I PICCOLI POEMI IN PROSA #3
Cari
lettori,
nuovo
appuntamento con “Il momento dei classici” e con i Piccoli
poemi in prosa di Baudelaire.
Nel primo dei post dedicati a questa bellissima opera abbiamo letto
insieme la presentazione di Baudelaire come uomo e come artista,
cercando di comprendere meglio i suoi principi e le sue debolezze.
Una
seconda sezione dell’opera, analizzata a questo link, mette in
risalto il rapporto del poeta con Parigi e con alcune importanti
tematiche sociali.
Questo
terzo post pone invece al centro alcuni piccoli poemi che hanno a che
fare principalmente con la ricerca dell’ideale.
Dalla lettura della
raccolta poetica di Baudelaire I fiori del male (a questo link le mie poesie preferite) si comprende che esso, insieme al male di
vivere (detto spleen) è uno dei due capisaldi della vita e
della poetica dell’autore.
Egli, sentendosi spesso immerso nel
dolore e nella disperazione, tenta, attraverso il sogno (anche a
occhi aperti), una fuga della realtà, verso un mondo che è, per
l’appunto, ideale.
Vediamo
la questione un po’ più nel dettaglio!
L’orologio
“Che
cosa vedi lì con tanto bisogno? Che cosa cerchi negli occhi di
quest’essere? Ci vedi forse l’ora, mortale prodigo e pigro?” Ed
io risponderei senza esitare: “Sì, ci vedo l’ora: è
l’eternità!”
Baudelaire
è fortemente attratto dalle culture diverse dalla sua, ed in questo
piccolo poema omaggia la Cina e le sue tradizioni. Egli,
infatti, sostiene che i cinesi siano soliti scoprire che ora è
osservando le pupille dei gatti.
Allo
stesso modo, egli afferma di poter vedere con esattezza l’ora negli
occhi di una donna conturbante, probabilmente una prostituta,
soprannominata “La Felina”. Guardandola, egli vede un’unica
ora, leggera come un sospiro e rapida come un colpo d’occhio: si
tratta, ovviamente, dell’eternità.
Egli
ha scritto considerazioni terribili sul tempo in tante altre poesie
ed anche in alcuni poemi in prosa precedenti. In essi, l’uomo è
stato descritto come uno schiavo del tempo, costretto a vivere giorno
dopo giorno ed a non sottrarsi mai alla tirannia dell’orologio.
Attraverso lo sguardo di una donna amata, egli riesce invece a
sfuggire alle regole temporali che tanto mostra di disprezzare.
UN
EMISFERO IN UNA CAPIGLIATURA
I
tuoi capelli contengono un sogno intero, pieno di vele e di alberi
maestri, contengono dei grandi mari i cui flutti mi portano verso
climi affascinanti, dove lo spazio è più bello e più profondo,
dove l’atmosfera è profumata dai frutti, dalle foglie e dalla
pelle umana.
Questo
piccolo poema è particolarmente struggente e raffigura il poeta
nell’atto di annusare i capelli (probabilmente belli, lunghi e
curati) della donna amata.
Gli
basta toccare l’affascinante capigliatura per immaginare un mondo
intero: un viaggio in mare, un porto, le camere di lusso di una bella
nave, un’isola tropicale.
Come
già detto altre volte, la bellezza femminile, per il poeta, è
ambivalente: talvolta lo porta in Paradiso, altre volte alla
dannazione.
In questo caso, la fuga nel mondo della fantasia riesce
soltanto quando egli resta vicino a questa donna dai meravigliosi
capelli.
L’INVITO
AL VIAGGIO
Un
vero paese della Cuccagna, dove tutto è bello, ricco, tranquillo,
onesto; dove il lusso ha piacere di rimirarsi nell’ordine; dove la
vita è dolce e grassa da respirare; dal quale il disordine, la
turbolenza e l’imprevisto sono esclusi; dove lo stesso buonumore è
sposato al silenzio; dove la cucina stessa è poetica, grassa ed
eccitante insieme; dove tutto vi assomiglia, mio caro angelo.
Questo
piccolo poema riprende il tema e quasi le parole di una poesia della
raccolta I fiori del male e descrive nel dettaglio un “paese
della Cuccagna”, in parte reale ed in parte immaginario.
Leggendo
la descrizione che fa Baudelaire, si comprende che il luogo dei suoi
sogni è almeno parzialmente ispirato ad Amsterdam e ad altre città
del Nord Europa. Non manca mai l’elemento del porto, a lui tanto
caro, così come la descrizione di alcuni interni lussuosi.
Ricchezza
e malinconia si fondono, creando un ambiente ideale per il poeta.
Analizzando quest’opera, a mio parere, si comprende appieno come
Baudelaire fosse già immerso in alcune atmosfere decadenti che lo
allontanavano molto dai suoi contemporanei, tanti dei quali
appartenevano pienamente al Romanticismo.
C’è
anche un’identificazione del luogo desiderato con la donna amata:
nel descrivere le bellezze del primo, egli fa infatti trasparire il
suo desiderio per la seconda. Il viaggio nel paese della Cuccagna, in
definitiva, può definirsi un vero sogno soltanto se il poeta è in
compagnia del suo “caro angelo”.
IL
GIOCO DEL POVERO
Vi
vorrei donare l’idea di un divertimento innocente. Ci sono così
pochi divertimenti che non sono colpevoli!
Baudelaire
condivide ancora una volta con il lettore la sua simpatia per i
poveri e gli ultimi. Egli consiglia infatti a chi legge di fare un
semplice atto di carità: riempirsi le tasche di semplici giochi
durante i giorni in cui si è liberi dalle solite occupazioni, ed
intrattenere i bambini poveri sul ciglio della strada.
Egli
racconta anche un episodio che sembra una sua versione personalizzata
della favola Il principe e il povero.
Egli, infatti, afferma
di avere visto due bambini divisi da una barricata, il primo molto
ricco e circondato da giochi lussuosi, il secondo povero, sporco e
solo.
Il
bambino ricco è irresistibilmente attratto dal “gioco” del
povero, che si rivela essere un topolino, ed i due piccoli ridono
insieme, con il medesimo sorriso.
Baudelaire
torna ai temi sociali che abbiamo affrontato nello scorso post, ma
offrendo un quadretto idilliaco di spensieratezza infantile.
I
DONI DELLE FATE
C’era
una grande assemblea delle Fate, per procedere alla ripartizione dei
doni tra tutti i nuovi nati, venuti alla luce nelle ultime 24 ore…
Questo
piccolo poema ha carattere estremamente fantasy ed immagina una scena
sullo stile de La bella addormentata: ogni giorno, i bambini
appena nati sono portati al cospetto dell’assemblea delle fate,
che, in modo del tutto arbitrario, assegnano dei doni ai piccoli.
A
poco a poco, tutti i doni, come la bellezza, il talento nella poesia,
l’amore per la musica, la fortuna negli affari, vengono assegnati.
Le fate stanno per dichiarare conclusa la giornata, quando un
negoziante fa presente che non è stato considerato suo figlio.
Le
fate sono in forte imbarazzo, perché non è rimasto più nemmeno un
dono. La più autorevole di loro, allora, decide di regalare al
piccolo la più evanescente e particolare delle doti: il dono di
piacere. Il padre del bambino se ne va perplesso, senza aver
capito l’importanza di un simile regalo.
In
questo fantasioso piccolo poema, a mio parere, il poeta racconta una
grande verità: si può essere belli, ricchi, intelligenti, avere
molte ottime qualità, ma ciò non significa comunque piacere alla
gente.
Il
“dono di piacere” è una qualità difficile da ottenere e molto
complessa da preservare. Inutile dire che il poeta sente di esserne
del tutto privo.
LE
TENTAZIONI DI EROS, PLUTONE E DELLA GLORIA
Ed
essi sono venuti a posarsi gloriosamente davanti a me, di colpo, come
sulla strada. Uno splendore sulfureo era emanato da questi tre
personaggi, che si staccavano così dal fondo opaco della notte.
Avevano l’aria così fiera e così piena di dominazione, che io
all’inizio li ho scambiati per dei veri dei.
Questo
piccolo poema è una sorta di dissacrazione del passo del Vangelo nel
quale Gesù viene tentato tre volte dal demonio.
Anche
al poeta, mentre sta dormendo, vengono in visita tre tentatori, che
hanno un aspetto affascinante ed infernale allo stesso tempo.
Il
primo, Eros, descritto come una sorta di dio Bacco invecchiato e
sfiancato dal vizio, offre al poeta la possibilità di essere amato
da molti. Quest’ultimo, però, rifiuta l’offerta, spaventato
dalle catene che cingono gambe e polsi di Eros, chiara
rappresentazione degli effetti collaterali dell’amore.
Il
secondo, Plutone, è un uomo enorme, ai cui grassi arti sono
aggrappati moltissimi postulanti. Egli tenta il protagonista con la
prospettiva della ricchezza, ma egli è fortemente intristito dalla
miseria dei postulanti di Plutone e non vuole ottenere denaro
danneggiando qualcun altro.
La
terza ed ultima Diavolessa, infine, è la gloria, che tenta il poeta
con le sue seduzioni e le sue lusinghe; per il protagonista questa è
la prova più difficile, ma egli finisce per rifiutarsi di dividere
la gloria con altri artisti che non stima affatto.
Alla
fine, Baudelaire non si sveglia certo “servito dagli angeli”:
egli è solo e disperato, ed invoca i tre tentatori, che però non
gli risponderanno mai più.
IL
CREPUSCOLO DELLA SERA
O
notte! O rinfrescanti tenebre! Voi siete per me il segnale di una
festa interiore, voi siete la liberazione da un’angoscia! Nella
solitudine delle pianure, nei labirinti pietrosi di una capitale,
scintillio di stelle, esplosione di lanterne, voi siete i fuochi
d’artificio della dea Libertà!
Ancora
una volta Baudelaire fa riferimento ad una poesia de I fiori del
male, dal titolo Raccoglimento. Se le cosiddette “serate
mondane” sono spesso il suo incubo, le nottate tranquille sono
attese, anzi, invocate.
Egli
si sofferma addirittura a raccontare di alcuni suoi amici che non
riescono ad apprezzare le gioie di una serata di pace e che per
questo motivo covano un particolare tormento interiore. Il momento in
cui calano le tenebre è per lui una sorta di affettuoso abbraccio
della Natura, che smette di essere “matrigna” e lo accoglie tra
le sue braccia.
Ho
sempre immaginato questo piccolo poema e Raccoglimento come
gli ispiratori dei quadri notturni di Van Gogh, e, anche se
probabilmente non è andata così, mi piace pensarlo.
LA
SOLITUDINE
È
certo che un uomo loquace, il cui piacere supremo consiste nel
parlare dall’alto di una sedia o di una tribuna, rischierebbe di
diventare un pazzo furioso sull’isola di Robinson. Io non esigo dal
mio gazzettiere le coraggiose virtù di Crusoe, ma gli chiedo di non
accusare gli amanti della solitudine e del mistero.
Il
destinatario dell’invettiva di Baudelaire è qui una persona che
egli definisce, un po’ ironicamente, “filantropo”. Costui
disprezza la solitudine e cita dei passi della Bibbia che condannano
i solitari ad una dannazione eterna.
Baudelaire,
invece, com’è facile immaginare, ritiene che i deboli ed i dannati
siano coloro che sono incapaci di stare soli. Alcune persone, a suo
parere, giungerebbero persino a farsi torturare o uccidere in
pubblico se ciò regalasse loro l’attenzione della massa.
Secondo
lui, inoltre, chi svolge un’attività artistica ha il dovere di
esercitarsi a stare solo almeno di tanto in tanto, per poter
ascoltare la sua Musa.
Come non essere d’accordo con lui?
Siamo
giunti alla fine di questa terza sezione dell’opera dedicata alla
ricerca dell’ideale. Questa parte dei Piccoli poemi in prosa è
particolarmente evocativa e contiene alcuni brani piuttosto famosi.
Vi
sono piaciuti? Quale apprezzate di più?
Fatemi
sapere!
Grazie
per la lettura, al prossimo post :-)
Cara Silvia, con questo post offri un menu ricco, interessante e ben scritto, come tu sai sempre fare. Grazie.
RispondiEliminasinforosa
Ciao! Sono contenta che ti sia piaciuto :-) Buona serata!
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