Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese
Cari lettori,
bentrovati! Come state? Come sono andate le vostre vacanze?
Io oggi, come ogni anno, "riapro" il blog dopo la lunga pausa agostana. Dopo un anno di post, aggiornamenti e letture persino una persona appassionata di libri e scrittura come me sente il bisogno di dedicarsi all'aria aperta, alla natura, ad attività diverse dal solito con la famiglia o gli amici. Sentivo il bisogno della pausa che faccio ogni anno; eppure qualche volta ho avvertito la nostalgia di questo spazietto e mi sono ritagliata del tempo per iniziare a pensare ai post di settembre.
Oggi, però, vi racconto il cuore del mio mese di agosto, tra libri, film, musica, poesie ed un bellissimo periodo di vacanze!
Il libro del mese
I sei mesi di lavoro di Anita Bo, dattilografa torinese, stanno scorrendo troppo in fretta: l’estate del 1935 ha lasciato il posto ad un incantevole autunno. La ragazza, però, da qualche tempo fatica a dormire e si sveglia con un groppo alla gola: il suo fidanzato Corrado, per il quale ella prova affetto ma di certo non amore, ha deciso di arruolarsi volontario per partire in Africa con le truppe fasciste all’inizio dell’anno successivo. Di conseguenza il loro matrimonio è stato fissato prima di Natale, con grande sconcerto di Anita, che avrebbe voluto continuare a lavorare alla Casa Editrice Saturnalia ed a creare racconti gialli insieme al suo capo, Sebastiano Satta Ascona. Se c’è qualcuno più tormentato di Anita, quel qualcuno è proprio lui: fidanzato da tempo con Maria Vittoria detta Mavi, che è un po’ l’equivalente femminile di Corrado, pressato dal suocero Sauro Bonatti – il gerarca fascista locale – che vorrebbe al più presto un matrimonio, e con in casa un padre antifascista e ricercato da difendere, dire che è preso tra due fuochi sarebbe un eufemismo.
L’ultima trovata di Sauro Bonatti, che considera i mestieri di scrittore ed editore poco più di amabili hobbies, è quella di coinvolgere Sebastiano nella gestione della cascina con vigne dove vive il fratello Lupo, nelle Langhe. Ovviamente il malcapitato vorrebbe fare di tutto tranne che ritrovarsi a seguire la vendemmia per una settimana, ed adduce la scusa del lavoro, ma Mavi ha l’idea risolutrice: perché non portare nelle Langhe anche Anita, in modo che Sebastiano possa dedicarsi per metà giornata alle vigne e per metà alla rivista Saturnalia?
Così, da un giorno all’altro, Anita si ritrova autorizzata a partire in trasferta di lavoro. Un’autorizzazione che è data con entusiasmo dal socio di Sebastiano, Muzio Monné, con tranquillità da Corrado e con un milione di rimbrotti da Mariele, la madre della ragazza, che proprio non si capacita di come la figlia non sia più interessata né al matrimonio né all’acquisto dell’abito da sposa.
Arrivati nelle Langhe, Anita e Sebastiano trovano un ambiente inaspettatamente cordiale – considerato che si tratta della famiglia Bonatti – e si ambientano piuttosto in fretta. Essendo però i tipi che vanno un po’ in cerca di guai, scoprono subito un segreto molto scomodo: Pietro, il figlio adolescente di una famiglia importante della zona, si ritrova in orario notturno con altri ragazzi della sua età in piena boscaglia, per leggere, accendere un fuoco e, soprattutto, praticare le attività naturalistiche degli scout, associazioni che il fascismo ha prontamente provveduto a sciogliere.
Una mattina Nicola, uno degli amici di Pietro, viene trovato morto al limitare del bosco, con un biglietto scritto a matita accanto a lui: Giustizia è fatta. Convinti che qualche esaltato del regime abbia scoperto il segreto dei giovani scout, Anita e Sebastiano iniziano a condurre delle caute manovre notturne, venendo a conoscenza di altre realtà clandestine che hanno inizio con il calar delle tenebre ed in aperta ribellione al fascismo. Non ci mettono molto a comprendere che questo è uno dei casi per John Dorcas Smith, “autore americano” dietro il quale si celano loro due, prestanome che entrambi utilizzano per raccontare la storia di quelle vittime ignorate della società fascista. Un ulteriore segreto che li renderà ancora più uniti di quello che già sono.
In qualche vecchio post vi ho recensito i primi tre capitoli della serie di Anita Bo: Il morso della vipera, Il grido della rosa e Una stella senza luce. Ogni volta che esce un romanzo di Alice Basso faccio fatica a non inserirlo tra i preferiti del mese, ed infatti il più delle volte non mi trattengo. Le aquile della notte è il quarto e penultimo volume: l’autrice ha già annunciato di star scrivendo gli ultimi capitoli del romanzo conclusivo della serie, che non credo vedremo prima della primavera del 2024.
È un romanzo ricchissimo di svolte decisive, alcune che si attuano pienamente in questo capitolo, altre che invece sono solo accennate e promettono di svilupparsi nel corso dell’ “ultima puntata”. I tempi si stringono per i nostri protagonisti, che sono, a tutti gli effetti, prigionieri delle loro vite: Anita perché qualcun altro ha scelto per lei la vita da brava ragazza giudiziosa, Sebastiano perché si è spinto troppo in là nel tentare di proteggere il padre. Cresce la tensione: John Dorcas Smith è “nato” per un esperimento solitario, ma ad ogni numero di Saturnalia il rischio di essere scoperti dalla censura fascista si fa sempre più concreto.
Il sentimento tra i due protagonisti, infine, non si riesce più a nascondere. So che i tanti lettori di questa serie mi capiranno: dopo tanto nascondersi e minimizzare e tentare di volgersi altrove… finalmente sono arrivate delle pagine che di sicuro commuoveranno le anime romantiche.
Parlo spesso di questa serie con due mie amiche e loro sono entrambe concordi nel preferire la storia di Anita e Sebastiano a quella di Vani Sarca e del commissario Berganza (protagonisti della serie della ghostwriter che Alice Basso ha scritto in precedenza). Personalmente non credo invece di “togliere lo scettro” alla coppia Vani/Berganza: sono due personaggi dei nostri tempi, li ho sentiti più vicini a me, e tanti dettagli mi hanno toccato personalmente. Però devo dire che la storia di Anita e Sebastiano ha dell’incredibile: amore e scrittura come forma di ribellione al totalitarismo.
Per farla breve, visto che ho già scritto troppo, ci vorrà un po’ di pazienza per attendere l’uscita dell’ultimo volume… ma sono più che sicura che verremo ripagati dell’attesa!
Il film del mese
A poca distanza dalla California c’è Barbieland, il luogo perfetto dove vivono le Barbie: un posto fatto di case dei sogni, pancake da “far finta di mangiare”, auto da raggiungere saltando direttamente dal tetto, spiagge con onde di plastica.
Lì vive Barbie Stereotipo, la bionda con gli occhi azzurri che tutti conoscono e che ogni giorno vive la vita migliore possibile, tra una sveglia canterina nella sua casa dei sogni, una colazione immaginaria, un giro in auto, la spiaggia ed il party per sole donne. Le Barbie a Barbieland possono essere tutto quello che vogliono, dal medico all’ingegnere, dalla sirena alla scrittrice. Non è la stessa cosa per i Ken, il cui unico lavoro è la “spiaggia”: essi passano il tempo a bisticciare tra loro per sciocchezze, a tentare inutilmente di surfare sulle onde di plastica ed a cercare di attirare l’attenzione delle Barbie, che però continuano a restare tra loro per fare “cose da femmine”.
Una sera, però, è proprio Barbie Stereotipo a compiere una stranezza: nel pieno della festa, ella chiede alle altre se hanno mai pensato di morire. Lo sconcerto che provoca la porta a dire che era tutto uno scherzo, ma ormai quel pensiero è entrato in lei e l’ha resa più umana: la mattina dopo la doccia è troppo calda, il pancake è bruciato e soprattutto i piedi non sono più “a punta” come quelli delle altre Barbie, ma piatti.
Dopo essersi consultata con Barbie stramba, un povero giocattolo su cui la padrona ha infierito con mille maltrattamenti, la nostra protagonista scopre di dover partire per il mondo reale, alla ricerca della bimba triste che sta giocando con lei e che ha pensieri di morte. Ken, sapendo che l’amata sta per partire, insiste per venire con lei.
Appena arrivati a Los Angeles, il punto più vicino a Barbieland, i due hanno una serie di sorprese, come per esempio i molteplici arresti, perché nessuno dei due ha pensato che nel mondo reale ci vogliono i soldi per comprare le cose. Barbie si sente spaesata: non è più il centro dell’Universo, ma solo un puntino in un mondo di persone indaffarate, ansiose, arrabbiate, e tanti uomini sono sgarbati con lei, per non dire proprio molesti. Ken, invece, passeggiando qua e là, scopre un mondo in cui il maschio è non solo considerato, ma anche esaltato: in breve, viene a sapere dell’esistenza del patriarcato, anche se lo confonde con l’amore per i cavalli.
Le ricerche portano Barbie verso una certa Sasha, un’adolescente che però, in piena fase di ribellione e neonato impegno politico, la aggredisce e le dice di non giocare con le bambole da anni. Quando però ella incontra la madre di Sasha, una dipendente della Mattel schiacciata dalla routine ed immalinconita dal rapporto altalenante con la figlia, Barbie capisce di essere arrivata nel mondo reale per lei.
Ci saranno però due nemici da superare. Il primo è il capo della Mattel, che vuole rinchiudere Barbie, da lui ritenuta difettosa, nella scatola. Il secondo purtroppo è Ken, che è in pieno delirio patriarcale e vuole rovesciare Barbieland.
Quando sono andata a vedere Barbie, incuriosita dal gran parlare che si faceva di questo film già prima dell’uscita, non sapevo bene che cosa aspettarmi. Ho visto due film di Greta Gerwig, con esiti assolutamente opposti: Piccole donne ha conquistato persino una purista del film del ‘49 come me, mentre LadyBird mi ha annoiato a morte, anzi, pure irritato con i continui litigi. Opinione breve: a livello di gradimento, questo film si avvicina molto a Piccole donne.
Opinione lunga: dalle primissime immagini, si pensava ad un film di animazione per famiglie, invece è satira, e che satira. Citazioni e riferimenti pungenti, immagini che ogni donna può sentire e comprendere, una patina leggera per una pellicola che porta un carico ben pesante. È un film cerebrale, una di quelle storie a cui ripensi molto nei giorni successivi, perché non sei sicura di aver compreso proprio tutto.
Secondo me sono due le letture metaforiche che si possono applicare.
La prima è quella della crescita. Barbie inizia il film bambina, nel suo mondo dei sogni, con i maschi spesso poco considerati perché è bello giocare con le amiche a fare le principesse. Poi arriva la pubertà: i pensieri di morte, il vedersi brutta, il corpo che cambia, il nervosismo ingiustificato, il piccolo mondo che non basta più. Il confronto con il mondo e la scoperta che non tutti sono buoni e gentili con te come a casa o a scuola. Il momento di crisi, i pianti, il pensiero di “non essere capace di fare niente”. Infine la scoperta del proprio valore e la costruzione di una se stessa adulta.
La seconda è quella della parità di genere. Barbieland è il mondo dei sogni di ogni donna, che infatti non esiste. Quando anche lì arriva il patriarcato, le Barbie subiscono un immediato lavaggio del cervello da parte dei Ken, che le convincono che è molto meglio essere le loro serve. Sarà la forza ed il coraggio di una donna in carne ed ossa, che vive già questa disparità da anni e sa come difendersi, a “resettare” il cervello delle Barbie.
Questa lettura metaforica ci porta ad un punto spinoso, che non sapevo neanche se affrontare, ma, insomma, non farlo sarebbe come imitare gli struzzi. Come avrete intuito dalla mia riflessione, il femminismo del film è tutt’altro che radicale, anzi è proprio liberale, da commedia americana: il classico discorso sulle donne che "devono" essere perfette, Barbie (che rappresenta l’ideale di donna occidentale) che comprende di non voler essere vista come un oggetto… le basi delle questioni femministe, proprio. Eppure credo sia nota a tutti la reazione offesa e piccata che ha avuto una valanga di uomini di fronte alla visione di questo film. Ho visto con questi occhi dei recensori di professione dare alle stampe articoli che sembravano capricci di un ragazzino irritato. E credevo che la storia degli uomini che escono incavolati dalla sala del cinema fosse una leggenda metropolitana, eppure vi assicuro che ho fatto la passeggiata verso casa con una coppia dietro che litigava, e com’era nero lui!
A quanto pare ciò che ha indignato sono state le prese in giro nei confronti di Ken, che interpreta il cliché del maschio occidentale (cattivissime eh, si va dagli spiegoni su Il padrino alle trite battute da rimorchio che fanno alcuni uomini, una autentica meschinità in confronto alla misoginia che pervade tantissimi ambiti), il trattamento che subisce Ken a Barbieland (che è né più né meno quel che fanno le bimbe quando giocano, dare più importanza a Barbie che a Ken) e il mondo reale perché descritto come “troppo crudo” (perché no, a nessuna donna mai è capitato di essere apostrofata malamente da uomini seduti per strada, e quando mai).
E quindi mi dispiace, no, non hanno ragione loro. È un film che può piacere e non piacere, ovviamente. Capisco chi mi dice che è un femminismo troppo semplicistico, che la scrittura ha dei buchi, che si schematizza troppo (critiche che io non condivido ma che ho sentito da qualcuno e che posso comprendere). Capisco anche chi pensa che c’era troppa commedia, troppo rosa, troppa fantasia, e il musical, e che noia. Sono gusti. Ma se si esce dalla sala ingrugniti, con le braccia conserte ed il broncio diretto alla compagna, dicendo che “Cioè, è un film che vuole essere per la parità di genere, ma in realtà è sessista contro gli uomini”, mi spiace, ma si sta confermando una delle tesi della Gerwig, cioè che troppi uomini non hanno idea di che cosa significhi essere davvero discriminati in base al sesso di appartenenza.
Scusate il papiro e il sassolino nella scarpa, ma visto che questo film è stato il fenomeno dell’estate ho pensato di parlarne. Poi voi fatemi sapere che cosa ne pensate!
La musica del mese
Scelta quasi obbligata per il mese di agosto e per il nostro percorso con Taylor Swift: la canzone del mese non può che essere August, una delle mie preferite dell’ottavo album Folklore.
August è parte di un trittico di canzoni che racconta la medesima storia da tre punti di vista. La fabula è tutto sommato semplice: James, un ragazzo di diciassette anni (anche se molti pensano che possa trattarsi di una ragazza, vista la bivalenza del nome, e devo dire che hanno delle buone ragioni), vive una storia adolescenziale ma intensa e profonda con la sua Betty, almeno finché non arriva l’estate. A quel punto subentra il luogo di villeggiatura ed una ragazza chiamata Augustine. Al ritorno a scuola James capisce di aver amato sempre Betty e cerca di conquistarla intrufolandosi ad una festa a casa sua. Finale aperto, of course.
Cardigan è la storia dal punto di vista di Betty, Betty è dal punto di vista di James e August proprio da quello di Augustine.
Si potrebbe dire che August è la canzone che più di tutte può essere considerata “vacanziera” tra quelle di Folklore (che comunque ha delle atmosfere legate alla primavera ed all’estate, a differenza di Evermore, il suo disco gemello per le stagioni fredde). Tuttavia, lo spirito profondo ed immaginifico che anima il disco la rende ben lontana dall’essere un tormentone estivo.
Ma posso vedere noi persi tra i ricordi
Agosto è scivolato via in un attimo
perché non è mai stato mio
e posso vedere noi arrotolati tra le lenzuola
agosto è stato bevuto come una bottiglia di vino
perché non è mai stato mio
August racconta l’amore non ricambiato, l’illusione e poi la bruciante realtà, la perdita della speranza giorno dopo giorno nel vedere che da parte propria c’è un desiderio di essere sempre più vicini e dall’altra una persona confusa e scostante. Così come Agosto scivola via in un attimo ed il tempo che passa non può appartenere a nessuno, così Augustine sente che James non è mai stato/a davvero suo/a.
Il bridge (terza strofa con motivo differente rispetto al principale) è uno dei suoi più famosi, perché davvero descrive con la precisione di un cecchino quel che si prova in una situazione simile:
Vorrei tornare a quando stavamo ancora cambiando per il meglio
Volerlo era abbastanza, per me era abbastanza
Vivere per la speranza del tutto
Cancellare i miei piani nel caso che tu chiamassi
e mi dicessi: “Incontrami dietro il centro commerciale”
Tanto per un amore estivo, e per dire “noi”
perché tu non eri mio da perdere
Tra l’altro, nella canzone sono presenti due intelligentissimi giochi di parole.
Il primo è proprio nel bridge, Meet me behind the mall, “Incontrami dietro il centro commerciale”, che suona anche come Meet me behind them all, “Incontrami di nascosto da tutti”. Il secondo è alla fine della canzone, un’assonanza tra parole che suonano quasi uguali: Never mine, Nevermind, “Mai mio, non importa”. Ovviamente non è vero che ad Augustine “Non importa”, ma è una presa di coraggio così reale che all’ascoltatore viene naturale empatizzare con lei.
Devo dire che anche Cardigan, la versione di Betty, è una canzone molto matura per essere stata scritta da un’immaginaria 17enne, e che James, il/la fedifrago/a, esce invece un po’ maluccio. Sembra quasi un romanzo, eh?
Trovate August a questo link.
La poesia del mese
Direi che per l’ultimo giorno di agosto non c’è poesia più appropriata di Arrivederci fratello mare di Nazim Hikmet.
Ed ecco ce ne andiamo come siamo venuti
Arrivederci fratello mare
mi porto un po’ della tua ghiaia
un po’ del tuo sale azzurro
un po’ della tua infinità
e un pochino della tua luce
e della tua infelicità.
Ci hai saputo dir molte cose
sul tuo destino mare
eccoci con un po’ più di speranza
eccoci con un po’ più di saggezza
e ce ne andiamo come siamo venuti
arrivederci fratello mare.
Le foto del mese
Pronta ad iniziare agosto direttamente dalla Passeggiata Europa, il percorso di trekking che collega Varazze a Cogoleto!
Un po’ di mare varazzino… le ultime “rocce bianche” prima che quelle “nere” annuncino il passaggio a Cogoleto.
La prima settimana di agosto è stata freddina e perturbata, con tanto mare mosso ed un vento fortissimo. Un giorno siamo andati a fare un giretto a Savona! Ero stata in questa città un po’ di anni fa, ma per motivi non turistici, e non avevo avuto modo di vedere molto. Stavolta devo dire che la parte antica della città mi ha affascinato! Anche quella nuova con i negozi ed i portici ha il suo perché, ed il lungomare con il parco è piacevole.
Anche ad agosto c’è stato un concerto all’alba! Il vento ghiacciato ci ha obbligato a coprirci, ma finalmente, dopo due albe di luglio un po’ perturbate, il sole pieno!
Dal 7 (compleanno di mio fratello Stefano) in avanti i giorni si sono fatti… azzurri, e sempre più caldi.
A Ferragosto non è mancato il solito spettacolo di fuochi d’artificio!
Il 24 è il compleanno di mia madre, ma anche la festa del santo patrono di Varazze, San Bartolomeo. In quei giorni il quartiere dedicato al santo è illuminato, e ci sono moltissimi eventi!
In breve: è stato un agosto fantastico, e mi sento davvero fortunata.
Varazze per me è un grande dono, una "casa lontano da casa", il mio mare a domicilio, un luogo dove posso passare il tempo in famiglia, invitare gli amici di casa e rivedere quelli del mare che hanno ancora piacere a venire, passeggiare e nuotare, alternare momenti di relax ad altri di divertimento. Considerato poi che ho potuto fare molto di tutto questo anche a luglio, la fortuna è doppia.
Sono a casa da circa cinque giorni e pian piano sto riprendendo le mie abitudini cernuschesi, in attesa di novità lavorative e di un autunno che spero si riveli ricco e positivo.
Da settembre (quindi da domani) il blog riprende con le sue solite rubriche. Ho un po' di "mezze idee" che mi frullano per la testa, tra post autunnali e progetti letterari: concretizzerò al più presto qualcosa, e spero che vi piaccia.
Nel frattempo... sono super curiosa di sapere tutto delle vostre vacanze e del vostro agosto! Fatemi sapere come state e che fate di bello. Ci rileggiamo in settembre, allora :-)
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