Recensioni classiche 2025: Shakespeare #3
Cari lettori,
benvenuti all’appuntamento di maggio/giugno con “Il momento dei classici”!
Se l’anno scorso abbiamo cercato di leggere “un classico per ogni bimestre” ispirandoci alla letteratura italiana e spaziando tra prosa, poesia, saggistica e biografie (a questo link trovate il post che ricapitola il percorso), quest’anno, come promesso, ci stiamo dedicando a Shakespeare.
Non sembra, ma siamo già a metà del nostro viaggio, che sarà composto, se tutto va come spero, da sei letture, sei ri-scoperte dei classici shakespeariani.
Per il bimestre gennaio/febbraio vi ho proposto Romeo e Giulietta (a questo link); a marzo/aprile, invece, ci siamo occupati de La tempesta (qui).
Oggi sono davvero contenta di potervi parlare del mio preferito di sempre, l’opera che ha ispirato uno dei miei film del cuore: Molto rumore per nulla.
La pellicola a cui mi riferisco è quella del 1993, con la regia di Kenneth Branagh. Era da tanto tempo che mi ripromettevo di leggere l’opera teatrale, dopo averla vista rappresentata un po’ qua e là negli anni e nei vari teatri di Milano, e finalmente ci sono riuscita. Devo ammettere che si è trattata di una lettura piuttosto veloce, perché mi sono resa conto che ricordavo un sacco di battute… ma andiamo per ordine!
Un intreccio sentimentale a Messina
Molto rumore per nulla è sostanzialmente uno degli antenati più celebri di tutte le rom-com di oggi, anche se, come vedremo, in certi momenti non manca il dramma.
La storia si svolge in Sicilia, dove Leonato, governatore di Messina, attende l’arrivo di Don Pedro, principe di Aragona, e dei suoi valorosi uomini, che hanno appena vinto una pericolosa guerra.
Tra di loro c’è il giovane e nobile Claudio, che è da poco entrato a far parte della cerchia degli intimi del principe, e che da tempo corteggia Ero, unica giovane figlia di Leonato. C’è anche Benedetto, un guerriero più maturo, che è diventato una sorta di fratello maggiore per Claudio: tutti lo trovano arguto e spiritoso… tutti tranne Beatrice, cugina di Ero, che, pur essendo a sua volta di animo allegro, non riesce a sopportare Benedetto. In realtà tra i due c’è stato un breve trascorso amoroso, finito male, ed essi non sono ancora riusciti a dimenticarsi l’uno dell’altra.
Insieme ai tre gentiluomini ed alla loro scorta arriva anche Don John, il fratellastro di Don Pedro. I due fratelli hanno litigato e si sono riappacificati, ma se per Don Pedro, che ha un carattere malinconico ma è buono d’animo, la questione è finita, non può dirsi altrettanto per Don John, che cova rancore nei confronti del fratellastro e vorrebbe il suo potere.
In onore dell’arrivo del Principe e dei suoi uomini, quella stessa sera il palazzo di Leonato ospita un ballo in maschera. Durante la serata, Don Pedro avvicina Ero e le chiede la sua mano per conto di Claudio. La ragazza, innamorata da sempre del giovane soldato, acconsente, ed il matrimonio viene programmato per la settimana successiva.
Mentre fervono i preparativi per il matrimonio di Claudio ed Ero, nessuno resta con le mani in mano: c’ in atto un tentativo di avvicinamento tra Beatrice e Benedetto. Da una parte il promesso sposo con Don Pedro fanno credere a Benedetto che la nipote di Leonato sia innamorata di lui; dall’altra la sposa con le sue damigelle Margherita e Ursula convincono Beatrice che Benedetto stia languendo per lei.
I due, che quando si incontrano non fanno altro che litigare – in modo estremamente forbito e divertente, tra l’altro – iniziano a riconsiderare i sentimenti che provano l’una verso l’altra.
Tutto sembrerebbe procedere per il meglio, ma Don John trama nell’ombra.
Un inganno quasi mortale...risolto da due signori “noiosi”
Don John, con l’aiuto dei suoi servi Borraccio e Corrado, il primo dei quali ha da tempo una storia con Margherita, approfitta del buio e della confusione notturna per far credere che Ero sia infedele a Claudio. In realtà è Margherita, del tutto ignara del complotto, alla finestra, a chiamare Borraccio ed a dichiarargli il suo amore.
Le conseguenze sono altamente drammatiche: Claudio ripudia Ero il giorno del matrimonio; Beatrice chiede a Benedetto di affrontare Claudio in duello; su consiglio del frate che avrebbe dovuto sposarli, Ero si finge morta finché la questione non si chiarisce.
Questa è la parte drammatica della nostra rom-com, quello che oggi gli appassionati di romance chiamano il third act breakup, e forse non a caso, visto che la scena dell’inganno di Don John avviene proprio nel terzo atto.
La materia narrativa, però, è sviluppata in maniera sorprendente dall’autore. Già, perché i protagonisti, ricchi e concentrati su se stessi, si lasciano trascinare da quel che è successo senza un particolare approfondimento o introspezione.
Ero, da timida e pudica fanciulla, di fronte ad accuse che per i tempi erano gravissime, non trova di meglio da fare se non svenire. Il buon Leonato perde la testa ed il primo impulso è quello di accoltellare la figlia innocente. Claudio, come diceva il professore di un mio laboratorio su Shakespeare all’Università, “non capisce niente dall’inizio alla fine”: è chiaro che in questa commedia egli rivesta l’archetipo del giovane romantico e valoroso che però ha ancora bisogno di essere guidato da adulti più maturi di lui. Don Pedro è accecato da quella che crede essere un’armonia ritrovata con il fratellastro.
Persino Beatrice e Benedetto, che pure fanno la figura migliore tra tutti i personaggi principali, perché conoscono Ero e si fidano della sua bontà, e riescono a tranquillizzare anche gli altri, non trovano però soluzione migliore di un duello ai danni di Claudio.
Chi indaga, allora? Chi cerca di capire davvero perché è successo quello che è successo?
Saranno i più improbabili tra i personaggi secondari a risolvere il mistero. Dogberry, l’ufficiale incaricato dalla ronda di guardia, e Verges, il capodistretto, collega di Dogberry. Leggendo le pagine che li vedono protagonisti, la sensazione è quella di ritrovarsi davanti agli antenati di Stanlio e Ollio: i due si credono geniali ma finiscono per combinare solo guai; danno istruzioni alle loro guardie usando dei paroloni, ma non ne conoscono il significato, così pronunciano frasi senza senso, e talvolta si auto-insultano; hanno persino la medesima corporatura del duo americano, visto che Dogberry è quasi rotondo e Verges è alto e secco.
Due personaggi che potrebbero sembrare del tutto inaffidabili, dunque.
Eppure sono loro ad intercettare e catturare Borraccio e Corrado; loro a cercare di parlare con Leonato prima che avvenga lo sfortunato tentativo di matrimonio, anche se non riescono a spiegarsi ed il padre della sposa, che ha ben altro per la testa, li liquida dicendo che sono “noiosi”; loro, infine, a portare Borraccio al cospetto di Don Pedro ed a far sì che l’inganno venga rivelato.
Non è la prima volta, nelle opere shakespeariane, in cui il modus operandi poco “elevato” ma molto pratico e utile delle persone comuni si contrappone alle azioni nobili ma un po’ distaccate dal mondo dei ricchi protagonisti. La balia di Giulietta ne è un altro esempio, così come Calibano e l’equipaggio della nave ne La tempesta.
Quasi come se l’autore ci volesse dire che, sì, le vicende degli eroici protagonisti sono quelle che passeranno alla storia (o faranno parte per secoli dell’immaginario letterario), ma senza il supporto in secondo piano di chi davvero deve lottare per vivere ogni giorno, probabilmente sarebbe andato tutto a rotoli, e addio sogni di gloria…
I veri protagonisti
Torniamo a parlare d’amore, e non giriamo troppo intorno a quello che credo tutti abbiano pensato leggendo quest’opera o vedendola rappresentata: i veri protagonisti, quelli che vivono la storia d’amore più bella, non sono Claudio ed Ero, ma Beatrice e Benedetto. Tra l’altro, se qualcuno dei soliti detrattori di romance vi accuserà mai di leggere i libri con il trope enemies to lovers perché “adesso sono tanto di moda”, rispondete pure che non è affatto una moda passeggera, e se c’è qualcuno che ha inventato questo sottogenere sono stati proprio Beatrice e Benedetto. Ne ho letti tanti, di romanzi con battibecchi d’amore, e credo che quello del primo atto tra il Signor Stoccata e Madama Sdegno sia ancora imbattibile, nonostante i secoli trascorsi.
Gusti personali a parte, è come se la storia di Claudio ed Ero rappresentasse quel che “dovrebbe essere”, quel che la società voleva al tempo per le classi sociali abbienti: un corteggiamento galante e discreto, la protezione di un amico potente, un matrimonio organizzato in fretta, senza che quasi gli sposi possano davvero interagire. Un amore idealizzato, che basta poco a far affondare nel dubbio, e che rinasce più potente solo se l’ostacolo si rimuove completamente (e quindi torna l’idealizzazione).
Invece l’amore tra Beatrice e Benedetto è un sentimento travagliato e vero, ed è per questo che ci parla ancora oggi. Gli scontri, la conoscenza dei reciproci difetti, la scelta di allontanarsi, l’incontro quando si è più maturi e meglio disposti a venirsi incontro (anche se si dice tutt’altro), il rovescio della sorte che consente ai due protagonisti di ritrovarsi – in modo inaspettato – nella medesima squadra.
Oggi una vicenda come quella di Beatrice e Benedetto è abbastanza ordinaria, e anzi, pure le nostre nonne ci scherzavano sopra dicendo che “l’amore non è bello se non è litigarello”. Ma ai tempi di Shakespeare, che qualcuno criticasse la gestione delle relazioni e del matrimonio, e si azzardasse a proporre come esempio una coppia che si prende del tempo per conoscersi ed a lungo si crede in amicizia (in qualche momento persino in inimicizia) era notevole, per non dire rivoluzionario.
Un lieto fine?
Il paragone con le commedie romantiche ci ha accompagnato fin qui, e possiamo dire che non ci lascia, dal momento che un lieto fine c’è. La storia si conclude con un doppio matrimonio (Claudio con Ero e Beatrice con Benedetto) e con una festa che segna la riconciliazione di tutti.
Ci sono però due questioni in sospeso che gettano un’ombra sulla fine di Molto rumore per nulla.
La prima è la cattura di Don John, che stava scappando. Don Pedro vorrebbe interrogarlo e punirlo subito; è Benedetto a fermarlo, chiedendo a tutti di “non pensare più a lui”, almeno per oggi che è un giorno di festa, e che il giusto castigo si troverà, ma in un altro momento. Quindi romanticismo sì, festa sì, ma senza dimenticare che la totale allegria, purtroppo, dura solo un giorno, quello dei matrimoni e della riconciliazione: già il giorno dopo la vita vera bussa alla porta di nuovo, sotto forma di una persona invidiosa e crudele alla quale si dovrà chiedere conto di quel che ha fatto.
La seconda è la malinconia del Principe d’Aragona. Don Pedro, esattamente come il protagonista de Il mercante di Venezia, riveste i panni del “Malinconico”, e tale resta anche alla fine dell’opera, mentre tutti festeggiano.
Benedetto, pensando che Don Pedro sia inquieto perché ha nuovamente perduto il fratello, lo invita a non essere triste e a pensare anch’egli di prendere moglie. Ma qualcuno potrebbe dire che è proprio questo il guaio.
Tra gli archetipi teatrali ai quali si ispira Shakespeare, il “Malinconico” è tale proprio perché è innamorato e non ricambiato. E, incantata com’ero ogni volta che riguardavo Kenneth Branagh ed Emma Thompson interpretare Beatrice e Benedetto, ci ho messo anni per comprendere che Don Pedro ha rinunciato a Beatrice.
C’è un momento dell’opera in cui egli fa intuire con molta diplomazia a Beatrice che ella non gli è indifferente, e che la sua perenne allegria rischiara il suo carattere ombroso. Beatrice ribatte con (apparente?) tranquillità che “vostra grazia è un abito troppo impegnativo da indossare tutti i giorni”. Così, tra la differenza di classe sociale ed il fatto che ci sia un legame sentimentale con un caro amico, Don Pedro accetta che Beatrice non è destinata a lui, ma di certo non riesce a fingere guardandola mentre si sposa con un altro.
Quindi lieto fine sì, ma senza dimenticare che i problemi della vita di tutti i giorni tornano sempre a farsi vivi. Anche se a volte creano un po’ troppo rumore per nulla…
Grazie se avete letto fin qui!
So che questi post letterari possono essere un po’ più impegnativi, ma ad essere sincera io per prima ogni volta mi stupisco di come spesso riesca a scriverli di getto. Evidentemente, una volta che sei stata studentessa di Lettere/Filologia moderna/dintorni, lo sei per sempre. O almeno mi piace pensarlo.
Fatemi sapere se vi piace questo classico, o se l’avete letto o visto rappresentato da qualche parte!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
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