I mondi di Antonia Pozzi #4
Cari lettori,
bentrovati! Archiviati i post “speciali per le feste”, il blog torna alla sua solita routine, con le rubriche che tutti voi conoscete. Per oggi ho deciso di ricominciare da “L’angolo della poesia” e di farvi nuovamente incontrare con Antonia Pozzi, la poetessa lombarda protagonista del nostro progetto letterario.
Dopo aver parlato negli scorsi post di mare, montagna e crescita, oggi affrontiamo una tematica importante per l’autrice (e infatti l’appuntamento odierno è piuttosto corposo): l’amore. Purtroppo sappiamo che la vita amorosa di Antonia Pozzi è stata piuttosto infelice: l’impressione è che ella si sia innamorata più volte di uomini maturi che stimava molto, ma che non solo non hanno ricambiato fino in fondo il suo sentimento, ma non ne hanno compreso la sensibilità, la complessità, la grandezza intellettuale. Non sappiamo se sia stato l’amore la causa principale del suo suicidio a soli 26 anni, ma non mi sentirei di escludere che esso abbia avuto un peso rilevante nel suo equilibrio psicologico.
Vi lascio alle poesie, sperando che anche voi ne siate colpiti!
Un’altra sosta
(Dipinto: Parco di S.Cloud, autunno 1906 di Wassily Kandinsky)
(a L.B.)
Appoggiami la testa sulla spalla:
ch’io ti carezzi con un gesto lento,
come se la mia mano accompagnasse
una lunga, invisibile gugliata.
Non sul tuo capo solo: su ogni fronte
che dolga di tormento e di stanchezza
scendono queste mie carezze cieche,
come foglie ingiallite d’autunno
in una pozza che riflette il cielo.
Milano, 23 aprile 1929
Vuoto
(Dipinto: Sera alla finestra, di Marc Chagall)
(ad A.M.C.)
Ieri sera la stelle
erano fitte come i battiti del mio orologio.
Questa sera sono cadute tutte nella strada:
ingigantite dalla vicinanza, noi le chiamiamo lumi.
Su non rimane
che qualche briciola rada,
qualche minuzzolo smarrito
nella vastità immota:
il cielo è cieco e stupito
come una tazza vuota.
Ed io guardo all’azzurro irraggiungibile,
per non guardare a quello che ho compiuto,
e mi allontano da te
come un pezzo di carne insensibile,
senza piangere, senza gridare:
io che non so neppur pregare
pel tuo fratello caduto.
Milano, 30 maggio 1929
Pace
(Dipinto: Addio alla rabbia, di Leonid Afremov)
(ad A.M.C.)
Ascolta:
come sono vicine le campane!
Vedi: i pioppi, nel viale, si protendono
per abbracciarne il suono. Ogni rintocco
è una carezza fonda, un vellutato
manto di pace, sceso dalla notte
ad avvolger la casa e la mia vita.
Ogni cosa, d’intorno, è grande e ombrosa
come tutti i ricordi dell’infanzia.
Dammi la mano: so quanto ha doluto,
sotto i miei baci, la tua mano. Dammela.
Questa sera non m’ardono le labbra.
Camminiamo così: la strada è lunga.
Leggo per un gran tratto nel futuro
come sul foglio che mi sta dinnanzi:
poi, la visione cade bruscamente
nel buio dell’ignoto, come questa
pagina bianca, che si rompe, netta,
sul panno oscuro della scrivania.
Ma vieni: camminiamo: anche l’ignoto
non mi spaventa, se ti son vicina.
Tu mi fai buona e bianca come un bimbo
che dice le preghiere e s’addormenta.
Carnisio, 3 luglio 1929
Canto rassegnato
(Dipinto: San Genesio, di Christian Seebauer)
(ad A.M.C.)
Vieni, mio dolce amico: sulla bianca
e soda strada noi seguiteremo
finché tutta la valle s’inazzurri.
Vieni: è tanto soave camminare
a te d’accanto, anche se tu non m’ami.
C’è tanto verde, intorno, tanto odore
di timo c’è, e sono così ariose,
nell’indorato cielo, le montagne:
è quasi come se anche tu mi amassi.
Arriveremo giù, fino a quel ponte
sorretto dallo scroscio del torrente:
là tu continuerai pel tuo cammino.
Io resterò sul greto, fra i cespugli,
dove l’acqua non giunge, fra le pietre
chiare, rotonde, immote, come dorsi
di una gregge accosciata. Col mio pianto
vitreo, pari a lente che non pecca,
io specchierò e raddoppierò le stelle.
Pasturo, 18 luglio 1929
Le mani sulle piaghe
(Dipinto: Banco di nebbia, di Caspar David Friedrich)
(ad A.M.C.)
E quando tu te ne sarai andato,
fratello, io seguirò la bianca strada
ovattata di nebbia.
L’acqua andrà remigando come un’ala
languida e nera: giù dai vecchi muri,
qualche grido di verde e di scarlatto,
vite, edera, veccia.
Tanto silenzio ci sarà, lì presso:
un silenzio d’attesa.
Allora farò lieve la mia voce,
farò lievi i miei passi:
m’inoltrerò nel luogo dei malati
come il bimbo che entra in un suo sogno
di paradiso, dove tutto è bianco.
Non ci saran più volti, né capelli,
né età, né nomi: ci sarà un candore
infinito, vorace.
Ma, dal candore, mille urli rossastri
si leveranno: oh, mani
livide, abbandonate sulle coltri;
mani che vi portate come artigli
sopra le piaghe aperte
per difenderle a unghiate o per squarciarle;
mani che avete in voi tutto il dolore
e il mistero dell’essere;
io farò lievi, un giorno, le mie mani
sopra di voi. E là dove il silenzio
è un’attesa di morte o di salvezza,
il silenzio e la fede vestiranno
la mia esistenza nuda.
Fratello, io farò lieve il mio respiro,
l’anima mia farò lieve e sicura
sopra il gran male umano:
dentro i labbri di tutte le ferite
io stagnerò il tuo sangue,
fra le ciglia di ognuno che si strazia
asciugherò il tuo pianto.
Milano, 2 novembre 1929
Rivelazione
(Dipinto: Romeo e Giulietta, di Francesco Hayez)
C’erano tutte le luci accese,
tutte le porte aperte,
nella mia casa ricca, fredda
e noi due c’eravamo
a toccarci per la prima volta
con mani cieche
e nel vuoto le nostre labbra
ignare, inerti,
congiunte.
Milano, 15 novembre 1931
Pudore
(Dipinto: Ragazza che legge in giardino, di Vladimir Volegov)
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
1 febbraio 1933
Solitudine
(Dipinto: Tramonto sul mare, di Pierre-Auguste Renoir)
Benché l’odore delle foglie nuove ti desti
ad una voglia di umano sole
ed il tramonto non trascolorato ancora in sera
ti spinga
per vie di terra
- remote
le soglie spente del cielo -
tu cerchi invano chi possa
in quest’ora per un tuo voto giungere
presso il tuo cuore -
vero è che nessuno
più giunge presso il tuo cuore
inaccessibile -
ch’esso è fatto solo -
dannato ai gridi
delle sue
rondini -
4 maggio 1933
L’allodola
(Dipinto: Il mietitore, di Vincent Van Gogh)
Dopo il bacio – dall’ombra degli olmi
sulla strada uscivamo
per ritornare:
sorridevamo al domani
come bimbi tranquilli.
Le nostre mani
congiunte
componevano una tenace
conchiglia
che custodiva
la pace.
Ed io ero piana
quasi tu fossi un santo
che placa la vana
tempesta
e cammina sul lago.
Io ero un immenso
cielo d’estate
all’alba
su sconfinate
distese di grano.
Ed il mio cuore
una trillante allodola
che misurava
la serenità.
25 agosto 1933
Non so
(Dipinto: Iris, di Vincent Van Gogh)
Io penso che il tuo modo di sorridere
è più dolce del sole
su questo vaso di fiori
già un poco
appassiti -
penso che forse è buono
che cadano da me
tutti gli alberi -
ch’io sia un piazzale bianco deserto
alla tua voce – che forse
disegna i viali
per il nuovo
giardino.
4 ottobre 1933
Sfiducia
(Dipinto: La colonna spezzata, di Frida Kahlo)
Tristezza di queste mie mani
troppo pesanti
per non aprire piaghe,
troppo leggère
per lasciare un’impronta -
tristezza di questa mia bocca
che dice le stesse
parole tue
- altre cose intendendo -
e questo è il modo
della più disperata
lontananza.
16 ottobre 1933
All’amato
(Scultura di Alik Cavaliere)
Tu sei tornato in me
come la voce
d’uno che giunge,
ch’empie a un tratto la stanza,
quando è già sera.
Qui c’era
soltanto il peso
delle ore irrigidite
in grigiore di pietra,
il passo lento
dei fossati in pianura
sotto nudi archi di pioppi. C’erano
al termine delle case
le povere strade
di novembre, straziate di solchi…
E c’era questo mio vivere
che ripete ogni giorno
il gesto di una mano di carne
calata giù nel profondo
a chiudere la bocca di Dio.
C’era la sabbia
che giù si rovescia
sull’incendio di Dio.
C’era la falce
che morde
le erbe di Dio.
La pietra
che cade sui cani,
sugli uccelli di Dio.
Allora sei tornato
tu – in me -
come la voce
d’uno che giunge,
che nessuno più attende
perché è già sera.
Sei ritornato in me
come un fedele
stormo di rondini
che riappendon nidi
al tetto oscuro del cuore.
Sei ritornato come uno sciame
d’api che cercano
i loro fiori – e indorano
l’orto nativo.
Ora nell’orto io sento
crescere i nuovi
miei fiori per te. Sento spuntare
sui pascoli, dove
la neve si è sciolta,
gli anemoni gialli
e dal suolo del cielo
le stelle – che a quelli somigliano -
le stelle – dopo che il gelo
del vespro è scomparso
e la notte è la terra feconda -
il monte
primaverile
di Dio.
6 novembre 1933
Confidare
(Dipinto: Jeanne-Marguerite Lecadre nel giardino, di Claude Monet)
Ho tanta fede in te. Mi sembra
che saprei aspettare la tua voce
in silenzio, per secoli
di oscurità.
Tu sai tutti i segreti,
come il sole:
potresti far fiorire
i gerani e la zàgara selvaggia
sul fondo delle cave
di pietra, delle prigioni
leggendarie.
Ho tanta fede in te. Son quieta
come l’arabo avvolto
nel barracano bianco,
che ascolta Dio maturargli
l’orzo intorno alla casa.
8 dicembre 1934
Convegno
(Dipinto: Nella notte, di Marc Chagall)
Nell’aria della stanza
non te
guardo
ma già il ricordo del tuo viso
come mi nascerà
nel vuoto
ed i tuoi occhi
come si fermarono
ora – in lontani istanti -
sul mio volto.
29 maggio 1935
8 ottobre 1936
(Dipinto: Il bacio, di Pablo Picasso)
In campagne di vento
urlano i cani
sul sonno delle mandrie all’addiaccio.
Or sulle mani
mi respiri tu
solitudine
lenta fatica d’amore.
Voce di donna
(Dipinto: Pianto d’amore, di Giorgio De Chirico)
Io nacqui sposa di te soldato.
So che a marce e a guerre
lunghe stagioni ti divelgon da me.
Curva sul focolare aduno bragi,
sopra il tuo letto ho disteso un vessillo -
ma se ti penso all’addiaccio
piove sul mio corpo autunnale
come su un bosco tagliato.
Quando balena il cielo di settembre
e pare un’arma gigantesca sui monti,
salvie rosse mi sbocciano sul cuore:
che tu mi chiami,
che tu mi usi
con la fiducia che dai alle cose,
come acqua che versi sulle mani
o lana che ti avvolgi intorno al petto.
Sono la scarna siepe del tuo orto
che sta muta a fiorire
sotto convogli di zingare stelle.
18 settembre 1937
...argomento impegnativo, eh?
Come avrete visto, Antonia Pozzi aveva davvero tanto da dire sull’amore, e lo ha fatto in un modo così puro e lontano da clichés da lasciarmi spesso senza fiato. Spero tanto che queste parole siano entrate nel cuore anche a voi.
Fatemi sapere quali di questi componimenti avete preferito e perché, se vi va.
Vi ringrazio per la vostra costanza nell’accompagnarmi in questo viaggio poetico!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
Versi molto belli, ma che trasudano infelicità e tristezza più che amore.
RispondiEliminaNon so se le relazioni fossero alla base della sua scelta di suicidarsi, ma nemmeno io mi sentirei di escluderlo, visto quanto la amareggiavano.
Ciao Claudia! è vero, purtroppo Antonia Pozzi ha vissuto i suoi amori con una buona dose di infelicità... oltre alla sua naturale sensibilità, probabilmente ha avuto anche un po' di sfortuna :-(
EliminaUna carrellata che non è facile scegliere ma tutti belli.
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte forte abbraccio.
Tomaso
Ciao Tomaso! Che bello risentirti di nuovo su questi schermi, spero che tu stia bene :-) Eh sì, la scelta non è facile, ma ci sono tante belle poesie! Buona giornata anche a te! :-)
Eliminadifficile scegliere una preferita, sono molto molto belle, intime, e sì... con note accentuate di mestizia :(
RispondiEliminae belli anche i quadri associali ad ogni poesia, in particolare L'allodola con il quadro di van gogh :=)
Ciao Angela! Eh sì, un pochino di mestizia purtroppo non manca :-( Sono contenta che ti piacciano anche le mie scelte dei quadri!
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