Lo spettacolo al Teatro Carcano
Cari lettori,
sono sempre felice di potervi proporre i miei “Consigli teatrali”, specie se, come oggi, si tratta di un grande ritorno!
Il Teatro Carcano è un “vecchio amico” di questo blog. I primi anni di questo spazio hanno visto un buon numero di recensioni teatrali, tante delle quali riguardanti proprio questo teatro e spesso gentilmente repostati sui social dalla vecchia direzione artistica.
Sono riuscita a frequentarlo abbastanza regolarmente fino all’arrivo del Covid, poi… lo sappiamo, tante cose sono cambiate. Sono tornata con gioia esattamente tre anni fa, alla fine del 2021, per "Gli innamorati" di Carlo Goldoni, e poi non più fino all’altra domenica, purtroppo. Si sono messi di mezzo tanti fattori, lavorativi e non: fatto sta che il 3 novembre sono felicemente tornata in questo luogo culturale che sempre mi sarà caro per La coscienza di Zeno.
Ero molto curiosa di scoprire come sarebbe stato portato sullo schermo, in soli 100 minuti, un grande classico della letteratura del Novecento, ricchissimo di storie da raccontare, personaggi da conoscere meglio e considerazioni profonde. Secondo me la trasposizione è stata ottima… ma ve lo racconto meglio!
Lo spettacolo
L’attore principale sulla scena è Alessandro Haber, quasi sempre seduto alla sinistra del palco, vicino agli spettatori. Egli interpreta la Coscienza, ovvero quello che il protagonista, Zeno Cosini, scrive nel suo diario, redatto per ordine del dottor S – il suo psicanalista -, con il quale i rapporti si sono guastati. L’autore immagina che sia proprio il dottor S a pubblicare le memorie di Zeno, con l’intento di fargli un dispetto.
Oltre ad Alessandro Haber, altri dieci attori sono sulla scena ad interpretare i vari personaggi del dramma, tra cui Zeno Cosini giovane, che “interpreta” le parti dettate dalla Coscienza. Qualche volta, però, la Coscienza stessa si sovrappone al suo Io più giovane e recita in prima persona.
Il grigio domina la scena: gli attori sono vestiti in varie sfumature, non ci sono oggetti oltre a delle sedie tra il grigio scuro ed il nero e delle pesanti tende dello stesso colore sembrano abbracciare il palco. È proprio su di esse che viene proiettata una scenografia digitale: talvolta degli interni, altre volte dei paesaggi (la luna sul mare è uno dei più presenti), o ancora una pioggia scrosciante con tanto di rumore.
Questa scenografia digitale ha al centro un medaglione rotondo che sembra porre l’attenzione, di volta in volta, su quella che è la principale preoccupazione che il protagonista ha in quel momento: le persone che lo sbeffeggiano o che lo giudicano, le parole più significative che scrive sul diario, l’occhio del dottor S che pare guardarlo dentro sempre più.
Sembrerebbero le premesse per un dramma, eppure lo spettacolo si rivela esattamente come il libro, e non calca la mano sulla sofferenza, ma ci spinge a riflettere sulla condizione umana da più punti di vista.
La storia raccontata
Zeno Cosini non vuole scrivere una vera e propria autobiografia, ma vuole raccontare al dottor S quali sono state le problematiche principali della sua vita, quali gli ostacoli che di volta in volta lo hanno messo alla prova.
I primi capitoli sono i vizi della gioventù: il fumo, che non riuscirà mai ad eliminare nonostante i suoi costanti tentativi di finire “l’ultima sigaretta”; il complesso di Edipo, tra l’amore per una madre schietta e pratica che se n’è andata troppo presto ed un padre severo ed autoritario che ogni volta che cerca di parlare con lui finisce per sgridarlo, anche da adulto; la morte del padre, che durante le ultime convulsioni dà uno schiaffo a Zeno, ovviamente accidentale, ma freudiano.
Il cuore dell’opera è la storia sentimentale e matrimoniale di Zeno, deciso a sposarsi con una delle quattro figlie del dottor Malfenti, un socio in affari che egli vede come una sorta di nuovo padre. Innamoratasi di Ada, molto bella ma caratterialmente difficile (proprio come lui), Zeno finisce per sposare Augusta, per la quale non prova sentimenti travolgenti, ma che è la donna giusta per lui per un semplice motivo: come la madre è buona e paziente, onesta e pratica. Non si arrovella su qualunque cosa come il protagonista, ma prende in considerazione quel che le si para davanti ogni giorno e agisce di conseguenza. Nel romanzo Zeno discute molto sulla “salute mentale” sua e di Augusta, mettendo in luce i pro ed i contro di entrambi i modi di vedere la vita, ma fatto sta che il loro matrimonio si rivela felice, così come l’arrivo dei due figli.
L’unica macchia sul matrimonio è costituita dalla relazione di Zeno con Carla, una cantante povera ed in difficoltà familiari. Sia nel romanzo che nello spettacolo, però, è chiaro come Zeno voglia un’amante solo per status, perché “tutti ce l’hanno”, e perché averla gli darebbe la possibilità di essere utile economicamente a qualcuno. Tant’è vero che, quando Carla riceve una promessa di matrimonio, lui la lascia andare senza rimpianti, con tanti auguri ed un’ultima busta di soldi (ci rimane un po’ peggio lei, in effetti).
La maturità di Zeno Cosini è dedicata soprattutto alla sua progressione di carriera. Egli inizia a lavorare per il marito di Ada, il cognato Guido Speier, e da impiegato diventa presto socio: quello che era stato accolto come il salvatore dei Malfenti si rivela in pochi anni un uomo irresponsabile, infedele e fragile, tanto che le donne della famiglia finiscono per fare affidamento su Zeno, specie dal momento in cui Guido fa un’infelice fine.
L’ultima parte del diario è dedicata alla psicoterapia, al litigio con il dottor S e ad alcune fosche previsioni sul futuro, suscitate dai cupi pensieri che la Prima Guerra Mondiale ha portato con sé.
L’esistenza di successo di un “inetto”
La prima cosa che si apprende quando si studia Italo Svevo e La coscienza di Zeno è il fatto che il protagonista di questo romanzo sia il prototipo dell’ “inetto”, ovvero di colui che si sente costantemente inadatto alla vita, incapace di far fronte ai problemi dell’esistenza e soprattutto alle responsabilità dell’età adulta.
Egli colleziona molti errori: prende un vizio poco salutare e non riesce a mantenere i buoni propositi di smettere; gira di facoltà in facoltà senza prendere una laurea ed entra nel mondo del lavoro grazie agli affari paterni ed all’amministratore Olivi, a cui il genitore ha affidato la gestione dei beni; si innamora di un’illusione con Ada e finisce per ripiegare su Augusta senza neanche essere un corteggiatore troppo galante; in un momento pensa addirittura di fare del male all’eterno rivale Guido, senza ovviamente riuscirvi; litiga con il suo psicanalista perché non riesce a guardare in faccia i suoi difetti.
Eppure, zitto zitto (insomma… a modo suo), poi, alla fine, riesce a riscuotere dei successi: entra nelle grazie di un uomo d’affari come Malfenti che lo vede subito come un figlio; mette su una famiglia felice, dove per sua stessa ammissione “non si soffre affatto”; salva l’azienda dalle manovre sbagliate di Guido; dà un lieto fine persino a Carla, mentre tanti altri uomini della sua condizione finiscono per rovinare socialmente le loro amanti.
Non so, mentre assistevo allo spettacolo pensavo che, premesso l’ovvio, e cioè che quest’opera viene studiata nelle scuole da sempre e per vari motivi, questo specifico esempio di “inetto che ce la fa” è un messaggio molto utile e importante da trasmettere ai ragazzi di oggi.
Mi sembra che la società odierna, che nega molte situazioni disperate mascherando con “flessibilità e competitività” quella che è una lotta sempre più dura per un posto dignitoso nel mondo, e che apre la strada alla precarietà di tanti rapporti, alla loro fallibilità ed a tante dinamiche in stile “uso e butto”, stia propagandando un modello che non funziona. Mi spiego meglio: troppi ragazzi (ma anche adulti, mi metto in mezzo anche io) hanno l’idea che un solo sbaglio rovinerà a valanghe tutto, che un singolo errore indichi aver fallito tutto e in tutta la vita, che il loro sentirsi soli e non apprezzati sarà una condanna eterna. Da qui i tanti problemi di depressione ed ansia già adolescenziali, acuiti da un confronto con gli altri che risulta sempre fallimentare.
Zeno insegna che, come diceva anche Beckett, bisogna “provare meglio, fallire meglio”, e che la vita non è finita… finché è finita, e vale la pena di andare fino in fondo.
“La vita non è né bella né brutta: è originale”
Altro insegnamento molto, molto attuale.
Non c’è solo la bella vita, quella che ultimamente vediamo soprattutto sui social; ed anche nei periodi più bui non è detto che tutto vada male.
La vita è “originale”, e come tale ti sorprenderà sempre. Ecco, io credo che Italo Svevo qui si riveli non solo un grande pensatore, ma anche in linea con la psicologia tradizionale, quella che insegna che non tutto dipende da noi (per fortuna!) ed a volte dobbiamo solo accogliere gli eventi, da quello meraviglioso a quello tremendo, ed agire di conseguenza.
Negli ultimi anni mi sembra che i validi studi di psicologia e psicoterapia abbiano ceduto il passo a discutibili filosofie new age che cercano di convincere ognuno di noi che “tu puoi creare la tua realtà” e “se lo pensi accade”. Ecco, scusate se mi tolgo questo sassolino dalla scarpa, ma secondo me no, neanche per sogno. E non è forse meglio così?
D’altra parte, chi dei protagonisti de La coscienza di Zeno, appartenente ad una classe sociale che – a parte gli alti e bassi inevitabili – stava più che bene, e si considerava parte di un’Europa evoluta, avrebbe potuto immaginare un conflitto mondiale?
Lo diceva anche un mio professore dell’Università: “le illusioni della Belle Epoque bruciano durante la Prima Guerra Mondiale, e tantissimi non l’avevano vista arrivare”. Eppure è successo… un’altra – orribile – originalità della vita, come dice Zeno. C’è un’unica frase, al termine del romanzo e dello spettacolo, che secondo me potrebbe essere considerata una sorta di profezia, ma la lascio come sorpresa per chi non lo sa.
Ho visto lo spettacolo l’ultimo giorno disponibile, domenica 3 novembre, quindi purtroppo non posso invitarvi ad andarlo a vedere al Carcano!
Credo però che la rappresentazione farà il giro di altre città d’Italia, quindi vi consiglio di dare un’occhiata, se vi interessa :-)
Nel frattempo fatemi sapere se vi ho incuriosito, se magari avete letto o studiato il romanzo e che cosa ne pensate.
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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