racconti, cinema, arte, teatro, musica, tutto quello che mi piace.


Negli ultimi anni ho seguito con entusiasmo la fiction proposta da Rai 1 e pian piano ho riscoperto personaggi, intrecci narrativi, tematiche. In particolare mi ha colpito la terza stagione, Storia di chi fugge e di chi resta, che racconta gli anni ‘70 e presenta le protagoniste in una fascia d’età che è più o meno la mia.


Sono tanti i motivi per cui ho deciso di ripercorrere questa storia, alcuni legati alla necessità di scrivere qualcosa di più dettagliato rispetto ad un solo post da “principiante del blog”, altri più personali.


Ad ogni modo sono felicissima di averlo fatto!


Oggi partiamo vedendo insieme il primo volume della tetralogia, che si intitola, appunto, L’amica geniale.



Il microcosmo del rione


Protagonista e voce narrante di questa lunghissima storia è Elena Greco, detta Lenù. Ella è ormai una donna anziana quando una telefonata notturna la sveglia e la informa della sparizione di Raffaella Cerullo, da tutti chiamata Lina e per lei sola Lila, la sua migliore amica di sempre. La sua prima reazione è la rabbia, un sentimento che la spinge a sedersi alla scrivania ed a raccontare tutta la loro storia, dalla nascita fino all’anzianità.


Questa è la cornice da cui prende spunto tutta la storia. Lila e Lenù sono nate sul finire della Seconda Guerra Mondiale in un rione napoletano dove la povertà, la rabbia, l’ignoranza sono compagne della vita di ogni giorno. All’inizio degli anni ‘50 si ritrovano in classe insieme, in prima elementare, sotto la guida della dura e tenace maestra Oliviero. Non è proprio un “colpo di fulmine”, come si suol dire, perché Lila è una bambina dal carattere forte, da tutti definita cattiva, mentre Lenù si sente buona al limite della stupidità e quasi invisibile per una piccola primadonna come Lila. Eppure un curioso incidente con due bambole ed una cantina dove abita “l’orco delle favole” le unisce per sempre.


La vita non è facile. Il rione è un luogo misero, e nell’immediato Dopoguerra fa fatica ad andare incontro al progresso. Gli uomini lavorano tutto il giorno per pochi soldi ed in casa fanno i tiranni con le mogli e con i figli; le donne, prostrate da gravidanze, fatiche e botte, finiscono persino per essere cattive le une con le altre.


Le uniche due famiglie che sembrano prosperare sono quella di Don Achille Carracci, borsanerista e strozzino, “l’orco delle favole” di cui sopra, il reuccio indiscusso del rione, ed i Solara, proprietari del bar pasticceria al centro del rione, un luogo dove si gioca d’azzardo, si beve e si fanno affari poco chiari. Il padre Silvio Solara è un ex picchiatore fascista, la moglie Manuela ruba i clienti a Don Achille con il suo famigerato “libro rosso” ed i figli Marcello e Michele sono già da adolescenti due soggetti pericolosi. Il brutale assassinio di Don Achille, per il quale viene accusato ingiustamente un povero falegname (il padre di Pasquale, un amico di Lila e Lenù) favorirà l’ascesa della seconda famiglia dopo decenni di dominio della prima.


Ricordo che la prima volta che ho letto L’amica geniale ho provato subito un senso di claustrofobia nel leggere del rione e delle terribili condizioni di vita quotidiana dei suoi abitanti. Rileggendolo, mi sono resa conto una volta di più del mio privilegio, della mia fortuna di essere nata in condizioni agiate, di aver potuto studiare, di aver avuto un’infanzia felice nel corso della quale sono stata nutrita, accudita e coccolata.


L’amica geniale non tratta il femminismo in modo didascalico, però fin dalla prima pagina l’autrice mette in chiaro che al rione le donne vengono trattate come oggetti e spesso non hanno altra strada che la disperazione. Purtroppo questo destino pesa addosso alle protagoniste fin dall’infanzia.



Lo studio come strada della salvezza


Lila e Lenù, come già detto, si ritrovano insieme nella classe della maestra Oliviero, e presto diventano le più brave della classe. Lenù mescola un’innata bravura a tanto impegno e pazienza nello studio, mentre Lila, pur applicandosi meglio, mostra fin da subito un’intelligenza fuori dal comune. Lenù, che si sente da meno – e, vedremo, sempre si sentirà – decide di prendere ad esempio Lila, di vederla come un modello più che come un’amica. È tormentata dall’incubo di diventare sua madre, di acquisire la sua zoppia, di diventare strabica… di essere, in definitiva, come tutte le altre donne del rione, costrette a perdere bellezza e salute in giovanissima età, e Lila le sembra la persona giusta al cui passo adeguare il proprio, per sfuggire alla miseria ed all’ignoranza.


Gli anni delle elementari si susseguono veloci, e proprio alla fine della quinta avverrà il primo strappo doloroso, quello che segnerà per sempre la diversità di vite delle protagoniste. La maestra Oliviero, infatti, insiste con le famiglie Greco e Cerullo perché Lila e Lenù vadano alla scuola media e proseguano gli studi il più possibile. Gli esiti, però, sono opposti. Lenù, nonostante le proteste della madre che vorrebbe un aiuto in casa, ha un padre usciere al Comune che ha passato la vita a veder sfilare davanti a sé le autorità ed a chiedere loro mance, e l’autrice lascia intuire che a poco a poco egli ha maturato il desiderio di volere qualcosa di più per la sua prole. Così Lenù frequenta prima la scuola media, poi il ginnasio ed il liceo. Il padre di Lila, invece, un calzolaio, è un uomo duro e violento, chiuso in se stesso, e la moglie gli è del tutto succube. Così, dopo pianti, urla ed un terribile pestaggio, Lila è obbligata ad interrompere gli studi.


Lenù è disperata all’idea di separarsi dalla sua amatissima Lila e di fare le medie da sola, e nei primi mesi non riesce nemmeno a studiare. Quando poi, però, ella scopre che Lila ha continuato a leggere e ad apprendere da sola e che ha imparato il latino prima di lei, le due si ritrovano.


Da quel momento in avanti Lila e Lenù studiano insieme, anzi, spesso è Lila ad aiutare Lenù con la scuola. Questo, ovviamente, è il punto di vista della voce narrante, la cui peculiarità è quella di essere del tutto parziale. Lenù è afflitta da quella che oggi chiameremmo “la sindrome dell’impostore”, e soffre di un complesso di inferiorità nei confronti di Lila, quindi riesce a vedere solo le sue nottate sui libri e la sua disciplina ferrea, e non la bravura di cui ovviamente è dotata e che attribuisce soltanto alla sua amica. Di Lila non vede – o meglio, vede ma fa finta di non notare – l’atteggiamento invidioso di chi si sente rimasta indietro e vorrebbe comunque primeggiare. Un giorno dopo l’altro, la frequentazione di scuole difficili e di persone che hanno studiato la portano sempre più lontana dal rione e dalle sue logiche. Rione in cui Lila, nonostante la sua genialità ed il suo forte carattere, continua a rimanere sprofondata.



Il matrimonio di Lila


Gli anni in cui Lenù frequenta il ginnasio sono molto difficili per Lila. Costretta a non frequentare più la scuola, ella si reinventa come aiutante calzolaia nella bottega del padre e dell’amatissimo fratello Rino, ed il suo nuovo proposito è quello di diventare il più possibile ricca.


Sono anni tumultuosi, fatti di tentativi di creare scarpe di successo, amicizie che si trasformano in amori, dinamiche complesse con gli altri ragazzi del rione. Lila diventa ben presto una ragazza affascinante, che Lenù paragona ad Angelica, la protagonista femminile de L’Orlando Furioso: il “motore dell’azione” del rione, ammirata e detestata insieme dalle sue coetanee, desiderata da buona parte degli uomini.


Mentre Lenù va a Ischia da una cugina della maestra Oliviero e ritrova Nino Sarratore, un ex bambino del rione andato a vivere altrove che si rivelerà un personaggio cruciale per la storia, Lila riceve una proposta di matrimonio da Marcello Solara, del quale non vuole sapere nulla, terrorizzata all’idea di sposare un delinquente.


Dopo molte traversie, pur di sfuggire ad un destino che non vuole, ella accetta di sposare Stefano Carracci, il figlio di Don Achille, che, in parole e gesti, sta dimostrando di voler essere diverso dal padre, tentando di appianare vecchi rancori interni al rione ed aprendo la sua casa a famiglie in difficoltà.


Ecco, da questo momento in avanti ha inizio una serie di pagine brutalmente oneste sui sentimenti che prova Lenù alla notizia del matrimonio di Lila. Devo dire che è una lettura che mi ha fatto bene, che ho trovato quasi necessaria. È solo uno dei moltissimi esempi di come la Ferrante comprenda l’animo femminile nel profondo, senza dividerle tra angeli felici della felicità dell’amica e streghe invidiose perché sole (stereotipi che capitano fin troppo spesso anche in romanzi che sono considerati impegnati). Invece no, invece l’autrice fa capire senza mezzi termini che le reazioni rabbiose e meschine possono derivare proprio dal voler sinceramente bene ad una persona:


Quella notizia mi sconvolse. […] Feci pensieri meschini. Contai i mesi: nove. Forse nove mesi erano abbastanza lunghi perché l’astio perfido di Pinuccia, l’ostilità di Maria, le dicerie di Marcello Solara che continuavano a volare di bocca in bocca per tutto il rione come la Fama nell’Eneide, logorassero Stefano portandolo alla rottura del fidanzamento. Mi vergognai di me, ma non ce la feci più a tracciare un disegno coerente anche nella divaricazione dei nostri destini. La concretezza di quella data rese concreto il bivio che avrebbe allontanato le nostre vite l’una dall’altra.”


Lenù ha soprattutto una grande paura dell’abbandono: non sa pensarsi sola, senza Lila, anche perché si stima così poco che crede che tutto quel che ha costruito sia merito dell’amica e non suo. Alcuni passi del libro lo testimoniano con precisione crudele:


Però intanto pensai: anche se mi prende in giro, è bello parlarci così, al sole, sedute sul cemento caldo, coi piedi in acqua; pazienza se non mi ha chiesto che libro sto leggendo, pazienza se non s’è informata su come sono andati gli esami di quinto ginnasio; forse non è tutto finito: anche dopo sposata, qualcosa tra noi durerà.”



Sentirsi diverse


Nonostante tutti i pensieri di Lenù, il 12 marzo, giorno del matrimonio di Lila, arriva. La giornata, così importante per le due amiche, è descritta in modo dettagliato dall’autrice, dall’inizio alla fine. Le nostre protagoniste condividono insieme il momento della preparazione della sposa, l’ultimo di intimità e di affetto prima che abbia inizio quello che a Lenù (ed a noi lettori) sembrerà un circo esagerato.


Suo malgrado, Lenù ha un’epifania triste: ella, infatti, nel rivalutare la madre ed il suo tenerla lontano dai chiassosi amici del rione, comprende di aver sbagliato a seguire il passo di Lila, che sembrava capace di uscire dal mondo claustrofobico del rione ed invece ha scelto volontariamente di sprofondarci.


Saldai indissolubilmente a mia madre, al suo corpo, l’estraneità che mi stava sempre più crescendo dentro. Ecco Lila festeggiata dal rione, sembrava felice. Sorrideva elegante, cortese, mano nella mano di suo marito. Era bellissima. Su di lei, sulla sua andatura, avevo puntato da piccola, per sfuggire a mia madre. Avevo sbagliato. Lila era rimasta lì, vincolata in modo lampante a quel mondo, dal quale s’immaginava di aver tratto il meglio. E il meglio era quel giovane, quel matrimonio, quella festa, il gioco delle scarpe per Rino e suo padre. Niente che avesse a che fare col mio percorso di ragazza studiosa. Mi sentii del tutto sola."


Ammettere il passo successivo è molto più difficile. Già, perché al lettore la conseguenza di questo ragionamento è ovvio: se Lenù si è illusa di aver soltanto seguito Lila, ma ora si trova estranea al rione mentre la sua amica è al centro dell’attenzione… il percorso di uscita è stato merito suo, e di nessun altro. Ripetendosi ogni giorno “io non sarei niente senza la mia amica, è lei che mi dà la forza” mentre la suddetta amica aveva tutt’altro a cui pensare, Lenù non si è resa conto di tutto quello che ha affrontato con le sue sole forze.


Ancora una volta ho apprezzato che l’autrice abbia fatto una scelta narrativa non stereotipata, anzi, volutamente neorealista. Lenù andrebbe applaudita per questa sua ostinazione nell’affrancarsi da un ambiente che le ha fatto del male, eppure la sensazione prevalente non è certo quella di sentirsi un’eroina, o anche solo una ragazza forte. Quello che resta, in fondo al cuore, è una perenne sensazione di estraneità, di solitudine. La sensazione che ragionare con la propria testa e vivere secondo le sue regole porti, sì, a scelte importanti per se stessi e per il proprio futuro, ma in amore ed in amicizia sia causa di una solitudine costante.


Fu durante quel percorso verso via Orazio che cominciai a sentirmi in modo chiaro un’estranea resa infelice dalla mia stessa estraneità. Ero cresciuta con quei ragazzi, ritenevo normali i loro comportamenti, la loro lingua violenta era la mia. Ma seguivo anche quotidianamente, ormai da sei anni, un percorso di cui loro ignoravano tutto e che io invece affrontavo in modo così brillante da risultare la più capace. Con loro non potevo usare niente di ciò che imparavo ogni giorno, dovevo contenermi, in qualche modo autodegradarmi. Ciò che ero a scuola, lì ero obbligata a metterlo tra parentesi o a usarlo a tradimento, per intimidirli...”


Il flusso dei pensieri di Lenù verrà interrotto da un evento che scombinerà il giorno del matrimonio e spingerà i lettori a passare subito alla lettura del secondo volume.





Prima rilettura conclusa!

Lo so, mi sono un po’ dilungata, ma credo che sia stato quasi catartico: rileggendo ho fatto moltissime riflessioni, e metterle su carta (digitale…) mi ha aiutato a renderle più chiare. Sono curiosa di sentire le vostre opinioni su questa serie così amata, sia che voi siate lettori oppure spettatori della fiction.

Non so ancora se i post saranno a cadenza mensile; quasi sicuramente vi parlerò in aprile del secondo volume, ma per il terzo ed il quarto non mi sono ancora organizzata. Aspetto i vostri commenti!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)



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