I mondi di Antonia Pozzi #3
Cari lettori,
terzo appuntamento con il progetto dedicato ad Antonia Pozzi, per la rubrica “L’angolo della poesia”!
I primi due mondi che abbiamo potuto esplorare attraverso i componimenti della poetessa erano più concreti di quello odierno: il mare, fonte di sollievo e luogo dell’immaginazione al tempo stesso, e la montagna, dimensione ideale di Antonia Pozzi.
Oggi esploriamo, invece, una tematica molto più intima: quella della crescita. Nelle poesie che oggi ho pensato di proporvi, la Pozzi si esprime con grande lucidità e delicatezza, confrontando la se stessa “quasi adulta” (anche se purtroppo, come sappiamo, a soli 26 anni ella si toglierà la vita) alla bambina del passato, che spesso rimpiange. In tanti versi ella rievoca l’infanzia ed i ricordi della scuola, descrive la periferia cittadina, ripensa alle prime passeggiate ed alle sue gite in montagna da bambina, ma narra anche l’adolescenza, la scoperta dell’amore, la nuova consapevolezza del suo corpo di donna, i desideri che fino a poco tempo prima le erano sconosciuti.
Vi lascio alle poesie, come sempre accompagnate da dipinti famosi e foto d’epoca, sperando che vi piacciano!
Cadenza esasperata
(Dipinto: Ragazza che legge, di Pierre - Auguste Renoir)
Rabbiosa e scema esasperazione
delle mie unghie rosicchiate
e queste parole dannate
che graffiano la carta con furiosa ostinazione
invece del compito che lunedì dovrei portare
rimaner qui a farneticare
a dondolarmi sull’altalena del passato
idiotamente con torpore assonnato
stimolati certi sobbalzi di inquietudine stizzosa
da ogni ora che scocca
ed una voglia sciocca
di affrettarmi in melensaggine lacrimosa
l’incubo della lezione che avrò fra un quarto d’ora
l’oppressione di questo giorno snocciolato ansiosamente
la visione di me stessa che mi percuote desolatamente -
una bambina che bamboleggerà sempre – come ha fatto finora -
Milano, 13 aprile 1929
Sventatezza
(Monumento a Sant’Anna di Stazzema)
Ricordo un pomeriggio di settembre,
sul Montello. Io, ancora una bambina,
col trecciolino smilzo ed un prurito
di pazze corse su per le ginocchia.
Mio padre, rannicchiato dentro un andito
scavato in un rialzo del terreno,
mi additava attraverso una fessura
il Piave e le colline; mi parlava
della guerra, di sé, dei suoi soldati.
Nell’ombra, l’erba gelida e affilata
mi sfiorava i polpacci: sotto terra,
le radici succhiavan forse ancora
qualche goccia di sangue. Ma io ardevo
dal desiderio di scattare fuori,
nell’invadente sole, per raccogliere
un pugnetto di more da una siepe.
Milano, 22 maggio 1929
Visione
(Dipinto: Fishing Boats on the Beach, di Vincent Van Gogh)
Ancora, per un anno, la scuola
a preservare la mia fanciullaggine cocciuta.
Poi, la mia vita sola
in mare aperto – come una vela sperduta.
Carnisio, 9 luglio 1929
Canto della mia nudità
(Dipinto: Olympia, di Edouard Manet)
Guardami: sono nuda. Dall’inquieto
languore della mia capigliatura
alla tensione snella del mio piede,
io sono tutta una magrezza acerba
inguainata in un color d’avorio.
Guarda: pallida è la carne mia.
Si direbbe che il sangue non vi scorra.
Rosso non ne traspare. Solo un languido
palpito azzurro sfuma in mezzo al petto.
Vedi come incavato ho il ventre. Incerta
è la curva dei fianchi, ma i ginocchi
e le caviglie e tutte le giunture,
ho scarne e salde come un puro sangue.
Oggi, m’inarco nuda, nel nitore
del bagno bianco e m’inarcherò nuda
domani sopra un letto, se qualcuno
mi prenderà. E un giorno nuda, sola,
stesa supina sotto troppa terra,
starò, quando la morte avrà chiamato.
Palermo, 20 luglio 1929
Rossori
(Fanciulla danzante di Canova)
È l’ora di tornare. La sera
discende quieta in grembo alla valle.
Passa sotto le nude volte dei castani
una muta brezza e ne tremano
il morto fogliame dell’inverno,
il verde gracile che si rinnova
sulle prode scoperte. Le cose,
fatte più grigie, sembrano raccogliersi
in un silenzio assorto.
Attutisce il suo canto
persino la bianca acqua, che scende
da lontano, dall’alto e che stamane
con tanta furia gridava
la sua gioia d’esser sfuggita
agli artigli del ghiaccio.
È l’ora di tornare. Compongo
in una mano, strettamente, i miei fiori
e nella penombra incupita
ripercorro il sentiero.
Oggi è il giorno dell’Angelo.
Nessuna donna, a ginocchi, risciacqua
lungo il fossato i suoi panni:
gli sgabelli spostati, capovolti
impediscono il passo.
C’è un’aria di abbandono, oggi, pei campi,
un’aria di solitudine festiva,
che fa più triste la tristezza dell’ora.
Ma davanti al cancello
del mio giardino
un grappolo di bimbi
attende il mio ritorno.
Per guardarmi,
per guardarmi bene da vicino,
per vedere com’è fatta
questa cosa curiosa che son io.
Me li trovo davanti all’improvviso,
che mi fissano, dritti,
senza scomporsi:
e di colpo sento
che ho io di loro assai più vergogna
che non essi di me.
Vergogna del mio mazzo
di bucaneve troppo semplici
che a loro paiono brutti,
vergogna del mio passo,
del mio corpo, troppo pesanti,
che a me sembrano goffi…
Ed ecco, vorrei essere come loro,
piccina, povera, oscura,
più vicina alla loro piccolezza,
e non aver da dire
la paroletta benevola
che suona male,
non aver da sorridere
con le labbra dure
che si aprono male…
Mi rifugio dietro il cancello
come dietro una porta impenetrabile.
Ma quando devo infilare
la chiave nella toppa
e chiudere
con armeggio sgarbato,
mi sento morire, mi sento morire di vergogna
davanti ai loro occhi tondi di passeri
che mi guardano di là dalle sbarre;
davanti alle loro animette
di passeri liberi, avvezzi
ad entrare, ad uscire
dagli uscioni sgangherati
delle vecchie cascine,
senza smuovere mai
l’enorme catenaccio arrugginito…
Pasturo, 6 aprile 1931
Limiti
(Dipinto: Ragazze che leggono in giardino, di Pierre-Auguste Renoir)
Tante volte ripenso
alla mia cinghia di scuola
grigia, imbrattata,
che tutta me coi miei libri serrava
in un unico nodo
sicuro -
Né c’era allora
questo trascendere ansante
questo sconfinamento senza traccia
questo perdersi
che non è ancora morire -
Tante volte piango, pensando
alla mia cinghia di scuola -
Milano, 16 aprile 1932
Odor di verde
(Una piccola Antonia Pozzi)
Odor di verde -
mia infanzia perduta -
quando m’inorgoglivo
dei miei ginocchi segnati -
strappavo inutilmente
i fiori, l’erba in riva ai sentieri,
poi li buttavo -
m’ingombran le mani -
odor di boschi d’agosto – al meriggio -
quando si rompono col viso acceso
le ragnatele -
guadando i ruscelli il sasso schizza
il piede affonda
penetra il gelo fin dentro i polsi-
il sole, il sole
sul collo nudo -
la luce che imbiondisce i capelli -
odor di terra,
mia infanzia perduta.
Pasturo, agosto 1934
Secondo amore
(Dipinto: Giardino fiorito, di Claude Monet)
Piansi bambina, per un mondo
più grande del mio cuore,
dentro il mio cuore
rinchiuso – morto;
piansi con occhi giovani,
penosamente arsi arrossati -
e sola vicina alla terra
domandavo agli oggetti muti,
alle radici dei fiori divelti,
alle ali degli insetti caduti,
il perché
del morire.
Mi rispondeva la terra, fedele,
prima ancora che fosse
primavera colma,
da anni e secoli – sotto un arbusto
con una pallida primula
rifiorita.
E in essa era la linfa,
era il respiro – di tutte
le primavere perdute,
in ogni fiore vivo la bellezza
degli innumeri fiori
spenti.
Oh grazia- ora dico -
del secondo amore,
giovinezza profonda intessuta
di vinte vecchiezze, di esistenze percorse -
- ed ogni esistenza, una ricchezza
conquisa, ogni pianto deterso
un sorriso più lungo imparato,
ogni percossa, una carezza più lieve
che si vorrebbe donare -
oh benedetto il mio pianto
- ora dico -
benedetti i miei occhi
di bimba, arrossati riarsi -
benedetto il soffrire, il morire
di tutti i mondi che portai nel cuore -
se dalla morte si rinasce
un giorno,
se dalla morte io rinasco
oggi – per te,
me stessa offrendo
alle tue mani – come
una corolla
di dissepolte vite.
4 dicembre 1934
Il sentiero
(Dipinto: Autunno in Baviera, di Vasilij Kandinskij)
Sperare
mentre il domani intatto sconfina
e tosto
dimenticare il volto
delle speranze, nel tempo vero.
Viali sognavi per la vita
e un esile
sentiero ti rimane.
Una sera
la tua montagna si ricorderà
di averti avuta
bambina
sul suo grembo d’erba;
e lontana vedendoti
a cercare
su perse rive le ombre
delle tue cose sepolte,
ti chiamerà coi cenni
antichi – delle campane.
Il tuo sentiero ti ricondurrà
lungo la valle,
per la conca prativa – al muro candido,
al cancello socchiuso.
Lassù, nel breve orto disteso
ai ritorni delle stagioni, ai cieli
della neve e dei venti
primaverili,
verranno bocche
di bambini sconosciuti
a cantare
sulla tua solitudine.
30 gennaio 1935
Periferia in aprile
(Dipinto: Sposati nel villaggio, di Marc Chagall)
Intorno aiole
dove ragazzo t’affannavi al calcio:
ed or fra cocci
s’apron fiori terrosi al secco fiato
dei muri a primavera.
Ma nella voce e nello sguardo
hai acqua,
tu profonda frescura, radicata
oltre le zolle e le stagioni, in quella
che ancor resta alle cime
umida neve:
così correndo in ogni vena
e dici
ancora quella strada remotissima
ed il vento
leggero sopra enormi
baratri azzurri.
24 aprile 1937
Sarei davvero curiosa di sapere quali di queste poesie vi abbiano maggiormente colpito! Spero che, tramite questi post, stiate iniziando a conoscere e ad apprezzare una poetessa che per me è stata una vera rivelazione.
Fatemi sapere le vostre impressioni e sensazioni.
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
La poesia "Visione" mi ha fatto pensare che per anni tutti mi dicevano che avrei rimpianto il tempo trascorso al liceo (vissuto con enorme disagio), una volta diventata adulta.
RispondiEliminaE invece no.
Non tornerei indietro per nulla al mondo. Anzi, se potessi farlo mi iscriverei ad un'altra scuola che mi permetterebbe, probabilmente, di conservarne un buon ricordo.
Ciao Claudia! Per me gli anni del liceo sono stati fatti di luci e ombre. Di sicuro salverei la meravigliosa formazione umanistica e l'Istituto in generale, dove ho anche avuto la fortuna di tornare come prof. Dal punto di vista relazionale/affettivo ho avuto le mie belle difficoltà, come, penso, tanti adolescenti. Comunque concordo con te nel dire che l'idea del "rimpianto" è un po' stereotipata e che nemmeno io tornerei indietro. Anche Antonia Pozzi, secondo me, usa l'immagine della vela proprio per indicare un pochino di spaesamento iniziale, ma poi una grande libertà :-)
Eliminabellissime poesie, ma forse Rossori è quella che mi ha toccata di più, per quel senso di inadeguatezza, disagio che suscita una grande malinconia...
RispondiEliminaVorrei essere come loro,
piccina, povera, oscura,
più vicina alla loro piccolezza,
e non aver da dire
la paroletta benevola
che suona male,
non aver da sorridere
con le labbra dure
che si aprono male.
buon fine settimana, silvia!!
Ciao Angela! Hai ragione, questo passo è tanto delicato quanto realistico... la poetessa si sente lontana dai bambini, ha paura di suonare falsa, di sembrare una ricca oziosa che sta tornando dalla sua Pasquetta. Prova quasi una "benevola invidia" nei confronti di questi bambini, anche se poveri, perché rimpiange la loro innocenza. Buon fine settimana anche a te! :-)
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