giovedì 27 maggio 2021

STORIA DI UNA "PICCININA"

 Storytelling Chronicles: maggio 2021




Cari lettori,

bentornati all’appuntamento mensile con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Per il mese di maggio Lara ci ha proposto una sorta di “ripescaggio” tra le tematiche scartate nei mesi precedenti, ovvero:

1) L’incubo;

2) Protagonista adatto alla notte del 31 ottobre;

3) Ambientazione temporale alla Halloween style;

4) Montagna;

5) Terza persona di narrazione;

6) Immagine di una panchina in un parco di notte;

7) La donna;

8) Una storia d’amore appena finita.


La scelta, questo mese, era davvero ampia, e forse per questo motivo ci ho messo un po’ più del solito a scegliere. Dopo qualche riflessione, ho pensato di optare per l’opzione 7, “La donna”. Quella che vi propongo lei è una storia tutta al femminile, dedicata ad un mestiere che di fatto non esiste più e alla città di Milano, che quest’anno, mentre eravamo tutti chiusi nei nostri comuni, mi è mancata più che mai.


Vi lascio a Storia di una piccinina... buona lettura!




STORIA DI UNA PICCININA


Arrivata con la corriera a San Babila, mi incammino in fretta verso Corso Vittorio Emanuele. Sono partita presto dal mio paese, Trezzo d’Adda, come tutte le mattine, per essere a Milano di buon’ora ed arrivare puntuale al mio lavoro in sartoria. Mi chiamo Nida. Lo so, forse il nome vi sembrerà strano. Mia madre lo ha letto in un libro e lo ha trovato così bello e particolare che ha deciso di darmelo. Nessuno si chiama come me, ma mi piace avere un nome breve e semplice. Sono una piccinina, un’apprendista di sartoria: ho solo 14 anni e ci vorrà del tempo prima che io diventi una sarta a tutti gli effetti, ma il lavoro mi piace, mi appassiona. A Trezzo ho frequentato la scuola di avviamento professionale e poi ho deciso di imparare un mestiere a Milano.


Mi piace la città, anche se torno volentieri a casa, sulle rive dell’Adda, che in questo luglio caldissimo dà un po’ di frescura.

Fa davvero caldo, Milano mi accoglie con una cappa di afa. Quando ho iniziato il mio incarico come piccinina, qualche mese fa, c’era una tiepida primavera: ricordo ancora il mio stupore nel vedere gli alberi di magnolia dietro il Duomo, i boccioli rosa che spuntavano a poco a poco, i fiori che si aprivano lentamente. Ne trovavo qualcuno in più ogni mattina, prendevo in mano qualche petalo che cadeva a terra e mi stupivo che persino nella grande città, nella grigia Milano, potesse esserci una meravigliosa esplosione di rosa. Adesso, invece, gli alberi che fiancheggiano i viali del centro sono ampi e frondosi, e, anche se è mattina presto, cerco di stare il più possibile alla loro ombra. Il sole è già alto e non vorrei avere un capogiro, anche perché so che cosa mi aspetterà in questa giornata di lavoro.


Mi piacerebbe potervi dire che in sartoria sono utile con la mia abilità nel cucito e nel ricamo (ho imparato da mia nonna e già a sette anni facevo dei bei quadretti a punto croce!), ma la verità è che di solito servo di più per un altro genere di compiti. Passo la maggior parte della mia giornata girando Milano per le commissioni che mi vengono affidate: cammino di buon passo, porto nella mia cesta piatta rivestita di tela gli abiti che devo consegnare a domicilio, ritiro tutti i vestiti che hanno bisogno di un intervento in sartoria. Persino durante quelle poche ore che passo nell’atelier difficilmente resto seduta: raccolgo spilli, riordino, pulisco, prendo piccoli pezzetti di stoffa che dovrebbero essere buttati e do loro una nuova vita, facendone nastri per i capelli o fiocchetti per le scarpe. “Rubando con l’occhio” il mestiere, sto imparando molto più di quello che avrei creduto quando mi hanno assunta. La padrona della sartoria qualche giorno fa mi ha detto che fra poco comincerò a dare i punti molli dell’imbastitura alla stoffa tagliata, e poi, se sarò brava e diligente, inizierò con gli orli. Per me non è proprio una novità: con mia nonna ho già fatto più volte lavori simili a questo, e qualche volta sono passata anche ai punti sottili della cucitura, ma questa è l’occasione più importante che mi è capitata finora e non voglio deludere nessuno.


* * *


È un buon momento per lavorare: la guerra è finita da nove anni ormai e i milanesi, soprattutto quelli ricchi con una posizione importante, hanno tanta voglia di riprendere a vivere e di divertirsi. Non ricordo quasi niente del conflitto: sono nata nel 1940 ed ero tanto piccola. Ogni volta che i miei genitori ed i miei nonni parlano degli anni della guerra, quando siamo a tavola insieme, tutto quello che mi viene in mente sono immagini confuse: ricordo la fame, tanta fame, e poi le urla e i pianti dei miei fratellini. Più di tutto, mi torna in mente la sensazione di paura quando sentivo mia madre afferrarmi per la vita e portarmi via da casa correndo. Quelle volte sapevo che saremmo finiti tutti, io, mamma, papà, la nonna e i miei fratelli, in un buio sotterraneo insieme a tante altre persone del paese, anche sconosciute, per ore… e allora piangevo anch’io.


Dopo il ‘45 le cose sono migliorate, o almeno così mi è sembrato. Per tanti anni abbiamo dovuto dividere un piccolo cotechino in sei, la domenica, come unica porzione di carne della settimana; io ed i miei fratelli abbiamo fatto per anni un chilometro all’andata ed uno al ritorno pur di finire le elementari, perché non c’erano soldi nemmeno per una bicicletta da usare a turno in tre; ho dovuto imparare a cucire i miei vestitini insieme alla nonna, perché riuscivamo a racimolare pochi spiccioli per delle stoffe (o mettevamo insieme i ritagli), ma non potevamo permetterci niente di più di due vestiti buoni per la Messa, uno per me ed uno per mamma. Sono stati anni duri, ma i terribili notiziari alla radio, la paura di girare per strada, i colpi di fucile, i bombardamenti ora sono alle spalle, e questo è l’importante.


Da un paio d’anni abbiamo iniziato a poterci permettere qualcosa di più: i miei fratelli, che non sono stati bravi a scuola come me, hanno iniziato a lavorare nei campi come mio padre, ed anche io, da qualche mese, do il mio contributo con l’apprendistato in sartoria. Venendo a Milano, però, mi sono resa conto che, se in campagna la situazione è solo un po’ migliore di qualche tempo fa, in città il mondo è cambiato molto rapidamente nel giro di pochi anni: a sentire le signore dell’alta società dalle quali porto gli abiti, si direbbe che nessuna preoccupazione le sconvolga.


Mi piace moltissimo portare gli abiti finiti nei loro salotti, essere accolta con piacere, sentire le governanti che esclamano “Signora, è arrivata la piccola Nida!”, gustare un cioccolatino che mi viene sempre offerto, rispondere brevemente in francese (queste sciure(1) dell’alta società vanno matte per questa lingua, meno male che alla scuola di avviamento l’ho imparata un po’!). Qualche anziana nobildonna mi ha persino preso in simpatia: evidentemente mi vedono come troppo ingenua e sciocca, lontana dal loro mondo.


Io però non mi sento così distante da loro. Amo il mio mestiere e il mondo della moda. Quando vado in giro con il mio cestino, adoro osservare le signore eleganti che passeggiano a coppie ed i loro vestiti. Le gonne ampie, i fiocchi, i pois, i colori accesi, lo stile marinaro… soprattutto ora che è arrivata l’estate, sembra che sia iniziato davvero un nuovo mondo e che la povertà e tutti i sacrifici siano alle spalle. Mi sento lontana mille miglia dagli abiti lunghi e scuri che ancora indossano le contadine a Trezzo.


* * *


Appena arrivata in sartoria, mi rendo conto che l’atmosfera è diversa dal solito. Prima delle otto e trenta, oltre alla titolare ci siamo solo noi piccinine, per le prime consegne: stamattina, invece, non appena entro, vedo un paio di sarte, le più strette collaboratrici della proprietaria, già chine su quello che sembra un catalogo.

Girandomi verso il bancone, vedo che anche le commesse, che di solito si preparano con più calma a ricevere i clienti e le loro richieste, sono già in posizione e confabulano animatamente. L’aria sembra elettrica e non servono grandi indagini per capire che c’è una novità che bolle in pentola.

In un angolo scorgo Pina, un’altra delle apprendiste, che sta pulendo per terra con una ramazza. Non appena ella alza gli occhi e incrocia il mio sguardo dubbioso, mi fa segno di avvicinarmi.

Nida! Vieni qua! È successa una cosa bellissima!”

Che cosa? Perché corrono tutte?”

Sembra che un gruppo di signore ci abbia affidato un lavoro grosso! Tanti vestiti… una festa, boh.”

Beh, e allora? È estate. Queste sciure fanno solo feste.”

Sì, ma questa è una festa speciale! È qui dietro al Castello Sforzesco! E ci sarà una premiazione per l’abito su misura più bello!”

Signorine, vogliamo smetterla di parlare e iniziare a lavorare?”

Io e Pina ci voltiamo, improvvisamente ammutolite. Alle nostre spalle è arrivata la signora Brambilla, la titolare della sartoria. Capelli bruni raccolti in un severo chignon, occhiali a mezzaluna, la figura magra infilata in un tailleur scuro, veloce persino sui tacchi, mi ha sempre un po’ intimidito. Io e Pina arrossiamo sotto il suo sguardo severo.

Vedo che la notizia della Rassegna della moda estiva milanese è arrivata anche a voi.”

Sì, signorina Brambilla” ammetto con cautela. Non capisco se voglia sgridarci o alludere a qualcosa.

Si tratta di una serata importante, signorine, e abbiamo solo due settimane di tempo. I responsabili della Rassegna hanno organizzato una sfilata con le giovani signore più in vista della città, che mostreranno le nostre creazioni in una serata al Castello Sforzesco. Hanno voluto noi ed altre due sartorie della città, che saranno nostre concorrenti in questa serata.”

Che bella idea, signora Brambilla!” risponde Pina che, come al solito, fatica a contenere il suo entusiasmo.

Bene, sono lieta di sentirtelo dire” replica lei, con un tono freddo che sembra lasciare qualcosa in sospeso. “Dal momento che tu, Nida e le altre due apprendiste lavorerete con le mie sarte nei prossimi giorni.”

Per qualche secondo io e Pina restiamo in un silenzio attonito. Che cosa dovremmo fare noi con le sarte?

Signora Brambilla, lei si riferisce alle imbastiture ed agli orli?”

Sì” replica lei con decisione. “Ma non solo. Ognuna di voi assisterà una delle mie sarte nel confezionare un vestito. Non perché abbiate fatto grandi progressi, eh. Semplicemente non ho scelta. Dobbiamo riuscire a rifinire tutti gli abiti, se non vogliamo che la prossima volta si rivolgano al Paradiso delle signore”.

Vestiti già confezionati? Oh no! No, no, no! Ci daremo da fare, signora Brambilla! Glielo promettiamo!” è la replica accorata di Pina, che risponde anche per me, tirandomi la manica, incapace di contenere il suo entusiasmo.


Io in verità non sono così contraria all’idea di un vestito già confezionato. Trovo il Paradiso delle Signore un posto un po’ strano, ma affascinante, e qualche volta, prima di prendere la corriera per tornare a casa, mi è capitato di allungare il tragitto e di andare a sbirciare le vetrine. C’è una fantasia di colori incredibile!


Tuttavia continuo a pensare che gli abiti fatti a mano restino il meglio del meglio. E da oggi inizierò a lavorare ad uno tutto mio… insomma, mio, della sarta che assisterò e della signora che lo indosserà. Ma che importa? La mia grande occasione è finalmente arrivata!


* * *


Mi hanno affidato a Tecla, una delle più anziane ed esperte della sartoria. Ci è stato commissionato il colore rosso, uno dei miei preferiti, e da quando l’abbiamo saputo non facciamo altro che guardare incantate le stoffe a nostra disposizione: tinta unita, pois, fiori, righe… è davvero difficile scegliere!

Fosse per me, le userei tutte. Tecla, invece, da qualche minuto soppesa la stoffa a tinta unita strizzando gli occhi con aria critica.

Questa qui è buona” soggiunge infine con convinzione. “Fresca per l’estate, ma non trasparente. Un abito classico fa sempre una bella figura. Usiamo questa.”

Non posso dare torto a Tecla: in effetti con la tinta unita non si sbaglia mai. Però sono un po’ delusa. Ci sono così tante belle fantasie su questo tavolo!

Ma se usassimo qualcosa di più… inaspettato?” chiedo timidamente.

Che cosa vorresti usare tu?” mi risponde lei con aria di scherno. “Vuoi che la nostra cliente faccia fiera(2)?”

No, ma…” osservo nuovamente le stoffe, cercando di concentrarmi. L’idea c’è, lo so, lo sento; è ‘in fondo alla mia testa’, in un angolo dimenticato, che aspetta di essere tirata fuori. E all’improvviso ricordo di aver visto una bella foto nel salotto della sciura dove sono stata ieri mattina.

Che ne dici se proviamo a creare uno spezzato?”

Uno spezzato?” replica Tecla, un po’ pensierosa. “Lo spezzato sta bene alle signore davvero belle. Ci vuole una gran figura, per lo spezzato.”

E che problema c’è, Tecla? Le sciure mica si rompono la schiena come noi. Hanno tutto il tempo per farsi belle.”

Tecla mi fissa torva per qualche secondo ed ho la sensazione che mi voglia strozzare. Poi, senza preavviso, scoppia a ridere. “Io l’ho sempre pensato che hai una bella lingua lunga, Nida” dice tra una risata e l’altra. “E va bene, ci possiamo provare. Ma se roviniamo la cucitura tra i due tessuti vai tu dalla signora Brambilla, chiaro?”



Sono state due settimane di duro lavoro. Io e Tecla abbiamo fatto gli straordinari, imbastito fin quasi al tramonto, fatto e rifatto gli orli, corso per prendere insieme l’ultima corriera (anche lei viene dalla provincia). In tutto questo ci siamo accapigliate come zia e nipote sulle questioni più ridicole, ma alla fine abbiamo quasi sempre trovato un accordo… e sono felice di poter dire che qualche volta ho avuto ragione io. Tecla ha insistito per utilizzare comunque la stoffa a tinta unita per la parte inferiore dello spezzato, e ha provato a darmi carta bianca per scegliere la fantasia con cui cucire la parte superiore, ma quando ha visto quella che avevo in mano… beh, credo che non mi abbia mandato al diavolo solo perché la signora Brambilla avrebbe potuto sentirci imprecare. Ha cercato di farmi cambiare idea (“Le righe verticali fanno la figura più magra” “I pois sono all’ultima moda, non sei mica una giovane moderna tu?”), ma la mattina dopo, entrando in sartoria e vedendo le due stoffe accostate alla prima luce del sole, è stata lei a doversi ricredere.


Ora il nostro abito è sul manichino, pronto per essere impacchettato e consegnato alla signora che lo indosserà domani sera. La parte inferiore è costituita da un’ampia gonna a vita alta, fermata da una cintura ricavata sempre dal tessuto rosso a tinta unita, e lunga fino a poco sotto il ginocchio. Quella superiore è il mio orgoglio: il tessuto bianco a grandi papaveri rossi sembra brillare di luce propria, con lo scollo a barchetta e le maniche a tre quarti. La signora Brambilla si è fermata a lungo a fissarlo, poi si è voltata verso Tecla ed ha commentato seccamente: “Audace. Mandiamolo così com’è.”

La sua reazione mi è sembrata troppo fredda, ma Tecla, accorgendosi della mia preoccupazione, mi ha rassicurato: “Quando fa così, il vestito le piace. Sta su de doss!(3)

Che le piaccia o non le piaccia, la signora Brambilla ha ragione nel definire ‘audace’ il nostro abito. Le altre sarte hanno scelto quasi tutte soluzioni più tradizionali, a tinta unita, oppure si sono lanciate su una sobria fantasia, ma senza spezzare la figura.

Mentre spazzo per terra, do un’occhiata all’abito che ha creato Pina con la sarta a cui è stata affidata. È un vestito color acquamarina, senza maniche, con ampia gonna al ginocchio e una sottile cintura color avorio in vita. Il classico abito che completeresti con un filo di perle ed un paio di scarpe modello Chanel, avorio come la cintura. È magnifico e Pina ha grande talento (anche più di me), ma è un po’ … noioso. Come farebbe la moda a rinnovarsi, se ogni tanto qualcuna di noi non si lanciasse un po’?


* * *


È sabato sera. L’ultima corriera passerà un po’ più tardi del solito, posso fare una breve passeggiata prima di raggiungere la fermata… e so esattamente dove voglio andare.


Il Castello Sforzesco è bellissimo nella calda luce del tardo pomeriggio d’estate. Il caldo non è più così impietoso: sembra quasi che i raggi accarezzino i mattoni, di un color rosso-marrone che ormai noi “milanesi” conosciamo bene. Sì, mi sento un po’ milanese anche io. Trezzo è casa, è la quiete, la famiglia, la vita che conosco a menadito; quando però sono qui a Milano mi sento più grande, più libera, più pronta a credere nella forza dei miei sogni.


Anche se in questo momento posso solo limitarmi ad immaginare che cosa accadrà qui domani sera. Non posso restare qui abbastanza a lungo da vedere il sole tramontare sull’ennesima giornata torrida di luglio. Non posso vedere scattare l’impianto di illuminazione notturno, entrare nel cortile mentre i camerieri stanno allestendo tavoli e pista da ballo per la festa, sentire i musicisti che scaldano i loro strumenti, scorgere le sciure che varcano l’ingresso con i vestiti fatti da noi.

Posso solo vedere il cartello all’ingresso, che recita a chiare lettere e in colori variopinti: “Rassegna della Moda Milanese – Edizione del 1954”. Tutto il resto mi è precluso, perché sono povera, e apprendista, e minorenne, e una ragazza sola, e una piccinina(4) con troppa fantasia. Ma lì dentro, domani sera, ci sarà anche il mio vestito. E questo mi basta. Per ora.


* * *


Lunedì mattina non faccio nemmeno in tempo ad entrare in sartoria… e sono travolta da quella che sembra una mandria impazzita. Ci metto qualche secondo per capire che non sono entrate delle caprette selvagge in atelier, ma che Pina e le altre piccinine come me stanno litigando per strapparsi di mano una pagina di giornale.

Guarda qui, Nida, guarda qui!” mi grida Pina, sventolando la carta stampata sotto il mio naso.

È una pagina del Corriere della sera, appartenente alla sezione “Milano&dintorni”. È occupata da un lungo articolo di “Costume e società” sulla Rassegna della Moda milanese. E al centro della pagina campeggia il vestito che abbiamo creato io e Tecla, indossato da una donna giovane, bionda e bellissima, la miglior “modella per caso” in cui potessimo sperare: la moglie dell’avvocato Colombo.

Per fortuna alla scuola di Avviamento ho imparato anche a leggere in fretta, se no non capirei quello che c’è scritto in didascalia, dal momento che le altre continuano ad agitare il giornale. Sono solo due righe, ma bastano per trafiggermi il cuore. “L’abito vincitore del primo premio, giudicato il migliore per l’originalità dello spezzato e la scelta delle fantasie.”

Il primo premio…” dico con un filo di voce.

Hai visto Nida?!? E a me e Luisa il terzo! Leggi qui: “Il gradino più basso del podio è spettato all’abito color acquamarina indossato dalla signora Fontana, come simbolo elegante e discreto della tradizione...”

L’emozione è davvero troppa. Corro ad abbracciare Pina, con le lacrime che minacciano di far capolino dagli angoli degli occhi.

Continuiamo a chiacchierare ed a non lavorare, signorine” La voce gelida, questa volta, ha una sfumatura di ironia… anzi, se non conoscessi chi l’ha pronunciata, direi proprio di divertimento. La signora Brambilla è appena entrata nella sartoria, seguita a poca distanza da Tecla, che mi guarda un po’ sorniona ma soddisfatta.

La festa improvvisata sembra spegnersi così com’è iniziata. Siamo tutte in attesa di sapere se la padrona ha saputo di ieri sera e che cosa ne pensa.

Lo sguardo della signora Brambilla sembra abbracciare tutte noi per un lungo minuto. Poi, finalmente, fa un sospiro, come d’introduzione ad un discorso. “Bene, signore, signorine… ieri sera è stato un successo. Successo che oggi è sui giornali e che finirà nella vostra busta paga. Nida e Pina: siete due pettegole indisciplinate, quindi da oggi, dopo la prima consegna del mattino, continuerete ad assistere Tecla e Luisa, non voglio che passiate la vostra giornata a bighellonare per Milano con quei cestini.”


...ce l’abbiamo fatta. Poco importa che la signora Brambilla ce lo abbia comunicato 'nella sua lingua' e che da oggi sarà ancora più esigente con me e Pina. Non importa nemmeno se dovrò ricominciare a bisticciare con Tecla, o se dovrò correre al mattino, con l’afa che già mi prende alla gola, per poter fare tutte le consegne entro un paio d’ore e poter poi lavorare in sartoria: non vedo l’ora. Quel che conta davvero è che quel vestito rosso è stata la mia grande occasione, quella che mi ha fatto fare un balzo in più verso il lavoro dei miei sogni. Quindi oggi tirerò un sospiro di sollievo, al di là di tutte le difficoltà che ogni singolo giorno in sartoria porta con sé, e farò qualcosa che non faccio quasi mai: mi dirò sei stata brava!

Almeno per oggi: ho solo 14 anni e la mia storia in sartoria è appena iniziata…!



FINE




Brevissimo dizionario di dialetto milanese:


1) Sciura: Signora milanese, tradizionalmente ricca, elegante e un po’ snob.


2) Fare “fiera”: accostare troppe fantasie diverse e/o colori contrastanti nel vestirsi, ottenendo un pessimo effetto finale.


3) Sta su de doss: su con la vita!


4) Piccinina: in sartoria, sinonimo di apprendista; in generale, piccolina.




Nel raccontare questa storia mi sono ispirata in parte alla giovinezza della mia nonna materna, che da ragazza ha fatto questo lavoro per qualche anno, cucendo soprattutto abiti per le signore che andavano alle serate eleganti del Teatro alla Scala, e in parte alle atmosfere de Il Paradiso delle Signore, una fiction (ora soap opera) che mi è sempre piaciuta tanto per il modo in cui racconta la Milano del Dopoguerra e la rapida evoluzione della moda al femminile.

Come avrete capito anche leggendo il mio racconto di dicembre, “Il cappotto rosso” (che trovate a questo link), ogni tanto mi piace tornare nella mia Milano e immaginarla nel passato. Vi ringrazio già fin da adesso per tutti i consigli e le considerazioni che mi vorrete lasciare, e sono molto grata a tutti voi che continuate a seguire questa rubrica dopo ormai un buon numero di mesi!

Vi invito, come sempre, a leggere tutti i racconti contrassegnati dal banner “Storytelling Chronicles” di questo mese… anche perché stavolta c’è davvero l’imbarazzo della scelta!

Grazie ancora per la lettura, al prossimo post :-)

20 commenti :

  1. Bello il tuo racconto, come sempre.
    Non conoscevo il termine "piccinina", ma voglio pensare che esistano ancora oggi le apprendiste sarte.

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    1. Ciao Claudia! Grazie mille, sono davvero felice che tu abbia apprezzato il racconto :-) Il termine "piccinina" è proprio milanese, può significare sia "piccolina" che, nello specifico, "apprendista". Guarda, ci stavo pensando l'altro giorno... forse le stagiste delle aziende di moda, tra stipendi minimi e compiti un po' ingrati, sono le eredi spirituali delle piccinine!

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  2. Davvero un bel racconto. Sei stata brava a creare l'atmosfera tipica degli anni '50. Mi sono emozionata a tuffarmi in un passato che conosco solo attraverso i racconti di mia nonna, che da ragazzina fu una "piccinina", per usare questo termine milanese che io non conoscevo. Complimenti.

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    1. Ciao! Grazie mille per i complimenti, sono felice che tu abbia apprezzato la ricostruzione delle atmosfere :-) Che sorpresa scoprire che un po' di noi hanno avuto una nonna/prozia piccinina! Era un mestiere che facevano in tante...

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  3. Bello!!!
    Mi ha attirato il titolo e non ho potuto evitare di prendermi qualche minuto per leggerlo.
    Adoro l'atmosfera e l'ambientazione. Mi piacciono queste storie un po' nostalgiche, che si svolgono in luoghi a me familiari.

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    1. Ciao Simona! Grazie mille per le belle parole! Non sapevo che anche per te Milano fosse familiare :-)

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  4. Ciao Silvia.
    Sei bravissima a scrivere di tempi andati usando una delicatezza unica che ti sembra quasi di essere lì mentre leggi e lo fai ogni volta che decidi di trasportarci nel passato italiano. Ancora una volta brava

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    1. Ciao Susy! Grazie mille, sono proprio contenta che questo mio modo di scrivere ti piaccia! Il passato italiano è un po' il mio pallino, non escludo che riprenderò a parlarne... vedremo :-)

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  5. Che bello!Ho amato la storia,le atmosfere, il ritmo, l'ambientazione, mi hai davvero emozionata. Confesso che amo molto questo tipo di storia e tu sei riuscita a coinvolgerli molto con una scrittura frizzante,bravissima

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    1. Ciao Giusy! Sono contenta che tu ami questo tipo di storia e che sia rimasta soddisfatta anche in questo caso! Grazie mille!

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  6. Un racconto davvero bello, mostra un mondo che adesso sembra lontanissimo dal nostro. Mi è piaciuto molto leggerlo, ho imparato qualcosa di nuovo e ho apprezzato molto l'atmosfera che hai creato e il modo in cui hai raccontato tutto, usando persino parole del dialetto, per rendere tutto ancora più verosimile. Complimenti per la tua storia.

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    1. Ciao! Grazie mille, mi emoziona davvero sapere che addirittura la mia storia è stata istruttiva per te! Sono proprio contenta che il racconto ti sia piaciuto!

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  7. Ciao Silvia! È stato un vero piacere leggere questo tuo racconto. Adoro i salti temporali che ci fai fare con i tuoi scritti, alla scoperta di storia e tradizioni e lavori andati persi, o comunque non più così in voga oggi come lo erano solo qualche decennio fa. La storia di Nida (nome splendido, tra l'altro!) mi si è stampata nel cuore: ho apprezzato veramente un sacco ogni riga di questo racconto. Come l'hai scritto, la scelta di linguaggio, l'insegnamento che lascia... è tutto perfetto, e come sempre raccontato in uno stile che scorre via delicatissimo. I miei complimenti!! Spero di poter leggere presto come continua la storia di questa simpaticissima protagonista :) Bravissima, davvero! A presto, Stephi

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    1. Ciao Stephi! Eh sì, i salti temporali sono un po' la mia passione... ma sono felice che siano apprezzati! Per il momento non ho pensato ad un sequel.. ma chi lo sa, non lo escludo! Grazie mille per tutto!

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  8. Ciao Silvia!

    I tuoi racconti ambientati a metà Novecento o comunque subito dopo la guerra sono sempre belli da leggere! Riesci a cogliere lo spirito dell’epoca e a dargli nuova linfa con i tuoi personaggi, e anche questa volta non è da meno!
    Hai centrato il tema alla grande, con Nida e il laboratorio di sartoria tutto al femminile che parla di rinascita, di modernità e di giovani donne che sanno crearsi un futuro con le loro mani e hanno voglia di cambiarlo, di renderlo migliore per loro stesse! È una storia di forza e sicurezza, con questa giovane protagonista che sa cosa vuole e fa in modo di arrivarci perché sa che è la cosa giusta.
    Brava! Mi è davvero piaciuto

    Alla prossima, Federica

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    1. Ciao Federica! Sono felicissima che tu trovi il mio racconto intriso di spirito dell'epoca... mi piace calarmi in epoche passate e la Milano del periodo "Paradiso delle Signore" stuzzica la mia fantasia! Immaginare protagoniste determinate dà forza anche a me. Grazie mille per i complimenti :-)

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  9. Diciamo che, dopo questo tuo racconto, mi è venuta voglia di leggere finalmente "Al Paradiso delle Signore" di Émile Zola ahahah <3 Che sia la volta buona che sblocchi questa situazione incresciosa di blocco momentaneo causato dal caldo dilagante? Lo scopriremo solo vivendo ;)

    Intanto, però, mi limito ad affermare l'ovvio. Anche se in alcune parti la descrizione fattuale mi è parsa quasi fin troppo "diretta" al lettore -per esempio il pezzetto "Mi chiamo Nida. Lo so, forse il nome vi sembrerà strano.": capisco che la narrazione in prima persona necessita di una simile modalità, eppure richiamava quasi una tecnica di tipo epistolare o specifica di un diario personale :/ Ok, va bene, ma non troppo, ecco XD- e, a mio avviso, c'è stato forse un piccolo abuso non solo di punti esclamativi ma anche dei tre punti di sospensione -pure qui, sottolineo la stessa cosa di cui sopra! Ci stanno, eh, non lo nego, ma, personalmente, quindi è una dichiarazione soggettiva e opinabile, urta il mio sistema nervoso ahahah Te lo confesso, ho avuto una bruttissima esperienza in merito, soprattutto con i '!', in un libro self che ho letto qualche mese fa XD Ho ancora gli incubi al pensiero ahah-, ho trovato la storia della "piccinina" molto ben strutturata e coinvolgente :D Gli eventi che vive Nida sono davvero eccezionali e i sentimenti che lei assapora sulla propria pelle grandemente tangibili -forse perché le emozioni di una giovane anima sono esponenzialmente più carici dell'energia della fanciullezza che ancora non conosce la serietà della vita-: mi sono sentita parte del suo quotidiano, quasi fossi lì ad assistere al suo alacre lavoro al fianco di Tecla *-* Sono molto contenta che sia lei sia Pina siano riuscite nell'impresa di fare un passo verso il loro sogno di diventare sarte :D Che questo sia un espediente nascosto per indurre il tuo pubblico a bramare dei seguiti a riguardo? ;) Non lo so se lo avessi preventivato, ma io ci conto perché, lo ripeto ancora una volta, le ambientazioni storiche sono il tuo punto di forza da sempre :3

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    1. Ciao Lara! Ti ringrazio tantissimo per gli appunti riguardo allo stile epistolare, ai punti esclamativi ed ai puntini. Rileggerò meglio il testo e cercherò di farne tesoro :-)
      Quanto al sequel, come sai non è proprio una mia abitudine, ma ormai la rubrica è ricca di tanti spunti diversi e forse mi verrà l'ispirazione per proseguire qualcosa! Grazie per il tuo commento dettagliato :-)

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  10. Mi hai ricordato i racconti delle mie zie... Complimenti davvero. Inoltre con i tuoi riferimenti a Il Paradiso delle Signore mi hai fatto felice. Del resto descrivi proprio la Milano di quegli anni e quello che ha significato anche l'opportunità del grande magazzino o delle sartorie per quelle ragazze che desideravano l'indipendenza e anche aiutare le loro famiglie. Complimenti. Silvia di Silvia tra le righe.

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    1. Ciao Silvia! Io sono un po' "vecchietta" dentro, quindi mi piace fare la zia, ahah :-)
      Eh sì, era un mondo non facile, specie per le donne, ma anche molto ricco di opportunità rispetto ai terribili anni precedenti. Grazie per i complimenti :-)

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