I PICCOLI POEMI IN PROSA #2
Cari
lettori,
eccoci
giunti ad un secondo appuntamento con “Il momento dei classici” e
i Piccoli poemi in prosa di
Baudelaire!
Se
nello scorso post avevamo commentato insieme un primo “blocco” di
queste opere, nel quale il poeta annunciava le sue intenzioni e le
tematiche principali, oggi analizziamo una seconda parte di questa
raccolta, un po’ più complessa da comprendere.
Oggi
vi parlerò infatti di alcuni piccoli poemi piuttosto
lunghi, che presentano diverse argomentazioni e temi non sempre
semplici, tutti, in qualche modo, collegati al modo in cui il poeta vive Parigi e considera la società.
Spero comunque che la mia interpretazione vi interessi!
IL
CANE ED IL FLACONE
E
così, voi stesso, indegno compagno della mia triste vita, voi
assomigliate al pubblico, al quale non bisogna mai presentare dei
profumi delicati che lo esasperano, bensì delle schifezze
accuratamente scelte.
Il
poeta offre ad un cane randagio, che lo segue ovunque vada, un
flacone con un’essenza molto pregiata, sperando che quest’ultimo
lo apprezzi. Il cane, però, si ritrae schifato.
Il
protagonista non può fare a meno di constatare che il suo amico
animale forse avrebbe preferito annusare gli escrementi di un altro
cane.
Nella
sua mente, il cagnolino schizzinoso diventa subito un equivalente del
pubblico, che rifiuta a priori i prodotti culturali perché
richiedono impegno ed attenzione, ma è felice se gli viene proposto
uno spettacolo brutto ma confezionato nel modo giusto.
Certo,
pensando al dilagare della tv trash ed all’insuccesso di alcuni
format che pure erano di qualità, verrebbe da pensare che non siamo
cambiati molto dai tempi di Baudelaire…
IL
CATTIVO VETRAIO
Che
impudente siete! Voi osate camminare in quartieri poveri, e non avete
voi stesso dei vetri che facciano vedere la vita con lenti belle!
Questo
piccolo poema, piuttosto lungo, ha inizio con una sorta di
premessa: a tutti noi, inspiegabilmente, è capitato di cedere ad un
attimo di esaltazione, di rabbia, di follia.
Il
poeta porta ad esempio alcuni suoi amici: c’è chi ha provato ad
appiccare il fuoco, chi si è seduto vicino a della polvere da sparo,
chi ha vinto la sua timidezza ed ha abbracciato delle persone per
strada.
Esaurita
questa panoramica, egli ricorda un giorno in cui ha fatto salire un
vetraio ambulante a casa sua e l’ha sgridato per la povertà della
sua merce.
Il
povero vetraio, infatti, era reo di vendere soltanto vetro comune per
le persone più povere della città, che ne avrebbero fatto un uso
meramente funzionale.
Baudelaire,
invece, ribadisce l’importanza di vendere dei vetri colorati
proprio ai ceti sociali più bassi, che hanno un grande
bisogno di vedere la vita come se fosse più bella di quella che è.
Ancora
una volta, il poeta cerca una fuga dalla sua condizione di miseria, e
trova nella fantasia un rifugio costante, per quanto fragile.
AD
UN’ORA DEL MATTINO
Finalmente
solo! Non si sente altro che il passaggio di qualche carrozza
ritardataria e sfiancata. Per qualche ora noi possiederemo, se non il
riposo, almeno il silenzio. Finalmente! La tirannia del volto umano è
scomparsa, ed io non soffrirò più, se non per conto mio.
Questo
splendido piccolo poema, che io amo molto, è scritto al
ritorno da una notte mondana parigina. Il protagonista è appena
tornato e, invece che crollare nel letto soddisfatto per la serata
trascorsa, prova un senso di sollievo e si ferma un attimo a godere
il silenzio.
La
nottata appena trascorsa, infatti, è stata per lui una sorta di
fatica. Egli ha dovuto ascoltare i consigli non richiesti di tante
persone saccenti, raccontare controvoglia dettagli della sua vita a
dei quasi sconosciuti, tenere per sé qualche aneddoto divertente
perché certo che non sarebbe stato capito, ed ovviamente fare finta
di divertirsi.
Alla
fine della nottata, non gli resta che cercare l’ispirazione, perché
è certo che l’attività letteraria è ciò che lo rende veramente
diverso dalle persone che disprezza e che, senza la poesia, finirebbe
per assomigliare fin troppo a questi scocciatori.
Non
vi nascondo che, ripensando ad alcune circostanze, mi sono resa conto
che in questo poema Baudelaire mi ha letteralmente tolto le parole di
bocca…
LA
DONNA SELVAGGIA E LA PICCOLA MAITRESSE
A
vedere gli inferni dei quali il mondo è popolato, che cosa volete
che io pensi del vostro bell’inferno, voi che non riposate che su
delle stoffe dolci come la vostra pelle, che non mangiate altro che
carne cotta, e per le quali un abile domestico si prende l’incarico
di tagliare i pezzi?
Affrontiamo
nuovamente la differenza che Baudelaire nutre nei confronti
dell’amore. Questo piccolo poema è un dialogo tra il poeta ed una
giovane maitresse.
La
seconda, com’è facile immaginare, soffre per la sua condizione: si
sente ai margini della società, sa di essere disprezzata dalle
classi sociali più elevate e, nel vedere le donne rispettabili con
le loro famiglie, non fa che sospirare.
Il
poeta, per tutta risposta, indica alla ragazza una coppia sposata,
ritratta in modo paradossale: la donna è rappresentata come una
donna selvaggia in una gabbia, sempre furiosa e costretta a nutrirsi
della carne cruda che le passa il marito, il quale, non essendo a sua
volta soddisfatto della vita che conduce, si sfoga maltrattando la
moglie.
La
giovane prostituta viene invitata a riconsiderare le sue comodità,
prima tra tutti quella di non dover essere legata per la vita ad un
uomo.
Probabilmente
Baudelaire sta facendo un amaro riferimento alla madre ed al suo
secondo marito, che egli odiava di tutto cuore. Il suo cinismo nel
considerare la vita matrimoniale, comunque, è una costante della sua
poetica.
LA
FOLLA
Il
poeta gode di questo incomparabile privilegio, ovvero poter essere,
quando vuole, se stesso o un altro. Come queste anime erranti che
cercano un corpo, egli entra, quando vuole, nel personaggio di
ognuno. Per lui solo, tutto è libero; e se alcuni luoghi gli
sembrano essere preclusi, è perché ai suoi occhi essi non valgono
la pena di essere visitati.
Nuova
riflessione del protagonista sull’amore e sull’odio per la folla.
Stare
in mezzo alle persone semplicemente per non essere soli, per
apprezzare una qualunque altrui compagnia, è per il poeta un vero
spreco.
Chi
è infatti in grado di stare bene da solo affronterà la folla con
uno straordinario spirito d’osservazione, fino al punto di riuscire
ad identificarsi anche con chi conosce pochissimo.
In
definitiva, i più fortunati sono coloro che hanno fatto una scelta
di vita che prevede un isolamento almeno parziale, come i fondatori
di colonie ed i preti missionari. Costoro, infatti, possono osservare
la folla con il giusto distacco, e sorridere di chi chiede loro se
non si sentono mai soli.
La
vera conoscenza dell’animo umano è, per il poeta, molto più degna
di un amore ordinario. Si tratta di un concetto apparentemente
semplice, ma, a mio parere, incredibilmente vero.
LE
VEDOVE
È
soprattutto nei confronti di quei luoghi che il poeta ed il filosofo
amano dirigere le loro avide congetture. Là c’è qualcosa di
certo. Perché se c’è un posto che essi disdegnano visitare, come
ho appena fatto presente, è soprattutto la gioia dei ricchi.
Questa
turbolenza in vita non ha niente che li attiri.
Al
contrario, essi si sentono irresistibilmente trainati verso tutto ciò
che è fragile, rovinato, contrastato, orfano.
Le
protagoniste di questo piccolo poema sono le povere donne
rimaste vedove.
Baudelaire
già in altre occasioni ha amato descrivere i ceti sociali meno
abbienti, ai quali si sente dolorosamente vicino.
Egli
cerca di immaginare le storie di queste donne, alcune delle quali si
portano dietro dei figli vestiti a lutto, e difende con decisione la
loro dignità, che apprezza molto più della leggerezza di tante
ricche nobildonne.
L’attenzione,
la compassione, quasi l’affetto che spesso Baudelaire riserva ai
poveri ed agli ultimi è tutt’uno con il suo amore per la vecchia
Parigi, destinata ad essere spazzata via dal benessere ed al
progresso.
IL
VECCHIO SALTIMBANCO
...E
mi dissi: ho appena visto l’immagine del vecchio uomo di lettere
che è sopravvissuto alla generazione del quale fu il brillante
intrattenitore; del vecchio poeta senza amici, senza famiglia, senza
bambini, degradato dalla sua miseria e dall’ingratitudine pubblica,
e nella baracca nella quale il mondo, dimentico, non vuole più
entrare!
Ennesimo
caso di identificazione del poeta con un escluso dalla società.
Questa volta si tratta di un anziano saltimbanco, che, escluso dalla
festa del paese, resta nella sua baracca sperando che qualcuno voglia
ancora divertirsi con i suoi vecchi trucchi.
Tutta
la città è in festa; ovunque ci sono sorrisi, risate, divertimento,
scoppi e musica; solo il silenzio e l’isolamento dell’anziano
artista creano uno stridente contrasto.
Il
suo destino sembra tristemente simile a quello che il poeta immagina
per se stesso. Non manca un’ennesima invettiva nei confronti della
massa, rapida nel glorificare qualche artista ma altrettanto veloce
nel dimenticarlo.
LA
TORTA
...C’è
dunque un paese superbo dove il pane si chiama “torta”,
dall’appetibilità così rara che basta per ingaggiare una guerra
perfettamente fratricida!
Questo
piccolo poema, a mio parere, andrebbe letto da tutti, ma
proprio tutti coloro che si divertono (e provano a conquistare denaro
e consensi) ripetendo banalità sulle giovani generazioni e sulla
precarietà lavorativa.
L’immagine
descritta dal poeta è ben triste: due poveri monelli di strada
vedono, nello stesso momento, una crosta di pane raffermo, che ai
loro occhi appare golosa quanto una torta. I due si picchiano a
sangue per riuscire ad ottenere quel misero bottino, che passa di
mano in mano, finché non cade nel fango e si sbriciola.
Questa
è la situazione attuale per molte persone: non si tratta di
competitività, di dinamicità, di flessibilità,
di qualunque altro parolone politici di qualsiasi colore ed esperti
di turno ci vogliano propinare.
È
la ricerca di un “premio” penoso che è comunque il meglio che si
trova in circolazione, ha un gusto amaro e finisce presto lasciandoci
di nuovo affamati.
È
la rivalità costante con persone che hanno il diritto di vivere
serenamente, proprio come noi, mentre i soliti privilegiati ci
guardano soffrire dalle loro belle carrozze.
È
la consapevolezza di doversi guadagnare, accaparrare e meritare
qualcosa che dovrebbe essere diritto di tutti.
Perdonate
se sono così baudelairiana, ma a me sembra solo disperazione.
Come
avrete notato, questa seconda sezione non è dedicata soltanto agli
amati mal di vivere e ideale che tanto ama il poeta, ma
presenta anche delle importanti tematiche sociali. Spero che abbiate
apprezzato i miei commenti!
Quale
di questi brani vi ha colpito di più? Attendo un vostro parere!
Grazie
per la lettura, al prossimo post :-)
Ciao Silvia, bellissima analisi! Di Baudelaire per ora ho letto soltanto "I fiori del male", che avevo amato follemente. Leggerò sicuramente questa raccolta, oltre a "Lo spleen di Parigi"
RispondiEliminaCiao Ilaria! "I fiori del male" sono forse la mia raccolta poetica preferita di sempre. Sono contenta che l'analisi ti sia piaciuta!
EliminaCara Silvia, sempre chiari i tuoi post, ci spiegano tutto chiaramente.
RispondiEliminaCiao e buon pomeriggio con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Ciao Tomaso! Io spero sempre di essere chiara… sono contenta di sapere che è così. Buon pomeriggio anche a te!
EliminaAffascinante guardare il mondo e gli uomini attraverso gli occhi dei poeti e Baudelaire mostra grande sensibilità.
RispondiEliminaNon conoscevo questi poemi, mi piacciono soprattutto Ad un'ora del mattino e La folla!
Ciao Angela! Per me quest'opera è bellissima proprio perché affronta tante sfumature dell'animo umano. La sensibilità di Baudelaire era grande...anche se a volte purtroppo il suo male di vivere aveva la meglio su di lui!
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