I PICCOLI POEMI IN PROSA #6
Cari
lettori,
per
la nostra rubrica “Il momento dei classici”, sesto e penultimo
appuntamento con I piccoli poemi in prosa
di Baudelaire!
Questa
sezione dell’opera è, tra tutte, la più cinica e sarcastica.
Il
poeta si concentra sulla figura femminile e sulla satira sociale e ci
propone una serie di opere piuttosto crude, talvolta amaramente
ironiche.
Leggiamole insieme!
UN
CAVALLO DI RAZZA
“...e
poi ella è così dolce ed indaffarata! Ella ama come si ama in
autunno; si direbbe che l’avvicinarsi dell’inverno accende nel
suo cuore un fuoco nuovo, ed il servilismo della sua tenerezza non ha
mai nulla di faticoso.”
Questo
breve poema in prosa è, come tanti altri, un ritratto al femminile,
caratterizzato, allo stesso tempo, da ironia e malinconia.
Il
poeta descrive una donna forse non più giovanissima, o, nonostante
l’età ancora in fiore, già segnata dalle sofferenze che il Tempo
e l’Amore (che per il poeta sono sempre entità personificate) le
hanno causato. Egli sottolinea il fatto che il Tempo non ha potuto
rompere l’armonia della sua marcia (metaforicamente si intende il
suo “camminare” attraverso la vita) e che l’Amore non ha
alterato la dolcezza della sua infanzia.
Ella
è, in definitiva, una vera signora, e come tale viene riconosciuta,
così come un esperto di cavalli riconosce uno stallone di razza.
Il
paragone con l’animale è da un lato lusinghiero (perché, appunto,
non si sta parlando di un ronzino), dall’altro provocatorio, perché
già in altre composizioni il poeta ha paragonato una donna ad un
animale, ma con intenti ben diversi dal complimentarsi con lei.
LO
SPECCHIO
“Signore,
secondo gli immortali principi dell’89, tutti gli uomini hanno gli
stessi diritti; quindi io possiedo il diritto di specchiarmi; con
piacere o dispiacere, ciò non riguarda altro che la mia coscienza.”
Il
protagonista di questo brevissimo poema è un uomo dall’aspetto
molto sgradevole, che entra in un negozio e si rimira nello specchio.
Il
poeta rimane colpito dal fatto che egli ci tenga tanto a specchiarsi
e gli chiede perché lo faccia, dal momento che il suo volto è
sgradito a tanti e forse anche a se stesso. L’uomo risponde che,
visto che secondo la legge si è tutti uguali, non vede perché non
dovrebbe farlo. Al poeta non resta che concludere che diritti e buon
gusto sono due cose nettamente diverse.
Questo
piccolo poema potrebbe sembrare una breve barzelletta, ma, a mio
parere, presenta un forte intento satirico.
Le leggi dell’89 a cui
l’uomo fa riferimento sono quelle proclamate allo scoppio della
Rivoluzione Francese. È come se Baudelaire dicesse ai suoi
concittadini: abbiamo assaltato la Bastiglia, abbiamo rovesciato la
monarchia, abbiamo fatto anni (se non decenni) di lotte… per
poterci impuntare ora su ridicoli diritti, come la possibilità di
specchiarci anche se siamo brutti? Bel traguardo davvero!
IL
PORTO
“...e
poi, soprattutto, c’è una sorta di piacere misterioso ed
aristocratico, per colui che non ha più curiosità né ambizione,
nel contemplare, accucciato sul belvedere o fermo sul molo, tutti
questi movimenti di coloro che partono e di coloro che tornano, di
coloro che hanno ancora la forza di volere, il desiderio di viaggiare
o di arricchirsi.”
Come
già detto nel post relativo alla ricerca dell'ideale, uno dei
luoghi che più affascinano Baudelaire è la città di mare; in
particolar modo, egli si sente attratto dal porto.
La
prima parte di questo componimento descrive tutto ciò che lo
conquista di questo luogo, dai colori cangianti del mare allo
scintillio dei fari, dalle forme slanciate delle navi al cordame
intrecciato in modo complesso.
Nella
seconda, invece, il poeta inserisce se stesso come silenzioso
spettatore degli arrivi e delle partenze. Quando il male di vivere ha
la meglio, infatti, egli si rasserena nel constatare quante persone
abbiano ancora voglia di viaggiare, di arricchirsi, di spostarsi, di
desiderare qualcosa di nuovo, di vivere pienamente.
I
RITRATTI DELLE AMANTI
“In
un’alcova di uomini, ovvero in un luogo per fumatori che fungeva da
elegante bisca, quattro uomini fumavano e bevevano. Essi non erano
esattamente né giovani né vecchi, né belli né brutti; ma, vecchi
o giovani, essi presentavano quella distinzione riconoscibile dei
veterani della gioia, quell’indescrivibile non-so-che, quella
tristezza fredda e beffarda che dice chiaramente: noi abbiamo vissuto
fortemente e noi cerchiamo quello che potremmo amare o stimare.”
I
protagonisti di questo racconto sono quattro cosiddetti viveur,
ovvero quattro personaggi che hanno condotto una vita agiata e piena
di dissolutezze, che affermano di essersi divertiti molto ma in
realtà conducono esistenze sopraffatte dalla noia, perché non c’è
più nulla che sia loro davvero di stimolo e li renda sinceramente
felici.
Nel
bel mezzo di una partita notturna a carte, uno dei quattro inizia a
raccontare le sue avventure sentimentali e si lamenta fortemente
della sua ultima amante, che desiderava in tutti i modi essere un
uomo come lui… ed ha finito per tradirlo con una donna.
Il
secondo, a sua volta, racconta il dolore che le ha causato una
ragazza tanto dolce e permissiva quanto incapace di provare piacere
fisico, che, una volta lasciata da lui, si è sposata ed ha avuto ben
sei figli.
Il
terzo, pensando di far ridere gli altri, narra che la sua ultima
amante non faceva altro che mangiare, rischiando di mandarlo in
rovina, e che lo ha lasciato per un fornitore di viveri
dell’esercito.
A
questo punto i tre uomini, che hanno mantenuto un tono ironico per
tutta la durata dei racconti, vengono interrotti dal quarto, che è
chiaramente l’alter ego del poeta. Quest’ultimo mette in ridicolo
gli altri, definendoli troppo gelosi e nervosi, o, al contrario,
troppo leggeri. Egli, poi, afferma di aver vissuto una storia d’amore
con una donna che, in apparenza, non aveva nemmeno un difetto, e che
s’impegnava sinceramente per renderlo felice ogni giorno.
I
tre ascoltatori, colpiti, chiedono all’uomo dove sia la donna.
Egli, allora, fa una scioccante confessione: ella è morta… ed è
stato lui ad ucciderla, sopraffatto dalla sua perfezione, che lo
schiacciava e gli ricordava ogni giorno quanto egli fosse misero in
confronto a lei.
La
tematica chiave di questo piccolo poema è chiaramente il
femminicidio e, più in generale, il modo sprezzante in cui gli
uomini considerano le donne. Forse per la prima volta Baudelaire, nel
ridicolizzare i primi tre viveur e nel condannare il gesto del
quarto, fa un po’ di autocritica per il modo in cui spesso
considera il sesso femminile.
Ciò
che lascia più attonito il lettore, in effetti, è l’indifferenza
con cui la confessione viene accolta: vengono portati altri alcoolici
e la partita a carte riprende.
È come se il poeta volesse
sottolineare che è proprio questo atteggiamento noncurante a
condurre tante donne che subiscono violenza fisica e psicologica dal
partner alla solitudine, alla disperazione e spesso ad una fine
infelice.
IL
TIRATORE GALANTE
“Mentre
la vettura attraversava il bosco, egli la fece arrestare a distanza
di un tiro, dicendo che gli sarebbe piaciuto tirare qualche
pallottola per ammazzare il Tempo. Ammazzare quel mostro là, non è
l’occupazione più ordinaria e più legittima di ciascuno?”
Subito
dopo i toni cupi che hanno caratterizzato il piccolo poema
precedente, Baudelaire torna a prendere in giro il sesso femminile e
la vita stessa con lo sferzante sarcasmo che lo contraddistingue.
Egli,
infatti, immagina un esponente della buona società che sta
attraversando il bosco su una vettura insieme ad una donna che ama
con grande passione e che, al tempo stesso, è la causa di tanti suoi
dispiaceri.
L’uomo chiede al conducente della vettura di fermarsi
perché desidera allenarsi a sparare, per “ammazzare il tempo”
(in senso, forse, non così metaforico).
La
sua mira sembra essere molto scarsa, e la donna lo prende in giro
piuttosto crudelmente. L’uomo, allora, indica uno spaventapasseri
dall’aspetto femminile alla sua compagna, le dice: “Provo ad
immaginare che sia tu!” e lo decapita con netta precisione.
Inutile
dire che la “galanteria” del titolo ha un valore del tutto
ironico…
LA
ZUPPA E LE NUVOLE
“La
mia piccola, folle amata mi aveva servito la cena, e, attraverso la
finestra aperta della sala da pranzo, io contemplavo le architetture
semoventi che Dio fa con il vapore, le meravigliose costruzioni
dell’impalpabile.”
In
questo breve ed ironico poema Baudelaire sottolinea con efficacia la
differenza tra il modo in cui il poeta osserva il mondo da quello in
cui lo vedono tutti gli altri.
Egli si trova di fronte una zuppa che costituisce la sua cena, ma,
invece che guardare nel piatto, osserva le nuvole fuori dalla
finestra, e si stupisce di tutte le forme che esse assumono mentre
vengono trasportate dal vento.
All’improvviso,
mentre è tutto assorto e sta quasi per comporre una nuova poesia,
egli viene colpito da qualcosa alla nuca. Si tratta della sua
compagna, che gli intima poco garbatamente di mangiare la sua cena,
prima che si freddi.
Il
contrasto tra la quotidiana zuppa e le nuvole con le loro
“architetture dell’impalpabile” risulta essere, in definitiva,
la misura della distanza che separa l’artista dalla gente comune.
IL
POLIGONO ED IL CIMITERO
“...Maledette
siano le vostre pistole e le vostre carabine, turbolenti vivi, che
sapete così poco dei defunti e del loro riposo divino! Maledette
siano le vostre ambizioni, maledetti siano i vostri calcoli, mortali
impazienti, che venite a studiare l’arte di uccidere accanto al
santuario della Morte!”
Un
misterioso personaggio, probabilmente uno dei tanti alter ego di
Baudelaire, mentre passeggia per la città si accorge che è stato
costruito un poligono proprio accanto ad un cimitero.
Se
egli non prova attrazione per il primo, ed i ripetuti rumori di chi
si esercita a sparare lo infastidiscono non poco, si ritrova invece
ad essere stranamente affascinato dal secondo, che è illuminato dal
sole e circondato dal verde.
Con
il suo sigaro in mano, egli inizia una placida passeggiata per il
cimitero, e, mentre passa tra le tombe, si rende conto che c’è una
voce che sovrasta gli spari e che sembra provenire dalle lapidi
stesse.
Con
suo sommo stupore, egli si rende conto che si tratta dei defunti
stessi, che maledicono il poligono da tiro ed il desiderio dei vivi
di imparare l’arte di uccidere. Se i vivi sapessero quanto la Morte
sia un “premio” facile da ottenere, forse non si affannerebbero
tanto per darla ad ad altri e forse a se stessi.
Ancora
una volta Baudelaire torna sul tema della satira sociale e politica.
Come forse qualcuno di voi avrà intuito, questo poema è anche una
frecciatina nei confronti del secondo marito della madre, un
generale, che sicuramente passava al poligono la maggior parte del
suo tempo libero.
Come
al solito, vi invito a lasciarmi un vostro parere!
Quale
piccolo poema del post avete preferito?
Quale
sezione del progetto è stata la vostra preferita finora?
Ci
sentiamo prestissimo per l’ultima parte di questo approfondimento
“a puntate”!
Grazie
per la lettura, al prossimo post :-)
Cara Silvia, passo sempre per un mio caro saluto.
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso! Mi fa sempre piacere sentirti.
EliminaBuon pomeriggio e buona serata!
Ho sempre adorato la satira, ma quella che comunque non offende e non cade nella volgarità.
RispondiEliminaCiao Claudia! Secondo me Baudelaire è sferzante e le sue immagini sono toste, ma riesce comunque a fare una satira efficace :-)
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