giovedì 12 novembre 2020

DESIDERIO DI CRESCITA

 I mondi di Antonia Pozzi #3



Cari lettori,

terzo appuntamento con il progetto dedicato ad Antonia Pozzi, per la rubrica “L’angolo della poesia”!


I primi due mondi che abbiamo potuto esplorare attraverso i componimenti della poetessa erano più concreti di quello odierno: il mare, fonte di sollievo e luogo dell’immaginazione al tempo stesso, e la montagna, dimensione ideale di Antonia Pozzi.


Oggi esploriamo, invece, una tematica molto più intima: quella della crescita. Nelle poesie che oggi ho pensato di proporvi, la Pozzi si esprime con grande lucidità e delicatezza, confrontando la se stessa “quasi adulta” (anche se purtroppo, come sappiamo, a soli 26 anni ella si toglierà la vita) alla bambina del passato, che spesso rimpiange. In tanti versi ella rievoca l’infanzia ed i ricordi della scuola, descrive la periferia cittadina, ripensa alle prime passeggiate ed alle sue gite in montagna da bambina, ma narra anche l’adolescenza, la scoperta dell’amore, la nuova consapevolezza del suo corpo di donna, i desideri che fino a poco tempo prima le erano sconosciuti.


Vi lascio alle poesie, come sempre accompagnate da dipinti famosi e foto d’epoca, sperando che vi piacciano!



Cadenza esasperata


(Dipinto: Ragazza che legge, di Pierre - Auguste Renoir)


Rabbiosa e scema esasperazione

delle mie unghie rosicchiate

e queste parole dannate

che graffiano la carta con furiosa ostinazione


invece del compito che lunedì dovrei portare

rimaner qui a farneticare

a dondolarmi sull’altalena del passato

idiotamente con torpore assonnato


stimolati certi sobbalzi di inquietudine stizzosa

da ogni ora che scocca

ed una voglia sciocca

di affrettarmi in melensaggine lacrimosa


l’incubo della lezione che avrò fra un quarto d’ora

l’oppressione di questo giorno snocciolato ansiosamente

la visione di me stessa che mi percuote desolatamente -

una bambina che bamboleggerà sempre – come ha fatto finora -


Milano, 13 aprile 1929



Sventatezza


(Monumento a Sant’Anna di Stazzema)


Ricordo un pomeriggio di settembre,

sul Montello. Io, ancora una bambina,

col trecciolino smilzo ed un prurito

di pazze corse su per le ginocchia.

Mio padre, rannicchiato dentro un andito

scavato in un rialzo del terreno,

mi additava attraverso una fessura

il Piave e le colline; mi parlava

della guerra, di sé, dei suoi soldati.

Nell’ombra, l’erba gelida e affilata

mi sfiorava i polpacci: sotto terra,

le radici succhiavan forse ancora

qualche goccia di sangue. Ma io ardevo

dal desiderio di scattare fuori,

nell’invadente sole, per raccogliere

un pugnetto di more da una siepe.


Milano, 22 maggio 1929



Visione


(Dipinto: Fishing Boats on the Beach, di Vincent Van Gogh)


Ancora, per un anno, la scuola

a preservare la mia fanciullaggine cocciuta.

Poi, la mia vita sola

in mare aperto – come una vela sperduta.


Carnisio, 9 luglio 1929



Canto della mia nudità


(Dipinto: Olympia, di Edouard Manet)


Guardami: sono nuda. Dall’inquieto

languore della mia capigliatura

alla tensione snella del mio piede,

io sono tutta una magrezza acerba

inguainata in un color d’avorio.

Guarda: pallida è la carne mia.

Si direbbe che il sangue non vi scorra.

Rosso non ne traspare. Solo un languido

palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.

Vedi come incavato ho il ventre. Incerta

è la curva dei fianchi, ma i ginocchi

e le caviglie e tutte le giunture,

ho scarne e salde come un puro sangue.

Oggi, m’inarco nuda, nel nitore

del bagno bianco e m’inarcherò nuda

domani sopra un letto, se qualcuno

mi prenderà. E un giorno nuda, sola,

stesa supina sotto troppa terra,

starò, quando la morte avrà chiamato.


Palermo, 20 luglio 1929



Rossori


(Fanciulla danzante di Canova)


È l’ora di tornare. La sera

discende quieta in grembo alla valle.

Passa sotto le nude volte dei castani

una muta brezza e ne tremano

il morto fogliame dell’inverno,

il verde gracile che si rinnova

sulle prode scoperte. Le cose,

fatte più grigie, sembrano raccogliersi

in un silenzio assorto.

Attutisce il suo canto

persino la bianca acqua, che scende

da lontano, dall’alto e che stamane

con tanta furia gridava

la sua gioia d’esser sfuggita

agli artigli del ghiaccio.

È l’ora di tornare. Compongo

in una mano, strettamente, i miei fiori

e nella penombra incupita

ripercorro il sentiero.

Oggi è il giorno dell’Angelo.

Nessuna donna, a ginocchi, risciacqua

lungo il fossato i suoi panni:

gli sgabelli spostati, capovolti

impediscono il passo.

C’è un’aria di abbandono, oggi, pei campi,

un’aria di solitudine festiva,

che fa più triste la tristezza dell’ora.

Ma davanti al cancello

del mio giardino

un grappolo di bimbi

attende il mio ritorno.

Per guardarmi,

per guardarmi bene da vicino,

per vedere com’è fatta

questa cosa curiosa che son io.

Me li trovo davanti all’improvviso,

che mi fissano, dritti,

senza scomporsi:

e di colpo sento

che ho io di loro assai più vergogna

che non essi di me.

Vergogna del mio mazzo

di bucaneve troppo semplici

che a loro paiono brutti,

vergogna del mio passo,

del mio corpo, troppo pesanti,

che a me sembrano goffi…

Ed ecco, vorrei essere come loro,

piccina, povera, oscura,

più vicina alla loro piccolezza,

e non aver da dire

la paroletta benevola

che suona male,

non aver da sorridere

con le labbra dure

che si aprono male…

Mi rifugio dietro il cancello

come dietro una porta impenetrabile.

Ma quando devo infilare

la chiave nella toppa

e chiudere

con armeggio sgarbato,

mi sento morire, mi sento morire di vergogna

davanti ai loro occhi tondi di passeri

che mi guardano di là dalle sbarre;

davanti alle loro animette

di passeri liberi, avvezzi

ad entrare, ad uscire

dagli uscioni sgangherati

delle vecchie cascine,

senza smuovere mai

l’enorme catenaccio arrugginito…


Pasturo, 6 aprile 1931



Limiti


(Dipinto: Ragazze che leggono in giardino, di Pierre-Auguste Renoir)


Tante volte ripenso

alla mia cinghia di scuola

grigia, imbrattata,

che tutta me coi miei libri serrava

in un unico nodo

sicuro -

Né c’era allora

questo trascendere ansante

questo sconfinamento senza traccia

questo perdersi

che non è ancora morire -

Tante volte piango, pensando

alla mia cinghia di scuola -


Milano, 16 aprile 1932



Odor di verde


(Una piccola Antonia Pozzi)


Odor di verde -

mia infanzia perduta -

quando m’inorgoglivo

dei miei ginocchi segnati -

strappavo inutilmente

i fiori, l’erba in riva ai sentieri,

poi li buttavo -

m’ingombran le mani -


odor di boschi d’agosto – al meriggio -

quando si rompono col viso acceso

le ragnatele -

guadando i ruscelli il sasso schizza

il piede affonda

penetra il gelo fin dentro i polsi-

il sole, il sole

sul collo nudo -

la luce che imbiondisce i capelli -


odor di terra,

mia infanzia perduta.


Pasturo, agosto 1934



Secondo amore


(Dipinto: Giardino fiorito, di Claude Monet)


Piansi bambina, per un mondo

più grande del mio cuore,

dentro il mio cuore

rinchiuso – morto;

piansi con occhi giovani,

penosamente arsi arrossati -

e sola vicina alla terra

domandavo agli oggetti muti,

alle radici dei fiori divelti,

alle ali degli insetti caduti,

il perché

del morire.


Mi rispondeva la terra, fedele,

prima ancora che fosse

primavera colma,

da anni e secoli – sotto un arbusto

con una pallida primula

rifiorita.

E in essa era la linfa,

era il respiro – di tutte

le primavere perdute,

in ogni fiore vivo la bellezza

degli innumeri fiori

spenti.


Oh grazia- ora dico -

del secondo amore,

giovinezza profonda intessuta

di vinte vecchiezze, di esistenze percorse -

- ed ogni esistenza, una ricchezza

conquisa, ogni pianto deterso

un sorriso più lungo imparato,

ogni percossa, una carezza più lieve

che si vorrebbe donare -

oh benedetto il mio pianto

- ora dico -

benedetti i miei occhi

di bimba, arrossati riarsi -

benedetto il soffrire, il morire

di tutti i mondi che portai nel cuore -

se dalla morte si rinasce

un giorno,

se dalla morte io rinasco

oggi – per te,

me stessa offrendo

alle tue mani – come

una corolla

di dissepolte vite.


4 dicembre 1934



Il sentiero


(Dipinto: Autunno in Baviera, di Vasilij Kandinskij)


Sperare

mentre il domani intatto sconfina

e tosto

dimenticare il volto

delle speranze, nel tempo vero.


Viali sognavi per la vita

e un esile

sentiero ti rimane.


Una sera

la tua montagna si ricorderà

di averti avuta

bambina

sul suo grembo d’erba;

e lontana vedendoti

a cercare

su perse rive le ombre

delle tue cose sepolte,

ti chiamerà coi cenni

antichi – delle campane.


Il tuo sentiero ti ricondurrà

lungo la valle,

per la conca prativa – al muro candido,

al cancello socchiuso.


Lassù, nel breve orto disteso

ai ritorni delle stagioni, ai cieli

della neve e dei venti

primaverili,

verranno bocche

di bambini sconosciuti

a cantare

sulla tua solitudine.


30 gennaio 1935



Periferia in aprile


(Dipinto: Sposati nel villaggio, di Marc Chagall)


Intorno aiole

dove ragazzo t’affannavi al calcio:

ed or fra cocci

s’apron fiori terrosi al secco fiato

dei muri a primavera.

Ma nella voce e nello sguardo

hai acqua,

tu profonda frescura, radicata

oltre le zolle e le stagioni, in quella

che ancor resta alle cime

umida neve:

così correndo in ogni vena

e dici

ancora quella strada remotissima

ed il vento

leggero sopra enormi

baratri azzurri.


24 aprile 1937



Sarei davvero curiosa di sapere quali di queste poesie vi abbiano maggiormente colpito! Spero che, tramite questi post, stiate iniziando a conoscere e ad apprezzare una poetessa che per me è stata una vera rivelazione.

Fatemi sapere le vostre impressioni e sensazioni.

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

4 commenti :

  1. La poesia "Visione" mi ha fatto pensare che per anni tutti mi dicevano che avrei rimpianto il tempo trascorso al liceo (vissuto con enorme disagio), una volta diventata adulta.
    E invece no.
    Non tornerei indietro per nulla al mondo. Anzi, se potessi farlo mi iscriverei ad un'altra scuola che mi permetterebbe, probabilmente, di conservarne un buon ricordo.

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    1. Ciao Claudia! Per me gli anni del liceo sono stati fatti di luci e ombre. Di sicuro salverei la meravigliosa formazione umanistica e l'Istituto in generale, dove ho anche avuto la fortuna di tornare come prof. Dal punto di vista relazionale/affettivo ho avuto le mie belle difficoltà, come, penso, tanti adolescenti. Comunque concordo con te nel dire che l'idea del "rimpianto" è un po' stereotipata e che nemmeno io tornerei indietro. Anche Antonia Pozzi, secondo me, usa l'immagine della vela proprio per indicare un pochino di spaesamento iniziale, ma poi una grande libertà :-)

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  2. bellissime poesie, ma forse Rossori è quella che mi ha toccata di più, per quel senso di inadeguatezza, disagio che suscita una grande malinconia...

    Vorrei essere come loro,
    piccina, povera, oscura,
    più vicina alla loro piccolezza,
    e non aver da dire
    la paroletta benevola
    che suona male,
    non aver da sorridere
    con le labbra dure
    che si aprono male.

    buon fine settimana, silvia!!

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    1. Ciao Angela! Hai ragione, questo passo è tanto delicato quanto realistico... la poetessa si sente lontana dai bambini, ha paura di suonare falsa, di sembrare una ricca oziosa che sta tornando dalla sua Pasquetta. Prova quasi una "benevola invidia" nei confronti di questi bambini, anche se poveri, perché rimpiange la loro innocenza. Buon fine settimana anche a te! :-)

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