lunedì 17 ottobre 2022

L'ANGOLO VINTAGE 2.0 - OTTOBRE 2022

 


Cari lettori,

bentornati all’appuntamento con la nostra rubrica “L’angolo vintage” del 17 del mese! Questo mese cade proprio di lunedì, uno dei soliti due giorni di pubblicazione del blog :-)


Stavolta ho pensato di parlarvi di due gialli di autori che avete visto già qualche volta su questi schermi: Ilaria Tuti e Antonio Manzini. Passeremo il post di oggi in compagnia del commissario Teresa Battaglia e del vicequestore Rocco Schiavone, leggendo due delle loro ultime disavventure.


Ho letto questi due romanzi un po’ di tempo fa e purtroppo non sono riuscita a parlarvene fino ad ora! Devo ammettere che questa rubrica è davvero utilissima per le recensioni arretrate.


Senza ulteriori chiacchiere, vi lascio ai miei pareri sui libri!



Figlia della cenere, di Ilaria Tuti


Avevamo lasciato Teresa Battaglia qui, ancora emozionata e scossa per le terribili scoperte fatte in Val di Resia, nel cuore di una società matriarcale attaccatissima alle sue tradizioni.


Teresa non si è ancora ripresa dalla sua ultima indagine: il suo Alzheimer precoce, diagnosticatole mesi prima, sta progredendo sempre più rapidamente ed ha già rischiato di provocare un incidente stradale. Il suo unico conforto è il suo diario, in cui annota tutto quello che vorrebbe ricordare e qualunque dettaglio le sia utile per il lavoro.


In questo clima non proprio sereno, una notizia arriva del tutto inaspettata: lei e l’ispettore Marini, suo fedele braccio destro, si ritrovano a dover affrontare un colloquio con un serial killer, Giacomo Mainardi, che ha richiesto urgentemente un incontro.


L’uomo rivela al commissario Battaglia di essere complice, anche dentro le mura del carcere, di un uomo pericoloso, e che ora quest’ultimo vuole ucciderlo. Teresa all’inizio tentenna, ma qualcosa – incomprensibile agli occhi di Marini – la porta in un secondo momento a promettere a Mainardi che indagherà.


A pochi giorni di distanza, in una chiesa di epoca paleocristiana, sotto il livello del suolo, viene fatta una scoperta agghiacciante. In mezzo ad una serie di magnifici mosaici vengono ritrovate delle tessere candide, fatte… di ossa umane. Recentissime, ed estratte dal costato, proprio sopra al cuore. È evidente che si tratti di un omicidio recente, così come è chiaro il coinvolgimento di Giacomo Mainardi, espertissimo creatore di mosaici. Ma com’è possibile che l’uomo abbia agito dal carcere?


Per risolvere questo mistero, il commissario Battaglia deve aprire il cuore a Marini ed agli altri elementi della squadra, per lei importanti tanto quanto una famiglia, e ripercorrere il comune passato che la lega a Giacomo Mainardi. Al tempo, Teresa era una giovane poliziotta dalla vita molto difficile: il lavoro in mezzo a uomini troppo sicuri di sé che la consideravano poco era tutt’altro che facile ed il suo responsabile Albert le faceva del mobbing perché lei si ostinava a rifiutarlo. Il suo problema principale, però, era la sua vita privata, trasformatasi in un vero inferno per via di Sebastiano, il marito che agli occhi di tutti era un irreprensibile professore universitario ed invece davanti a lei si trasformava in un violento aguzzino.


Questo caso, però, sembra andare oltre la follia omicida di Giacomo Mainardi, e si spinge nel passato molto più profondamente di quanto Teresa stessa possa ricordare. Grazie ad Elena, la compagna di Marini, esperta di storia dell’arte e di restauro, gli inquirenti scoprono una pagina inquietante del passato paleocristiano: quella in cui il nascente culto monoteista si stava mescolando con alcuni elementi appartenenti alla religione egiziana, o, più in generale, alle tradizioni orientali. Alcuni storici, a questo proposito, sostengono che al tempo si sia creata una vera e propria setta, una corrente interna al Cristianesimo, che poi è stata repressa nel sangue. Ed il fatto che i frammenti di ossa siano stati inseriti all’interno di mosaici che rappresentavano simboli di questa setta fa temere di avere a che fare con un folle.



Figlia della cenere viene presentato in quarta di copertina come “l’ultima prova” del commissario Teresa Battaglia, ma posso affermare con una certa sicurezza che , per quanto la nostra protagonista risulti provata nel corpo e nello spirito, non la possiamo certo salutare qui. Questo romanzo, infatti, mi sembra solo la prima parte di una lunga indagine, di una storia che evidentemente la Tuti considerava troppo complessa ed articolata per racchiuderla in un libro solo. Non tutti i misteri, infatti, si risolvono tra queste pagine, anzi, un pazzesco colpo di scena verso la fine rivela con grande chiarezza che un quinto libro di Teresa Battaglia ci sarà, e si occuperà proprio di quello che il romanzo ha lasciato in sospeso. Non so ancora quando potremo leggerlo – da quello che ho visto, quest’anno Ilaria Tuti si è dedicata al suo secondo filone, quello storico – ma sono sicura che correrò a leggerlo, perché questa storia è la più profonda e personale tra tutte quelle che hanno visto protagonista Teresa Battaglia, e credo che la risoluzione sarà fondamentale per comprendere a fondo la nostra protagonista.


Il romanzo si svolge su tre piani temporali: il primo è il presente, con il commissario un po’ in difficoltà ma attorniato dalla sua affettuosa squadra; il secondo è il passato di Teresa, la sua gioventù difficile; il terzo sono i primi secoli dopo Cristo, nel periodo in cui i cristiani non erano più perseguitati dai pagani, ma avevano finito per farsi una sorta di guerra tra di loro. L’alternanza di queste tre realtà rende questo romanzo – come gli altri della Tuti, ma in questo caso ancora di più – super scorrevole, una di quelle storie che una volta iniziata non si riesce proprio a mettere giù.


Fa male vedere Teresa Battaglia così fragile ed impaurita, e fa rabbia ripensare al fatto che i problemi di fiducia di questo personaggio siano del tutto giustificati dal suo terribile passato. Ilaria Tuti non scrive storie d’intrattenimento e questa non è una novità, ma in questo romanzo più degli altri descrive brutalmente la quotidianità delle donne vittime di violenza, il loro vivere nella paura e soprattutto il rischio di appoggiarsi per disperazione a qualcun altro che non è proprio così immacolato come credono.


Figlia della cenere è anche un romanzo coltissimo: già in Ninfa dormiente e in Fiori sopra l’Inferno c’erano soprattutto approfondimenti di tipo storico e geografico legati alla terra d’origine dell’autrice, ma qui si torna molto più indietro, ad epoche antiche ed a studi approfonditi di storia delle religioni e di arte paleocristiana. Leggendo questo romanzo ho conosciuto un lato di quell’epoca che a me era del tutto ignoto!


Personalmente mi riconfermo fan delle storie del commissario Battaglia e non vedo l’ora che Ilaria Tuti ci riveli come va a finire questa indagine… speriamo nel 2023!



Le ossa parlano, di Antonio Manzini


Il vicequestore Rocco Schiavone è ormai, molto suo malgrado, di casa ad Aosta. A Roma non gli è rimasto più quasi nulla: la sua vecchia casa è in vendita; dei suoi tre amici fraterni, uno si è rivelato un traditore e gli altri due sono troppo sconvolti per farsi sentire; il ricordo della moglie Marina lo accompagna ovunque egli vada.


Ad Aosta, in compenso, egli è stato tirato dentro un po’ a forza nelle vicende personali di chi lavora al commissariato: i guai sentimentali di Scipioni, la nuova famiglia di Ugo Casella, il coming out di Deruta, la ricaduta nel gioco di Italo, l’insolita coppia formata da Fumagalli e dalla Gambino. E dalla sua parte ci sono sempre la cagnolina Lupa, in procinto di fare i cuccioli, e Gabriele, il suo ex vicino adolescente che sembra felice a Milano, anche se nelle sue telefonate si sente una nota stonata.


Tuttavia la felicità, per Rocco, è fatta di momenti fuggevoli in mezzo ad un mare di incertezze, e il costante irrompere nella sua vita di “rotture di coglioni di decimo grado” (omicidi, come li chiama lui) lo dimostra. Questa volta, però, egli non se la sente nemmeno di lamentarsi come suo solito.


Tra i boschi, un medico in pensione ha trovato le ossa di un bambino, ricoperte da vestiti di foggia maschile, con un piccolo gioco di Capitan America nel taschino. Ad un primo esame, il corpo racconta una storia terribile: il piccolo ha quasi sicuramente subito abusi, poi è stato ucciso ed abbandonato per anni.


A Rocco ed ai suoi, già intristiti dal terribile caso, non resta che cercare tra tutti i casi di bambini scomparsi e vedere se il Dna coincide. Alla fine il corpo viene identificato come quello di Mirko, un bambino sparito da sei anni, quando ne aveva solo dieci, visto per l’ultima volta di fronte alle gradinate della sua scuola.


Il bambino ha una storia familiare non proprio facile: la madre è sempre stata una donna sola, il padre non l’ha riconosciuto ed ha famiglia altrove, lo zio materno è stata per lui l’unica figura paterna.


Ancora una volta Rocco deve addentrarsi in quella che per lui è una mefitica palude, la mente dei criminali e degli assassini, ed indagare il recesso più oscuro di tutti: quello che appartiene a chi fa male ad un bambino innocente.



Le ossa parlano è un romanzo che conferma le impressioni che avevo avuto leggendo Vecchie conoscenze, il capitolo precedente (di cui trovate la recensione qui). Tante serie gialle più recenti ci hanno abituato a leggere non solo i singoli casi di ogni romanzo, ma anche – e talvolta soprattutto – l’evoluzione “in orizzontale” dei protagonisti, che vanno incontro a grandi cambiamenti nel corso delle loro vite. Esempio emblematico è il commissario Ricciardi di Maurizio De Giovanni (in questo post alcune recensioni), un uomo solo e malinconico, maledetto dalla sorte, che trova il coraggio di vivere amicizie e relazioni d’amore grazie all’affetto degli altri personaggi (infatti, ad un certo punto, l’autore ha deciso di chiudere la serie, e credo che abbia fatto bene, altrimenti avrebbe rischiato di cadere in una sorta di “effetto telenovela”). Mi viene in mente anche la ghostwriter Vani Sarca, protagonista delle storie un po’ rosa ed un po’ gialle nate dalla penna di Alice Basso: di certo la Vani del quinto ed ultimo volume non è la stessa Vani del primo, quella a cui sembrava non importare niente di nessuno (ne parlo meglio qui).


Ecco, ammetto di aver sperato più volte in un cambiamento di questo tipo anche per il perennemente infelice vicequestore Rocco Schiavone, anche perché, qualche volta, in un’intervista, l’autore ha accennato ad una sorta di “progetto di ricostruzione” del personaggio, avvenuto per esempio tramite Gabriele, un personaggio che obbliga Rocco a ricominciare ad occuparsi degli altri.


Leggendo questo romanzo, però, mi viene da pensare che Manzini voglia essere almeno in parte fedele alla vecchia scuola, quella di Camilleri, che ci ha sempre presentato un Montalbano sempre amante della sua libertà, un vicecommissario Augello sempre esemplare sul lavoro ma meno affidabile nel privato, un ispettore Fazio sempre impeccabile e così via. Certo, nei suoi romanzi non c’è proprio la staticità dei personaggi dell’universo di Montalbano, ma non ci sono neanche i netti cambiamenti che caratterizzano altre serie.


L’impressione che si ha da lettori è che, per quanto il mondo vada avanti, per quanto gli altri personaggi trovino il coraggio di rivoluzionare le loro vite, per Rocco Schiavone ben poco cambi, perché ogni volta che la vita gli dà un piccolo appiglio per uscire dalla sua cronica infelicità, un’altra brutta notizia o un allontanamento lo ricacciano nel suo buio. In campo sentimentale, poi, è evidente il disimpegno, il non crederci più, il fatto che dopo la morte di Marina per lui sia tutto finito.


Non vi nascondo che, anche se continuo a leggere volentieri i suoi libri per le validissime indagini, per l’universo aostano al quale oramai sono affezionata anche io e per la complessità del personaggio in sé, il fatto che ogni volta Rocco sia destinato ad essere infelice mi lascia una punta di tristezza. Qualche volta mi piacerebbe un guizzo di positività verso la fine; riconosco che se è questo che cerco in un romanzo con Rocco Schiavone protagonista probabilmente chiedo troppo, però, insomma, la butto lì.





Ecco la mia scelta per l’appuntamento con la rubrica di questo mese!

Che ne dite? Avete letto i romanzi? Conoscete gli autori? Che ne pensate?

Vi ricordo, come al solito, di leggere anche i post degli altri partecipanti alla rubrica!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


2 commenti :

  1. la Tuti mi manca del tutto, vorrei davvero recuperarla, della serie di Schiavone ho letto solo il primo, dovrei proseguire. Sono contenta però che a te siano piaciuti entrambi

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  2. Mi sono fermata al secondo della Tuti e sinceramente sono un po' titubante nel proseguire. Per quel che riguarda Rocco Schiavone invece sono ferma a Pista nera e sebbene abbia tanta voglia di proseguire non riesco a decidermi.

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