lunedì 30 novembre 2015

RISATE AMARE E LACRIME DI GIOIA

"Il grande dittatore" va in scena al Teatro Carcano

 

Molti di voi hanno probabilmente già letto la mia recensione relativa allo spettacolo “L'Ulisse”, in scena al Teatro Carcano di Milano tra ottobre e l'inizio di novembre. 
 

La stagione 2015 – 2016 del sopracitato teatro non potrebbe essere più varia: ad una rappresentazione completamente dedicata ai classici ed al mondo forse perduto dei poemi omerici ha fatto seguito, infatti, una messa in scena ambientata in pieno XX secolo ed ispirata ad uno dei capisaldi della cinematografia di quegli anni: “Il grande dittatore”, di e con Charlie Chaplin.


L'adattamento e l'interpretazione di Massimo Venturiello, unito all'energia appassionata di Tosca, danno nuovamente vita ad un capolavoro mai dimenticato.

Ecco perché, secondo me, è un'ottima idea sfruttare una delle prossime serate per andare al Teatro Carcano.





Il grande dittatore” è… musicale! 

A dispetto delle tematiche trattate, di una serietà estrema, la leggerezza di fondo di quest'opera si esprime in modi inaspettati e creativi.
 

La musica è, infatti, un elemento principe della rappresentazione, e lo spettatore se ne accorge subito. Fin dall'inizio vi è una forte contrapposizione tra gli ebrei e le guardie armate del dittatore, ed entrambi i gruppi hanno musica, canzoni, perfino mosse di ballo proprie. 
 

Impeccabili le voci dal vivo (in modo particolare quella di Tosca).





Il grande dittatore” è… scenografico nella sua semplicità!  

Sul palcoscenico troneggiano dei cubi e dei parallelepipedi di colore grigio, intervallati da scale al centro. Nel primo tempo della rappresentazione, basta l'aggiunta di alcune vetrate per richiamare il ghetto ebreo, nella sua povertà ed essenzialità.


Tra il primo ed il secondo tempo, però, alcune parti della scenografia (e dunque del ghetto) vengono bruciate dall'esercito del dittatore, e non in modo casuale.


È allora, infatti, che lo sfondo del secondo tempo assume i contorni inquietanti di una svastica nazista.

Essa non sarà più visibile solo e soltanto quando il barbiere ebraico protagonista farà il suo discorso finale.





Il grande dittatore” è… comico! 

Moltissimi sono i momenti divertenti, a partire dalla rissa tra il barbiere, l'amica Anna e le guardie (un omaggio alla commedia slapstick), passando per i siparietti tra i due ebrei nel ghetto (classico confronto tra ottimista e pessimista) fino ad arrivare alla caricatura delle “camicie grigie” (semplici burattini nelle mani del dittatore).


Notevoli sono le caratterizzazioni dei personaggi dei due dittatori, i quali incarnano, rispettivamente, due tipologie (il folle megalomane ed il maleducato ignorante) che nessuno spettatore faticherà ad associare ai più famosi dittatori del XX secolo.


Durante lo spettacolo, dunque, si ride, anche se è facile immaginare quanto amare possano essere queste risate.





Il grande dittatore” è… pieno di speranza!  

Il discorso finale del barbiere ebraico protagonista, erroneamente scambiato per il dittatore, è di un'attualità quasi sconcertante.


Il messaggio che egli vuole trasmettere mira soprattutto all'unità, non solo di una nazione, quanto di tutto il genere umano.


È così che, in seguito ad una serie di amare risate, nascono spontanee delle lacrime, questa volta di gioia, perché questo spettacolo insegna che nessun impulso coercitivo e distruttivo può soffocare il desiderio umano di libertà e di pace.






Lo spettacolo resterà al Teatro Carcano fino a 6 dicembre!

Spero di avervi interessato ed incuriosito.

Grazie per la lettura e per l'attenzione!


Come sempre, se vi va, sentitevi liberi di lasciare un commento nello spazio sottostante.

A presto!

sabato 21 novembre 2015

TRA GIARDINI PERDUTI E BANCHETTI TERMINATI

Un giro alla mostra "Mito e natura"

 

 

Come avrete capito dal titolo, il post di oggi riguarda, ancora una volta, una mostra a Palazzo Reale. 
 

Sarà che spesso di giovedì ho una lunga pausa prima di consigli di classe/riunioni/colloqui, sarà che le sale ampie e silenziose del Palazzo mi conquistano ogni volta, sarà che, in definitiva, le proposte di questi mesi sono davvero eccezionali… fatto sta che mi sono ritrovata a vedere “Mito e natura”. Si tratta di una mostra piuttosto agevole da girare, e non particolarmente lunga, ma ricca di particolari e di spunti interessanti.


In particolare, mentre mi aggiravo da una stanza all'altra, ho pensato che…





...dovremmo proprio imparare dagli antichi come si organizzano le occasioni mondane!  
Piatti da pesce, anfore per l'acqua, crateri per il vino, coppe (sempre per il vino) quando gli ospiti sono un po' meno, posate, piatti da portata e tutto quello che ci può suggerire la fantasia: già nel IV- III secolo a.C. i nostri predecessori non si facevano mancare nulla. 
 

Si parla spesso di come e quanto gli antichi ci abbiano insegnato ad apprezzare il valore della parola e della scrittura, l'importanza di studiare quel che ci circonda ed alcuni valori di base della civiltà. 
Tutto verissimo e indiscutibile; perché, però, non spendere due parole in più sulla loro straordinaria ospitalità e sulla loro capacità di allestire banchetti?!?





gli antichi Greci e Romani erano così geniali da poter dare a se stessi ed agli altri l'illusione di un giardino fiorito anche in pieno Dicembre.  
Sono rimasta davvero colpita nel trovarmi di fronte, in una delle sale della mostra, alcuni resti di muri provenienti sicuramente da ricche ville. Su di essi era dipinto, con una fantasia ed un realismo impressionanti, un giardino, completo di foglie, felci, piccoli uccelli e perfino fili d'erba. 
 

È incredibile che qualcosa che è stato riprodotto più di due millenni fa possa scaldare il cuore e far immaginare la primavera anche in pieno Novembre, no?





una delle più importanti (e trascurate) lezioni che ci hanno dato gli antichi è quella di praticare un coraggio quotidiano. 
Nell'ormai lontano mondo dei Greci e dei Romani, moltissimi erano i momenti in cui si rischiava la vita.

La si poteva perdere commerciando, per terra e per mare; oppure ammalandosi mentre si stava tutto il giorno nei campi, con qualsiasi clima; o, ancora, in guerra, perché i conflitti erano continui. 
 

La mostra mette in evidenza in modo impietoso quanto il confronto tra uomo e natura, al tempo, fosse impari.

Gli antichi, come dei Giacomo Leopardi ante litteram, hanno dovuto davvero dimostrare tutto il loro eroismo per tenere testa ad una natura crudelmente matrigna.





tuttavia, non c'è da preoccuparsi, perché passare dalla vita alla morte è semplice ed indolore come un tuffo!  
Su un sarcofago di pietra è dipinta l'immagine di un uomo (probabilmente il defunto) che, staccando i piedi da una costruzione (forse la porta dell'aldilà) si tuffa con grazia in una piscina. 
 

Questa immagine mi ha colpito perché, nel momento in cui l'ho vista, non ho pensato alla simbologia che ho appena descritto, bensì a tutt'altro. Mi è venuta in mente la posizione sociale altolocata del protagonista della scena, il mite clima mediterraneo, l'estate ormai lontana… è stata la didascalia a ricordarmi che, in effetti, la scena rappresentata è l'omaggio a qualcuno che non c'è più.

Sfido chiunque a rappresentare un tema simile con tanta leggerezza…!





tra tutte le straordinarie donne del mito classico, il vero esempio da seguire è Arianna! 
Chi mi conosce bene sa che ho dedicato una grossa parte dei miei studi alle donne dell'antichità greca, a partire dal mito, passando per il poema epico, fino ad arrivare al teatro. Ho scritto un po' su Medea, un po' su Ifigenia, molto su Elettra, moltissimo sulla triade Penelope-Circe-Calipso.

Tuttavia, mentre osservavo alcune coppe dipinte, mi sono resa conto che potrei aver sbagliato tutto.

In questi anni, infatti, ho trascurato una figura di tutto rispetto: Arianna.


Questa ragazza, dopo aver aiutato Teseo, l'uomo di cui è innamorata, a sconfiggere il Minotauro ed a fuggire, si ritrova abbandonata in mezzo al nulla proprio dal suo (non così) grande amore. Che fa, allora? Piange tutte le sue lacrime attendendo il suo ritorno? Medita di incendiare il velo dell'amante del suo ex uomo? Si butta giù da una torre o sceglie qualunque altro “onorevole” suicidio? Ma quando mai!


Se la cava da sola, ecco tutto. Finché un giorno non passa di lì l'ultima persona che si sarebbe aspettata: il dio Dioniso. Completamente diverso dal suo “solito genere” di uomo (Teseo, in quanto eroe, era sicuramente un po' più composto e determinato), ma divertente e sempre pronto a fare festini a base di cibo e vino con lei dalla mattina alla sera. Ed allora, perché non ricominciare?


Ecco, io potrei sbagliarmi, ma credo che noi donne, all'occorrenza, dovremmo essere tutte un po' come Arianna.





l'epoca classica fa sempre venire nostalgia. Anche se non la si è vissuta. Conclusione forse un po' scontata, ma inevitabile. Per fortuna ci sono mostre come questa a tenere sempre aperte le porte dei sogni.




La mostra è a Milano fino al 10 gennaio. Spero che le mie riflessioni vi abbiano incuriosito ed interessato.

Altrimenti, spero che la visita della mostra susciterà in voi altre idee. 
 

Grazie, come sempre, a chi ha letto fin qui!

domenica 8 novembre 2015

CASA DI BAMBOLA

Un po' di chiarezza sul femminismo e sulla condizione della donna

Le donne della letteratura e la figura paterna #1



Cari lettori,

molti di voi sanno che, in questo blog, cerco di mantenere quasi sempre un tono pacato ed obiettivo. Alcune volte, tuttavia, mi è davvero difficile non arrabbiarmi.



In questi giorni ho scoperto – con mio grande orrore – una piccola collezione di pagine Internet, purtroppo gestite da donne (o almeno, così sembrerebbe), le quali si dichiarano portatrici di “idee controcorrente”. In queste pagine ho trovato un'esaltazione assurda della società patriarcale e del maschilismo, una serie di accuse infondate rivolte al femminismo, una visione distorta della condizione della donna nella storia ed anche parecchia omofobia.



 

Agghiacciante, vero?

Non so voi, ma io mi sono spaventata di più leggendo questa roba che vedendo il mostro che salta fuori dal cassonetto nel film Mulholland Drive.



Mi ha confortato vedere che queste pagine sono frequentate anche da tante persone di buonsenso che intervengono cercando di far ragionare queste… come chiamarle? Signore convinte di vivere ancora nel Medioevo?



Tuttavia, per quanto gli adepti (e, ahimé, le adepte) di queste discutibili teorie non siano tantissimi, per essere l'inizio del XXI secolo non mi sono parsi nemmeno pochi. 

 

Quindi ho deciso di scrivere semplicemente la mia opinione, e di farlo un po' come faccio sempre su questo blog: chiamando in causa i grandi della letteratura e della cultura. Questa volta la mia scelta è ricaduta sul drammaturgo norvegese Henrik Ibsen.






Quando, a 17 anni, ho letto “Casa di bambola” per la scuola, non mi rendevo conto della portata di quest'opera. Ricordo di aver aperto il libro durante un'ora buca, per portarmi avanti con i compiti.
Il supplente che avevamo per quell'ora ha visto il volumetto ed ha detto “Ah! Casa di bambola! Una lettura importantissima! Assolutamente formativa per le ragazze della tua età!”

Continuando a far scorrere le pagine, mi sono resa conto che il professore aveva ragione. 


 

È ancora adesso uno dei miei testi preferiti. Credo di averlo letto sei, forse sette volte. Ed adesso vi spiego perché non mi stanca mai.





Nora è una giovane donna, moglie e madre di tre figli. Le sue giornate scorrono tranquille, tra un ricamo ed un gioco con i bambini, tra un giro per negozi ed i dolcetti che ama tanto. Questa, per lei, è la miglior vita possibile.

Non si accorge del fatto che il marito non la ami davvero, anzi, la tratti in modo paternalistico, come una sorta di grazioso soprammobile.

Non si rende nemmeno conto del fatto che le sue amiche non la stimino, perché la ritengono poco più che una bambina. L'unico che si preoccupa veramente per lei è un medico, amico di famiglia, ovviamente innamorato di lei, fatto al quale lei non pensa nemmeno fino alla confessione di lui.




Quella di Nora, tuttavia, è una maschera. 
Ella, infatti, ha realmente compiuto, almeno una volta, un gesto coraggioso ed altruista: alla morte del padre, ha falsificato la firma del marito su una cambiale, in modo da poter avere più denaro proprio per la salute di quest'ultimo.

Il suo segreto, però, rischia di essere rivelato da Krogstad, un funzionario della banca, che minaccia di denunciarla. Nora cerca il più possibile di farlo tacere, ma, quando suo marito viene a conoscenza della situazione, invece di ringraziarla per aver pensato alla sua salute la ricopre di insulti, preoccupato che la reputazione della famiglia venga infangata.



Una notizia, infine, giunge inaspettata: Krogstad non sporgerà denuncia, perché persuaso da Linda, un'amica di Nora con cui ha riallacciato una vecchia relazione.

Il marito di Nora sembra disposto a “perdonare” la donna: in fondo, dal suo punto di vista, tutto è risolto.




Purtroppo (o per fortuna) per Nora le cose non stanno più così. Questa vicenda, infatti, le ha fatto aprire gli occhi sulla sua condizione di servile “bambolina” del marito e sulla sua posizione ingiustamente subalterna rispetto a tutti gli uomini della sua vita, dal padre allo sposo.

Senza alcun rimpianto, Nora esce sola dalla porta di casa, sbattendosela dietro, decisa a non rivedere mai più chi le ha fatto del male ed a costruirsi una nuova vita.






Sicuramente non basta il mio breve riassunto per rendere pienamente la complessità di questo capolavoro.

Tuttavia, penso che sia evidente come quest'opera ci mostri alcune importanti verità.


Innanzitutto, non c'è amore all'interno di una coppia nella quale non ci sia parità e stima reciproca. Se l'uomo desidera la donna “sottomessa” a lui, il suo non è amore, bensì egocentrismo (unito ad una buona dose di insicurezza patologica).



Poi, la violenza domestica esiste, eccome, e le statistiche non sono affatto falsate, perché l'esistenza di tante famiglie felici non fa scomparire dalla faccia della Terra quelle all'interno delle quali si compiono abusi. Forse, poi, il tipo di violenza più diffuso non è tanto quello fisico, bensì quello psicologico (il “lavaggio del cervello”, in parole povere), del quale, spesso, le vittime non si rendono conto per molto, molto tempo.



Inoltre, essere femministe (e femministi, perché esistono anche tanti uomini che lo sono!) significa semplicemente desiderare pari diritti per l'uomo e per la donna, e lottare ogni giorno perché non esistano più donne come Nora, terrorizzate all'idea di fare una semplice firma in banca, né uomini come suo marito, a loro volta spaventati a morte dall'idea di avere una cattiva reputazione e di non essere considerati “abbastanza maschi”.



E sì, se noi donne possiamo studiare, lavorare, scrivere blog e aprire pagine su Internet è grazie a tante “Nora” che hanno rischiato tutto in nome dei sacrosanti diritti della donna. Se fosse stato solo per l'andare della storia e della cultura saremmo ancora tutte analfabete e chiuse in casa a fare la calza con la convinzione che non ci sia alternativa.



Infine, qualsiasi tipo di relazione renda felici le persone in essa coinvolte va capita ed accettata. In fondo, Linda e Krogstad non sono due personaggi molto apprezzati, ma è proprio il loro amore apparentemente sconclusionato a liberare Nora, no?!?






Ecco quello che ha cercato di insegnarci Henrik Ibsen.


Correva l'anno 1879, e gli spettatori abbandonavano il teatro, sconvolti dalla modernità di questa rappresentazione.


Siamo quasi in fondo al 2015. 
 

Forse è il caso di restare in quel teatro e di ascoltare.