martedì 14 maggio 2019

LA RICERCA DELL'IDEALE

I PICCOLI POEMI IN PROSA  #3




Cari lettori,
nuovo appuntamento con “Il momento dei classici” e con i Piccoli poemi in prosa di Baudelaire. 


Nel primo dei post dedicati a questa bellissima opera abbiamo letto insieme la presentazione di Baudelaire come uomo e come artista, cercando di comprendere meglio i suoi principi e le sue debolezze.

Una seconda sezione dell’opera, analizzata a questo link, mette in risalto il rapporto del poeta con Parigi e con alcune importanti tematiche sociali.


Questo terzo post pone invece al centro alcuni piccoli poemi che hanno a che fare principalmente con la ricerca dell’ideale. 
Dalla lettura della raccolta poetica di Baudelaire I fiori del male (a questo link le mie poesie preferite) si comprende che esso, insieme al male di vivere (detto spleen) è uno dei due capisaldi della vita e della poetica dell’autore. 
Egli, sentendosi spesso immerso nel dolore e nella disperazione, tenta, attraverso il sogno (anche a occhi aperti), una fuga della realtà, verso un mondo che è, per l’appunto, ideale.

Vediamo la questione un po’ più nel dettaglio!



L’orologio



Che cosa vedi lì con tanto bisogno? Che cosa cerchi negli occhi di quest’essere? Ci vedi forse l’ora, mortale prodigo e pigro?” Ed io risponderei senza esitare: “Sì, ci vedo l’ora: è l’eternità!”


Baudelaire è fortemente attratto dalle culture diverse dalla sua, ed in questo piccolo poema omaggia la Cina e le sue tradizioni. Egli, infatti, sostiene che i cinesi siano soliti scoprire che ora è osservando le pupille dei gatti.

Allo stesso modo, egli afferma di poter vedere con esattezza l’ora negli occhi di una donna conturbante, probabilmente una prostituta, soprannominata “La Felina”. Guardandola, egli vede un’unica ora, leggera come un sospiro e rapida come un colpo d’occhio: si tratta, ovviamente, dell’eternità.


Egli ha scritto considerazioni terribili sul tempo in tante altre poesie ed anche in alcuni poemi in prosa precedenti. In essi, l’uomo è stato descritto come uno schiavo del tempo, costretto a vivere giorno dopo giorno ed a non sottrarsi mai alla tirannia dell’orologio. 

Attraverso lo sguardo di una donna amata, egli riesce invece a sfuggire alle regole temporali che tanto mostra di disprezzare.



UN EMISFERO IN UNA CAPIGLIATURA



I tuoi capelli contengono un sogno intero, pieno di vele e di alberi maestri, contengono dei grandi mari i cui flutti mi portano verso climi affascinanti, dove lo spazio è più bello e più profondo, dove l’atmosfera è profumata dai frutti, dalle foglie e dalla pelle umana.


Questo piccolo poema è particolarmente struggente e raffigura il poeta nell’atto di annusare i capelli (probabilmente belli, lunghi e curati) della donna amata.

Gli basta toccare l’affascinante capigliatura per immaginare un mondo intero: un viaggio in mare, un porto, le camere di lusso di una bella nave, un’isola tropicale.

Come già detto altre volte, la bellezza femminile, per il poeta, è ambivalente: talvolta lo porta in Paradiso, altre volte alla dannazione. 
In questo caso, la fuga nel mondo della fantasia riesce soltanto quando egli resta vicino a questa donna dai meravigliosi capelli.



L’INVITO AL VIAGGIO


Un vero paese della Cuccagna, dove tutto è bello, ricco, tranquillo, onesto; dove il lusso ha piacere di rimirarsi nell’ordine; dove la vita è dolce e grassa da respirare; dal quale il disordine, la turbolenza e l’imprevisto sono esclusi; dove lo stesso buonumore è sposato al silenzio; dove la cucina stessa è poetica, grassa ed eccitante insieme; dove tutto vi assomiglia, mio caro angelo.


Questo piccolo poema riprende il tema e quasi le parole di una poesia della raccolta I fiori del male e descrive nel dettaglio un “paese della Cuccagna”, in parte reale ed in parte immaginario.

Leggendo la descrizione che fa Baudelaire, si comprende che il luogo dei suoi sogni è almeno parzialmente ispirato ad Amsterdam e ad altre città del Nord Europa. Non manca mai l’elemento del porto, a lui tanto caro, così come la descrizione di alcuni interni lussuosi.

Ricchezza e malinconia si fondono, creando un ambiente ideale per il poeta.


Analizzando quest’opera, a mio parere, si comprende appieno come Baudelaire fosse già immerso in alcune atmosfere decadenti che lo allontanavano molto dai suoi contemporanei, tanti dei quali appartenevano pienamente al Romanticismo.

C’è anche un’identificazione del luogo desiderato con la donna amata: nel descrivere le bellezze del primo, egli fa infatti trasparire il suo desiderio per la seconda. Il viaggio nel paese della Cuccagna, in definitiva, può definirsi un vero sogno soltanto se il poeta è in compagnia del suo “caro angelo”.



IL GIOCO DEL POVERO


Vi vorrei donare l’idea di un divertimento innocente. Ci sono così pochi divertimenti che non sono colpevoli!


Baudelaire condivide ancora una volta con il lettore la sua simpatia per i poveri e gli ultimi. Egli consiglia infatti a chi legge di fare un semplice atto di carità: riempirsi le tasche di semplici giochi durante i giorni in cui si è liberi dalle solite occupazioni, ed intrattenere i bambini poveri sul ciglio della strada.


Egli racconta anche un episodio che sembra una sua versione personalizzata della favola Il principe e il povero. 

Egli, infatti, afferma di avere visto due bambini divisi da una barricata, il primo molto ricco e circondato da giochi lussuosi, il secondo povero, sporco e solo.
Il bambino ricco è irresistibilmente attratto dal “gioco” del povero, che si rivela essere un topolino, ed i due piccoli ridono insieme, con il medesimo sorriso.


Baudelaire torna ai temi sociali che abbiamo affrontato nello scorso post, ma offrendo un quadretto idilliaco di spensieratezza infantile.



I DONI DELLE FATE


C’era una grande assemblea delle Fate, per procedere alla ripartizione dei doni tra tutti i nuovi nati, venuti alla luce nelle ultime 24 ore…


Questo piccolo poema ha carattere estremamente fantasy ed immagina una scena sullo stile de La bella addormentata: ogni giorno, i bambini appena nati sono portati al cospetto dell’assemblea delle fate, che, in modo del tutto arbitrario, assegnano dei doni ai piccoli.

A poco a poco, tutti i doni, come la bellezza, il talento nella poesia, l’amore per la musica, la fortuna negli affari, vengono assegnati. 

Le fate stanno per dichiarare conclusa la giornata, quando un negoziante fa presente che non è stato considerato suo figlio.
Le fate sono in forte imbarazzo, perché non è rimasto più nemmeno un dono. La più autorevole di loro, allora, decide di regalare al piccolo la più evanescente e particolare delle doti: il dono di piacere. Il padre del bambino se ne va perplesso, senza aver capito l’importanza di un simile regalo.


In questo fantasioso piccolo poema, a mio parere, il poeta racconta una grande verità: si può essere belli, ricchi, intelligenti, avere molte ottime qualità, ma ciò non significa comunque piacere alla gente.

Il “dono di piacere” è una qualità difficile da ottenere e molto complessa da preservare. Inutile dire che il poeta sente di esserne del tutto privo.



LE TENTAZIONI DI EROS, PLUTONE E DELLA GLORIA


Ed essi sono venuti a posarsi gloriosamente davanti a me, di colpo, come sulla strada. Uno splendore sulfureo era emanato da questi tre personaggi, che si staccavano così dal fondo opaco della notte. Avevano l’aria così fiera e così piena di dominazione, che io all’inizio li ho scambiati per dei veri dei.


Questo piccolo poema è una sorta di dissacrazione del passo del Vangelo nel quale Gesù viene tentato tre volte dal demonio.

Anche al poeta, mentre sta dormendo, vengono in visita tre tentatori, che hanno un aspetto affascinante ed infernale allo stesso tempo.


Il primo, Eros, descritto come una sorta di dio Bacco invecchiato e sfiancato dal vizio, offre al poeta la possibilità di essere amato da molti. Quest’ultimo, però, rifiuta l’offerta, spaventato dalle catene che cingono gambe e polsi di Eros, chiara rappresentazione degli effetti collaterali dell’amore.

Il secondo, Plutone, è un uomo enorme, ai cui grassi arti sono aggrappati moltissimi postulanti. Egli tenta il protagonista con la prospettiva della ricchezza, ma egli è fortemente intristito dalla miseria dei postulanti di Plutone e non vuole ottenere denaro danneggiando qualcun altro.

La terza ed ultima Diavolessa, infine, è la gloria, che tenta il poeta con le sue seduzioni e le sue lusinghe; per il protagonista questa è la prova più difficile, ma egli finisce per rifiutarsi di dividere la gloria con altri artisti che non stima affatto.


Alla fine, Baudelaire non si sveglia certo “servito dagli angeli”: egli è solo e disperato, ed invoca i tre tentatori, che però non gli risponderanno mai più.



IL CREPUSCOLO DELLA SERA


O notte! O rinfrescanti tenebre! Voi siete per me il segnale di una festa interiore, voi siete la liberazione da un’angoscia! Nella solitudine delle pianure, nei labirinti pietrosi di una capitale, scintillio di stelle, esplosione di lanterne, voi siete i fuochi d’artificio della dea Libertà!


Ancora una volta Baudelaire fa riferimento ad una poesia de I fiori del male, dal titolo Raccoglimento. Se le cosiddette “serate mondane” sono spesso il suo incubo, le nottate tranquille sono attese, anzi, invocate.


Egli si sofferma addirittura a raccontare di alcuni suoi amici che non riescono ad apprezzare le gioie di una serata di pace e che per questo motivo covano un particolare tormento interiore. Il momento in cui calano le tenebre è per lui una sorta di affettuoso abbraccio della Natura, che smette di essere “matrigna” e lo accoglie tra le sue braccia.


Ho sempre immaginato questo piccolo poema e Raccoglimento come gli ispiratori dei quadri notturni di Van Gogh, e, anche se probabilmente non è andata così, mi piace pensarlo.



LA SOLITUDINE


È certo che un uomo loquace, il cui piacere supremo consiste nel parlare dall’alto di una sedia o di una tribuna, rischierebbe di diventare un pazzo furioso sull’isola di Robinson. Io non esigo dal mio gazzettiere le coraggiose virtù di Crusoe, ma gli chiedo di non accusare gli amanti della solitudine e del mistero.


Il destinatario dell’invettiva di Baudelaire è qui una persona che egli definisce, un po’ ironicamente, “filantropo”. Costui disprezza la solitudine e cita dei passi della Bibbia che condannano i solitari ad una dannazione eterna.

Baudelaire, invece, com’è facile immaginare, ritiene che i deboli ed i dannati siano coloro che sono incapaci di stare soli. Alcune persone, a suo parere, giungerebbero persino a farsi torturare o uccidere in pubblico se ciò regalasse loro l’attenzione della massa.


Secondo lui, inoltre, chi svolge un’attività artistica ha il dovere di esercitarsi a stare solo almeno di tanto in tanto, per poter ascoltare la sua Musa. 
Come non essere d’accordo con lui?




Siamo giunti alla fine di questa terza sezione dell’opera dedicata alla ricerca dell’ideale. Questa parte dei Piccoli poemi in prosa è particolarmente evocativa e contiene alcuni brani piuttosto famosi.
Vi sono piaciuti? Quale apprezzate di più?
Fatemi sapere!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)

2 commenti :

  1. Cara Silvia, con questo post offri un menu ricco, interessante e ben scritto, come tu sai sempre fare. Grazie.
    sinforosa

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Ciao! Sono contenta che ti sia piaciuto :-) Buona serata!

      Elimina