Cari
lettori,
buona
settimana e benvenuti al nuovo appuntamento con la rubrica di
scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!
Il
tema di febbraio è stato proposto da una di noi, Simona, e si
intitola “Cartoline dall’inferno”. L’idea è che, ad un certo
punto del racconto, il protagonista riceva un messaggio (proveniente
da qualcuno proveniente dal passato, oppure da uno sconosciuto) in
grado di sconvolgerlo nel profondo.
Il
mio racconto si intitola “Il candidato” ed è ambientato ai
giorni nostri, nelle Marche. Dal momento che sono presenti alcune
tematiche delicate, ci tengo a ribadire che si tratta di una storia
di fantasia e che ogni riferimento a persone, eventi e luoghi è puramente
casuale.
Colgo
l’occasione per ringraziarvi per tutti i bei commenti che mi sono
arrivati nel corso delle ultime settimane al racconto di dicembre, "Il cappotto rosso", e per quelli che stanno continuando ad arrivare alla
fanfiction di gennaio, "La felicità". Ancora una volta, grazie mille
di cuore!
Buona
lettura :-)
Il
candidato
2
febbraio 2018
Un
proverbio originario del Nord Italia recita: “Se il 2 febbraio,
festa delle Candele, piove, nevica o tira vento, siamo ancora dentro
all’inverno; se invece esce il sole, dall’inverno siamo fuori!”
Giulia lo aveva sentito pronunciare tante volte dai suoi amici
specializzandi milanesi, ma mai si sarebbe aspettata, quella mattina,
di aprire le finestre e di ritrovarsi nel bel mezzo del tipico clima
della Pianura Padana.
Civitanova,
cittadina che tra maggio e settembre è rinomata per le lunghe
spiagge di sabbia dorata, per il mare basso, calmo e piacevole e per
la vivacità del lungomare, quella mattina sembrava addormentata,
immersa in una fittissima nebbia.
Ripromettendosi
di chiedere ai suoi amici milanesi che cosa dicesse il proverbio in proposito, Giulia inspirò a pieni polmoni l’aria
fresca della mattina, poi decise di lasciare aperte le finestre per
arieggiare il bilocale dove viveva e andò a prepararsi la colazione.
Per
fortuna è venerdì, pensò con
un sospiro di sollievo. Quel giorno, fortunatamente, aveva un turno
centrale in ospedale, che le permetteva di dormire un po’ di più
la mattina e di potersi
mettere in macchina verso casa dei suoi genitori prima che arrivasse
l’orario del traffico. Essendo nata e cresciuta nella provincia
marchigiana, era riuscita a vincere un posto da specializzanda come
Otorino Laringoiatra a non molti chilometri da casa. Ai suoi colleghi
provenienti dalle grandi città, sature di aspiranti medici, non era
andata così bene: avevano dovuto trasferirsi e attraversare mezza
Italia, ed alcuni erano diventati i compagni d’avventura ai quali
aveva pensato quella mattina.
Da
quando lavorava all’Ospedale di Civitanova, era quasi sempre
tornata a casa, a Macerata, nel weekend o nei giorni feriali di riposo. Lì le erano rimaste poche
persone su cui contare, ma buone: i suoi genitori e le sue due
storiche amiche del cuore.
Mentre
azionava la macchinetta del caffè, facendo scendere il cappuccino
dalla macchinetta alla tazza, sentì un trillo del cellulare. Immaginò che fosse il solito messaggio del venerdì mattina dei
suoi genitori, che le chiedevano sempre conferma del suo
arrivo, ma, sbloccando il telefono, si accorse che era la notifica di
un servizio di notizie locali al quale era abbonata.
Che
noia, pensò sbuffando Giulia.
Dovrei proprio disdire questo abbonamento. Come se mi
interessasse qualcosa dei litigi tra comuni per l’edilizia, o dei
rimpasti della Giunta ogni volta che qualcuno discute. Le classiche
news di provincia…
Più
per abitudine che per reale interesse, cliccò sulla notifica,
intenzionata a dare una veloce scorsa alle notizie della settimana. E
la prima riga la investì come un treno in corsa.
Francesco
Marelli accusato di molestie. Non
era possibile. Provò a rileggere il titolo tre volte, ma le parole
non cambiavano. Sentendo il cuore che accelerava improvvisamente i
battiti e l’unico sorso di cappuccino bevuto che si agitava nell'esofago, Giulia cliccò sulla notizia. E l’articolo per intero si
presentò davanti ai suoi occhi in tutta la sua fredda concretezza.
Francesco
Marelli accusato di molestie
Una
denuncia ferma la corsa del candidato sindaco
Macerata,
2/2/2018 – La campagna elettorale non è nemmeno iniziata e già
un’ombra pesante incombe su uno dei candidati che sembravano
favoriti: Francesco Marelli, 32 anni, uno dei principali
esponenti dell’opposizione, presentato meno di tre settimane fa
come candidato sindaco per la Lista Civica di Macerata. Il
giovane, ambizioso protagonista di una rapida ascesa nella politica
locale, sembrava avere tutte le carte in regola per essere il
rivale più temibile del primo cittadino uscente, ma la sua corsa,
oggi, ha subito un brusco stop. Da oggi, infatti, Marelli è formalmente indagato per molestie sessuali. La Lista Civica
di Macerata non ha ancora rilasciato nessuna dichiarazione in merito,
ma, considerato il legame della coalizione con il clero locale
e l’importanza che essa afferma di attribuire a determinati valori,
è difficile immaginare che una notizia del genere non comporterà
alcuna modifica della campagna elettorale. Nuovo candidato
all’orizzonte?
Giulia
si riscosse, improvvisamente consapevole di essere in ritardo. Con
gesti meccanici, lavò la tazza, si vestì e si preparò per uscire
nella nebbia di febbraio. Le sembrava di agire come in una sorta di
trance: la giornata di lavoro, in quel momento, era l’ultimo dei
suoi pensieri. Non si trovava più a Civitanova, a chiudere
frettolosamente la porta del suo appartamento, ad incamminarsi nella
nebbia verso l’ospedale, a buttare un’occhiata fugace al mare
grigio e piatto senza nemmeno vederlo davvero; in quel momento testa,
anima e cuore erano a Macerata, a rivivere dei giorni che per troppo
tempo aveva fatto finta che non esistessero.
*
* *
Marzo
2009
“...e
così hai girato tutta l’America?”
“Ma
no, non tutta! Abbiamo visitato più che altro la California. Abbiamo
visto le più grandi città. Los Angeles, San Francisco e dintorni.
Poi abbiamo concluso la vacanza nel Nevada, a Las Vegas. È stato
spettacolare!”
“Che
meraviglia! Scommetto che è stato davvero splendido!”
“Aspetta
di finire la scuola, vedrai che l’anno prossimo organizzerai anche
tu una vacanza così!”
Giulia
scosse la testa lentamente, guardando alla sua destra, oltre il
belvedere. Era seduta sul muretto da decisamente troppo tempo, era
soltanto marzo, il sole era ormai tramontato e iniziava a sentire
davvero freddo. Per dirla proprio tutta, non era nemmeno così
interessata all’America o a compiere un viaggio esotico nel
prossimo futuro. Le importava solamente di poter continuare a parlare
con Francesco… anche tutta la notte, se necessario. Sapeva che i
suoi genitori la aspettavano a casa, pronti a rimproverarla perché
quell’anno la attendeva la Maturità e lei era appena uscita da una
brutta influenza, ma persino l’eventualità di un litigio in
famiglia le sembrava lontana, quasi ovattata.
Giulia
e Francesco si erano conosciuti un paio di mesi prima in paese,
frequentando la medesima compagnia con la quale lei aveva iniziato ad
uscire all’inizio della quinta. Francesco era entrato a farne parte
più tardi, presentato da amici comuni, e la sintonia con Giulia era
stata immediata.
Ella,
in fondo al suo cuore, non era poi così sicura di trovarsi bene con
quei suoi nuovi amici. Certo, sembravano brave persone, e, considerato che conosceva anche le loro famiglie, dovevano pur
esserlo; i suoi genitori sembravano più tranquilli da quando lei aveva
iniziato a passare i sabati sera con quella compagnia, e finalmente
né sua madre né suo padre facevano più allusioni al fatto che
fosse “troppo sola” o “sempre a studiare”; erano divertenti,
perché con loro Giulia poteva andare a ballare, al cinema, al mare,
ma anche starsene semplicemente delle ore a chiacchierare, come
quella sera. Però, a volte, Giulia non riusciva a scacciare la
sensazione di non essere voluta veramente. Sperava che con il
tempo sarebbe riuscita ad entrare più in confidenza almeno con le
ragazze del gruppo, ma non stava andando proprio come lei sperava. Se
lei si presentava nella piazza dove di solito il gruppo si ritrovava,
quelle ragazze le parlavano, e sembravano anche gentili, ma era come
se il suo arrivo avesse interrotto qualcosa. Qualunque questione fosse, inevitabilmente la escludeva. Alcune volte, tornando a casa da una
serata in cui aveva dovuto sforzarsi per farsi ascoltare, perché le
sembrava che la sua presenza fosse superflua (in altre parole, che se
non ci fosse stata nessuno se ne sarebbe accorto), si chiedeva se
valesse davvero la pena di continuare ad imporsi questa fatica solo
per poter avere la soddisfazione di dire “Ho 18 anni e una
compagnia fichissima con cui faccio un sacco di cose”. Si chiedeva
se non avessero ragione le sue due amiche del cuore, Alessia e Alba,
che da quel gruppo si tenevano ben lontane e, quando non vedevano
lei, restavano a casa con il naso nei libri.
Proprio
nel momento in cui tutti questi dubbi avevano iniziato a farsi
prepotenti, era arrivato Francesco, e li aveva spazzati via tutti,
anche il più piccolo. Francesco aveva quattro anni in più di lei,
era a buon punto con l’Università, faceva viaggi internazionali
per gli amici, non giudicava male la sua passione per la scienza
(anzi, anche lui stava facendo studi di quel tipo), sorrideva quando
lei gli parlava del suo sogno di entrare a Medicina, aveva sempre il
sorriso sulle labbra e faceva battute divertenti. Francesco era il
ragazzo che faceva per lei, e non importava se, da quando loro due
avevano iniziato a vedersi da soli, qualche ragazza del gruppo aveva
iniziato a guardarla male ed a lanciarle frecciatine acide; se buona
parte della compagnia stava organizzando un viaggio al mare per le
vacanze di Pasqua e lei non era stata invitata nemmeno quella volta;
se la Maturità si avvicinava e tutto il tempo che non trascorreva
sui libri lo passava con lui, anche quando non avevano un
appuntamento, tentando comunque di incontrarlo. Non le interessava: lei
aveva Francesco, anche se ancora non si erano promessi niente.
Volerlo le bastava.
“Ti
va di fare una passeggiata fino a casa tua?” La voce di Francesco
la riscosse dai suoi pensieri. Giulia sorrise.
“Sì,
certo”. Il passaggio a piedi era un altro dei loro riti
speciali.
*
* *
Maggio
2009
“Ciao
Ale! Ciao Alba!”
“Ciao
Giulia… fatti sentire eh!”
“Sì,
non restare a casa a piangere per quello là! Sabato prossimo altra
pizza tutte insieme, ok?”
“Ok.”
Con un ultimo sorriso, più per incoraggiare se stessa che per
salutare le sue amiche, Giulia si avviò verso la macchina. Purtroppo
aveva dovuto parcheggiarla un po’ lontano dalla trattoria in centro
dove si era trovata con Alba e Alessia, ma la serata era piacevole,
non era ancora tanto tardi e non le dispiaceva camminare.
Le
ultime settimane erano state piuttosto difficili per lei, e non solo
perché a scuola si stava avvicinando il periodo decisivo degli
esami. Era la sua testa a volare costantemente da altre parti… più
precisamente, in direzione di Francesco.
Francesco
che, a dispetto di quello che le aveva promesso, non aveva passato le
vacanze di Pasqua con lei, ma che se n’era andato al mare con tutto
il gruppo.
Che
aveva improvvisamente smesso di scriverle e telefonarle.
Che
era tornato dal mare mano nella mano con un’altra ragazza della
compagnia, con assoluta noncuranza, senza nemmeno dirle un “ciao”.
Che
non le aveva fornito nessuna spiegazione e scherzava con lei come se
fosse un vecchio amico che non aveva mai voluto niente di più.
Per
due o tre sere, Giulia aveva provato ad uscire con la compagnia, a
far finta che niente fosse cambiato, a cercare comunque di
divertirsi. Non aveva funzionato. Non riusciva a sopportare le
effusioni della coppietta felice, il resto del gruppo che ormai
sembrava parlarle solo per pietà e soprattutto l’indifferenza con
cui Francesco la trattava, lasciandole credere di essere stata
l’unica dei due ad essersi illusa che la loro amicizia potesse
diventare qualcosa di più.
Alba
e Alessia si erano rivelate due vere amiche: non l’avevano
giudicata, non l’avevano ripresa a suon di “te l’avevo detto”,
ma si erano limitate ad ascoltarla ed a proporle qualche uscita a
tre. Sabati sera di chiacchiere alla trattoria del centro,
passeggiate pomeridiane con un gelato dopo aver finito i compiti,
domeniche mattina al parco a prendere il sole primaverile: momenti
molto semplici e tranquilli, ma anche autentici e rilassati…
qualcosa che – se ne rendeva conto solo ora – in quegli ultimi
mesi le era mancato terribilmente.
Mentre
scendeva l’ennesima scalinata, Giulia si rese conto che era
arrivata alla piazza con il belvedere, quella dove spesso si trovava
in orario serale con la compagnia e dove, due mesi fa, aveva
trascorso tanti pomeriggi con Francesco.
Un’amara
sorpresa la attendeva alla fine della scalinata: proprio lui, il
destinatario delle sue rabbie e dei suoi pianti, il motivo delle
tante difficoltà delle ultime settimane, era lì, seduto sul muretto
con un paio di altri ragazzi. L’atteggiamento di questi ultimi,
però, era quello di chi stava per andarsene: Giulia, dagli ultimi
gradini della scalinata, poteva vederli agitare le chiavi della
macchina e salutare. Arrivò di fronte a Francesco proprio mentre
egli, a sua volta, frugava nelle tasche del giubbotto per recuperare
le sue chiavi ed andarsene.
Ogni
tentativo di ignorarlo e di allontanarsi fu inutile: proprio nel
momento in cui sperava di non essere stata vista, si sentì chiamare
da lui: “Ehi, Giulia!”
Resasi
conto di essere stata una sciocca (come poteva non essere vista se
non c’era quasi nessuno in piazza a quell’ora?), Giulia si voltò
e lanciò un veloce “Ciao, Francesco”, poi si riavviò verso la
macchina.
“Giulia,
aspetta!” la chiamò nuovamente Francesco.
Ella
si voltò esasperata. Cos’altro voleva da lei?
Non
gli era bastato abbandonarla per le vacanze, fidanzarsi con un’altra
senza dirle niente, trattarla come una poveretta che non valeva
niente?
All’improvviso
Giulia si rese conto che non aveva proprio nessuna voglia di chiarire
con lui. Francesco avrebbe dovuto parlarle ben prima di quella sera.
Avrebbe dovuto spiegarle fin da subito che sarebbe partito per Pasqua
con gli altri perché c’era un altro interesse. Aveva perso fin
troppe occasioni per parlare, e lei si sentiva stufa persino nel
sentire di nuovo la sua voce.
Alzò
lo sguardo verso di lui con una decisione nuova.
“Hai
qualcosa da dirmi?”
“No,
io… insomma… volevo chiederti se stai bene.”
Questo
era davvero il colmo! Ma come pensava che stesse?
Giulia
non trovò niente di meglio da fare se non rispondergli, con più
decisione di quanta sentiva nel cuore: “Sì, certo.”
Lui
sembrò sorpreso. “Ma come? Sei sicura?”
Presa
da un’improvvisa rabbia nel notare che Francesco sembrava deluso
dal fatto che lei non si fosse buttata ai suoi piedi a dirgli quanto
soffriva, Giulia gli rispose con decisione: “Sì, sono sicura!
Perché non dovrei?”
Non
più di un quarto d’ora dopo, Giulia, tremante e terrorizzata, si
infilava nella sua auto. Non se la sentiva ancora di guidare, quindi
chiuse tutte le sicure e restò a guardare il vuoto, cercando di
comprendere che cosa le fosse appena successo.
In
teoria, lei e Francesco avevano avuto un brutto litigio. In pratica,
non lo sapeva.
La
sua impressione era, più che altro, che lui si fosse sfogato. Lei
non era riuscita nemmeno a dire una parola, anche perché lui
continuava ad urlarle Stai zitta! con un tono che lei non
aveva mai sentito e che le dava i brividi. E poi le cattiverie, le
recriminazioni, la rabbia. I tanti insulti. Le minacce, tra le
peggiori che una ragazza potrebbe mai sentire.
Giulia
si era sentita sola, impotente, spaventata. Ormai in piazza, a
quell’ora, non passava più nessuno. Se Francesco avesse voluto
passare dalle parole alle vie di fatto, chi l’avrebbe fermato?
All’improvviso,
però, lui si era calmato, diventando in pochi secondi quello di
sempre. Le aveva detto di non prendersela, che stava solo scherzando.
Si era persino offerto di accompagnarla alla macchina. Con il poco
coraggio che le era rimasto, lei gli aveva urlato: “No! E non mi
dire mai più cose del genere!” ed aveva attraversato di corsa i
pochi metri che dividevano la piazza dal parcheggio. Si era anche
voltata, presa da un’improvvisa paura che lui potesse seguirla, ma
aveva notato con sollievo che lui si era avviato nella direzione
opposta. Infine, un po’ rincuorata ma ancora tremante, si era
infilata nell’auto.
Avrebbe
dovuto tornare a casa, lo sapeva. Non tanto per i suoi genitori, che
il sabato erano abituati a vederla tornare anche più tardi, ma per
se stessa. Avrebbe dovuto bere qualcosa di caldo, rilassarsi,
mettersi nel letto. Dimenticare quel brutto momento. Invece si
sentiva congelata, sotto shock. Riusciva a malapena a muoversi, e
sentiva di aver bisogno di calmarsi, forse anche di sfogarsi con il
pianto, prima di rimettersi alla guida. Più ripensava a quello che
le era appena successo, più non capiva.
Francesco
aveva fatto tutto da solo. Era entrato nella compagnia, aveva cercato
subito lei, l’aveva invitata ad uscire, le aveva fatto credere
chissà cosa, poi di sua spontanea volontà era sparito ed aveva
scelto un’altra. Lei, dal canto suo, credeva di essersi comportata
nel migliore dei modi: aveva capito che era tutto finito prima di
cominciare e si era “tirata fuori dai giochi” senza scenate o
lamentele, lasciandolo libero. Allora perché lui ce l’aveva tanto
con lei?
Giulia
non capiva. Con le braccia e la testa appoggiate sul volante, tremava
e piangeva.
*
* *
2
febbraio 2018
La
nebbia mattutina si era diradata ed un piacevole sole d’inverno
illuminava la spiaggia di Civitanova. Seduta su un telo, a debita
distanza da qualche altro lavoratore in pausa pranzo, Giulia stava
finendo la sua fetta di zuppa inglese, presa dalla pasticceria di
fronte alla spiaggia. Quando era agitata o confusa, i dolcetti e la
vista del mare riuscivano sempre a confortarla.
Erano
passati quasi nove anni, ma Giulia sentiva di non aver ancora
superato del tutto quell’episodio. Quello “scherzo”, come tanti
lo avevano definito.
Già,
perché nei giorni successivi Francesco si era vantato, all’interno
della compagnia, di averla “presa in giro”. Giulia se n’era
resa conto giorni dopo, quando le sembrava di sentirsi meglio ed
aveva deciso di dare un’altra chance alla sua compagnia.
Era arrivata su quello stesso piazzale dove era stata aggredita ed
insultata da Francesco e li aveva trovati tutti lì, che la
guardavano e ridacchiavano.
Quel
ricordo, se possibile, le faceva ancora più rabbia della brutta
serata con Francesco. La Giulia del 2018 avrebbe mandato al diavolo
tutti quanti, senza pensarci due volte, e avrebbe preferito mille
volte starsene nel suo bilocale a pulire bagni e pavimenti con le
repliche di Elisa di Rivombrosa in sottofondo piuttosto che
trascorrere anche solo un’altra “serata mondana” con soggetti
simili. Ma la Giulia del 2009 si era convinta di aver esagerato a
reagire così, si era detta “In fondo non mi ha messo le mani
addosso… non era serio, dai, stava solo scherzando!”, aveva riso di se stessa insieme a quei falsi amici ed
era persino uscita con loro qualche altro sabato sera d’estate.
Solo
da agosto in avanti aveva cominciato a comprendere di essersi
circondata da persone tossiche. Era stato necessario, nell’ordine,
passare un paio di rigeneranti settimane in Puglia con i suoi
genitori, andare qualche giorno a Riccione con Alba e Alessia,
passare il test di ammissione a Medicina, trasferirsi con le due
amiche di sempre in un appartamento in condivisione per frequentare
l’Università ad Ancona, conoscere compagni di studi motivati come
lei con cui si era trovata subito in vera sintonia. A poco a
poco, Giulia aveva imparato a distinguere le amicizie vere da quelle
false e, già in autunno, aveva smesso di cercare la sua vecchia
compagnia ogni volta che tornava a Macerata a trovare i suoi
genitori. Loro non si erano per niente preoccupati di sapere come
stesse, e lei aveva capito di aver fatto la scelta giusta.
Non
era mai riuscita a parlare con nessuno di quella sera lontana. Si era
obbligata a mettere in un cassetto quel ricordo, anche se esso
premeva per venire fuori nei momenti più impensati, provocandole una
fitta di dolore, vergogna, senso di colpa. Qualche volta si era
persino ritrovata a chiedersi se la violenta reazione di Francesco
non fosse stata, in qualche modo, causata da lei. Forse aveva
flirtato troppo con lui, mentre quest’ultimo puntava solo ad
un’amicizia? Aveva dato l’impressione di essere una ragazza
superficiale? Quando lui si era presentato mano nella mano con
un’altra, avrebbe dovuto cercarlo per chiarire subito?
C’erano
voluti anni per dire a se stessa che in quella vicenda non aveva
avuto alcuna colpa, anzi, era stata davvero esemplare. Mentre
accendeva il cellulare per l’ennesima volta e rileggeva la notizia
che tanto l’aveva colpita quella mattina, però, sentiva il
rinnovarsi dell’antico senso di colpa, anche se per motivi del
tutto differenti. Se Francesco questa volta era stato denunciato,
sicuramente non si era “limitato” alle minacce ed agli insulti. E
la persona che era stata sua vittima si era subito rivolta alle
autorità, senza preoccuparsi del polverone che si stava creando in
questi giorni e della campagna elettorale che non aveva atteso
nemmeno la primavera per surriscaldarsi.
Lei,
invece, si era tenuta dentro quel segreto per anni. Ed ogni volta che
sentiva parlare di donne che denunciavano violenze, ed udiva la
solita, ritrita frase “Ma perché dirlo solo adesso? Perché
aspettare mesi o anni?” scuoteva amaramente la testa. Se lei stessa
si sentiva sprofondare dalla vergogna dopo anni per un’aggressione
verbale, che cosa doveva provare chi aveva subito (magari
ripetutamente) violenza fisica o psicologica? Se anche lei aveva
subito un micro lavaggio del cervello, lasciandosi convincere dalle
amicizie sbagliate ad etichettare il tutto come uno “scherzo”, a
quale forma di gaslightning dovevano essere sottoposte le compagne di
uomini violenti?
Solo
in quel momento, mentre osservava la spuma grigio argento depositarsi
a piccoli sbuffi sulla spiaggia d’inverno, si rendeva conto di aver
sempre considerato quella vicenda dalla prospettiva sbagliata. Anche
quando si era finalmente resa conto di aver subito un torto, aveva
sempre pensato che le fosse successo perché era un soggetto
debole: perché era una ragazza sola che stava tornando da una
serata, perché in quella compagnia non era molto considerata e
nessuno l’avrebbe difesa, perché era già stata scartata in favore
di un’altra e sparare sulla Croce Rossa è un divertimento tipico
delle persone meschine. E invece quel brutto episodio le era capitato
perché, già allora, era un soggetto forte: la sua testa
pensante aveva dissuaso Francesco dal proseguire la loro
frequentazione, perché egli aveva capito che non avrebbe potuto
manipolarla a suo piacimento; quando lui aveva scelto un’altra, non
si era precipitata a chiedergli di continuare a vedersi
clandestinamente, o anche solo a disperarsi; non si era
rassegnata alle serate con la compagnia nel ruolo di terza incomoda,
ma aveva cementato il rapporto con quelle amiche che le volevano
davvero bene. Si era comportata in modo molto maturo per essere solo
una diciottenne, e Francesco, che non era mai riuscito a
controllarla, alla fine aveva cercato di esercitare su di lei un po’
di potere nell’unico modo che gli era rimasto: mettendole paura.
Era lui, il soggetto debole.
“Come
mai questa convocazione improvvisa? Sei appena arrivata! Ci devi raccontare
qualcosa?”
“Sì,
esatto. Vi devo raccontare una storia.”
Parlarne
con le amiche di sempre, con chi l’aveva costantemente aiutata e
sostenuta, era il primo passo per ammettere di aver vissuto un
trauma. E poi, col tempo, per farlo diventare solo un brutto ricordo
e per andare oltre.
FINE
Spero
che anche questa volta il mio racconto sia stato di vostro
gradimento.
Ho
voluto parlarvi di una tematica che mi sta a cuore e che purtroppo,
fino a qualche anno fa, era un po’ sottovalutata: quella della
violenza verbale e psicologica. Troppe ragazze e donne scambiano per
banali litigi, incomprensioni, addirittura scherzi episodi che sono a
tutti gli effetti delle aggressioni, se isolati, o addirittura un
abuso prolungato, se si verificano costantemente, per esempio nel
corso di una relazione. Tante di loro si sentono confuse, impaurite,
a disagio come succede a Giulia in questa storia, ma non sanno dare
un nome a quello che è successo loro, e finiscono per dirsi che, dal
momento che non c’è stata un’aggressione fisica, hanno solo
“esagerato” nel preoccuparsi/spaventarsi.
Fortunatamente negli ultimi anni si parla molto del
fatto che le discriminazioni nei confronti delle donne siano a più
livelli: la punta dell’iceberg sono ovviamente i femminicidi, le
violenze sessuali ed i pestaggi, ma c’è tutto un “mondo
sommerso” di controllo psicologico, cattiverie, minacce, violenza
economica (offrirsi di mantenere la propria compagna per poi
annullare la sua volontà ogni giorno, adducendo proprio questa
motivazione). Anche solo le battutine, gli apprezzamenti, i discorsi
qualunquisti sono atteggiamenti che, secondo me, nel 2021 non
dovrebbero più essere etichettati come normali e liquidati con un
“ma dai, fatevi una risata”. Anche perché la storia di
Francesco, come già detto, è di fantasia, ma ci sono tanti casi reali
di uomini che da adolescenti/universitari sono stati liberi di
esercitare liberamente violenza verbale e psicologica sulle loro
prime fidanzate e che poi, da adulti, sentendosi legittimati, sono
passati a forme di violenza ben peggiori.
Sono
nettamente in ritardo rispetto alla Giornata contro la violenza sulle
donne del 25 novembre, e un po’ in anticipo sulla Festa delle Donne
dell’8 marzo (anche se vi dico già adesso che in quella giornata ci sarà
comunque un post al femminile)… ma che volete farci, il tema di
febbraio mi ha ispirato una storia di questo tipo, quindi la pubblico
ora!
Io
ho scritto abbastanza, direi! Come sempre, vi ringrazio per la
lettura ed aspetto i vostri commenti. Al prossimo post :-)