Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese
Cari lettori,
eccoci arrivati all’ultimissimo giorno di maggio!
Questo mese è stato intensissimo per me, ma ancora pochi giorni e potrò finalmente rallentare i ritmi. Ormai intravedo un’estate che spero sarà di relax e svago per tutti, e quindi, anche se la stanchezza è tanta, l’ottimismo mi sostiene.
Nel frattempo, ricapitoliamo insieme tutto quello che mi è piaciuto in queste settimane, dai libri ai film, dalla musica alla poesia!
Il libro del mese
Sono davvero contenta di parlarvi nuovamente di un’autrice alla quale ritorno sempre con grande piacere: Federica Bosco. Il mio romanzo del mese è Non perdiamoci di vista, una delle sue uscite più recenti.
La protagonista di questa storia, che sarebbe troppo semplicistico definire “rosa”, è Benedetta, una fisioterapista di quarantasette anni che vive a Mantova. Benedetta è un’ottima professionista e l’affettuosa madre divorziata di un’adolescente e un preadolescente, Vittoria e Francesco. Da quando era al liceo ha sempre frequentato la medesima compagnia di amici, che non si è mai persa di vista e, all’alba del quarantasettesimo anno di età, si è ritrovata per l’ennesima volta a festeggiare Capodanno a casa del più ricco e viveur di loro, Andrea, con seguito di consorti, figli, nuovi/e compagni/e post divorzio.
Benedetta, tuttavia, non riesce ad essere spensierata. Da qualche mese, grazie ai social, ha ritrovato il suo primo grande amore dei tempi dell’Università, Niccolò, che ai tempi l’aveva lasciata malamente trasferendosi a studiare a Londra e dimenticandosi della “provinciale” Mantova e di tutto quello che la riguardava. Niccolò, proprio come lei, è divorziato ed esausto a causa delle troppe incombenze lavorative e delle difficoltà che la vita adulta porta inevitabilmente con sé. Chattando con lui, Benedetta si isola da una quotidianità davvero pesante, tra un ex marito soggiogato dalla nuova compagna e sempre più assente nella gestione dei figli, la sua primogenita Vittoria che è in piena fase di ribellione, il suo “piccolo” Francesco che è timido e mangia troppo, una madre che sembra più che altro un generale in pensione che non ha mai smesso di dare ordini.
Benedetta ed i suoi storici amici sono ancora in cerca del loro “sabato sera indimenticabile”, come facevano negli anni ‘80, quando sopportavano tutta una settimana di scuola per poi ritrovarsi dalle nove a mezzanotte in uno scantinato dei loro genitori a non fare assolutamente nulla di speciale, se non bere, ascoltare la musica del tempo e chiacchierare di ciò che era successo a scuola, di nuovo.
Per Benedetta il “sabato sera dei sogni” è l’incontro con Niccolò, che, giorno dopo giorno, riaccende la fiamma del loro vecchio amore promettendo un ritorno a Mantova, forse per liberarsi finalmente dal giogo del padre imprenditore e tiranno… forse, stavolta, per sempre.
Mentre, però, la tanto sospirata “svolta che cambierà la vita” si fa attendere, la vita reale subisce dei bruschi scossoni… e degli inaspettati assestamenti. Grazie alla sua forza d’animo ed al suo coraggio, Benedetta si renderà conto che la sua vita adulta, per quanto imperfetta, non è tutta da buttare, non è poi quel mostro da cui fuggire e basta. E, al di là dei sogni che si continuano tenacemente ad inseguire, ciò che fa davvero la differenza è la realtà.
Non perdiamoci di vista è un romanzo che mi ha toccato profondamente perché nella mia mente è stato una sorta di personale “E se…?” Come credo quasi tutti noi, anche io, gli ultimi anni di liceo ed i primi dell’Università, ho condiviso la mia quotidianità con grandi compagnie legate al paese. Anche io ho provato l’attesa per i “grandi sabati sera”, che andavano proprio come quelli descritti nel romanzo, o addirittura per certe vacanze. Poi però… si cresce, si cambia, e si scopre che certe dinamiche che regolano quei gruppi sono ancora piuttosto adolescenziali, e quando qualcosa, in te, ti spinge a diventare davvero adulta, non ne sopporti più neanche mezza, e prediligi poche amicizie ma buone, basate su un sincero interesse, su una vera condivisione.
I protagonisti di Non perdiamoci di vista, invece, hanno fatto una scelta diametralmente opposta alla mia: sono rimasti amici non solo come giovani adulti, ma anche in età matura. Solo che “amici” è davvero una parola grossa.
Federica Bosco è stata molto lucida nel delineare il ritratto di questi quarantacinque-cinquantenni che non hanno affrontato le difficoltà socio economiche dei loro genitori, ma neppure quelle delle generazioni successive (tipo la mia), schiaffeggiate dalla crisi un minuto dopo la laurea. Essi sono diventati “adulti” sulla carta, senza particolari difficoltà nell’inserirsi nel mondo del lavoro e nel diventare indipendenti, ma hanno finito per fare scelte di comodo, come sposare l’unico rimasto single della storica compagnia… o continuare a vedere i medesimi amici dopo decenni, anche se quello che li lega è solo un’infinita sequela di “Ti ricordi che...” e “Come si stava meglio quando...”. In realtà, la compagnia di Benedetta è un gruppo di bambinoni che non esita a tagliarsi i panni addosso quando qualcuno è assente, proprio come si faceva ai tempi delle superiori, e, tra uomini maturi che escono solo con ventenni perché sono milionari e fanno i finti giovani, donne fragili che continuano a scegliere il compagno sbagliato (e sposato) pur di non restare sole, pessimisti cronici che si piangono addosso invece di guardare a tutto quello che hanno, professioniste di bell’aspetto che si rifugiano nella chirurgia e nell’alcool, ognuno ha i suoi problemi.
Paradossalmente, Benedetta imparerà molto dai suoi figli adolescenti e dai loro più cari amici: una generazione precarissima, erede di tante crisi economiche ed esistenziali, sempre connessa e del tutto priva di “sacro timore” per l’autorità, ma in grado di prendere la realtà per quello che è ed accettarla, molto più dei propri genitori.
Un romanzo davvero profondo e ricco di riflessioni, come già altri dell’autrice, con uno stile scorrevole ed ironico come sempre. Ve lo consiglio di cuore!
Il film del mese
Il protagonista di questa storia ambientata a New York nel 1962 è un italo americano di mezza età, Tony Vallelonga, detto “Lip” perché con la sua abilità nel parlare riesce sempre a risolvere le situazioni difficili. Egli lavora come buttafuori nel club di New York Copacabana, ma quando il locale chiude per una ristrutturazione che durerà mesi ha assoluto bisogno di un lavoretto temporaneo per mantenere la sua famiglia.
Dal momento che Tony è anche abile come autista, viene raccomandato per un lavoro on the road: egli dovrà accompagnare il pianista afroamericano Don Shirley in tour negli Stati Uniti del Sud, dove ci sono ancora molti problemi di segregazione razziale. All’inizio i due non si piacciono moltissimo, non solo per i pregiudizi che hanno l’uno nei confronti dell’altro, ma anche perché sono proprio due uomini diversi: tanto Tony è spontaneo, un po’ grezzo, alla buona ed estroverso, tanto Don è colto e raffinato, ma anche chiuso in se stesso.
Nonostante le premesse non proprio favorevoli, i due decidono di fare un tentativo e di provare a sopportarsi, ed il loro viaggio ha inizio.
Tony, che ha sempre vissuto nella democratica New York e non ha mai avuto problemi nella vasta comunità italo americana di cui fa parte, ben presto si rende conto del modo paradossale in cui Don Shirley viene trattato: finché è sul palcoscenico, egli è un divo stimato ed ammirato, ma appena scende, nessuno gli parla e le autorità lo costringono a pernottare negli hotel “per neri”, dove, solo ed impaurito dai possibili rischi, egli passa le serate con una bottiglia di vodka.
Oltre che autista, Tony finisce per essere una sorta di tuttofare per il suo capo: lo salva da situazioni che rischiano di diventare pericolose, facendo sfoggio della sua faccia tosta e della sua parlantina, e raccoglie da lui delle inaspettate confessioni. Don, a sua volta, inizia a vedere il lato migliore del suo compagno di viaggio, come, per esempio, il fatto che sia un marito innamorato ed un buon padre di famiglia, e, giorno dopo giorno, abbandona il suo atteggiamento altezzoso.
Green book è un film che avevo in mente di recuperare da decisamente troppo tempo, e finalmente in questo mese ci sono riuscita. Devo dire che è stato all’altezza delle mie aspettative: una pellicola tratta da una storia vera, che ha raccontato senza molta retorica e senza luoghi comuni la nascita di una sincera amicizia tra due uomini tutt’altro che perfetti e profondamente umani. È un film che tratta tematiche serie, ma, al contempo, è davvero godibile, anche in quelle sere in cui si pensa: “Non ho voglia di guardare qualcosa di pesante o di triste”. Ci sono scene divertenti, il tono resta in bilico tra dramma e commedia senza mai sbilanciarsi troppo, e sono certa che l’evoluzione dei personaggi vi sorprenderà.
So che è un film che forse molti di voi conoscono già… nel dubbio, però, non posso far altro che consigliarvelo!
La musica del mese
Come saggiamente canta Cesare Cremonini in Maggese, “Per qualcuno la prima rosa di maggio è una scoperta...”
Concludiamo il nostro ciclo musicale primaverile, dopo aver parlato di arrivo della primavera in marzo e di farfalle in aprile, oggi ho pensato di proporvi tre brani il cui simbolo, secondo me, potrebbe essere benissimo una rosa rossa.
Per quanto riguarda la musica classica, vi consiglio una delle più celebri arie dell’opera lirica (il pm Manrico Spinori, nato dalla penna di Giancarlo De Cataldo, approverebbe): L’amour est un oiseau rebelle , uno dei brani più famosi della Carmen. Ricordo quando, nel 2007, ne abbiamo messo in scena un piccolo medley con la scuola di danza (una vita fa ormai! Sarebbe ora di riproporla, quando finalmente riusciremo a tornare sul palco…) Io ero una delle “amiche”, mentre una mia compagna, che interpretava proprio Carmen, si è esibita con questo brano come sua variazione, tenendo in mano una rosa rossa. La protagonista è un personaggio passionale, quindi mi è parso appropriato! Allego anche una mia foto di quell'anno, con tanto di rosa (di carta) appuntata ai capelli. Trovate il brano a questo link (interpretazione della Callas).
Proseguendo sull’ondata dei ricordi legati alla scuola di danza, una delle mie variazioni a cui sarò sempre legata è il Tango di Mad Manoush (che trovate qui). L’avevo messa in scena nel 2009, con un po’ di difficoltà nell’interpretare la parte della “donna del mistero/affascinante”, ma con tanto divertimento. Nel 2018, in occasione del 40esimo anno della scuola, l’ho riproposta in una nuova versione un po’ più complicata, con tanto di sfondo su cui campeggiava una rosa rossa.
Ragazzi, che nostalgia delle esibizioni in questo periodo dell’anno… che dirvi, puntiamo all’anno 2021/2022 e restiamo ottimisti!
Non si parla proprio di rose rosse, bensì di abiti fiammeggianti in Red dress della cantautrice country e attrice Lucy Hale, in duetto con il musicista Joe Nichols, un brano che, secondo me, completa bene la nostra rassegna.
Lo trovate a questo link e vi lascio qua sotto un estratto del testo:
Se chiudo gli occhi e immagino che tu sia qui
passerà un po’ di tempo prima che tu sparisca
quindi chiudo i miei occhi, perché l’unica cosa che temo
è svegliarmi un giorno, dimenticando che tu sia mai stato qua
Cara, sei tu, mi ricordo, con il tuo vestito rosso
ballando alla luce della luna fino all’arrivo dell’alba
sei tu, mi ricordo, che danzavi con il tuo vestito rosso
e caro, sei tu, mi ricordo, quando sento quella canzone
che cantavi il ritornello finché la tua voce era sparita
sei tu, lo ricordo, ogni volta che sento quella canzone
La poesia del mese
Per il mese di maggio e per la Festa della Mamma ho pensato di proporvi una poesia che non smette di commuovermi: Preghiera di Giorgio Caproni, scritta in ricordo di sua madre Anna Picchi.
Anima mia
va’ a Livorno, ti prego.
E con la tua candela
timida, di nottetempo
fa’ un giro; e, se ne hai il tempo,
perlustra e scruta, e scrivi
se per caso Anna Picchi
è ancora viva tra i vivi.
Proprio quest’oggi torno,
deluso, da Livorno.
Ma tu, tanto più netta
di me, la camicetta
ricorderai, e il rubino
di sangue, sul serpentino
d’oro che lei portava
sul petto, dove si appannava.
Anima mia, sii brava
e va’ in cerca di lei.
Tu sai cosa darei
se la incontrassi per strada.
Le foto del mese
Come ogni anno a maggio, non potevo non immortalare la macchia di iris nel giardino di casa di mamma e papà!
...è il momento delle fragole! Quelle dell’orto non saranno le più belle del mondo, ma per me sono sicuramente le più buone!
Lo scorso weekend mi sono occupata un po’ delle mie “nipotine pelose”, Dora e Panna… che, come vedete, stanno benissimo e mangiano alla grande!
Questa foto non ha niente di speciale, lo so. Sono io che proietto la mia ombra sul selciato del parco del paese. Però per me significa tanto, perché ne avevo scattata una simile il 30 dicembre (la trovate qui sotto), in un giorno molto speciale . Come tanti di voi sapranno, in questi anni ho lavorato principalmente come supplente, ma, avendo studiato Lettere, ho avuto a che fare soprattutto con i più grandi, e per materie umanistiche.
Quest’anno, per tanti motivi che hanno a che fare soprattutto con la pandemia e con la precarietà, avevo accettato, da ottobre a Natale, di lavorare nella scuola dell’infanzia del mio paese, facendo un lavoro molto diverso dal mio solito. Già questa esperienza mi aveva insegnato molto, soprattutto perché mi avevano assegnato un ruolo di potenziamento un po’ “jolly”, e, quando sono arrivate le vacanze di Natale, ero convinta che prima o poi sarei ritornata alla mia comfort zone lavorativa. All’improvviso, invece, proprio in quel 30 dicembre, ho ricevuto una telefonata in cui mi si proponeva un passaggio da infanzia a primaria, sempre in un ruolo di potenziamento e supporto, fino all’ultimo giorno di scuola. Ho ancora ben presente quella passeggiata, a meno di 48 ore dall’inizio di un 2021 che già si presentava come una grande sfida. Ricordo che ero molto agitata: se alla scuola dell’infanzia avevo già avuto ormai un paio di brevi esperienze (una recentissima ed una nel 2015), la primaria era un mondo completamente sconosciuto per me, soprattutto come organizzazione del lavoro e metodologie didattiche.
Dal 7 gennaio ad oggi, come direbbe il buon Renzo Tramaglino, ho imparato tantissimo: ho fatto moltissime sostituzioni, ho dato supporto agli altri docenti apprendendo un nuovo tipo di insegnamento, ho lavorato con piccoli e grandi, ho insegnato in classe tutte le materie, persino quelle scientifiche (e sinceramente non credevo che avrei mai visto questo giorno), ho accompagnato una quinta al "traguardo" di fine ciclo (e ormai ci siamo quasi) e mi sono messa in gioco anche nel sostegno.
Non è stato facile, anzi, è stato spesso impegnativo e complicato. Ma l’altro giorno sono tornata al parco cittadino dopo qualche settimana che non ci passavo e vedere un’esplosione di verde mi ha fatto ripensare a quando tutto era innevato ed io ero piena di dubbi. Ed allora non ho avuto più voglia di pensare alle ultime incombenze scolastiche ed alla stanchezza che mi porto dietro da ormai qualche settimana, e mi sono concentrata soltanto su ciò che, alla fine, conta davvero: quanto tempo effettivamente è passato, quanto impegno ci ho messo, quanto questa esperienza mi ha davvero cambiato… e in meglio.
Una durissima palestra, quest’anno, anche per via della pandemia, della quasi totale assenza di svaghi, della difficoltà nel vedere le persone care. Ma, come direbbe la mia amata Taylor Swift, ormai mancano otto giorni e non dire che sei troppo stanca per combattere, è solo una questione di tempo, laggiù c’è la linea del Finish, quindi corri, e corri, e corri.
Ecco il mio maggio “in breve”!
Per il mese di giugno ho in cantiere una sorpresa, un piccolo progetto al quale finora non mi ero mai dedicata. Non so che cosa ne verrà fuori, un po’ perché si tratta di qualcosa di nuovo e un po’ perché, come vi ho detto, sono piuttosto stanca. Però proviamoci…! Personalmente adoro questo periodo dell’anno a cavallo tra primavera ed estate, e spero tanto che la bella stagione porterà buone notizie a tutti noi.
Nel frattempo vi ringrazio tutti per l’interesse che continuate a dimostrarmi!
Grazie per la lettura, ci leggiamo in giugno :-)