Recensioni classiche 2024
Cari lettori,
fedele al mio buon proposito di proporvi un classico ogni due mesi, oggi vi propongo il terzo appuntamento con “Il momento dei classici” del 2024!
Ho pensato di anticipare un po’ rispetto alla cadenza degli altri due post, perché queste che vi presento sono le letture scelte per il bimestre maggio/giugno, ma il prossimo mese, a parte la prima settimana, sarà tutta dedicata al nostro countdown estivo, e sinceramente faticherei un po’ ad inserire questo tipo di post tra uno di foto di viaggi ed uno di letture da spiaggia.
Visto che si torna sempre dove si è stati bene, ho pensato di approfondire la conoscenza dell’autore che vi avevo presentato a gennaio/febbraio, ovvero Federigo Tozzi. Dopo avervi parlato diffusamente di "Con gli occhi chiusi", ho cercato un po’ nella libreria di famiglia ed ho trovato altri due volumi interessanti: Tre croci, che sarà l’argomento principale di oggi, ed un’antologia che vi racconterò sul finire del post.
Sono molto soddisfatta di aver conosciuto maggiormente questo autore ed anche di aver tenuto fede al mio proposito finora, nonostante tutte le nuove uscite di autori che amo che ci sono state in questi mesi (sembra che le cose belle da leggere non finiscano mai, e, da un certo punto di vista, meno male!)
Vediamo meglio insieme Tre croci…
La storia raccontata
La storia, esattamente come nel caso di Con gli occhi chiusi, ha luogo circa cent’anni fa, nel primo Novecento, a Siena e nei dintorni campagnoli.
I protagonisti sono tre fratelli appartenenti alla classe sociale della piccola borghesia lavoratrice, che non potrebbero essere più diversi. Giulio, il maggiore, è libraio: è il più introverso del trio, nonché il più responsabile. È lui a tenere insieme il rapporto di fratellanza – che senza la sua presenza si sarebbe sfaldato da tempo – e la famiglia, lui quello con un’incrollabile etica del lavoro. Niccolò è antiquario ed è il fratello di mezzo, in bilico tra l’esempio dato da Giulio e la tentazione della dissolutezza: afferma di tenerci molto al lavoro – e di lavorare tutto il giorno – ma passa la mattina a dormire in negozio, a meno che non arrivino clienti; rimprovera Enrico, il fratello minore, per la gestione del denaro, ma poi è il primo a spendere, soprattutto quando si tratta di cibo; è l’unico con una moglie, ma la tratta come una serva e si sorprende se ella addirittura “osa parlare”. Enrico, infine, è il minore: lavora come legatore, ma è inaffidabile e discontinuo, e l’autore stesso lo definisce sgarbato e prepotente.
La vita dei tre fratelli, immersi in una campagna che sembra quieta ma – come scopriremo – non lo è affatto, potrebbe scorrere tranquilla. Ma i tre pagano ben presto lo scotto dell’aver voluto vivere al di sopra delle loro possibilità, nel tentativo di fare un salto di carriera e di ingraziarsi personaggi della classe sociale alta.
Ben presto i debiti diventano troppi da sostenere. Per l’ennesima volta è Giulio a farsi carico della situazione problematica, ma egli fa un azzardo troppo grande: falsifica delle cambiali in banca, apponendo la firma sotto il nominativo di un amico ricco che li ha già aiutati più volte, ma che in questo caso è del tutto all’oscuro.
Un’azione forse tanto spregiudicata quanto efficace, se la commettesse qualcuno che non ha peli sullo stomaco. Ma i tre fratelli protagonisti, per quanto se la vogliano raccontare, non sono dei disonesti. L’azione scorretta che hanno compiuto aleggia sempre più tra loro come un fantasma che si ingrossa: Giulio, che già prima era il più spirituale dei tre, inizia a provare sensi di colpa di stampo religioso; Niccolò comincia ad attaccare briga con i suoi prestigiosi clienti, talvolta tentando di passare alle mani; Enrico, infine, mette più volte nei guai la famiglia.
La controparte femminile del nucleo familiare, ovvero Modesta, la moglie di Niccolò, e due nipoti alla lontana che soggiornano dai tre fratelli perché nel bisogno, cercano di comprendere meglio che cosa sta succedendo, ma non è loro concesso nemmeno di parlare. Non resta loro che arrendersi alla disgrazia che sta travolgendo i tre fratelli.
Un’ambientazione poco accogliente
Tre croci si presenta come un libretto, ma vi assicuro che, pur da lettrice accanita ed abbastanza veloce, ho fatto una certa fatica: ci ho messo quasi tutte le vacanze di Pasqua (e lo so che voi mi direte: grazie mille Silvia, un giorno eri a Genova, un altro a spasso per Varazze, un altro ancora a fare pranzi… ma comunque di solito il relax delle vacanze mi aiuta molto, ed in questo caso invece ho arrancato anche con la mente sgombra).
Le parti che mi hanno creato più difficoltà non sono state quelle che vi ho raccontato sopra, ovvero le descrizioni dei protagonisti, i dialoghi tra di loro, le vicende raccontate, i colpi di scena.
Ciò che mi ha fatto molto rallentare e riflettere sono state le parti descrittive, sia dal punto di vista della presentazione della città di Siena e del paesaggio campagnolo tutt’intorno, sia dal punto di vista dei personaggi subalterni, raccontati come archetipi della società del tempo.
Più leggevo, dovendomi soffermare su ogni parola e creare una nuova immagine nella mia mente ad ogni rigo, più mi rendevo conto che le scelte stilistiche dell’autore erano tutt’altro che casuali. Paesaggio e società sono proprio come l’autore ne scrive: difficili, non accoglienti.
Da un punto di vista puramente paesaggistico/naturale, penso che il topos sia quello del falso idillio: la campagna è magnifica, ma perché si mantenga così ci vuole un durissimo lavoro dell’uomo, una fatica che a quei tempi ti faceva ammalare e morire molto presto; ci sono tanti edifici pregevoli, chiese storiche, mura medioevali che vengono continuamente citati, ma nessuno ha davvero il tempo o la voglia di apprezzare questi tesori, che vanno sempre più in rovina e sono tenuti in considerazione solo quando si danno indicazioni stradali; la città di Siena è la metropoli della zona, con tutte le sue attrazioni, ma chi ha sempre vissuto e lavorato in campagna, specie le donne, è così intimidito da non mettervi piede.
Quanto alla società, come dice la quarta di copertina del mio libro, siamo di fronte ad una realtà gretta, maldicente, provinciale.
Gretta perché anche quando si parla di libri, cultura ed oggetti d’antiquariato, alla fin fine si bada solo al soldo.
Maldicente perché i tre protagonisti non vedono l’ora che i loro ricchi clienti – che ammirano ed invidiano allo stesso tempo – escano dal negozio per poterne sparlare, e viceversa, i ricchi blandiscono i tre fratelli perché hanno bisogno dei loro manufatti ad un buon prezzo (anche la ricchezza è più apparenza che sostanza) ma non li considereranno mai amici.
Provinciale perché i senesi di città si credono chissà chi, ma non si rendono conto di far parte di realtà molto arretrate rispetto a città come Milano, Roma o la stessa Firenze che è poco distante.
I tre fratelli sguazzano in questo ambiente, convinti di essere più furbi e di non doversi privare di niente, specie dei piaceri della tavola che a volte assumono il contorno dell’ossessione… ma ad un certo punto la realtà li travolge.
Il destino dei tre protagonisti
Inutile girarci tanto intorno: la fine dei tre fratelli è già scritta nel titolo, in quelle Tre croci che le nipoti porranno a ricordo degli zii che nonostante tutto sono stati tanto generosi con loro, seppellendo così, sia in senso letterale che metaforico, una vecchia generazione di senesi che si è appigliata alla speranza di una vita migliore e ad un salto di classe sociale senza fare delle dovute riflessioni. La generazione delle nipoti, come l’autore fa intuire in poche ma significative pagine, ha già le “spalle più larghe” e, almeno finché è giovane e di belle speranze, tenterà di non fare i medesimi errori di genitori e zii.
Le edizioni critiche dei romanzi di Tozzi sottolineano giustamente l’importanza della visione religiosa per l’autore, ma io credo che in questo libro egli, senza rinnegare il suo credo, voglia però porre l’importanza di perseguire un “giusto mezzo”: non si può essere troppo terreni, materiali, avidi, ma nemmeno eccessivamente spirituali.
Giulio, infatti, che più di tutti segue i dettami della religione, finisce per trasformare la sua fede in una nevrosi, e, di fronte alla vergogna derivante dalla scoperta della sua scorrettezza, si uccide. Niccolò ed Enrico, che continueranno a pensare alla ricchezza per il resto delle loro vite, perderanno quel che rende davvero ricco un uomo: i rapporti umani, che andranno presto in rovina dopo la morte di Giulio, e la salute, perché la loro morte verrà causata principalmente dalla gotta, un male che affligge quei nobili che hanno sempre cercato di imitare.
Un romanzo, va detto, ben più pessimista di Con gli occhi chiusi, per i cui protagonisti, nonostante tutto, c’era ancora di fronte una vita da vivere.
Non solo “Tre croci”: un’antologia dell’autore
Subito dopo aver ultimato Tre croci, per chiudere un po’ il cerchio, ho deciso di leggere anche i brani contenuti in questa antologia che ho trovato a casa. Sembra un volume piuttosto consistente, lo so, ma in fin dei conti tante pagine sono di analisi o di proposta di lavoro didattica, e poi ci sono due sezioni dedicate ai libri che ho già letto. Mi sono dedicata solo alle sezioni di opere che non conoscevo.
Piuttosto interessante mi è sembrata Adele, una storia tragica di nevrosi femminile, tra famiglia d’origine e sentimenti.
Ricordi di un impiegato invece tratta i temi del mondo del lavoro e delle aspettative genitoriali su questo argomento, e su come sacrificare la propria inclinazione possa portare allo spegnimento di una persona: ai tempi di Federigo Tozzi questa era una storia solo per figli maschi e specialmente unici o primogeniti, ora potrebbe adattarsi a tutti noi giovanotti/e precari/e.
Bestie è una raccolta di insoliti frammenti nei quali l’uomo è accostato di volta in volta ad un diverso rappresentante del mondo animale.
Il podere fa parte probabilmente del Tozzi più classico, quello che racconta della campagna toscana, delle storie di famiglia, degli interessi economici che possono esserci intorno ad una proprietà rurale.
Gli egoisti indaga il mondo artistico di musicisti e pittori, e delle loro amanti.
Le novelle, infine, trattano temi molto diversi tra loro, ma in qualche modo comunque coerenti con l’universo tozziano.
Non so ancora se leggerò alcune di queste opere, ma almeno mi sono fatta un’idea!
Questo è quanto per il nostro appuntamento con i classici!
Devo ammettere che, quando arrivo alla fine di post del genere, tiro un piccolo sospiro di sollievo. Ho sempre paura di non avere abbastanza da scrivere su queste letture così impegnative, soprattutto perché l’anno della laurea si allontana sempre più e sul lavoro spesso non riesci a rispolverare ed insegnare tutto quello che vorresti… nemmeno con i più grandi, figurarsi con i più piccoli. Però ogni volta che mi siedo al computer parole e riflessioni mi vengono fuori da sole. Come dire: once a letterata, always a letterata…
Scherzi a parte, spero di potervi proporre altri tre classici validi per la seconda parte dell’anno. Magari potrei tornare anche alle opere di Matilde Serao, oppure occuparmi di altri autori… vedremo.
Nel frattempo grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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