giovedì 28 novembre 2024

I PREFERITI DI NOVEMBRE 2024

 Tutto quello che mi è piaciuto in questo mese




Cari lettori,

eccoci giunti anche alla fine di novembre!

Un mese che per me è sempre stato uno dei più impegnativi e complessi. Quest’anno per certi versi è stato diverso, ma comunque non proprio leggero. Il 2024 è stato un anno pieno ma tosto per vari motivi e questo periodo autunnale non ha fatto eccezione: la sensazione prevalente, sia nel pubblico che nel privato, è stata quella di essere stata ripetutamente “cornuta e mazziata”. In più in questo periodo si è aggiunta una lunga trafila di controlli sanitari di routine (tutto ok fortunatamente).


Insomma, per fortuna che ci sono anche le cose belle della vita. Come dicevo quando vi ho recensito Inside Out 2, senza lo spiritello di Gioia che riconquista il timone, non so bene come avrei affrontato un po’ di cose quest’anno. “Sapete quant’è dura essere positiva tutto il tempo?” Ecco, mi sa che ho imparato a capirlo. Ma datemi retta, alla fine ne vale la pena.


Quindi riepiloghiamo insieme questo mese appena trascorso, tra libri, film, musica, poesia e foto!



Il libro del mese



L’Odissea è un classico senza tempo che tutti conoscono o hanno studiato almeno una volta a scuola. Eppure si tratta di una storia talmente universale che sembra che le cose da dire su di essa non si esauriscano mai.


È quello che dimostra Alessandro D’Avenia con questa bellissima ricostruzione – saggio dal titolo Resisti, cuore.


Sarebbe piuttosto inutile raccontare la trama di questo libro: l’autore riprende il poema omerico e lo ripercorre dall’inizio alla fine, facendone uso come “base” per tantissime riflessioni che vanno dal personale al filosofico, passando per il sociale.


L’introduzione alla storia è di carattere didattico: D’Avenia, che prima di essere scrittore è insegnante di Lettere da diversi anni, ha l’abitudine di leggere per intero l’Odissea nel corso di un anno scolastico. Un’impresa che, dal mio punto di vista, sembra titanica: siamo così abituati alla lettura commentata con parafrasi ed analisi che consideriamo un successo riuscire a leggere 12 canti su 24 nel corso dell’anno. Eppure, se si procede con una lettura spedita e drammatizzata, portando avanti contemporaneamente un lavoro di analisi su quei temi da cui didatticamente non si può proprio prescindere, D’Avenia ci dimostra che l’impresa è possibile.


L’autore afferma di essere molto legato al poema omerico, in quanto quest’opera ha fatto parte in modo significativo del suo percorso di studi ed è stata anche la protagonista del suo dottorato in letteratura greca. Questo è un aspetto che, in un certo senso, abbiamo in comune: anche io ho riletto per intero il poema quando mi è stato assegnato l’argomento per la tesi della Magistrale, lo spettacolo teatrale Odyssey di Bob Wilson, che altri non è che una trasposizione contemporanea dell’opera (ve lo racconto meglio qui).


Dopo un’introduzione coltissima e piuttosto tosta da affrontare – ma che, credetemi, offre tanti spunti interessanti anche per chi già sente di conoscere il poema – l’autore inizia a ripercorrere l’opera proprio dalla prima pagina in avanti. Non mi sembra il caso di ri – raccontare la storia conosciutissima di Odisseo, ma, recensendovi questa lettura, vorrei fare delle riflessioni con voi.



La prima parte di Resisti, cuore, nel raccontare nuovamente i saluti alla ninfa Calipso ed il naufragio sulle sponde dove gioca Nausicaa, si concentra parecchio sulla concezione del dolore. L’autore si racconta molto, parlando della famiglia numerosa, della depressione del padre e dei suoi momenti di crisi. Odisseo, in questi capitoli, rifiuta due realtà che potrebbero sembrare ideali: la vita felice ed immortale con Calipso e l’operosa quiete del regno dei Feaci. (Sul personaggio di Calipso, se vi interessa, ho scritto qualche anno fa un breve racconto, che trovate a questo link). E fa questo perché l’Odissea è sostanzialmente la storia del ritorno a casa, che poi è un ritorno a noi stessi. Almeno per le persone più mature, com’è appunto il protagonista.

Al contempo, però, ci sono due figure di giovanissimi – in cui forse l’autore rivede i suoi studenti – che compiono un viaggio, sia fisico che metaforico: Telemaco e Nausicaa non sopportano più di “stare immobili”, sentono di doversi muovere e di compiere così uno scatto di crescita, l’uno viaggiando per terra e mare cercando notizie del padre, l’altra andando al fiume da sola con le ancelle e preparando il corredo nuziale.

Ecco, quando ho iniziato a scrivere la tesi su Odyssey la mia relatrice mi aveva detto che lei aveva trovato una sua chiave di lettura, ma me l’avrebbe detto alla fine della stesura, perché io avrei dovuto trovare la mia. Ebbene, sembra incredibile, ma la mia chiave di lettura, da buona studentessa, assomigliava molto a quella di Telemaco e Nausicaa, mentre quella della mia relatrice ricordava molto da vicino quella di Odisseo e dell’autore.



La parte centrale, quella in cui Odisseo racconta le sue peripezie, è la più coinvolgente del poema e, da un certo punto di vista, anche di questo saggio. Ogni mostro o personaggio che il protagonista si trova ad affrontare è spunto di volta in volta per una riflessione diversa e fortemente attuale. I mangiatori di Loto fanno pensare al rischio di vivere in modo consumistico, passando da una distrazione all’altra. Il furbo inganno che permette di salvarsi dal Ciclope è la vittoria definitiva del linguaggio contro il silenzio e l’oblio, della cultura contro l’ignoranza e la forza bruta. Sconfiggere ed abbracciare la maga Circe, per un uomo, significa accettare la parte femminile che c’è dentro di sé, prima di ritornare dalla donna amata e farla rientrare nella propria vita. Ma è il capitolo dedicato al regno dei morti che più mi ha colpito. Non saprei come spiegarvi quanto mi sono rivista in un particolare passo, quindi ve lo trascrivo così com’è:


Ogni tanto penso a ciò da cui ottengo, come Achille, un po’ di gloria: scrivere, insegnare, raccontare a teatro… e lo metto alla prova: come me le porto nella tomba queste cose? Mi aiutano a non morire? E allora tutto mi appare nella sua vera luce: un gioco, il gioco con cui gli uomini si consolano a vicenda con un applauso. […] Achille riconosce a Ulisse il coraggio di fare una cosa da cui lui in fondo è fuggito: affrontare la morte rimanendo vivo, senza nessuna garanzia di successo. E allora continuo a scrivere, insegnare, raccontare avendo messo a fuoco il fine: non la gloria, ma il compimento di un destino.”


E proprio di destino si parla tanto anche nella terza ed ultima parte di questo saggio, quella dedicata al ritorno ed al riconoscimento di Odisseo da parte degli altri personaggi: il fedele cane Argo, il figlio Telemaco che ora è pronto ad accogliere la guida paterna, il porcaro Eumeo. Ma è solo quando Penelope riconosce Odisseo, al termine di tante peripezie e dopo avergli sottoposto l’inganno del talamo nuziale, che il protagonista può dirsi davvero a casa. Ci sono pagine bellissime sul concetto d’amore, ma non faccio altri spoiler, perché vale davvero la pena di leggerle al momento giusto, dopo aver ripercorso tante sofferenze insieme ad Odisseo ed all’autore. Tante le riflessioni anche sul concetto di “straniero” - e secondo me dovremmo proprio imparare dagli antichi – e sull’amicizia.


Ho trovato anche interessante lo spunto sociologico sulla suddivisione tra civiltà “fredde” (che rifiutano l’evoluzione, tendendo a restare uguali a se stesse) e “calde” (che invece si adattano con il tempo). L’autore, nel fare questa distinzione, contrappone, secondo me correttamente, i Greci antichi – che hanno accettato molto poco le rispettive diversità e sono finiti per combattersi tra di loro – alla nostra civiltà contemporanea. A me, ripensando ad uno dei miei romanzi preferiti, Un infinito numero di Sebastiano Vassalli (lo so, amici, ce l’ho sempre in mente, è il mio “impero romano”, che vi devo dire), è venuto qualche pensiero a proposito delle differenze tra Etruschi e Romani. Ma è solo un’idea, magari se ci fosse tra noi qualche esperto di culture orientali o africane avrebbe molti altri spunti da proporci.



Ecco, mi fermo qui perché la recensione – come mi aspettavo – è andata per le lunghe, e non vi ho nemmeno dovuto raccontare la trama. Ma credo che un singolo post non riesca a racchiudere tutto quello che mi ha insegnato questo libro. È una delle letture più belle di quest’anno (e non solo): mi ha emozionato in modi che non mi aspettavo, perché ha aperto delle finestrelle dei miei ricordi che forse tenevo chiuse da un po’ troppo, ed anche quello che è caro nel cuore ogni tanto va “arieggiato”, come si suol dire. Mentre leggevo questo libro mi sono sentita proprio nel mio mondo e non vi nascondo che sono scese anche delle lacrime.


La vita ci porta a fare viaggi inaspettati, alcuni anche molto lontani rispetto al nostro luogo di partenza, alcuni difficili, qualcuno sorprendentemente piacevole. La nostra strada è lunga e tortuosa, e speriamo che duri ancora tantissimo. Ma quanto è bello, a volte, risentire proprio l’odore di casa, il profumo della nostra Itaca.



Il film del mese


Il regista Luigi Comencini è un padre solo, che divide la vita e la quotidianità con la figlia Francesca, una bambina curiosa e sognatrice.


Egli porta la figlia al lavoro con sé, in particolare sul set di Pinocchio, una trasposizione di un classico che fa felice tutta la famiglia. Francesca, però, è molto inquieta: rovina le inquadrature correndo per il set, vuole recitare come comparsa nel Paese dei Balocchi ma non risponde ai comandi degli addetti ai lavori, ha una terribile ed irrazionale paura della “bocca del pescecane” in cui finisce Pinocchio (e questa immagine le tornerà in mente anche in alcuni momenti cruciali della sua vita adulta).


Nonostante queste difficoltà, però, il rapporto a due tra padre e figlia è sereno, ed in tanti momenti c’è una grande armonia. Purtroppo le cose cambiano nel momento in cui Francesca inizia a frequentare l’ultimo anno di liceo. Compagnie sbagliate, insicurezze, interessi che cambiano da un momento all’altro, una preoccupante simpatia per gli estremismi politici, ribellioni insensate (come imbrattare i muri di casa), la costante sensazione di “non essere capace di fare niente”: tutto concorre a far sentire Francesca in un baratro, ed il padre Luigi è sempre più in ansia ogni giorno che passa.


Quando gli anni di piombo portano con sé il loro carico di morti per eroina, e tra di loro c’è un ex fidanzato di Francesca che l’ha iniziata alla droga, Luigi decide che la figlia non può più stare a Roma, e pazienza se questo significa mettere in secondo piano la sua carriera. Un viaggio a Parigi lungo “il tempo che ci vuole” potrebbe essere l’unica strada per ritrovare la serenità perduta, anche se Francesca è sempre più arrabbiata e disperata e Luigi inizia ad essere vecchio e stanco.



Se dovessi spiegarvi il motivo per cui ho scelto Il tempo che ci vuole come film del mese, direi che l’ho trovato talmente bello e ben fatto da vincere una mia vera e propria arrabbiatura che mi è montata dentro la sala. In altre parole, ad un certo punto sono diventata una iena, e poi ho cercato di calarmi nei personaggi con proverbiale senso dell’umorismo pirandelliano e mi sono calmata.


Premessa: questo film è di Francesca Comencini, regista, che racconta il rapporto con il padre Luigi romanzandolo, immaginando che la loro fosse una piccola famiglia composta di due unità. Sappiamo che in realtà la famiglia Comencini è una realtà molto più allargata, ed affermata nel mondo del cinema.


Il punto è che, anche sospendendo l’incredulità e seguendo la storia del rapporto padre-figlia, io Francesca l’ho proprio detestata, ad un certo punto. 

Perché, sapete com’è, è anche un po’ facile fare la ribelle, non studiare, cambiare interesse e vocazione ogni giorno, divertirsi in modo sconsiderato da 18enne… quando dall’altra parte c’è un padre che non solo ti ama alla follia e farebbe di tutto per te, ma è importante e famoso e, quando hai finito di fare i capricci, ci mette cinque minuti a “piazzarti”, anche se sei senza titoli e senza talento. Sia negli anni '70 che - ancora di più - ai giorni nostri.


In altre parole, Francesca per buona parte del film è una viziata che non si rende conto dei doni immensi che ha avuto dalla vita (ed il più grande non è il privilegio sociale: è proprio questo padre devoto che lei continua a maltrattare), ed a me ha fatto saltare anche i nervi che non ho. Poi però, quando i due sono arrivati a Parigi, ho cercato anche di vedere l’altro lato di lei: quello di una ragazza schiacciata dalle aspettative, perché la fama del padre è fin troppo ingombrante. È difficile, è difficilissimo, ma d’altra parte il suo è un atteggiamento tipico delle persone che lanciano un grido d'aiuto: ha costretto il padre ad assumere un ruolo da caregiver, per poi rifiutare le sue cure e farlo sentire in colpa. E ad un certo punto se ne renderà conto.


Nonostante tutto, il film per me rimane da vedere, non solo per questo viaggio tra le emozioni, ma anche per le inquadrature, le metafore, l’interpretazione di Fabrizio Gifuni. È sicuramente un film d’arte, l’omaggio ad un grande nome del nostro cinema.



La musica del mese



Novembre a scuola di danza è un mese ancora tranquillo: fino a Natale facciamo i nostri esercizi di routine, studiamo passi nuovi, ci perfezioniamo… in attesa di ripartire a gennaio con i veri e propri balletti.


Però novembre è un mese in cui le stagioni teatrali (balletti compresi) sono molto ricche, anzi, in qualche caso riaprono proprio, dopo una lunga pausa d’estate ed inizio autunno. Un musical che riscuote sempre successo è West Side Story (potete ascoltare una della canzoni più popolari qui), protagonista della mia variazione del 2019. Il più particolare di tutti i miei assoli, dal momento che un po’ di mie compagne di danza sono salite sul palco con me a fare le “comparse” del mini momento musical. È stato davvero bello coinvolgerle: ogni anno di più mi rendo conto che, nonostante il tempo che passa con conseguenti new entries e saluti, e le nostre età diverse, siamo una buona squadra…




Anche le sale da ballo al chiuso riaprono dopo tanti mesi estivi. Sempre tra le mie variazioni, ce n’è un’altra speciale: il Modern tango. L’ho portata sul palco due volte: nel 2009 (ed era la mia seconda variazione da sola) e poi nel 2018, per i 40 anni della scuola. Potete ascoltare la musica a questo link.



La poesia del mese



Per il mese di novembre, che tiene per sé la sua malinconia prima di cedere il passo alla gioia festosa di dicembre, ho pensato ad un componimento di Elio Pecora, dal titolo Nelle tue palme dischiuse.


Nelle tue palme dischiuse

lascia ch’io posi stasera

questo mio sonno di lacrime.

Né sei più tu chi diceva

andremo… sempre...” Tu vai

incontro ad altre parole

per strade che non conosco

ed io rimango a pensare

se tutto fu gioco.



Le foto del mese



Il 1 novembre abbiamo festeggiato Halloween in famiglia. È una festa che piace… praticamente solo a me, però già dall’anno scorso abbiamo inaugurato la tradizione di prendere una torta decorata nella nostra pasticceria di famiglia, visto che ne fa di molto belle. Questa è una sorta di cheesecake con biscotto alla mandorla, crema di mascarpone e composta di lamponi… con dita di biscotto e casette di zucchero!




Domenica 3 sono tornata al Teatro Carcano dopo un po’ troppo tempo per vedere La coscienza di Zeno (ve la racconto a questo link). Sono arrivata in anticipo per ritirare i biglietti, così intanto che aspettavo mi sono goduta una bella passeggiata in zona Statale!




La prima metà del mese (in particolare il ponte di Santi e Morti) è stata più clemente, e non sono mancate le passeggiate al parco. Devo dire che sono riuscita a catturare qualche angolo suggestivo, e nel frattempo ho preso tutto il sole che c’era. Da metà mese è calato un gelo imprevisto dalla Scandinavia, insieme a tanta nebbia, e quindi niente, benvenuto inverno…




Il weekend del 23 e 24 novembre è tornata a trovarci la mia amica Luana dall'Inghilterra, così abbiamo potuto passare un po' di tempo insieme. Non ho ripreso la nostra merenda in centro per non disturbare la gente, però posso dirvi che i protagonisti sono stati i macarons, una nostra passione! 



Giusto per anticipare le atmosfere dicembrine, un pomeriggio ho fatto i miei soliti biscotti di frolla con cioccolato fuso, che sono stati molto apprezzati :-)





E così questo weekend salutiamo novembre! Io ho già iniziato a mangiare, come vedete.

Solita comunicazione di servizio, che chi mi conosce bene ormai si aspetterà.

Settimana prossima i post sul blog saranno ancora regolari, perché vorrei condividere con voi un paio di letture ed una mostra che ho visto in questo periodo.

Da lunedì 9, però, partiremo con il nostro solito “Christmas Countdown”, e se tutto va come spero ho in serbo per voi dei consigli di lettura natalizi e/o fiabeschi, un racconto che mi auguro vi faccia entrare nell’atmosfera, un booktag invernale e forse anche un bello spettacolo da raccontarvi. Come al solito, poi, i post durante le vacanze di Natale saranno dedicati al recap a tema libri di fine 2024, ai preferiti di dicembre con un confronto sulle nostre giornate di festa, ed ai buoni propositi letterari per il 2025.

In queste settimane inizio sempre a pensare con entusiasmo a questo periodo speciale per il blog e spero che anche quest’anno potremo vivere insieme sia l’atmosfera prenatalizia che le feste.

Nel frattempo, raccontatemi il vostro novembre e consigliatemi qualche libro, film o altro, se vi va!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)



lunedì 25 novembre 2024

25 NOVEMBRE: DONNE EROINE DELLA STORIA

 Due romanzi di Mauro Marcialis e Marilù Oliva




Cari lettori,

è il 25 novembre, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne.


Per la nostra rubrica “Letture… a tema”, oggi ho pensato che potremmo allontanarci dalla contemporaneità (sulla quale sono sicura che oggi ci saranno tanti ottimi contenuti) a favore di due romanzi storici che ho letto recentemente.


La storia antica è già ricca di donne che hanno dovuto lottare per l’affermazione dei loro diritti, e tante di loro non solo hanno dovuto affrontare una realtà molto dura, ma sono state anche severamente punite per aver cercato solo un briciolo di libertà.


Queste due storie targate Solferino ci portano rispettivamente nell’antica Roma e nella Grecia micenea, e ci presentano alcuni straordinari personaggi femminili.

Conosciamoli meglio insieme!



Colosseum – Il silenzio degli dèi, di Mauro Marcialis



Roma, età dei Flavi. L’imperatore Vespasiano ed il figlio, il generale Tito, stanno finanziando a piene mani la costruzione del Colosseo, il più grande anfiteatro mai visto. Il popolo romano va matto per gli spettacoli circenses, uno dei più grandi affari della Roma antica, e non vede l’ora di avere un proprio anfiteatro, più grande di quelli della provincia.


Ai lavori partecipa anche Arild, uno dei due amici protagonisti, un “barbaro” ridotto in schiavitù e costretto da una vita molto amara: alcuni giorni egli è gladiatore, altri è operaio al cantiere del Colosseo. Non ci sono tracce del suo amico del cuore Derek: ad un certo punto si diffonde la voce che sia morto, ma non è così. Egli è stato sfregiato per sempre dal figlio folle e crudele del suo padrone, che fa paura anche al padre, e si è messo a dipingere e scolpire per il generale Tito, e quindi per il Colosseo.


Arild e Derek lavorano insieme al cantiere, rischiano la loro vita in combattimento, eppure non si incontrano mai a causa dei guai del secondo, tra la maschera che è costretto ad indossare e la sua necessità di nascondersi da colui che lo ha aggredito.


Nel frattempo, nella splendida villa di uno dei senatori più vicini a Vespasiano si consumano dei veri e propri orrori. La schiava Brynja, sorella di Derek e primo grande amore di Arild, è costretta a farsi picchiare ed abusare sia dal senatore che dagli ospiti della domus. La moglie del senatore, Flaminia, che odia il marito despota e da tempo implora invano il perdono della figlia Giulia, obbligata a diventare sacerdotessa, non ha che due fonti di consolazione: la prima è la stessa Brynja, che considera come un’altra figlia, e la seconda è il centurione che è suo amante da tempo.


È proprio per vedere i loro due amanti - ed avvertirli di eventuali pericoli – che le due donne, con la complicità di alcuni servi, studiano dei piani per potersi allontanare dalla domus di nascosto, senza incorrere nell’ira del despota. Ma un tiranno ha occhi ovunque…



Il silenzio degli dèi è una delle letture che ho trovato in biblioteca, al banco delle novità; l’elemento che mi ha incuriosito è il fatto che il romanzo sia in collaborazione con Valerio Massimo Manfredi, autore che per me è stato tra i più importanti negli anni dell’Università (vi racconto qualche suo romanzo qui). Sappiamo che purtroppo, dopo il suo incidente domestico di qualche anno fa, il professore ha scritto ben poco, ma per nostra fortuna egli sembra aver deciso di affiancare altri autori di romanzi storici.


Si tratta del secondo volume di una tetralogia, già tutta uscita nel corso del 2024, quindi non escludo di trovare gli altri volumi prossimamente.


È una lettura abbastanza breve ma molto intensa: una storia che non idealizza la classicità, anzi, racconta un mondo crudele in cui le persone si vantavano di far parte della grande e civilizzata Roma, ma poi si divertivano crudelmente con combattimenti pieni di sangue o esecuzioni “fantasiose”. Vi avviso che, tra le scene nell’arena e le crudeli punizioni del padrone di Brynja, certe cose non sono proprio per stomaci delicati, ma se ho retto io…


Le due protagoniste femminili di questa storia sono due donne incredibili, forti e coraggiose, che rischiano la vita pur di poter vivere un attimo di felicità e di ribellarsi a chi le considera oggetti senza alcun valore.


I colpi di scena finali suscitano il desiderio di scoprire come finirà la storia!



L’Iliade cantata dalle dee, di Marilù Oliva



Tra le rovine di Troia, mentre la città sta bruciando dopo una guerra infinita, si leva un grido: è quello di Creusa, moglie di Enea, lasciata indietro dal marito. Ella sa che presto sarà destinata a svanire come un fantasma, così fa la sua invocazione: le donne mortali sono state schiacciate in guerra dagli uomini di entrambe le fazioni, gli dèi sono presi dai loro interessi, e non restano che le dee.


Capitolo dopo capitolo, ogni dea ripercorre i momenti salienti dell’Iliade, ponendo l’accento su ciò che l’ha coinvolta maggiormente.


La saggia dea della guerra e della strategia Atena parteggia per i Greci, restituisce il senno a chi sta per perderlo e guida soprattutto lo scaltro Odisseo. In squadra con lei c’è Era, la regina degli dèi, che però deve inventarsi dei veri e propri sotterfugi per sfuggire al controllo di Zeus.


La dea Teti segue passo passo le vicende del figlio Achille: ella cerca di aiutarlo più che può, ma purtroppo nemmeno lei può interferire con un destino di morte e distruzione.


Dalla parte dei Troiani c’è invece Afrodite, dea dell’amore e della bellezza, che sa ben poco di guerra, ma pur di aiutare il figlio Enea ed il suo protetto Paride entra in battaglia a sua volta, rimanendo ferita.


E dentro le mura di Troia ci sono le uniche due mortali (oltre a Creusa) che contribuiscono alla narrazione: Cassandra, la “profetessa di sventure” destinata a non essere mai creduta, ed Elena, additata da tutti come causa della guerra, anche se si sa bene che gli interessi che hanno scatenato l’assedio sono ben altri. Due donne che sono state in qualche modo toccate (e maledette) dagli dèi, che vengono ostracizzate dagli uomini e che si comprendono davvero solo tra di loro.



Con L’Iliade cantata dalle dee Marilù Oliva conclude una trilogia ideale composta anche da L’Odissea raccontata da Penelope, Circe, Calipso e le altre (qui)e L’Eneide di Didone (qui).


L’Odissea resta forse la mia preferita per quanto sono legata a questa storia (che è stata anche parte della mia tesi della Magistrale); L’Eneide si è rivelata la più sorprendente per la svolta narrativa che davvero non mi aspettavo.


L’Iliade è invece la lettura più femminista delle tre; sembra davvero un atto di restituzione di dignità storica e letteraria a tutte le donne del poema, umane e dee, che, mentre gli uomini agiscono, si ritrovano in un angolo, spesso a subire soprusi o ad avere paura per il futuro.


Chi è abituata a mostrarsi fredda e razionale scopre le sue fragilità; chi non ha potuto essere madre da vicino riesce ad esserlo almeno da lontano; chi è sottomessa al marito ha un’opportunità di ribellarsi; chi è considerata debole e frivola tira fuori il coraggio e combatte; chi è odiata dagli uomini trova la sua consolazione in altre donne. Ognuna, in questo romanzo corale, ha il suo riscatto.


Mi piacerebbe leggere una versione di quest’autrice anche di opere letterarie meno antiche, o magari favole (ho visto che è uscito un libro su Biancaneve). In caso vi farò sapere!




Queste sono le mie scelte per l’importante ricorrenza del 25 novembre. Vorrei dire molto altro, ma quello che penso ogni anno è che questa giornata sembra, appunto, solo una giornata, anche piena di retorica, e poi i fatti, spesso anche drammaticamente, confermano quanta strada ci sia da fare ancora, anzi, quante persone addirittura auspichino una regressione. 

Nel mio piccolo ho cercato di raccontarvi due storie molto lontane nel tempo proprio per ribadire quanto anche allora, in due società schiavistiche e profondamente maschiliste, bastasse un piccolo gesto per fare la differenza. Sono la lotta e la sorellanza che consentono alle donne di progredire, e questo è innegabile, eppure, nel 2024, sarebbe giunto il momento di un vero e proprio supporto da parte della società, di una parità che sia effettiva e non solo a parole. 

Invece no, ci troviamo ancora con politici che sbraitano “donne, avete già ottenuto tanto, state calmine, che altro volete?”, ancora con scrittrici/giornaliste/attiviste che vengono insultate e ridicolizzate per aver espresso con chiarezza quel che dovrebbe essere il minimo sindacale della parità di genere, ancora con fidanzati che frignano fuori dal cinema perché “Barbie è un film che fomenta l’odio contro gli uomini”, ancora con uomini che escono da teatro dopo uno spettacolo sulle donne della rivoluzione francese dicendo “ma che significa femminicidio, l’omicidio è sempre grave, se uccidi un bambino è peggio”, ancora con le rispettive fidanzate/mogli che rispondono “Ma dai, amore,...” invece di mandarli a prender ricci di castagne col posteriore perché ci hanno insegnato che bisogna essere sempre comprensive col proprio compagno.


Esperienze personali discutibili a parte, spero di avervi consigliato due buone letture.

Fatemi sapere se le avete lette, che cosa ne pensate, o se vi hanno incuriosito.

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


giovedì 21 novembre 2024

COME IN WITH THE RAIN

 Spazio Scrittura Creativa: novembre 2024




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento con lo Spazio Scrittura Creativa di novembre!


Oggi, dopo un paio di esplorazioni nel mondo della danza (contemporanea e del passato), un personale angolo della poesia ed una fuga nel mondo fantasy di Harry Potter, torniamo a parlare di due argomenti di tutti i giorni: la scuola e le amicizie.


Questa volta ho pensato di scrivere una storia in omaggio alla mia generazione, quella dei millennials, che da qualche anno è entrata nella fase “trentenni nostalgici”: siamo giovani adulti con tante incombenze, poche certezze e pochissime importanti persone con cui coltivare rapporti non sempre facili, eppure una parte di noi è rimasta sui banchi di scuola. Un microcosmo perduto, non solo perché sono passati parecchi anni dalla Maturità (più di 16, nel mio caso) ma anche perché chi come me è tornato a scuola in altre vesti si è reso conto che per gli adolescenti di oggi tante piccole (e grandi) cose sono già diverse.


Quindi torniamo insieme in quel mondo tra il 2003 e il 2008… con la colonna sonora della pioggia novembrina e di una canzone che è proprio di 16 anni fa!



Come in with the rain



Posso tornare ad ogni risata

ma non voglio andare più là

e conosco tutti i passi fino alla tua porta

ma non voglio andare più là


Erano ormai due giorni che la pioggia scrosciava imperterrita. L'acqua scendeva dal cielo e lasciava profondi solchi sui profili delicati delle foglie e dei fiori primaverili. Persino il cielo, che in quel novembre mite era stato sempre azzurro e punteggiato da piccole nuvole bianche, minacciava tempesta e si era velato quasi di nero.


Nella camera da letto del suo appartamento, una giovane donna con un caschetto nero e gli occhi azzurri si era appena allontanata dalla finestra, inforcando gli occhiali dalla montatura colorata. Sedutasi sul letto, ella avvicinò a sé la borsa nera da lavoro, estraendo un pacco di temi ancora da correggere. Decisa a sfruttare la giornata di brutto tempo, posò il blocco di fogli sulla scrivania e vi si sedette davanti con una penna rossa ed una matita.


Aveva assegnato ai suoi studenti un’analisi del testo, un tema d'attualità e la solita traccia personale. Il terzo compito del pacco era quello di Ludovica, una delle studentesse più portate per la sua materia, specializzata nella scrittura di lunghissimi commenti a poesie e romanzi che le erano piaciuti. Per questo motivo Matilde restò sorpresa nel constatare che, stranamente, quella volta la sua alunna preferita aveva scelto la traccia personale, dal titolo «Gli anni più belli? Gioie e difficoltà della vita del liceo.»


Lo stile era sempre pulito, elegante, corretto. Matilde si era ritrovata ben presto conquistata dalla lettura... finché un periodo piuttosto lungo non l'aveva fatta fermare.


«È opinione molto diffusa che noi adolescenti passiamo la maggior parte del nostro tempo dedicandoci a passatempi leggeri e poco impegnativi, come chattare su Whatsapp, usare i social network, passeggiare in centro con gli amici o chiacchierare con un gelato in mano durante le sere d'estate. Siamo spesso accusati di essere persone leggere e poco profonde. Io credo che, nel momento in cui una persona formula questo pensiero, egli commetta una grave ingiustizia. Le attività prima elencate, infatti, non sono dei passatempi per noi: sono l'unico modo che conosciamo per affrancarci dalle nostre famiglie, per avere un nostro spazio indipendente, per iniziare a crescere. Per quanto piccola e frivola, questa è la nostra libertà, la nostra profondità, e gli adulti dovrebbero rispettarla.»


Leggendo i pensieri di Ludovica, Matilde ebbe all'improvviso l'impressione di stare parlando con qualcun'altra. Anche se con vocaboli diversi, ricordava bene di aver già sentito quel discorso.


Matilde sapeva bene dove abitava Olivia: avrebbe fatto la strada fino a casa sua anche ad occhi chiusi. Anche se, in quegli anni, erano cambiate così tante cose che perfino la strada che univa i loro due paesi non era più la stessa, ma era stata rasa al suolo e ricostruita dalle fondamenta. Anche se ormai quella casa, con ogni probabilità, ospitava solo i genitori di Olivia: ella si era trasferita da anni in un appartamento dall’altra parte del paese.


Le sarebbe bastato aspettare che la pioggia diminuisse. Avrebbe preso la vecchia station wagon sulla quale suo padre era solito ascoltare Eros Ramazzotti a tutto volume, che ora era passata in eredità a lei. Avrebbe ascoltato un cd dei Blue durante il breve viaggio, in ricordo dei vecchi tempi. Avrebbe telefonato dal piccolo parcheggio dietro casa di Olivia, chiedendole di poterla vedere.


Se una parte di lei, però, stava già contando i passi e cercando il cappotto, un'altra, più razionale, la tratteneva.

Erano ormai un po' di anni che lei e Olivia si telefonavano brevemente solo in occasione del Natale o dei reciproci compleanni, e non si potevano certo più definire due amiche.


Senza contare che una vocina nell'orecchio, dovuta ad una cattiva abitudine familiare, le sussurrava: “Non vorrai disturbare?”

Pur non volendo, le scappò un sorriso. Quante risate si faceva Olivia quando lei menzionava l'idea di disturbare! Le rispondeva sempre: “Ma no, che assurdità! Tu non mi disturbi quando mi telefoni o mi vuoi vedere. Potresti chiamarmi anche alle tre di notte, per quel che mi riguarda!”


Le sarebbe bastato pochissimo per risentire quella risata, ma era come se le mancasse la forza di farlo, e, in fondo, sapeva bene il perché.


* * *



Parla al vento, parla al cielo

parla ad un uomo con dei motivi

e fammi sapere cos'hai trovato


Più passava le sue giornate in compagnia degli adolescenti e più Matilde si rendeva conto che gli anni del suo liceo erano un mondo perduto. I ragazzi a cui insegnava quell'anno leggevano altri libri, ascoltavano altra musica, guardavano altri film e portavano ben altri vestiti. “Beh” pensò sbuffando “chi mi assicura che io sia stata un'adolescente come la maggior parte delle altre?”



Il liceo classico non aveva portato in dono a Matilde un ragazzo serio e posato come avrebbe voluto sua madre, ma un'amica: Olivia.


Il loro era stato un legame speciale fin dall'inizio. Lei era minuta, dimostrava ben meno della sua età, aveva dei lunghi capelli rossi sempre combinati in fantasiose acconciature, vestiva prevalentemente di rosa e nero e andava pazza per le boybands dell'epoca. Era brava a scuola almeno quanto lei, ma il sabato staccava da tutto e girava per il centro insieme ad una compagnia del suo paese costituita da elementi quantomeno bizzarri. Con lei Matilde aveva sperimentato la bellezza del lasciarsi andare un po', del ridere per sciocchezze, del parlare senza paura di quello che veramente la appassionava. Quanti pomeriggi e serate avevano condiviso!


Ancora sorrideva, se ripensava alle chiacchierate nella camera di hotel a Firenze, durante la gita del terzo anno. Olivia, che difendeva sempre con accanimento la teoria della “bellezza interiore” delle persone, aveva pensato bene di dimostrarlo prendendosi una cotta per il più brutto della classe accanto, che ovviamente li accompagnava in gita. Tuttavia, accettava di farsi prendere in giro da Matilde e dalle altre compagne di classe.


La loro amicizia era stata indubbiamente una splendida avventura... fino all'estate prima dell'ultimo anno.


* * *



Posso farmi forza e cantarti una canzone

ma non voglio andare così lontano

e ti ho buttato giù

ti conosco dal profondo del cuore

e tu non sai nemmeno da dove cominciare

parla a te stesso, parla alle tue lacrime

parla con l'uomo che ti ha messo lì

e non aspettare che il cielo si schiarisca


Alessio era piombato nella sua vita dapprima discretamente, e poi come un fulmine. All'inizio era semplicemente il ragazzo gentile che prendeva il pullman con lei e frequentava l’istituto tecnico vicino al suo liceo; ben presto, però, era diventato l'oggetto dei suoi pensieri notturni, dei suoi sogni, delle sue fissazioni.


Fin dall'inizio dell'adolescenza la costante paura di non trovare un uomo e di restare sola e senza uno scopo nella vita l'aveva perseguitata. Matilde non pensava ad altro che a lui ed a cosa avrebbe potuto essere tra loro due, ed era convinta di essere più che mai vicina al suo obiettivo.


Era stato così che, quando Alessio le aveva proposto di mettersi insieme, aveva accettato, mandando al diavolo tutti e tutto: i suoi principi fatti di eleganza, riservatezza, di teorie come in amor vince chi fugge; sua madre, la cui inflessibilità iniziava, finalmente, a starle stretta; persino Olivia, che in amore era molto più pratica e razionale di lei, e – Matilde ne era certa – non avrebbe visto bene questo azzardo improvviso, considerato quanto poco lei ed Alessio si conoscevano.

Se non si fosse buttata in quel momento, probabilmente se ne sarebbe pentita per sempre.


Sfortunatamente per lei, le cose erano andate male. La “storia” era naufragata prima ancora di iniziare.

Subito dopo essere stata lasciata da lui, triste, disperata ed abbattuta, aveva fatto la prima cosa che le aveva dettato il cuore: aveva alzato la cornetta ed aveva telefonato a Olivia. Matilde le aveva raccontato tutto ciò che le aveva taciuto in quei mesi: le sue speranze, le sue delusioni, la sua paura. Olivia l'aveva ascoltata ed era stata comprensiva. Matilde non lo sapeva ancora, ma quella sarebbe stata la loro ultima chiacchierata davvero sincera.


Giorno dopo giorno, il pensiero di essersi mostrata troppo debole, di essersi aperta fin troppo, di aver fallito si era fatto strada dentro di lei. Ogni mattina, quando apriva gli occhi, non pensava più con metodo a tutto quello che doveva fare prima di andare a scuola, come suo solito. Si sentiva, al contrario, un peso che le schiacciava il petto, come se una mano invisibile la costringesse a restare sdraiata, immobile, senza quasi respirare. Arrivava a scuola adirata e triste, e non c'era niente che la irritava di più che vedere Olivia sorridente e con la testa tra le nuvole, che estraeva dallo zaino il necessario, mentre sicuramente ripensava all'ultima festa con gli altri suoi amici.


Ripensandoci, dopo molti anni, si vergognava di quello che aveva fatto. Avrebbe cancellato ogni suo singolo gesto, ogni parola cattiva.


In quei mesi, però, le era sembrato quasi naturale – e se ne spaventava ancora – allontanare Olivia. Aveva avuto come la percezione che la sua amica di sempre non avesse davvero gli strumenti per capire, lei che aveva sempre avuto delle storielle da poco che si erano risolte in una rottura senza rancori ed una buona amicizia.

Forse, però, con il senno di poi, il problema era stato esattamente il contrario. Olivia era dotata di una sensibilità spiccata, ed avrebbe intuito che dietro al rifiuto di Matilde c'era una questione più complessa. Matilde non aveva voluto permettere ad Olivia di conoscere il mostro che la schiacciava e che la stava trascinando in un tunnel nero.


* * *



Ti ho guardato così a lungo, ho urlato il tuo nome

non so che altro potrei dire


Dopo la Maturità, Matilde aveva rischiato di impazzire: l'Università la faceva sentire più sola che mai, e, in un momento di sconforto, aveva persino richiamato Alessio. Aveva cercato in tutti i modi di rincorrere quell'amore che, secondo lei, le era stato ingiustamente strappato... finché un giorno non si era guardata dentro per davvero ed aveva deciso che prima dei ragazzi che le giravano intorno, prima delle false amiche che la lodavano senza conoscerla veramente, la persona a cui dedicare attenzioni era lei stessa.


Era venuta a patti con il suo mostro, ed aveva incontrato molte difficoltà, ma, con calma, era riuscita, se non a sconfiggerlo, almeno ad isolarlo.


* * *



Matilde aveva coronato il suo sogno di essere un'insegnante, e la scuola dove stava lavorando le aveva portato in dono delle nuove amicizie. Si sentiva in pace con se stessa.

Quel giorno, però, come le era capitato altre volte, le mancava Olivia e quello che era stato il loro rapporto.


Era passato troppo tempo per potersi ancora accusare ed attribuire la colpa a vicenda: i loro veri nemici erano stati l'ambiente ormai soffocante dell'ultimo anno di liceo, le compagne malfidenti e pronte a dividerle, il loro desiderio di chiudere la porta delle superiori e iniziare un nuovo capitolo.


Quella sera avrebbe lasciato aperta la finestra di camera sua. Il rumore della pioggia l'avrebbe cullata durante la notte, e, chissà, i suoi pensieri avrebbero potuto volare verso casa di Olivia.


Un giorno, forse, si sarebbero riviste e avrebbero riso insieme, di nuovo e con il cuore.



Lascerò la mia finestra aperta

perché sono troppo stanca, la notte, per chiamare il tuo nome

sappi solo che sono qui, sperando

che tu entri insieme alla pioggia.



FINE




Come in with the rain è una canzone dell’album Fearless, il secondo di Taylor, uscito proprio nel 2008, anno della mia Maturità (potete ascoltarla qui). Come forse qualcuno sa, tra tutti i suoi dischi la mia predilezione va storicamente per Speak Now del 2010 e per la coppia Folklore/Evermore del 2020, però confesso che da quando ho visto il film dell’Eras tour e mi sono emozionata durante il set di Fearless… mi sono resa conto di quanto questo album, come ha detto anche Taylor, mi “riporti alle scuole superiori”. Questa canzone descrive un momento di stallo nostalgico e mi sembrava perfetta per questa storia.


Mi rendo anche conto che queste pagine, tutto sommato, non sono uscite dalla mia penna in un momento casuale, e non è solo perché i vari mass media in questo periodo stanno giocando con l'effetto nostalgia di noi millennials. Uno dei dispiaceri più grandi della mia adolescenza è stato senz'altro l'allontanamento di un'amica alla quale io ero genuinamente convinta di aver teso una mano. Col tempo ho capito che non si tratta di dinamiche solo adolescenziali.


In ogni caso, con questa storia, al di là delle mie esperienze, volevo “salutare” in modo un po’ romanzato quei ragazzi che sono rimasti là, in un liceo di provincia, quando i Blue e Robbie Williams erano il meglio del meglio per una ragazza, gli 883 erano “dei miti” senza che nessuno ci desse dei vecchi nostalgici come avvenuto in tempi recenti, la gita con la scuola era ancora un’occasione di scoperta per tanti di noi perché il mondo era molto meno “globe trotter”, il sabato pomeriggio si andava tassativamente in centro a ritrovare vecchi e nuovi amici, i social network non erano stati ancora inventati, e stendiamo un velo pietoso su vestiti e trucchi “alla moda”…

Chissà, forse, ora che ho riaperto il cassetto, non mi basterà avervene parlato oggi. Ma per ora mi va bene così.


Concludo lasciandovi i link ad una mia dilogia di racconti romance che hanno per protagonista un’altra insegnante, Luna:


- Incontrami a Siviglia (Link)


- La casa stregata (Link), ambientato proprio in novembre



Grazie ancora per la lettura, al prossimo post :-)