giovedì 5 settembre 2019

LA FIGURA FEMMINILE E LA SATIRA

I PICCOLI POEMI IN PROSA   #6




Cari lettori,
per la nostra rubrica “Il momento dei classici”, sesto e penultimo appuntamento con I piccoli poemi in prosa di Baudelaire! 


Questa sezione dell’opera è, tra tutte, la più cinica e sarcastica. 
Il poeta si concentra sulla figura femminile e sulla satira sociale e ci propone una serie di opere piuttosto crude, talvolta amaramente ironiche. 
Leggiamole insieme!



UN CAVALLO DI RAZZA



...e poi ella è così dolce ed indaffarata! Ella ama come si ama in autunno; si direbbe che l’avvicinarsi dell’inverno accende nel suo cuore un fuoco nuovo, ed il servilismo della sua tenerezza non ha mai nulla di faticoso.”


Questo breve poema in prosa è, come tanti altri, un ritratto al femminile, caratterizzato, allo stesso tempo, da ironia e malinconia.

Il poeta descrive una donna forse non più giovanissima, o, nonostante l’età ancora in fiore, già segnata dalle sofferenze che il Tempo e l’Amore (che per il poeta sono sempre entità personificate) le hanno causato. Egli sottolinea il fatto che il Tempo non ha potuto rompere l’armonia della sua marcia (metaforicamente si intende il suo “camminare” attraverso la vita) e che l’Amore non ha alterato la dolcezza della sua infanzia.

Ella è, in definitiva, una vera signora, e come tale viene riconosciuta, così come un esperto di cavalli riconosce uno stallone di razza.


Il paragone con l’animale è da un lato lusinghiero (perché, appunto, non si sta parlando di un ronzino), dall’altro provocatorio, perché già in altre composizioni il poeta ha paragonato una donna ad un animale, ma con intenti ben diversi dal complimentarsi con lei.



LO SPECCHIO



Signore, secondo gli immortali principi dell’89, tutti gli uomini hanno gli stessi diritti; quindi io possiedo il diritto di specchiarmi; con piacere o dispiacere, ciò non riguarda altro che la mia coscienza.”


Il protagonista di questo brevissimo poema è un uomo dall’aspetto molto sgradevole, che entra in un negozio e si rimira nello specchio.

Il poeta rimane colpito dal fatto che egli ci tenga tanto a specchiarsi e gli chiede perché lo faccia, dal momento che il suo volto è sgradito a tanti e forse anche a se stesso. L’uomo risponde che, visto che secondo la legge si è tutti uguali, non vede perché non dovrebbe farlo. Al poeta non resta che concludere che diritti e buon gusto sono due cose nettamente diverse.


Questo piccolo poema potrebbe sembrare una breve barzelletta, ma, a mio parere, presenta un forte intento satirico. 

Le leggi dell’89 a cui l’uomo fa riferimento sono quelle proclamate allo scoppio della Rivoluzione Francese. È come se Baudelaire dicesse ai suoi concittadini: abbiamo assaltato la Bastiglia, abbiamo rovesciato la monarchia, abbiamo fatto anni (se non decenni) di lotte… per poterci impuntare ora su ridicoli diritti, come la possibilità di specchiarci anche se siamo brutti? Bel traguardo davvero!



IL PORTO



...e poi, soprattutto, c’è una sorta di piacere misterioso ed aristocratico, per colui che non ha più curiosità né ambizione, nel contemplare, accucciato sul belvedere o fermo sul molo, tutti questi movimenti di coloro che partono e di coloro che tornano, di coloro che hanno ancora la forza di volere, il desiderio di viaggiare o di arricchirsi.”


Come già detto nel post relativo alla ricerca dell'ideale, uno dei luoghi che più affascinano Baudelaire è la città di mare; in particolar modo, egli si sente attratto dal porto.


La prima parte di questo componimento descrive tutto ciò che lo conquista di questo luogo, dai colori cangianti del mare allo scintillio dei fari, dalle forme slanciate delle navi al cordame intrecciato in modo complesso.


Nella seconda, invece, il poeta inserisce se stesso come silenzioso spettatore degli arrivi e delle partenze. Quando il male di vivere ha la meglio, infatti, egli si rasserena nel constatare quante persone abbiano ancora voglia di viaggiare, di arricchirsi, di spostarsi, di desiderare qualcosa di nuovo, di vivere pienamente.



I RITRATTI DELLE AMANTI



In un’alcova di uomini, ovvero in un luogo per fumatori che fungeva da elegante bisca, quattro uomini fumavano e bevevano. Essi non erano esattamente né giovani né vecchi, né belli né brutti; ma, vecchi o giovani, essi presentavano quella distinzione riconoscibile dei veterani della gioia, quell’indescrivibile non-so-che, quella tristezza fredda e beffarda che dice chiaramente: noi abbiamo vissuto fortemente e noi cerchiamo quello che potremmo amare o stimare.”


I protagonisti di questo racconto sono quattro cosiddetti viveur, ovvero quattro personaggi che hanno condotto una vita agiata e piena di dissolutezze, che affermano di essersi divertiti molto ma in realtà conducono esistenze sopraffatte dalla noia, perché non c’è più nulla che sia loro davvero di stimolo e li renda sinceramente felici.


Nel bel mezzo di una partita notturna a carte, uno dei quattro inizia a raccontare le sue avventure sentimentali e si lamenta fortemente della sua ultima amante, che desiderava in tutti i modi essere un uomo come lui… ed ha finito per tradirlo con una donna.

Il secondo, a sua volta, racconta il dolore che le ha causato una ragazza tanto dolce e permissiva quanto incapace di provare piacere fisico, che, una volta lasciata da lui, si è sposata ed ha avuto ben sei figli.

Il terzo, pensando di far ridere gli altri, narra che la sua ultima amante non faceva altro che mangiare, rischiando di mandarlo in rovina, e che lo ha lasciato per un fornitore di viveri dell’esercito.


A questo punto i tre uomini, che hanno mantenuto un tono ironico per tutta la durata dei racconti, vengono interrotti dal quarto, che è chiaramente l’alter ego del poeta. Quest’ultimo mette in ridicolo gli altri, definendoli troppo gelosi e nervosi, o, al contrario, troppo leggeri. Egli, poi, afferma di aver vissuto una storia d’amore con una donna che, in apparenza, non aveva nemmeno un difetto, e che s’impegnava sinceramente per renderlo felice ogni giorno.

I tre ascoltatori, colpiti, chiedono all’uomo dove sia la donna. Egli, allora, fa una scioccante confessione: ella è morta… ed è stato lui ad ucciderla, sopraffatto dalla sua perfezione, che lo schiacciava e gli ricordava ogni giorno quanto egli fosse misero in confronto a lei.


La tematica chiave di questo piccolo poema è chiaramente il femminicidio e, più in generale, il modo sprezzante in cui gli uomini considerano le donne. Forse per la prima volta Baudelaire, nel ridicolizzare i primi tre viveur e nel condannare il gesto del quarto, fa un po’ di autocritica per il modo in cui spesso considera il sesso femminile. 

Ciò che lascia più attonito il lettore, in effetti, è l’indifferenza con cui la confessione viene accolta: vengono portati altri alcoolici e la partita a carte riprende. 
È come se il poeta volesse sottolineare che è proprio questo atteggiamento noncurante a condurre tante donne che subiscono violenza fisica e psicologica dal partner alla solitudine, alla disperazione e spesso ad una fine infelice.



IL TIRATORE GALANTE



Mentre la vettura attraversava il bosco, egli la fece arrestare a distanza di un tiro, dicendo che gli sarebbe piaciuto tirare qualche pallottola per ammazzare il Tempo. Ammazzare quel mostro là, non è l’occupazione più ordinaria e più legittima di ciascuno?”


Subito dopo i toni cupi che hanno caratterizzato il piccolo poema precedente, Baudelaire torna a prendere in giro il sesso femminile e la vita stessa con lo sferzante sarcasmo che lo contraddistingue. 


Egli, infatti, immagina un esponente della buona società che sta attraversando il bosco su una vettura insieme ad una donna che ama con grande passione e che, al tempo stesso, è la causa di tanti suoi dispiaceri. 

L’uomo chiede al conducente della vettura di fermarsi perché desidera allenarsi a sparare, per “ammazzare il tempo” (in senso, forse, non così metaforico).

La sua mira sembra essere molto scarsa, e la donna lo prende in giro piuttosto crudelmente. L’uomo, allora, indica uno spaventapasseri dall’aspetto femminile alla sua compagna, le dice: “Provo ad immaginare che sia tu!” e lo decapita con netta precisione.

Inutile dire che la “galanteria” del titolo ha un valore del tutto ironico…



LA ZUPPA E LE NUVOLE



La mia piccola, folle amata mi aveva servito la cena, e, attraverso la finestra aperta della sala da pranzo, io contemplavo le architetture semoventi che Dio fa con il vapore, le meravigliose costruzioni dell’impalpabile.”


In questo breve ed ironico poema Baudelaire sottolinea con efficacia la differenza tra il modo in cui il poeta osserva il mondo da quello in cui lo vedono tutti gli altri.


Egli si trova di fronte una zuppa che costituisce la sua cena, ma, invece che guardare nel piatto, osserva le nuvole fuori dalla finestra, e si stupisce di tutte le forme che esse assumono mentre vengono trasportate dal vento.

All’improvviso, mentre è tutto assorto e sta quasi per comporre una nuova poesia, egli viene colpito da qualcosa alla nuca. Si tratta della sua compagna, che gli intima poco garbatamente di mangiare la sua cena, prima che si freddi.


Il contrasto tra la quotidiana zuppa e le nuvole con le loro “architetture dell’impalpabile” risulta essere, in definitiva, la misura della distanza che separa l’artista dalla gente comune.



IL POLIGONO ED IL CIMITERO



...Maledette siano le vostre pistole e le vostre carabine, turbolenti vivi, che sapete così poco dei defunti e del loro riposo divino! Maledette siano le vostre ambizioni, maledetti siano i vostri calcoli, mortali impazienti, che venite a studiare l’arte di uccidere accanto al santuario della Morte!”


Un misterioso personaggio, probabilmente uno dei tanti alter ego di Baudelaire, mentre passeggia per la città si accorge che è stato costruito un poligono proprio accanto ad un cimitero.


Se egli non prova attrazione per il primo, ed i ripetuti rumori di chi si esercita a sparare lo infastidiscono non poco, si ritrova invece ad essere stranamente affascinato dal secondo, che è illuminato dal sole e circondato dal verde.

Con il suo sigaro in mano, egli inizia una placida passeggiata per il cimitero, e, mentre passa tra le tombe, si rende conto che c’è una voce che sovrasta gli spari e che sembra provenire dalle lapidi stesse.

Con suo sommo stupore, egli si rende conto che si tratta dei defunti stessi, che maledicono il poligono da tiro ed il desiderio dei vivi di imparare l’arte di uccidere. Se i vivi sapessero quanto la Morte sia un “premio” facile da ottenere, forse non si affannerebbero tanto per darla ad ad altri e forse a se stessi.


Ancora una volta Baudelaire torna sul tema della satira sociale e politica. Come forse qualcuno di voi avrà intuito, questo poema è anche una frecciatina nei confronti del secondo marito della madre, un generale, che sicuramente passava al poligono la maggior parte del suo tempo libero.




Come al solito, vi invito a lasciarmi un vostro parere!
Quale piccolo poema del post avete preferito?
Quale sezione del progetto è stata la vostra preferita finora?
Ci sentiamo prestissimo per l’ultima parte di questo approfondimento “a puntate”!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

4 commenti :

  1. Cara Silvia, passo sempre per un mio caro saluto.
    Ciao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso! Mi fa sempre piacere sentirti.
      Buon pomeriggio e buona serata!

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  2. Ho sempre adorato la satira, ma quella che comunque non offende e non cade nella volgarità.

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    1. Ciao Claudia! Secondo me Baudelaire è sferzante e le sue immagini sono toste, ma riesce comunque a fare una satira efficace :-)

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