giovedì 21 novembre 2024

COME IN WITH THE RAIN

 Spazio Scrittura Creativa: novembre 2024




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento con lo Spazio Scrittura Creativa di novembre!


Oggi, dopo un paio di esplorazioni nel mondo della danza (contemporanea e del passato), un personale angolo della poesia ed una fuga nel mondo fantasy di Harry Potter, torniamo a parlare di due argomenti di tutti i giorni: la scuola e le amicizie.


Questa volta ho pensato di scrivere una storia in omaggio alla mia generazione, quella dei millennials, che da qualche anno è entrata nella fase “trentenni nostalgici”: siamo giovani adulti con tante incombenze, poche certezze e pochissime importanti persone con cui coltivare rapporti non sempre facili, eppure una parte di noi è rimasta sui banchi di scuola. Un microcosmo perduto, non solo perché sono passati parecchi anni dalla Maturità (più di 16, nel mio caso) ma anche perché chi come me è tornato a scuola in altre vesti si è reso conto che per gli adolescenti di oggi tante piccole (e grandi) cose sono già diverse.


Quindi torniamo insieme in quel mondo tra il 2003 e il 2008… con la colonna sonora della pioggia novembrina e di una canzone che è proprio di 16 anni fa!



Come in with the rain



Posso tornare ad ogni risata

ma non voglio andare più là

e conosco tutti i passi fino alla tua porta

ma non voglio andare più là


Erano ormai due giorni che la pioggia scrosciava imperterrita. L'acqua scendeva dal cielo e lasciava profondi solchi sui profili delicati delle foglie e dei fiori primaverili. Persino il cielo, che in quel novembre mite era stato sempre azzurro e punteggiato da piccole nuvole bianche, minacciava tempesta e si era velato quasi di nero.


Nella camera da letto del suo appartamento, una giovane donna con un caschetto nero e gli occhi azzurri si era appena allontanata dalla finestra, inforcando gli occhiali dalla montatura colorata. Sedutasi sul letto, ella avvicinò a sé la borsa nera da lavoro, estraendo un pacco di temi ancora da correggere. Decisa a sfruttare la giornata di brutto tempo, posò il blocco di fogli sulla scrivania e vi si sedette davanti con una penna rossa ed una matita.


Aveva assegnato ai suoi studenti un’analisi del testo, un tema d'attualità e la solita traccia personale. Il terzo compito del pacco era quello di Ludovica, una delle studentesse più portate per la sua materia, specializzata nella scrittura di lunghissimi commenti a poesie e romanzi che le erano piaciuti. Per questo motivo Matilde restò sorpresa nel constatare che, stranamente, quella volta la sua alunna preferita aveva scelto la traccia personale, dal titolo «Gli anni più belli? Gioie e difficoltà della vita del liceo.»


Lo stile era sempre pulito, elegante, corretto. Matilde si era ritrovata ben presto conquistata dalla lettura... finché un periodo piuttosto lungo non l'aveva fatta fermare.


«È opinione molto diffusa che noi adolescenti passiamo la maggior parte del nostro tempo dedicandoci a passatempi leggeri e poco impegnativi, come chattare su Whatsapp, usare i social network, passeggiare in centro con gli amici o chiacchierare con un gelato in mano durante le sere d'estate. Siamo spesso accusati di essere persone leggere e poco profonde. Io credo che, nel momento in cui una persona formula questo pensiero, egli commetta una grave ingiustizia. Le attività prima elencate, infatti, non sono dei passatempi per noi: sono l'unico modo che conosciamo per affrancarci dalle nostre famiglie, per avere un nostro spazio indipendente, per iniziare a crescere. Per quanto piccola e frivola, questa è la nostra libertà, la nostra profondità, e gli adulti dovrebbero rispettarla.»


Leggendo i pensieri di Ludovica, Matilde ebbe all'improvviso l'impressione di stare parlando con qualcun'altra. Anche se con vocaboli diversi, ricordava bene di aver già sentito quel discorso.


Matilde sapeva bene dove abitava Olivia: avrebbe fatto la strada fino a casa sua anche ad occhi chiusi. Anche se, in quegli anni, erano cambiate così tante cose che perfino la strada che univa i loro due paesi non era più la stessa, ma era stata rasa al suolo e ricostruita dalle fondamenta. Anche se ormai quella casa, con ogni probabilità, ospitava solo i genitori di Olivia: ella si era trasferita da anni in un appartamento dall’altra parte del paese.


Le sarebbe bastato aspettare che la pioggia diminuisse. Avrebbe preso la vecchia station wagon sulla quale suo padre era solito ascoltare Eros Ramazzotti a tutto volume, che ora era passata in eredità a lei. Avrebbe ascoltato un cd dei Blue durante il breve viaggio, in ricordo dei vecchi tempi. Avrebbe telefonato dal piccolo parcheggio dietro casa di Olivia, chiedendole di poterla vedere.


Se una parte di lei, però, stava già contando i passi e cercando il cappotto, un'altra, più razionale, la tratteneva.

Erano ormai un po' di anni che lei e Olivia si telefonavano brevemente solo in occasione del Natale o dei reciproci compleanni, e non si potevano certo più definire due amiche.


Senza contare che una vocina nell'orecchio, dovuta ad una cattiva abitudine familiare, le sussurrava: “Non vorrai disturbare?”

Pur non volendo, le scappò un sorriso. Quante risate si faceva Olivia quando lei menzionava l'idea di disturbare! Le rispondeva sempre: “Ma no, che assurdità! Tu non mi disturbi quando mi telefoni o mi vuoi vedere. Potresti chiamarmi anche alle tre di notte, per quel che mi riguarda!”


Le sarebbe bastato pochissimo per risentire quella risata, ma era come se le mancasse la forza di farlo, e, in fondo, sapeva bene il perché.


* * *



Parla al vento, parla al cielo

parla ad un uomo con dei motivi

e fammi sapere cos'hai trovato


Più passava le sue giornate in compagnia degli adolescenti e più Matilde si rendeva conto che gli anni del suo liceo erano un mondo perduto. I ragazzi a cui insegnava quell'anno leggevano altri libri, ascoltavano altra musica, guardavano altri film e portavano ben altri vestiti. “Beh” pensò sbuffando “chi mi assicura che io sia stata un'adolescente come la maggior parte delle altre?”



Il liceo classico non aveva portato in dono a Matilde un ragazzo serio e posato come avrebbe voluto sua madre, ma un'amica: Olivia.


Il loro era stato un legame speciale fin dall'inizio. Lei era minuta, dimostrava ben meno della sua età, aveva dei lunghi capelli rossi sempre combinati in fantasiose acconciature, vestiva prevalentemente di rosa e nero e andava pazza per le boybands dell'epoca. Era brava a scuola almeno quanto lei, ma il sabato staccava da tutto e girava per il centro insieme ad una compagnia del suo paese costituita da elementi quantomeno bizzarri. Con lei Matilde aveva sperimentato la bellezza del lasciarsi andare un po', del ridere per sciocchezze, del parlare senza paura di quello che veramente la appassionava. Quanti pomeriggi e serate avevano condiviso!


Ancora sorrideva, se ripensava alle chiacchierate nella camera di hotel a Firenze, durante la gita del terzo anno. Olivia, che difendeva sempre con accanimento la teoria della “bellezza interiore” delle persone, aveva pensato bene di dimostrarlo prendendosi una cotta per il più brutto della classe accanto, che ovviamente li accompagnava in gita. Tuttavia, accettava di farsi prendere in giro da Matilde e dalle altre compagne di classe.


La loro amicizia era stata indubbiamente una splendida avventura... fino all'estate prima dell'ultimo anno.


* * *



Posso farmi forza e cantarti una canzone

ma non voglio andare così lontano

e ti ho buttato giù

ti conosco dal profondo del cuore

e tu non sai nemmeno da dove cominciare

parla a te stesso, parla alle tue lacrime

parla con l'uomo che ti ha messo lì

e non aspettare che il cielo si schiarisca


Alessio era piombato nella sua vita dapprima discretamente, e poi come un fulmine. All'inizio era semplicemente il ragazzo gentile che prendeva il pullman con lei e frequentava l’istituto tecnico vicino al suo liceo; ben presto, però, era diventato l'oggetto dei suoi pensieri notturni, dei suoi sogni, delle sue fissazioni.


Fin dall'inizio dell'adolescenza la costante paura di non trovare un uomo e di restare sola e senza uno scopo nella vita l'aveva perseguitata. Matilde non pensava ad altro che a lui ed a cosa avrebbe potuto essere tra loro due, ed era convinta di essere più che mai vicina al suo obiettivo.


Era stato così che, quando Alessio le aveva proposto di mettersi insieme, aveva accettato, mandando al diavolo tutti e tutto: i suoi principi fatti di eleganza, riservatezza, di teorie come in amor vince chi fugge; sua madre, la cui inflessibilità iniziava, finalmente, a starle stretta; persino Olivia, che in amore era molto più pratica e razionale di lei, e – Matilde ne era certa – non avrebbe visto bene questo azzardo improvviso, considerato quanto poco lei ed Alessio si conoscevano.

Se non si fosse buttata in quel momento, probabilmente se ne sarebbe pentita per sempre.


Sfortunatamente per lei, le cose erano andate male. La “storia” era naufragata prima ancora di iniziare.

Subito dopo essere stata lasciata da lui, triste, disperata ed abbattuta, aveva fatto la prima cosa che le aveva dettato il cuore: aveva alzato la cornetta ed aveva telefonato a Olivia. Matilde le aveva raccontato tutto ciò che le aveva taciuto in quei mesi: le sue speranze, le sue delusioni, la sua paura. Olivia l'aveva ascoltata ed era stata comprensiva. Matilde non lo sapeva ancora, ma quella sarebbe stata la loro ultima chiacchierata davvero sincera.


Giorno dopo giorno, il pensiero di essersi mostrata troppo debole, di essersi aperta fin troppo, di aver fallito si era fatto strada dentro di lei. Ogni mattina, quando apriva gli occhi, non pensava più con metodo a tutto quello che doveva fare prima di andare a scuola, come suo solito. Si sentiva, al contrario, un peso che le schiacciava il petto, come se una mano invisibile la costringesse a restare sdraiata, immobile, senza quasi respirare. Arrivava a scuola adirata e triste, e non c'era niente che la irritava di più che vedere Olivia sorridente e con la testa tra le nuvole, che estraeva dallo zaino il necessario, mentre sicuramente ripensava all'ultima festa con gli altri suoi amici.


Ripensandoci, dopo molti anni, si vergognava di quello che aveva fatto. Avrebbe cancellato ogni suo singolo gesto, ogni parola cattiva.


In quei mesi, però, le era sembrato quasi naturale – e se ne spaventava ancora – allontanare Olivia. Aveva avuto come la percezione che la sua amica di sempre non avesse davvero gli strumenti per capire, lei che aveva sempre avuto delle storielle da poco che si erano risolte in una rottura senza rancori ed una buona amicizia.

Forse, però, con il senno di poi, il problema era stato esattamente il contrario. Olivia era dotata di una sensibilità spiccata, ed avrebbe intuito che dietro al rifiuto di Matilde c'era una questione più complessa. Matilde non aveva voluto permettere ad Olivia di conoscere il mostro che la schiacciava e che la stava trascinando in un tunnel nero.


* * *



Ti ho guardato così a lungo, ho urlato il tuo nome

non so che altro potrei dire


Dopo la Maturità, Matilde aveva rischiato di impazzire: l'Università la faceva sentire più sola che mai, e, in un momento di sconforto, aveva persino richiamato Alessio. Aveva cercato in tutti i modi di rincorrere quell'amore che, secondo lei, le era stato ingiustamente strappato... finché un giorno non si era guardata dentro per davvero ed aveva deciso che prima dei ragazzi che le giravano intorno, prima delle false amiche che la lodavano senza conoscerla veramente, la persona a cui dedicare attenzioni era lei stessa.


Era venuta a patti con il suo mostro, ed aveva incontrato molte difficoltà, ma, con calma, era riuscita, se non a sconfiggerlo, almeno ad isolarlo.


* * *



Matilde aveva coronato il suo sogno di essere un'insegnante, e la scuola dove stava lavorando le aveva portato in dono delle nuove amicizie. Si sentiva in pace con se stessa.

Quel giorno, però, come le era capitato altre volte, le mancava Olivia e quello che era stato il loro rapporto.


Era passato troppo tempo per potersi ancora accusare ed attribuire la colpa a vicenda: i loro veri nemici erano stati l'ambiente ormai soffocante dell'ultimo anno di liceo, le compagne malfidenti e pronte a dividerle, il loro desiderio di chiudere la porta delle superiori e iniziare un nuovo capitolo.


Quella sera avrebbe lasciato aperta la finestra di camera sua. Il rumore della pioggia l'avrebbe cullata durante la notte, e, chissà, i suoi pensieri avrebbero potuto volare verso casa di Olivia.


Un giorno, forse, si sarebbero riviste e avrebbero riso insieme, di nuovo e con il cuore.



Lascerò la mia finestra aperta

perché sono troppo stanca, la notte, per chiamare il tuo nome

sappi solo che sono qui, sperando

che tu entri insieme alla pioggia.



FINE




Come in with the rain è una canzone dell’album Fearless, il secondo di Taylor, uscito proprio nel 2008, anno della mia Maturità (potete ascoltarla qui). Come forse qualcuno sa, tra tutti i suoi dischi la mia predilezione va storicamente per Speak Now del 2010 e per la coppia Folklore/Evermore del 2020, però confesso che da quando ho visto il film dell’Eras tour e mi sono emozionata durante il set di Fearless… mi sono resa conto di quanto questo album, come ha detto anche Taylor, mi “riporti alle scuole superiori”. Questa canzone descrive un momento di stallo nostalgico e mi sembrava perfetta per questa storia.


Mi rendo anche conto che queste pagine, tutto sommato, non sono uscite dalla mia penna in un momento casuale, e non è solo perché i vari mass media in questo periodo stanno giocando con l'effetto nostalgia di noi millennials. Uno dei dispiaceri più grandi della mia adolescenza è stato senz'altro l'allontanamento di un'amica alla quale io ero genuinamente convinta di aver teso una mano. Col tempo ho capito che non si tratta di dinamiche solo adolescenziali.


In ogni caso, con questa storia, al di là delle mie esperienze, volevo “salutare” in modo un po’ romanzato quei ragazzi che sono rimasti là, in un liceo di provincia, quando i Blue e Robbie Williams erano il meglio del meglio per una ragazza, gli 883 erano “dei miti” senza che nessuno ci desse dei vecchi nostalgici come avvenuto in tempi recenti, la gita con la scuola era ancora un’occasione di scoperta per tanti di noi perché il mondo era molto meno “globe trotter”, il sabato pomeriggio si andava tassativamente in centro a ritrovare vecchi e nuovi amici, i social network non erano stati ancora inventati, e stendiamo un velo pietoso su vestiti e trucchi “alla moda”…

Chissà, forse, ora che ho riaperto il cassetto, non mi basterà avervene parlato oggi. Ma per ora mi va bene così.


Concludo lasciandovi i link ad una mia dilogia di racconti romance che hanno per protagonista un’altra insegnante, Luna:


- Incontrami a Siviglia (Link)


- La casa stregata (Link), ambientato proprio in novembre



Grazie ancora per la lettura, al prossimo post :-)


lunedì 18 novembre 2024

THRILLER E NOIR NEL NORD-EST

Due romanzi di Chicca Maralfa e Massimo Carlotto

 


Cari lettori,

per la nostra rubrica "Letture... a tema", oggi vi racconto due gialli/thriller che ho sul comodino da troppo: li ho letti quando ancora faceva caldo e, tra una rubrica e l’altra, non ho potuto ancora recensirli.

Entrambi sono ambientati nel Nord-Est e pongono al centro dell’attenzione – e in un caso delle indagini degli inquirenti, nell’altro di un intrigo nazionale – alcuni fatti molto inquietanti. Nel primo caso ci immergiamo completamente nelle atmosfere dell’altopiano vicentino ed assaporiamo le prime nevi. Nell’altro, invece, anche se il motore dell’azione resta comunque nei dintorni del Veneto, ci spostiamo per un’estate a Cesenatico… purtroppo poco divertente.


Vediamo meglio insieme i due romanzi!



Il delitto della montagna, di Chicca Maralfa



Il carabiniere barese Gaetano Ravidà, luogotenente dell’Arma da ormai un buon numero di anni, è un uomo che da poco ha dovuto ricominciare. Il divorzio è arrivato ad un età in cui ormai sperava non accadesse più, e la vita in Puglia ha iniziato ad essere insopportabile.


Così, nel giro di poco tempo, egli si è trasferito ad Asiago, un luogo che ha scelto per due motivi strettamente personali. Il primo è che, su quelle montagne che già in autunno si riempiono di neve, riesce a sentirsi ben lontano dal sole e dal mare della terra natía. Il secondo è che l’altopiano vicentino è stato teatro di una delle battaglie più sanguinose della Grande Guerra, e Ravidà è piuttosto sicuro che vi abbia preso parte un suo nonno. Egli, quindi, approfitta dell’insolita occasione che gli ha riservato la vita per cercare delle informazioni su quel parente di cui ha sempre saputo poco, se non che, ad un certo punto, si è perso nella neve e nella guerra.


È una zona dove non si è mai smesso di combattere: un tempo le due guerre mondiali, ora delle battaglie ambientali. La referente del gruppo di ecologisti locali si chiama Angelica, è una giovane arrivata da Milano – e quindi, come Ravidà, arriva da fuori ma si sta affezionando sempre di più a quei luoghi – ed ha già contattato le autorità per denunciare un reato ambientale: alcune cave di marmo dismesse da tempo vengono utilizzate come deposito illegale di armi e chissà cos’altro.


Mentre Ravidà ed i suoi perlustrano la zona, però, fanno una scoperta agghiacciante: il cadavere ormai mummificato di un uomo. L’autopsia rivela che si tratta di un individuo di sesso maschile, di mezza età, ucciso da un colpo di pistola alla tempia che sembra tanto un’esecuzione. Il primo pensiero degli inquirenti è che si sia trattato di un omicidio legato alla Mala del Brenta, che in passato ha terrorizzato gli abitanti della zona e non si è mai estinta nel tutto. Tanto più che l’uomo viene presto identificato come un uomo d’affari di città misteriosamente scomparso anni prima: per quale altro motivo avrebbe dovuto arrivare lì senza famiglia, se non per trattative, forse losche?


Poco dopo, altre due morti violente sconvolgono la comunità di Asiago, dove tutti si conoscono e persino Ravidà, arrivato dall’altra parte dell’Italia, non ha problemi ad inserirsi. La prima è quella di un uomo del gruppo degli ecologisti, considerato una “testa calda” per aver messo più volte i bastoni tra le ruote alle aziende ed agli imprenditori in modo anche violento: egli abitava nella stessa zona del nostro protagonista ed è venuto a mancare nel corso di un incendio a casa sua che potrebbe sembrare accidentale, ma risulta molto sospetto. La seconda, con grande costernazione di Ravidà, è la stessa Angelica, che è stata buttata giù da un cavalcavia su una strada di campagna ed è finita su una gru. Una morte orribile, che getta nello sconforto il paese e spinge il protagonista ad indagare sul passato delle tre vittime.



Il delitto della montagna è un romanzo che mi è stato prestato ed ammetto un po’ vergognosamente che leggendolo ho superato un mio piccolo pregiudizio. L’edizione che mi è stata prestata è una versione della Mondadori successiva all’originale: la precedente è della Newton Compton. Ecco, non so bene perché, ma per me questa CE è sempre stata legata ai romance (dai tempi della nascita della collana “Anagramma”, i cui volumi spopolavano quando ho aperto il blog) e non credo di aver mai letto niente di giallo edito da loro. Un po’ perché sono autori meno conosciuti, un po’ perché provando a leggere le trame mi pareva che ci fossero più gialli d’azione e thriller che indagini classiche – che di solito preferisco -, fatto sta non avevo ancora letto niente (non che ricordi almeno).


È stata una bella sorpresa: un giallo convincente, una catena di delitti l’uno dietro l’altro che sorprende il lettore, un protagonista che secondo me ha ancora molto da raccontare. In questo volume Gaetano Ravidà fa poco più che presentarsi, ma tra passato in Puglia e indagini sul passato del nonno ad Asiago c’è di che riempire una serie, anche se a quanto ho visto c’è solo un altro volume oltre a questo (per ora).


Il posto è davvero affascinante: conosco persone che frequentano quelle montagne ed ho già visto un po’ di foto del luogo, ma l’autrice ci porta proprio alla scoperta dei luoghi più reconditi e ci fa immergere nell’atmosfera dei giorni della Merla, i più freddi dell’anno. È stato piuttosto strano leggere questo romanzo mentre faceva caldo, ma si sa che a volte capita!


Non mi dispiacerebbe leggere anche l’altro volume della serie, vi farò sapere…



Trudy, di Massimo Carlotto



Il romanzo ha inizio con un terribile fatto di sangue: due guardie giurate uccise, uno scontro a fuoco, la fuga di alcuni criminali. Una delle tante notti orrende di un qualunque commissario del Nord-Est. Per sua fortuna, però, una delle ultime prima di cambiare vita.


Il commissario è ambizioso e così è stato contattato da alcuni loschi personaggi, che sono affiliati ai Servizi e ad altre società segrete. All’uomo viene proposto di occuparsi della sicurezza di imprenditori, politici ed esponenti delle forze dell’ordine che hanno ben altri interessi oltre a quelli dichiarati. Così ben presto egli diventa “Il dottore”, il capo di un’agenzia di security che non si limita ad eseguire gli ordini, ma decide in prima persona chi tenere sotto osservazione e perché.


Una delle “osservate speciali” dell’ultimo periodo è una giovane donna che è stata ribattezzata Trudy, come la moglie di Pietro Gambadilegno. Un tempo ella era una ragazza di provincia che lavorava tra parrucchiere ed estetiste ed era fidanzata con un ragazzo di umili origini come lei; poi ha vinto una sorta di terno al lotto sposando un ricco uomo d’affari. In teoria; perché dopo qualche anno di matrimonio “felice” - almeno secondo le apparenze – l’uomo è sparito nel nulla, e lei è stata spedita sulla riviera romagnola dalla famiglia in attesa che si calmino le acque.


Trudy passa le giornate tra casa, spiaggia e gelateria, e sembra la ragazza più innocente del mondo, ma Il Dottore ed i suoi sospettano che ella sappia che fine ha fatto il marito, e che l’uomo, prima o poi, la contatterà. Ovviamente il marito non si limitava agli affari leciti, ma maneggiava in maniera, diciamo, fantasiosa il denaro di alcuni importanti clienti del Dottore, quindi è fondamentale ritrovarlo.


Oltre ai collaboratori di cui egli si avvale regolarmente, il Dottore individua Alex Semeraro, un giovane toscano che ha già avuto precedenti per rissa e vive di lavoretti che durano il tempo di arrabbiarsi e mollare. Salva il ragazzo dal pestaggio in una trattoria frequentata solo da operai dalle simpatie politiche opposte alle sue e lo convince a lavorare per lui, pedinando Trudy. Il ragazzo però ha il cervello di un sasso spaccato si ritiene un “uomo vero e irresistibile” e cerca un modo di entrare pian piano in contatto con la donna che sta pedinando, sperando in un’alleanza e anche in qualcos’altro (e te pareva).



Trudy non fa parte della categoria dei gialli tradizionali, con un delitto e delle indagini, ma appartiene decisamente a quella dei thriller, un po’ d’azione ed un po’ anche di strategia e meditazione. 

Il Dottore di sicuro non è un commissario tradizionale, anzi, possiamo pure dire che la sua esistenza è un discreto insulto a tutti i poliziotti che lavorano onestamente, ma sappiamo che la corruzione delle forze dell’ordine è un problema grave e Massimo Carlotto è tra i pochi autori di gialli che conosco che non solo ne parla, ma rende personaggi simili i protagonisti dei propri romanzi. E, d’altra parte, Il Dottore ha accettato un incarico molto particolare e lì sì che ci vuole pelo sullo stomaco, ma il problema di poliziotti niente affatto corrotti ma del tutto in burnout che scappano dallo Stato per entrare in servizi di security privati è reale (e, come direbbe qualcuno, se si arriva a mollare il “posto fisso statale”… ci devono essere dei motivi gravi, ed è veramente un segno che l’Italia sta cambiando, non in meglio, direi).


Per comprendere meglio di che genere di storia stiamo parlando: la quarta di copertina del romanzo recita: “Dopo aver letto Trudy, camminando per strada ti verrà voglia di guardarti le spalle”. Ecco, sinceramente, no. 

Capisco la necessità di attrarre il pubblico dei thriller, ma così si fanno immaginare al lettore delle sfumature inquietanti che, in tutta onestà, io ho avvertito poco. Questa non è la storia di persone oneste e comuni – magari un tranquillo padre di famiglia o una ragazza molto giovane e bella, che sono un po’ i classici del genere – che vengono tormentate da un misterioso stalker o accoltellate in un vicolo buio da qualche serial killer.


Questa è una storia di persone corrotte, marce fino al midollo, cattive ed interessate solo al profitto e ad affari che noi “very normal people” non possiamo nemmeno immaginarci. E pazienza se ad un certo punto una di loro viene controllata da altri due (perché con Semeraro c’è un’altra ex poliziotta): non solo qui nessuno è innocente, ma potremmo dire che qui nessuno è nemmeno un colpevole da compatire. Scordatevi i rubagalline disperati e piangenti sulla spalla dell’ispettore di turno che li copre in qualche modo con i superiori, o gli omicidi accidentali che suscitano la pietà di qualche sensibile commissario.


Insomma, non direi che alla fine di questa lettura vi guarderete le spalle, perché banalmente non vi sarete identificati nei personaggi. Però vi posso garantire che, come diceva Pieraccioni in un film di qualche anno fa, vi sentirete al 200% dei “poveri bischeri che pagano le tasse e stanno in coda alle poste”, mentre gente disonesta mette le mani in pasta in questioni di cui ignoravate persino l’esistenza e fa la bella vita alla faccia vostra. Almeno noi bischeri, però, abbiamo una probabilità molto minore di finire ammazzati male. Amici, consoliamoci così, che vi devo dire?



Ho già letto un buon numero di romanzi di Carlotto e nonostante questo in qualche modo resto sempre sorpresa, quest’uomo dovrebbe aprire un programma di giornalismo o inchiesta tutto suo. Anche se fa già un ottimo lavoro con i suoi romanzi e direi che va bene così. Magari prima o poi tornerà anche l’Alligatore, il suo personaggio più famoso…





Oggi due letture non proprio per pavidi, eh? Spero che vi piacciano! Anche perché se sono piaciute a me, la fifona, potete stare tranquilli... 

Fatemi sapere se conoscete questi autori e che ne pensate. 

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 14 novembre 2024

LA COSCIENZA DI ZENO

 Lo spettacolo al Teatro Carcano




Cari lettori,

sono sempre felice di potervi proporre i miei “Consigli teatrali”, specie se, come oggi, si tratta di un grande ritorno!


Il Teatro Carcano è un “vecchio amico” di questo blog. I primi anni di questo spazio hanno visto un buon numero di recensioni teatrali, tante delle quali riguardanti proprio questo teatro e spesso gentilmente repostati sui social dalla vecchia direzione artistica.


Sono riuscita a frequentarlo abbastanza regolarmente fino all’arrivo del Covid, poi… lo sappiamo, tante cose sono cambiate. Sono tornata con gioia esattamente tre anni fa, alla fine del 2021, per "Gli innamorati" di Carlo Goldoni, e poi non più fino all’altra domenica, purtroppo. Si sono messi di mezzo tanti fattori, lavorativi e non: fatto sta che il 3 novembre sono felicemente tornata in questo luogo culturale che sempre mi sarà caro per La coscienza di Zeno.


Ero molto curiosa di scoprire come sarebbe stato portato sullo schermo, in soli 100 minuti, un grande classico della letteratura del Novecento, ricchissimo di storie da raccontare, personaggi da conoscere meglio e considerazioni profonde. Secondo me la trasposizione è stata ottima… ma ve lo racconto meglio!



Lo spettacolo



L’attore principale sulla scena è Alessandro Haber, quasi sempre seduto alla sinistra del palco, vicino agli spettatori. Egli interpreta la Coscienza, ovvero quello che il protagonista, Zeno Cosini, scrive nel suo diario, redatto per ordine del dottor S – il suo psicanalista -, con il quale i rapporti si sono guastati. L’autore immagina che sia proprio il dottor S a pubblicare le memorie di Zeno, con l’intento di fargli un dispetto.


Oltre ad Alessandro Haber, altri dieci attori sono sulla scena ad interpretare i vari personaggi del dramma, tra cui Zeno Cosini giovane, che “interpreta” le parti dettate dalla Coscienza. Qualche volta, però, la Coscienza stessa si sovrappone al suo Io più giovane e recita in prima persona.


Il grigio domina la scena: gli attori sono vestiti in varie sfumature, non ci sono oggetti oltre a delle sedie tra il grigio scuro ed il nero e delle pesanti tende dello stesso colore sembrano abbracciare il palco. È proprio su di esse che viene proiettata una scenografia digitale: talvolta degli interni, altre volte dei paesaggi (la luna sul mare è uno dei più presenti), o ancora una pioggia scrosciante con tanto di rumore.

Questa scenografia digitale ha al centro un medaglione rotondo che sembra porre l’attenzione, di volta in volta, su quella che è la principale preoccupazione che il protagonista ha in quel momento: le persone che lo sbeffeggiano o che lo giudicano, le parole più significative che scrive sul diario, l’occhio del dottor S che pare guardarlo dentro sempre più.


Sembrerebbero le premesse per un dramma, eppure lo spettacolo si rivela esattamente come il libro, e non calca la mano sulla sofferenza, ma ci spinge a riflettere sulla condizione umana da più punti di vista.



La storia raccontata



Zeno Cosini non vuole scrivere una vera e propria autobiografia, ma vuole raccontare al dottor S quali sono state le problematiche principali della sua vita, quali gli ostacoli che di volta in volta lo hanno messo alla prova.


I primi capitoli sono i vizi della gioventù: il fumo, che non riuscirà mai ad eliminare nonostante i suoi costanti tentativi di finire “l’ultima sigaretta”; il complesso di Edipo, tra l’amore per una madre schietta e pratica che se n’è andata troppo presto ed un padre severo ed autoritario che ogni volta che cerca di parlare con lui finisce per sgridarlo, anche da adulto; la morte del padre, che durante le ultime convulsioni dà uno schiaffo a Zeno, ovviamente accidentale, ma freudiano.


Il cuore dell’opera è la storia sentimentale e matrimoniale di Zeno, deciso a sposarsi con una delle quattro figlie del dottor Malfenti, un socio in affari che egli vede come una sorta di nuovo padre. Innamoratasi di Ada, molto bella ma caratterialmente difficile (proprio come lui), Zeno finisce per sposare Augusta, per la quale non prova sentimenti travolgenti, ma che è la donna giusta per lui per un semplice motivo: come la madre è buona e paziente, onesta e pratica. Non si arrovella su qualunque cosa come il protagonista, ma prende in considerazione quel che le si para davanti ogni giorno e agisce di conseguenza. Nel romanzo Zeno discute molto sulla “salute mentale” sua e di Augusta, mettendo in luce i pro ed i contro di entrambi i modi di vedere la vita, ma fatto sta che il loro matrimonio si rivela felice, così come l’arrivo dei due figli.


L’unica macchia sul matrimonio è costituita dalla relazione di Zeno con Carla, una cantante povera ed in difficoltà familiari. Sia nel romanzo che nello spettacolo, però, è chiaro come Zeno voglia un’amante solo per status, perché “tutti ce l’hanno”, e perché averla gli darebbe la possibilità di essere utile economicamente a qualcuno. Tant’è vero che, quando Carla riceve una promessa di matrimonio, lui la lascia andare senza rimpianti, con tanti auguri ed un’ultima busta di soldi (ci rimane un po’ peggio lei, in effetti).


La maturità di Zeno Cosini è dedicata soprattutto alla sua progressione di carriera. Egli inizia a lavorare per il marito di Ada, il cognato Guido Speier, e da impiegato diventa presto socio: quello che era stato accolto come il salvatore dei Malfenti si rivela in pochi anni un uomo irresponsabile, infedele e fragile, tanto che le donne della famiglia finiscono per fare affidamento su Zeno, specie dal momento in cui Guido fa un’infelice fine.


L’ultima parte del diario è dedicata alla psicoterapia, al litigio con il dottor S e ad alcune fosche previsioni sul futuro, suscitate dai cupi pensieri che la Prima Guerra Mondiale ha portato con sé.



L’esistenza di successo di un “inetto”



La prima cosa che si apprende quando si studia Italo Svevo e La coscienza di Zeno è il fatto che il protagonista di questo romanzo sia il prototipo dell’ “inetto”, ovvero di colui che si sente costantemente inadatto alla vita, incapace di far fronte ai problemi dell’esistenza e soprattutto alle responsabilità dell’età adulta.


Egli colleziona molti errori: prende un vizio poco salutare e non riesce a mantenere i buoni propositi di smettere; gira di facoltà in facoltà senza prendere una laurea ed entra nel mondo del lavoro grazie agli affari paterni ed all’amministratore Olivi, a cui il genitore ha affidato la gestione dei beni; si innamora di un’illusione con Ada e finisce per ripiegare su Augusta senza neanche essere un corteggiatore troppo galante; in un momento pensa addirittura di fare del male all’eterno rivale Guido, senza ovviamente riuscirvi; litiga con il suo psicanalista perché non riesce a guardare in faccia i suoi difetti.


Eppure, zitto zitto (insomma… a modo suo), poi, alla fine, riesce a riscuotere dei successi: entra nelle grazie di un uomo d’affari come Malfenti che lo vede subito come un figlio; mette su una famiglia felice, dove per sua stessa ammissione “non si soffre affatto”; salva l’azienda dalle manovre sbagliate di Guido; dà un lieto fine persino a Carla, mentre tanti altri uomini della sua condizione finiscono per rovinare socialmente le loro amanti.


Non so, mentre assistevo allo spettacolo pensavo che, premesso l’ovvio, e cioè che quest’opera viene studiata nelle scuole da sempre e per vari motivi, questo specifico esempio di “inetto che ce la fa” è un messaggio molto utile e importante da trasmettere ai ragazzi di oggi. 

Mi sembra che la società odierna, che nega molte situazioni disperate mascherando con “flessibilità e competitività” quella che è una lotta sempre più dura per un posto dignitoso nel mondo, e che apre la strada alla precarietà di tanti rapporti, alla loro fallibilità ed a tante dinamiche in stile “uso e butto”, stia propagandando un modello che non funziona. Mi spiego meglio: troppi ragazzi (ma anche adulti, mi metto in mezzo anche io) hanno l’idea che un solo sbaglio rovinerà a valanghe tutto, che un singolo errore indichi aver fallito tutto e in tutta la vita, che il loro sentirsi soli e non apprezzati sarà una condanna eterna. Da qui i tanti problemi di depressione ed ansia già adolescenziali, acuiti da un confronto con gli altri che risulta sempre fallimentare.


Zeno insegna che, come diceva anche Beckett, bisogna “provare meglio, fallire meglio”, e che la vita non è finita… finché è finita, e vale la pena di andare fino in fondo.



La vita non è né bella né brutta: è originale”



Altro insegnamento molto, molto attuale.


Non c’è solo la bella vita, quella che ultimamente vediamo soprattutto sui social; ed anche nei periodi più bui non è detto che tutto vada male.


La vita è “originale”, e come tale ti sorprenderà sempre. Ecco, io credo che Italo Svevo qui si riveli non solo un grande pensatore, ma anche in linea con la psicologia tradizionale, quella che insegna che non tutto dipende da noi (per fortuna!) ed a volte dobbiamo solo accogliere gli eventi, da quello meraviglioso a quello tremendo, ed agire di conseguenza.


Negli ultimi anni mi sembra che i validi studi di psicologia e psicoterapia abbiano ceduto il passo a discutibili filosofie new age che cercano di convincere ognuno di noi che “tu puoi creare la tua realtà” e “se lo pensi accade”. Ecco, scusate se mi tolgo questo sassolino dalla scarpa, ma secondo me no, neanche per sogno. E non è forse meglio così?


D’altra parte, chi dei protagonisti de La coscienza di Zeno, appartenente ad una classe sociale che – a parte gli alti e bassi inevitabili – stava più che bene, e si considerava parte di un’Europa evoluta, avrebbe potuto immaginare un conflitto mondiale? 

Lo diceva anche un mio professore dell’Università: “le illusioni della Belle Epoque bruciano durante la Prima Guerra Mondiale, e tantissimi non l’avevano vista arrivare”. Eppure è successo… un’altra – orribile – originalità della vita, come dice Zeno. C’è un’unica frase, al termine del romanzo e dello spettacolo, che secondo me potrebbe essere considerata una sorta di profezia, ma la lascio come sorpresa per chi non lo sa.





Ho visto lo spettacolo l’ultimo giorno disponibile, domenica 3 novembre, quindi purtroppo non posso invitarvi ad andarlo a vedere al Carcano!

Credo però che la rappresentazione farà il giro di altre città d’Italia, quindi vi consiglio di dare un’occhiata, se vi interessa :-)

Nel frattempo fatemi sapere se vi ho incuriosito, se magari avete letto o studiato il romanzo e che cosa ne pensate.

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)