Recensioni classiche 2025: Shakespeare #4
Cari lettori,
oggi abbiamo appuntamento con il nostro “Momento dei classici” e con il progetto dedicato a Shakespeare!
Abbiamo già oltrepassato la metà di questo mini percorso a sei tappe. A gennaio e febbraio abbiamo rivisto insieme la storia drammatica e romantica di "Romeo e Giulietta"; in marzo e aprile abbiamo ragionato su potere e famiglia, razionalità e magia con "La tempesta"; in maggio e giugno abbiamo celebrato amicizia ed amore con "Molto rumore per nulla".
Per la tappa di luglio e agosto la mia scelta è invece caduta su una delle tragedie storiche più note del Bardo, il Re Lear.
Non è stata una lettura proprio facile, perché, a differenza delle altre tre opere che vi avevo presentato, non conoscevo ancora bene la storia, e poi i personaggi sono molti e la lunghezza è maggiore rispetto ad altre sue storie.
Però non è stata nemmeno così difficile, nel senso che a volte ci si rende conto che i classici sono scritti e pensati così bene (sono “classici” per un motivo, o no?) che a volte si fa davvero meno fatica nella lettura con un’opera di Shakespeare che con un romanzo che dovrebbe essere leggero e d’intrattenimento ma purtroppo non è scritto molto bene.
Vi capita mai?
Osservazioni di lettura a parte, credo che quest’opera abbia moltissimo da dire, sia su dinamiche pubbliche che su altre più private.
Vediamola meglio insieme!
Una storia di padri e figli
La tragedia è stata scritta all’inizio del 1600 ed affonda le sue radici nella mitologia britannica. Re Lear è anziano, malato e desideroso di abdicare.
La sua decisione iniziale è quella di dividere il suo regno in parti uguali tra le sue due figlie: le prime due, Goneril e Regan, sono già sposate, rispettivamente con il Duca d’Albany e con quello di Cornovaglia, mentre la terza, la sua prediletta, Cordelia, è contesa tra il re di Borgogna e quello di Francia. Quel che Re Lear non sa – o non vuole capire, perché, pur avendo una preferita, ama tutte e tre le sue figlie – è che Goneril e Regan sono malvagie e non provano alcun affetto nei confronti dell’anziano genitore, anzi, non vedono l’ora di destituirlo e di avere in mano la loro parte di regno per esercitare tutto il potere possibile. I due generi, in questo contesto, sono poco più che burattini: il marito di Regan è crudele quanto lei ed approva le sue decisioni, mentre quello di Goneril è buono e fedele, ma – ad eccezione dell’ultima parte della tragedia – non ha ancora capito di aver sposato una persona infida.
Così Re Lear commette uno sbaglio imperdonabile: si fa guidare dalla vanità e chiede alle tre figlie di lodarlo. Chi di loro tre lo elogerà con parole più belle e ricercate, avrà la parte più consistente del suo regno.
Goneril e Regan ricoprono il padre di falsità e quest’ultimo, purtroppo, ci casca in pieno. Cordelia, invece, entra in piena crisi: lei è l’unica delle tre figlie ad essere davvero buona e giusta d’animo, e ad amare il padre, ma è anche molto pudica a proposito dei suoi sentimenti, e non è molto abile con le parole. Così ella sceglie di stare in silenzio, e dice soltanto al padre, con semplicità, che il suo affetto è inesprimibile.
È allora che Re Lear fa l’errore peggiore della sua vita: si offende mortalmente, disereda Cordelia, disconoscendola come figlia, e divide il regno tra le due intriganti. Il Re di Borgogna, senza dote, rinuncia alla corte, mentre il Re di Francia accetta di sposare Cordelia e di portarla via con sé.
Padri che sono ingiusti con le figlie, dunque; ma anche padri scorretti con i figli.
Al momento dell’abdicazione sono presenti due conti fedeli al re. Il primo è il conte di Kent, che non si arrenderà a quel che trova un provvedimento ingiusto, ed assumerà le sembianze di Caio, un servo, per continuare a stare accanto a Re Lear ed assicurarsi che non gli accada niente di brutto.
Il secondo è il conte di Gloucester, ormai anziano, che ha due figli: Edgar, il legittimo, virtuoso ma riservato; Edmond, il frutto di un amore con una donna che egli non è riuscito a dimenticare, dall’apparenza gentile e dai modi affascinanti proprio come la madre, ma in realtà prevaricatore e violento.
Re Lear e Gloucester fanno lo stesso medesimo errore: danno retta alle parole, credono vera una falsa adulazione. Da privilegiati della società quali sono, sono abituati ad essere serviti, e non si rendono conto di una semplice verità: l’amore sincero, di chi si mette in gioco, è come tale imperfetto. Ma piuttosto che accettare la timidezza di Cordelia e/o il carattere riservato e un po’ burbero di Edgar, difetti del tutto umani di persone che vogliono un bene sincero, i due preferiscono un falso idolo. E la pagheranno cara.
Una continua guerra… fuori e dentro casa
Non so se anche voi l’avete pensato, ma le due situazioni narrative fin qui presentate (due figlie maggiori malvagie/la minore buona ma incompresa, un figlio fedele ma in ombra/un figlio crudele portato in palma di mano) sono presenti anche in tante fiabe. Ma questa è una fiaba decisamente nera.
Cordelia fugge in Francia insieme al novello sposo, che, per quanto provi dei sentimenti per lei, è soprattutto felice di avere in mano la scusa perfetta per un casus belli, ed infatti non aspetterà che pochi giorni per inviare un esercito contro l’Inghilterra.
Re Lear rimane a casa di Goneril, ma non ci mette molto a comprendere che i sentimenti che la figlia millantava nei suoi confronti erano soltanto una finta. Non bastano i tentativi di mediazione del Duca d’Albany, che inizia a comprendere che la moglie non è proprio la persona che pensava. Goneril, giorno dopo giorno, priva Re Lear di tutto, rendendolo sempre più dipendente dalla sua approvazione, e licenziando persino la sua scorta personale. Re Lear, che comincia ad avere dei dubbi ed a sentire la mancanza di Cordelia, chiede aiuto a Regan, ma ella è ovviamente d’accordo con Goneril.
Il conte di Gloucester, dal canto suo, viene convinto da Edmond che Edgar sta ordendo un complotto per ucciderlo ed impossessarsi di tutti i suoi beni ed i suoi poteri. Ovviamente è l’esatto contrario, è Edmond l’intrigante, ma anche Edgar ha una fiducia cieca in questo fratellastro che ama come un vero fratello, e si fa persuadere da lui ad andare in esilio.
Non è finita qui: Edmond sfrutta il suo bell’aspetto e le sue tecniche seduttive per iniziare due relazioni clandestine… una con Goneril e l’altra con Regan. L’alleanza tra le due sorelle, per ovvi motivi, inizia a scricchiolare.
I colpi di scena sono moltissimi e si susseguono in modo anche piuttosto complesso, ma, per farvela un po’ più breve, ad un certo punto non si comprende più se il pericolo maggiore per Re Lear ed il suo regno sia costituito dall’arrivo dell’esercito francese, che ormai è alle porte, o dalla guerra che egli ed il suo fedele conte di Gloucester si sono tirati in casa, pensando chi alla propria vanità, chi ad un amore perduto, e non comprendendo i loro figli per quello che sono davvero, nel bene e nel male.
“Una volta l’anno è lecito impazzire”
C’è un motto latino piuttosto famoso, Semel in anno licet insanire, ovvero “Una volta l’anno è lecito impazzire”.
Ecco, leggendo il Re Lear ho avuto l’impressione che questo motto fosse più che valido, ma non in riferimento ad una piccola follia una volta l’anno (che sarebbe il senso del proverbio) ma proprio per un momento di “lucida pazzia” che forse alcuni personaggi non hanno mai avuto in tutta la loro vita, ma che serve loro per vedere finalmente la realtà. Forse mi spiego meglio con un esempio.
Una delle scene più famose della tragedia vede Re Lear solo ed abbandonato, lasciato fuori dal castello dalle malvagie figlie, seduto a terra, in mezzo alla tempesta, con l’unica compagnia di un buffone. Buffone che, curiosamente, con il suo linguaggio un po’ satirico ed un po’ criptico, spesso gli ha dato consigli molto più validi di qualche leccapiedi di corte.
Il Re è disperato; ha compreso la portata dei suoi errori, e le gravi conseguenze che hanno avuto sia per gli anni che gli restano da vivere che per il suo regno. Non avendo più niente da perdere, e non avvertendo più nemmeno la paura di morire, egli incita la pioggia ed il vento, sperando che la tempesta lo porti via per sempre. Vista da fuori, potrebbe sembrare la scena di un uomo anziano ormai in preda alla demenza senile, con l’unica compagnia del buffone di corte, che troppo serio non è mai stato. Eppure è l’esatto contrario: egli ha appena recuperato lucidità dopo essere stato folle per troppo tempo, ed è insieme all’unico suo valido consigliere.
Anche Edgar, che è in esilio, cerca il più possibile di mutare il suo aspetto ed assume le sembianze del “povero Tom”, un matto. E solo da pazzo riesce a ritrovare il padre, il conte di Gloucester. E l’anziano genitore, dal canto suo, solo quando sarà cieco – perché Goneril e Regan gli hanno strappato la vista con la forza – riconoscerà nella voce del “povero Tom” quella di Edgar e comprenderà chi, dei suoi due figli, gli ha sempre voluto bene.
Un grande paradosso della vita, che Shakespeare ha saputo rappresentare al meglio in quest’opera: è proprio quando siamo più deboli e vulnerabili che riusciamo a tirare fuori una forza ed una lucidità inaspettata, ed a trovare il coraggio di affrontare la realtà com’è.
Il tragico finale
Questa è forse l’opera shakespeariana più tragica che ho letto, e dire che non mi sono fatta mancare Romeo e Giulietta.
Alla fine della tragedia, tutti i personaggi più crudeli muoiono: il duca di Cornovaglia per mano di un servo ribelle, Regan e Goneril uccidendosi tra loro (la seconda avvelena la prima per gelosia e poi si uccide), Edmond in battaglia contro i francesi.
Qualcuno potrebbe dire che non è del tutto una tragedia, dal momento che la minaccia francese viene allontanata e tutte le persone che avvelenavano il regno dall’interno sono venute a mancare.
Purtroppo, però, c’è un pesante rovescio della medaglia: il conte di Gloucester muore, schiantato dall’età avanzata e dalle violenze subite; Cordelia viene uccisa in carcere, poco dopo essersi riconciliata con il padre, purtroppo troppo tardi; Re Lear, non sopportando più tutto il dolore che ha subito, ha un arresto cardiaco (sembra) e viene a mancare.
Purtroppo ai sopravvissuti, per quanto addolorati, non resta che seppellire i morti e salvare il regno: il posto di erede spetta al Duca D’Albany, unico genero fedele al re, che però sceglie di avvalersi dell’aiuto di Edgar e del conte di Kent.
Il Medioevo britannico, periodo in cui si sono consolidati sia il regno che la nazione, era un tempo duro e violento, anche più di quello in cui ha vissuto Shakespeare, e così, forse, non ci potevamo aspettare una conclusione diversa da un’opera che parla di successione al trono.
Restano almeno le consolazioni che il regno non sia perduto, anche se per salvarlo è stato pagato un prezzo altissimo, e che Re Lear e Cordelia, per pochi giorni ed in una prigione, si siano riconciliati prima della morte.
Bene, sono contenta di avervi segnalato questa allegra e leggera lettura da ombrellone!
Scherzi a parte, anche se il bimestre luglio/agosto è un po’ particolare, e dopo i primi d’agosto il blog farà la sua solita chiusura estiva, ci tenevo a non saltare l’appuntamento con i classici, e spero che siate stati d’accordo con questa mia scelta.
Fatemi sapere se avete letto quest’opera, se l’avete vista rappresentata, se avete qualche vostra osservazione.
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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