lunedì 20 maggio 2024

IL PADRE DELLA DANZA

 Spazio Scrittura Creativa: maggio 2024




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di maggio con la rubrica “Spazio Scrittura Creativa”!


Oggi riesco finalmente a proporvi qualcosa che per me è molto speciale. Senza dirvi niente… all’inizio di marzo ho lavorato ad un piccolo progettino “dietro le quinte”. Un po’ last minute, infatti, ho deciso di partecipare al concorso letterario Scintilla, indetto dal Comune di Cassina De’ Pecchi, vicino al mio Cernusco sul Naviglio. Il tema era libero, anche se c’era un richiamo alla “scintilla” che accende la creatività di scrittori ed artisti in generale.


Il mio racconto è nato dopo un’illuminazione che ho avuto visitando la mostra Rodin e la danza al Mudec di Milano (a questo link la recensione). Chi ha già partecipato ai concorsi letterari sa che ci sono tante emozioni in gioco, ma i giorni della creazione e dell’invio sono stati davvero un momento felice.


Ad un paio di mesi di distanza, è arrivato il responso! Purtroppo – o per fortuna, visto che non ero sicura che avrei partecipato – per questa volta ho portato a casa solo la medaglia di partecipazione, che è comunque un bel ricordo. Se vi interessa vedermi in veste di vincitrice, vi rimando a questo link per il concorso della Bbc a cui avevo partecipato nel 2018.


C’è un vantaggio, però! Visto che questo racconto non è finalista e la pubblicazione non farà parte del libretto comunale, posso condividerlo con voi!


La mia storia si intitola il padre della danza e… adesso è fuori dal cassetto, è anche vostra!



Il padre della danza



Parigi, 10 luglio 1906


Avevo sentito raccontare tante storie su questa città. Favole, forse leggende, riportate da tante ballerine come me. Pensavo di essere preparata a conoscere Parigi e credevo che questo viaggio non avrebbe avuto segreti per me. Mi sbagliavo.


Mi avevano detto di prepararmi ad un caldo, nel pieno dell’estate, diverso da quello a cui ero abituata. Invece stasera una brezza piacevole porta la serenità della notte e, se non fossimo costrette a restare in camerino per non rivelare i nostri costumi, sono sicura che qualcuna di noi sarebbe già uscita su quel magnifico balconcino in ferro battuto. Mi avevano anche presentato la città come frenetica e mai addormentata, ma qui, dall’alto, vedo solo grandi viali alberati, persone minuscole ed un’infinità di luci che dovrebbero far pensare alla vita mondana ed ai suoi pericoli, ed invece a me trasmettono tanta sicurezza, quasi un senso di pace.


A casa mia, in Cambogia, i villaggi sono isolati, immersi nella natura. Si può fare affidamento su poche persone, che diventano tutto il tuo mondo. Mi sembra incredibile immaginare che migliaia e migliaia di sconosciuti possano vivere insieme in una grande città e dare vita a qualcosa di così armonioso. Ho studiato qualche parola di francese prima di venire qui, ma stasera, con il naso appiccicato contro il vetro, con il mio costume da scena, credo che non riuscirei ad esprimere la mia meraviglia nemmeno nella mia lingua.


Mi chiamo Roa e sono una ballerina della corte reale. Non ho passato tutta la vita nel villaggio dove sono nata, conosco già la vita a palazzo e le esistenze luccicanti dei potenti, eppure né io né le mie compagne di ballo abbiamo mai visto qualcosa di simile.


Il teatro è gigantesco, i camerini sono più grandi del nostro palcoscenico a casa. Il cartellone degli spettacoli è fittissimo e non riusciamo a credere di essere proprio noi l’attrazione principale di quest’anno.


Ci esibiamo in due pezzi, la Danza dei ventagli e la Danza delle farfalle. Non sono brani facili. Innanzitutto, oltre agli abiti finemente decorati e ricchi di laccetti che rischiano di incastrarsi ovunque, c’è il nostro copricapo, che fa sempre colpo sul pubblico, soprattutto su questi occidentali abituati a minuscole figurine in chignon. Eppure nessuno sa quanto sia difficile portare sulla testa un cappello del genere: già è complicato eseguire delle coreografie con qualcosa che deve stare fermo sul capo, figurarsi se quel qualcosa è in oro e con pietre preziose. Quindi dobbiamo stare attente ad inclinare la testa solo fino ad un certo punto, e poi ci sono i ventagli che vanno aperti e chiusi al momento giusto, i copridita e le lunghe ali che applichiamo dietro le braccia e che ci rendono farfalle, la coordinazione di mani e piedi, tutti i passi da ricordare. E mentre facciamo tutto questo non dobbiamo scordarci di sorridere, perché il pubblico vuole questo, giusto?


Eppure è la mia vita. Probabilmente sorriderei anche con dei pesetti di ferro attaccati ad ogni singolo dito del piede. Sono una ragazza di soli diciott’anni e il mio lavoro come ballerina mi impedisce di avere un marito ed una famiglia mia, ma credo di aver imparato molto sull’amore grazie alla danza. Il sentimento forte che provo ogni volta che salgo sul palco mi ha consentito di superare alcune mie grandi paure.


Le preoccupazioni nel lasciare la mia famiglia ed il mio villaggio per danzare alla corte del re. L’autentico terrore che mi ha preso nell’attraversare l’Asia e mezza Europa con mezzi a me finora sconosciuti per arrivare qui a Parigi. Quei due minuti di paura che mi paralizzano prima di salire sul palco ed invece si rivelano sempre, puntualmente, l’anticamera del Paradiso.


Anche stasera è giunto il momento di diventare prima una modesta portatrice di ventaglio e poi una bellissima farfalla.


* * *


Una brava ballerina supera la paura di quel buio ignoto, quell’oscurità brulicante dentro alla quale si nascondono gli spettatori. Qualche volta però il buio è di conforto: si sa che qualcuno c’è, ma non lo si vede in faccia.


Invece questa sera le luci sul palco erano molto forti, quelle in platea soffuse, e così ho potuto vedere gli spettatori delle prime file. Ho dato solo un’occhiata veloce, perché basta un attimo per distrarsi… e stavolta davvero stava per succedere.


Solitamente gli uomini ci osservano in gruppo, commentano, a volte giudicano. I più felici di assistere al nostro spettacolo sono i giovani, quelli che qui in Occidente chiamerebbero “uomini di mondo”. Quello spettatore, invece, aveva sicuramente cinquant’anni, per non dire sessanta, e se ne stava in disparte. Aveva una barba lunga, gli occhiali, un vestito che forse aveva visto giorni migliori, e sembrava animato da un sincero interesse.


Come al solito sono l’ultima ad avviarmi verso il camerino. Quando l’esibizione finisce a volte resto lì, tra parquet e sipario, un po’ persa ed un po’ ammirata, incredula che sia di nuovo tutto finito, che ancora una volta la danza abbia compiuto la sua magia. Senza nemmeno accorgermi di dove sto andando, all’improvviso mi trovo di fronte proprio lui, lo spettatore misterioso.


Sembra voler parlare con me. Mi dice scusa se disturbo nella mia lingua, e capisco che ha imparato queste parole, che sperava di incontrare una di noi. Poi si batte il petto e ripete: “Rodin, R-O-D-I-N.” Strano nome, ma non tanto più complicato del mio. A mia volta mi indico e sillabo lentamente: “Roa, R-O-A.”


Solo ora mi accorgo che Rodin ha con sé un voluminoso bagaglio. Sembra una cartella da cui fuoriescono tanti fogli. Un nastro con una matita chiude il plico. L’uomo segue il mio sguardo, osserva a sua volta le carte, forse non sa bene come presentarsi. “Un momento, per favore” dice infine nella sua lingua, lentamente, indicando un disimpegno a metà strada tra l’uscita del palco ed il camerino.


Esito. Tutti quanti ci hanno messo in guardia dagli uomini occidentali. E di sicuro tra poco qualcuno verrà a chiamarmi. Però basterebbero pochi minuti. Rodin potrebbe davvero essere mio nonno, mi sembra gentile, e di sicuro un malintenzionato non mi proporrebbe una stanza senza porta. Così lo seguo.


* * *


Come immaginavo, Rodin è un artista, e vuole provare a disegnare il mio costume.

S-C-U-L-T-O-R-E”, ripete, ma è una parola troppo difficile per me, e lui non sa come si traduca in cambogiano. Così mima delle forme in aria con le mani, ed io comprendo che non crea dipinti, bensì sculture. Da come muove la matita sul foglio, però, mi sembra abile anche nella pittura.


Più a gesti che a parole, Rodin mi chiede di mettermi in posa. Non mi è mai successo in tutta la mia vita e non so bene che fare, ma provo prima a replicare la posa finale dei Ventagli e poi quella iniziale delle Farfalle, e lui sembra entusiasta.


La mano scorre veloce sul foglio, la matita sembra creare magie. Rodin è concentrato sul suo lavoro, poi, all’improvviso, alza gli occhi. Il suo sguardo ride, pare quasi che egli voglia fare conversazione.

Amo danza!” mi dice in cambogiano, sorprendendomi.

Anche io” non posso fare a meno di rispondere.

Sembra un dialogo tra due bambini che devono ancora imparare a parlare, eppure i nostri sguardi, i nostri gesti, il nostro entusiasmo convogliano un caleidoscopio di emozioni dall’una all’altro.


Rodin appoggia un attimo i bozzetti su una sedia accanto a lui ed apre la cartella, invitandomi a guardare. Resto senza parole: non tutti i suoi fogli sono bianchi! Ha portato con sé molti dei suoi studi di danzatori e ballerine. Figure eteree, avvolte da impalpabili veli bianchi. Donne europee con una crocchia di capelli neri ed un lungo costume azzurro cielo. Fanciulle in quelle che riconosco essere le posizioni della loro danza francese. Una donna dall’aspetto severo che sembra orientale come me, forse cinese o giapponese.


Ho pensato che Rodin potrebbe essere mio nonno, ma quest’uomo è un padre… della danza. Un patrono generoso, un uomo innamorato del ballo che vive per ritrarre le sue “figlie” ballerine. In noi sono accese due scintille di creatività: la mia mi spinge a muovere il mio corpo secondo l’arte della danza, la sua lo porta a realizzare bozzetti da scolpire. Stasera le nostre due scintille si sono incontrate.


Non so perché, ma non credo che questo sarà il nostro ultimo incontro.



* * *



Marsiglia, 12 luglio 1906


Un nuovo spettacolo. Altri Ventagli, altre Farfalle.


Ed in prima fila, sulla destra, Rodin.


Sapevo che sarebbe tornato. Che ci avrebbe voluto rivedere.


Me lo sentivo già, ma adesso ho la certezza che, grazie a lui, anche quando tornerò in Cambogia, la mia arte resterà qui in Francia. E, chissà, forse andrà anche oltre.



FINE



Vi ringrazio ancora tantissimo per il vostro supporto, e non mi riferisco solo alla lettura del racconto di oggi. Senza i vostri feedback positivi di questi anni, di certo non avrei mai avuto il coraggio di mettermi in gioco in spazi ed occasioni differenti da questo blog, che è un po’ la mia seconda casa :-)


Come sempre, aspetto i vostri commenti e mando un grande abbraccio a tutti voi.


Grazie mille per la lettura, al prossimo post :-)


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