giovedì 7 gennaio 2021

DESIDERIO D'AMORE

 I mondi di Antonia Pozzi #4



Cari lettori,

bentrovati! Archiviati i post “speciali per le feste”, il blog torna alla sua solita routine, con le rubriche che tutti voi conoscete. Per oggi ho deciso di ricominciare da “L’angolo della poesia” e di farvi nuovamente incontrare con Antonia Pozzi, la poetessa lombarda protagonista del nostro progetto letterario.


Dopo aver parlato negli scorsi post di maremontagna e crescita, oggi affrontiamo una tematica importante per l’autrice (e infatti l’appuntamento odierno è piuttosto corposo): l’amore. Purtroppo sappiamo che la vita amorosa di Antonia Pozzi è stata piuttosto infelice: l’impressione è che ella si sia innamorata più volte di uomini maturi che stimava molto, ma che non solo non hanno ricambiato fino in fondo il suo sentimento, ma non ne hanno compreso la sensibilità, la complessità, la grandezza intellettuale. Non sappiamo se sia stato l’amore la causa principale del suo suicidio a soli 26 anni, ma non mi sentirei di escludere che esso abbia avuto un peso rilevante nel suo equilibrio psicologico.


Vi lascio alle poesie, sperando che anche voi ne siate colpiti!



Un’altra sosta


(Dipinto: Parco di S.Cloud, autunno 1906 di Wassily Kandinsky)


(a L.B.)


Appoggiami la testa sulla spalla:

ch’io ti carezzi con un gesto lento,

come se la mia mano accompagnasse

una lunga, invisibile gugliata.

Non sul tuo capo solo: su ogni fronte

che dolga di tormento e di stanchezza

scendono queste mie carezze cieche,

come foglie ingiallite d’autunno

in una pozza che riflette il cielo.


Milano, 23 aprile 1929



Vuoto


(Dipinto: Sera alla finestra, di Marc Chagall)


(ad A.M.C.)


Ieri sera la stelle

erano fitte come i battiti del mio orologio.

Questa sera sono cadute tutte nella strada:

ingigantite dalla vicinanza, noi le chiamiamo lumi.

Su non rimane

che qualche briciola rada,

qualche minuzzolo smarrito

nella vastità immota:

il cielo è cieco e stupito

come una tazza vuota.

Ed io guardo all’azzurro irraggiungibile,

per non guardare a quello che ho compiuto,

e mi allontano da te

come un pezzo di carne insensibile,

senza piangere, senza gridare:

io che non so neppur pregare

pel tuo fratello caduto.


Milano, 30 maggio 1929



Pace


(Dipinto: Addio alla rabbia, di Leonid Afremov)


(ad A.M.C.)


Ascolta:

come sono vicine le campane!

Vedi: i pioppi, nel viale, si protendono

per abbracciarne il suono. Ogni rintocco

è una carezza fonda, un vellutato

manto di pace, sceso dalla notte

ad avvolger la casa e la mia vita.

Ogni cosa, d’intorno, è grande e ombrosa

come tutti i ricordi dell’infanzia.

Dammi la mano: so quanto ha doluto,

sotto i miei baci, la tua mano. Dammela.

Questa sera non m’ardono le labbra.

Camminiamo così: la strada è lunga.

Leggo per un gran tratto nel futuro

come sul foglio che mi sta dinnanzi:

poi, la visione cade bruscamente

nel buio dell’ignoto, come questa

pagina bianca, che si rompe, netta,

sul panno oscuro della scrivania.

Ma vieni: camminiamo: anche l’ignoto

non mi spaventa, se ti son vicina.

Tu mi fai buona e bianca come un bimbo

che dice le preghiere e s’addormenta.


Carnisio, 3 luglio 1929



Canto rassegnato


(Dipinto: San Genesio, di Christian Seebauer)


(ad A.M.C.)


Vieni, mio dolce amico: sulla bianca

e soda strada noi seguiteremo

finché tutta la valle s’inazzurri.

Vieni: è tanto soave camminare

a te d’accanto, anche se tu non m’ami.

C’è tanto verde, intorno, tanto odore

di timo c’è, e sono così ariose,

nell’indorato cielo, le montagne:

è quasi come se anche tu mi amassi.

Arriveremo giù, fino a quel ponte

sorretto dallo scroscio del torrente:

là tu continuerai pel tuo cammino.

Io resterò sul greto, fra i cespugli,

dove l’acqua non giunge, fra le pietre

chiare, rotonde, immote, come dorsi

di una gregge accosciata. Col mio pianto

vitreo, pari a lente che non pecca,

io specchierò e raddoppierò le stelle.


Pasturo, 18 luglio 1929



Le mani sulle piaghe


(Dipinto: Banco di nebbia, di Caspar David Friedrich)


(ad A.M.C.)


E quando tu te ne sarai andato,

fratello, io seguirò la bianca strada

ovattata di nebbia.

L’acqua andrà remigando come un’ala

languida e nera: giù dai vecchi muri,

qualche grido di verde e di scarlatto,

vite, edera, veccia.

Tanto silenzio ci sarà, lì presso:

un silenzio d’attesa.

Allora farò lieve la mia voce,

farò lievi i miei passi:

m’inoltrerò nel luogo dei malati

come il bimbo che entra in un suo sogno

di paradiso, dove tutto è bianco.

Non ci saran più volti, né capelli,

né età, né nomi: ci sarà un candore

infinito, vorace.

Ma, dal candore, mille urli rossastri

si leveranno: oh, mani

livide, abbandonate sulle coltri;

mani che vi portate come artigli

sopra le piaghe aperte

per difenderle a unghiate o per squarciarle;

mani che avete in voi tutto il dolore

e il mistero dell’essere;

io farò lievi, un giorno, le mie mani

sopra di voi. E là dove il silenzio

è un’attesa di morte o di salvezza,

il silenzio e la fede vestiranno

la mia esistenza nuda.

Fratello, io farò lieve il mio respiro,

l’anima mia farò lieve e sicura

sopra il gran male umano:

dentro i labbri di tutte le ferite

io stagnerò il tuo sangue,

fra le ciglia di ognuno che si strazia

asciugherò il tuo pianto.


Milano, 2 novembre 1929



Rivelazione


(Dipinto: Romeo e Giulietta, di Francesco Hayez)


C’erano tutte le luci accese,

tutte le porte aperte,

nella mia casa ricca, fredda

e noi due c’eravamo

a toccarci per la prima volta

con mani cieche

e nel vuoto le nostre labbra

ignare, inerti,

congiunte.


Milano, 15 novembre 1931



Pudore


(Dipinto: Ragazza che legge in giardino, di Vladimir Volegov)


Se qualcuna delle mie povere parole

ti piace

e tu me lo dici

sia pur solo con gli occhi

io mi spalanco

in un riso beato

ma tremo

come una mamma piccola giovane

che perfino arrossisce

se un passante le dice

che il suo bambino è bello.


1 febbraio 1933



Solitudine


(Dipinto: Tramonto sul mare, di Pierre-Auguste Renoir)


Benché l’odore delle foglie nuove ti desti

ad una voglia di umano sole


ed il tramonto non trascolorato ancora in sera

ti spinga

per vie di terra

- remote

le soglie spente del cielo -


tu cerchi invano chi possa

in quest’ora per un tuo voto giungere

presso il tuo cuore -


vero è che nessuno

più giunge presso il tuo cuore

inaccessibile -


ch’esso è fatto solo -

dannato ai gridi

delle sue

rondini -


4 maggio 1933



L’allodola


(Dipinto: Il mietitore, di Vincent Van Gogh)


Dopo il bacio – dall’ombra degli olmi

sulla strada uscivamo

per ritornare:

sorridevamo al domani

come bimbi tranquilli.

Le nostre mani

congiunte

componevano una tenace

conchiglia

che custodiva

la pace.

Ed io ero piana

quasi tu fossi un santo

che placa la vana

tempesta

e cammina sul lago.

Io ero un immenso

cielo d’estate

all’alba

su sconfinate

distese di grano.

Ed il mio cuore

una trillante allodola

che misurava

la serenità.


25 agosto 1933



Non so


(Dipinto: Iris, di Vincent Van Gogh)


Io penso che il tuo modo di sorridere

è più dolce del sole

su questo vaso di fiori

già un poco

appassiti -


penso che forse è buono

che cadano da me

tutti gli alberi -


ch’io sia un piazzale bianco deserto

alla tua voce – che forse

disegna i viali

per il nuovo

giardino.


4 ottobre 1933



Sfiducia


(Dipinto: La colonna spezzata, di Frida Kahlo)


Tristezza di queste mie mani

troppo pesanti

per non aprire piaghe,

troppo leggère

per lasciare un’impronta -


tristezza di questa mia bocca

che dice le stesse

parole tue

- altre cose intendendo -

e questo è il modo

della più disperata

lontananza.


16 ottobre 1933



All’amato


(Scultura di Alik Cavaliere)


Tu sei tornato in me

come la voce

d’uno che giunge,

ch’empie a un tratto la stanza,

quando è già sera.


Qui c’era

soltanto il peso

delle ore irrigidite

in grigiore di pietra,

il passo lento

dei fossati in pianura

sotto nudi archi di pioppi. C’erano

al termine delle case

le povere strade

di novembre, straziate di solchi…


E c’era questo mio vivere

che ripete ogni giorno

il gesto di una mano di carne

calata giù nel profondo

a chiudere la bocca di Dio.

C’era la sabbia

che giù si rovescia

sull’incendio di Dio.

C’era la falce

che morde

le erbe di Dio.


La pietra

che cade sui cani,

sugli uccelli di Dio.


Allora sei tornato

tu – in me -

come la voce

d’uno che giunge,

che nessuno più attende

perché è già sera.


Sei ritornato in me

come un fedele

stormo di rondini

che riappendon nidi

al tetto oscuro del cuore.

Sei ritornato come uno sciame

d’api che cercano

i loro fiori – e indorano

l’orto nativo.


Ora nell’orto io sento

crescere i nuovi

miei fiori per te. Sento spuntare

sui pascoli, dove

la neve si è sciolta,

gli anemoni gialli


e dal suolo del cielo

le stelle – che a quelli somigliano -

le stelle – dopo che il gelo

del vespro è scomparso


e la notte è la terra feconda -

il monte

primaverile

di Dio.


6 novembre 1933



Confidare


(Dipinto: Jeanne-Marguerite Lecadre nel giardino, di Claude Monet)


Ho tanta fede in te. Mi sembra

che saprei aspettare la tua voce

in silenzio, per secoli

di oscurità.


Tu sai tutti i segreti,

come il sole:

potresti far fiorire

i gerani e la zàgara selvaggia

sul fondo delle cave

di pietra, delle prigioni

leggendarie.


Ho tanta fede in te. Son quieta

come l’arabo avvolto

nel barracano bianco,

che ascolta Dio maturargli

l’orzo intorno alla casa.


8 dicembre 1934



Convegno


(Dipinto: Nella notte, di Marc Chagall)


Nell’aria della stanza

non te

guardo

ma già il ricordo del tuo viso

come mi nascerà

nel vuoto

ed i tuoi occhi

come si fermarono

ora – in lontani istanti -

sul mio volto.


29 maggio 1935



8 ottobre 1936


(Dipinto: Il bacio, di Pablo Picasso)


In campagne di vento

urlano i cani

sul sonno delle mandrie all’addiaccio.

Or sulle mani

mi respiri tu

solitudine

lenta fatica d’amore.



Voce di donna


(Dipinto: Pianto d’amore, di Giorgio De Chirico)


Io nacqui sposa di te soldato.

So che a marce e a guerre

lunghe stagioni ti divelgon da me.


Curva sul focolare aduno bragi,

sopra il tuo letto ho disteso un vessillo -

ma se ti penso all’addiaccio

piove sul mio corpo autunnale

come su un bosco tagliato.


Quando balena il cielo di settembre

e pare un’arma gigantesca sui monti,

salvie rosse mi sbocciano sul cuore:

che tu mi chiami,

che tu mi usi

con la fiducia che dai alle cose,

come acqua che versi sulle mani

o lana che ti avvolgi intorno al petto.


Sono la scarna siepe del tuo orto

che sta muta a fiorire

sotto convogli di zingare stelle.


18 settembre 1937



...argomento impegnativo, eh?

Come avrete visto, Antonia Pozzi aveva davvero tanto da dire sull’amore, e lo ha fatto in un modo così puro e lontano da clichés da lasciarmi spesso senza fiato. Spero tanto che queste parole siano entrate nel cuore anche a voi.

Fatemi sapere quali di questi componimenti avete preferito e perché, se vi va.

Vi ringrazio per la vostra costanza nell’accompagnarmi in questo viaggio poetico!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

6 commenti :

  1. Versi molto belli, ma che trasudano infelicità e tristezza più che amore.
    Non so se le relazioni fossero alla base della sua scelta di suicidarsi, ma nemmeno io mi sentirei di escluderlo, visto quanto la amareggiavano.

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    1. Ciao Claudia! è vero, purtroppo Antonia Pozzi ha vissuto i suoi amori con una buona dose di infelicità... oltre alla sua naturale sensibilità, probabilmente ha avuto anche un po' di sfortuna :-(

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  2. Una carrellata che non è facile scegliere ma tutti belli.
    Ciao e buona giornata con un forte forte abbraccio.
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso! Che bello risentirti di nuovo su questi schermi, spero che tu stia bene :-) Eh sì, la scelta non è facile, ma ci sono tante belle poesie! Buona giornata anche a te! :-)

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  3. difficile scegliere una preferita, sono molto molto belle, intime, e sì... con note accentuate di mestizia :(
    e belli anche i quadri associali ad ogni poesia, in particolare L'allodola con il quadro di van gogh :=)

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    1. Ciao Angela! Eh sì, un pochino di mestizia purtroppo non manca :-( Sono contenta che ti piacciano anche le mie scelte dei quadri!

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