giovedì 23 novembre 2023

UNA SEMPLICE UTOPIA

 Spazio Scrittura Creativa: novembre 2023




Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di novembre con la rubrica Spazio Scrittura Creativa!


Questa volta ho pensato di proporvi qualcosa rimasto nel mio PC forse un po’ troppo a lungo (o forse no, me lo direte voi)… risale ai tempi dell’Università. Come penso un po’ di voi sappiano, ho studiato prima Lettere e poi Filologia Moderna. Tra i vari “curriculum” (filologico, storico, editoriale…) avevo scelto quello artistico – teatrale ed avevo frequentato alcuni laboratori davvero interessanti, tra cui uno in Drammaturgia.


Come elaborato finale dovevamo produrre una sorta di monologo che fosse una biografia romanzata di uno scienziato e/o un imprenditore italiano del XX secolo. Dovevamo pensare al soggetto da ritrarre (ed informarci di conseguenza), al narratore (lo scienziato stesso o qualcun altro?), al frammento di tempo da raccontare (non si doveva andare oltre un tot di battute e di certo non si poteva esporre in modo esauriente una vita intera).


Sarà che la macchina da scrivere è un oggetto importante per tutti noi letterati e dintorni, ma ho finito per pensare ad Adriano Olivetti. Quello che mi ha convinto definitivamente, però, è stata la scoperta di un episodio particolare che non conoscevo affatto: il coinvolgimento della famiglia Olivetti e del Presidente della Repubblica Sandro Pertini nella fuga del socialista Filippo Turati, ricercato dai fascisti. Per saperne di più su questa storia, vi consiglio questo articolo, che è parecchio esaustivo.


Ricordo che ho pensato chiaramente ad un Olivetti raccontato da Pertini. Un monologo, una breve biografia romanzata che diventasse anche un inno alla libertà, contro ogni totalitarismo e limitazione dei diritti.


È da settembre che ci penso, e sinceramente mi spiaceva lasciarlo ancora nel mio cassetto. Spero di aver fatto bene a riportarlo alla luce!



Una semplice utopia


Quanti sono ottantadue anni? Qual è realmente il loro peso?

Chi potrà dire, tra quanti verranno dopo di noi, se questi anni sono stati ricchi di buone idee e di frutti preziosi, o se, in fondo, non ci è successo niente di speciale?

È l'estate del '78, e per me, Sandro Pertini, è forse il momento di guardarmi indietro, per poter capire come mai sono arrivato alle soglie di una nuova avventura proprio a quest'età. Su una cosa non ho dubbi: la mia vita è stata ricca. Forse non di opere, né di eventi straordinari, ma, senz'altro, di legami.

Nei miei discorsi finisco spesso per parlare dei giovani. Più ripenso a questa mia abitudine, e più mi convinco che è perché gli anni della mia giovinezza sono stati caratterizzati da tanti incontri da ricordare. E non sto parlando solo di quelle figure che ho conosciuto e frequentato per anni.

Alcune persone, infatti, mi sono passate accanto quasi in silenzio; abbiamo condiviso solo una breve avventura, o poche ore del nostro tempo. Tuttavia, il loro ricordo mi è rimasto impresso, e, proprio ora che alcune di loro non ci sono più, mi tornano in mente con più frequenza.


* * *


Una di queste è Adriano Olivetti, da tutti conosciuto come Ingegnere laureato al Politecnico di Torino, diventato poi famoso a Milano tramite la fabbrica che tuttora porta il suo nome.

Credo di essere stato una delle poche persone ad intuire ed apprezzare anche la faccia più nascosta di Adriano: quella dell'impegno civile e politico, al servizio dello Stato, per il quale non si è risparmiato, proprio come ha fatto con la sua fabbrica.

Niente come l'occasione in cui l'ho conosciuto dimostra meglio tutto questo. È il dicembre del 1926 e, in seguito all'applicazione delle leggi straordinarie fascistissime, sono stato dichiarato “avversario irriducibile del corrente regime”. Prima di me, così è stato etichettato Filippo Turati, la cui casa è ormai sorvegliata.

La nostra decisione è, dunque, espatriare e dirigerci in Francia. Ed è stato in quella circostanza, il 12 dicembre, in mezzo al freddo ed alla nebbia di una qualunque notte invernale, che ho avuto il mio contatto più ravvicinato con Adriano Olivetti. È stato infatti lui, alla guida di una delle due macchine, insieme a Carlo Rosselli e Ferruccio Parri, ad agevolare la nostra fuga. Dopo aver fatto ospitare Turati dal suo dirigente Giuseppe Pero, l'ha accompagnato a Savona, dove c'ero io ad aspettarli, affinché noi fuggitivi potessimo imbarcarci sul traghetto. Di quell'incontro breve e concitato ricordo un ragazzo timido, piuttosto impacciato, dai modi non sempre rapidi e non certo sicuri; ma, fin da allora, ho potuto intuire anche tanta decisione nascosta dietro le sue parole sussurrate ed il suo sguardo incerto e sognatore.


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Quando io l'ho incontrato, egli aveva appena venticinque anni. Egli è nato, infatti, a Ivrea, da padre ebreo, Camillo, e madre valdese, Luisa, l'11 aprile del 1901. Una delle prime attività di impegno civile e politico che egli ha svolto è stata quella alla redazione de “L'azione riformista”; si è occupato di questo giornale in collaborazione con il padre, e, in seguito, anche da solo. Una caratteristica che, a distanza, ho sempre compreso e stimato di lui è il suo tentativo di tenere in piedi dei progetti con costanza, anche nei momenti più difficili, a meno che essi non si rivelino proprio senza futuro. Probabilmente, senza questa tenacia, non sarebbe riuscito a fare della sua fabbrica quello che poi è stato.

Il periodo dell'Università ha dato modo ad Adriano di cementare i suoi studi in campo tecnico e scientifico. I suoi studi sono stati a tutto tondo: si è occupato non solo del settore industriale, ma anche di quello urbanistico, ed ha, in generale, abbracciato il settore delle scienze con quello stesso entusiasmo e quella dedizione che non ha mai perso occasione di dimostrare.


Ma quegli anni sono stati importanti per lui anche a causa della conoscenza e della frequentazione della famiglia Levi, soprattutto di Gino, suo compagno di corso. È questo stretto legame tra di loro che ha fatto sì che anche Adriano abbia partecipato alla nostra fuga del '26. Filippo Turati, infatti, è stato mandato a Ivrea proprio dalla famiglia Levi. È forse in anni come questi che si è delineato il carattere di Adriano adulto: non solo, infatti, la sua sensibilità nei confronti delle ingiustizie civili, ma anche e soprattutto la disponibilità ad agire in prima persona, rischiando lui stesso per difendere chi, come me, si è trovato nella condizione di perseguitato.


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A questo proposito, se dovessi descrivere quegli anni con un colore, per quello che mi riguarda userei sicuramente il rosso. Non c'è, infatti, un colore più adatto di questo per descrivere il mio acceso attivismo, che ho rischiato di pagare molto caro, e la determinazione nel prendere posizioni che, in quegli anni, erano più che mai pericolose.

Adriano, invece, avrebbe potuto completarmi. Io vedo la sua storia come dipinta di verde smeraldo, il colore a me complementare. Lo immagino così, immerso in una vita ed una quotidianità dalle tinte apparentemente tranquille, ma sempre pronto, nel momento più inaspettato, a mostrare un guizzo di una sfumatura più brillante.


Forse le scintille più sfavillanti sono state quelle sprizzate poi, in seguito all'incontro fondamentale di Adriano con Milano, sua città d'adozione dopo il matrimonio con Paola Levi. È lì, infatti, che il modesto ingegnere di Ivrea ha trovato un ambiente culturalmente stimolante e vivo, anche dal punto di vista della scienza e dell'industria. Moltissimi elementi, infatti, come la conoscenza dei circoli più importanti e delle persone più in vista, sono stati utili per la sua carriera.


Nel 1932 le leggi razziali hanno spodestato Camillo, che è di origine ebrea, ed è stato Adriano a fondare la società Olivetti, di cui poi è diventato Presidente nel '38.


Di questi anni, l'aspetto più evidente e spesso più raccontato è quello di Olivetti industriale, che esprime le sue idee in modo ben preciso, che trasforma gli “800 operai e 15 ingegneri” del suo esordio in 32000 addetti e che dà ampio spazio non solo alla tecnica, ma anche alla cultura, che per lui ha un grande valore, anche in fabbrica.


* * *


Io però sono stato - e sono tuttora - un uomo tutto dedito alla politica, un socialista, un antifascista. E mi piace ricordare un Adriano fortemente contrario al fascismo fin dal caso Matteotti, un industriale attento a non farsi coinvolgere dal potere costituito e pronto a costruire una strada propria anche in quel campo.


La sua è anche la storia di un rampollo di famiglia che avrebbe potuto avere una vita tranquilla e magari, chi può dirlo, delle agevolazioni da parte del potere pubblico. Eppure, la sua scelta è andata in tutt'altra direzione. La sua figura spesso mi ricorda quella di un personaggio dell'Eneide, Lacoonte, il sacerdote troiano che si oppone all'entrata del cavallo di legno in città. Egli, infatti, una volta ha dichiarato: “Ho paura dei Danai, anche se essi ci portano doni”. Questo, a mio parere, è stato l'atteggiamento di Olivetti con il fascismo: non ha ceduto alla tentazione di uniformarsi al regime, ma è rimasto in una cauta posizione di mediazione e di sospetto, senza esporsi più di quanto fosse necessario per il bene della fabbrica. 

Egli, infatti, ha sicuramente migliorato i suoi rapporti con il fascismo negli anni '30, soprattutto con Giuseppe Bottan, che diventa una sorta di contatto tra lui ed il potere politico, ma ha guardato sempre con una certa cautela ai “doni” che gli sarebbero potuti arrivare dalla politica.


Forse è questo uno dei motivi per cui, nel '45, egli, all'indomani della guerra, ha deciso di pubblicare uno scritto intitolato L'ordine politico della comunità, in cui teorizza la base per un'idea federalista dello Stato. Della sua opera mi è rimasta impressa, in particolare, l'immagine di una Camera che possa scegliere ed eleggere un Senato composto dalle persone più competenti in ogni settore della vita pubblica, a partire da politica ed economia, fino ad arrivare ad architettura e letteratura.


Sempre in questa direzione, nel '48, a Torino, egli ha fondato il “Movimento Comunità”, gruppo politico socio-tecnocratico di mezzo tra la DC e il PC. La sua è stata forse una scelta basata sulla sua volontà di stare sempre “nel mezzo”, cercando un equilibrio; ciò che è certo, però, è che la sua posizione, di certo non definita, ha creato delle incomprensioni.


Nel '56 è diventato sindaco di Ivrea, e nel '58 vi è stata la sua elezione come deputato rappresentante del movimento da lui stesso fondato.


* * *


Poco dopo, però, la storia si arresta. Adriano Olivetti, infatti, è morto nel '60, durante un viaggio in treno. La sua improvvisa quanto prematura scomparsa ha lasciato una scia di sorpresa, ed anche di sgomento.


Siamo in anni difficili, in cui il Paese è messo alla prova, e proprio adesso che mi è stato chiesto di essere il Presidente, e quindi il garante dello Stato, sento più che mai il bisogno di ricordare persone come Olivetti.


In questi diciotto anni, tutto ciò che egli ha costruito si è affievolito, fin quasi a scomparire. È facile pensare che sia stata la sua figura a fare da collante. Egli, in modo particolare, ha cercato di ridimensionare il termine “utopia”, che è stato così spesso associato alle sue azioni, definendolo semplicemente “un modo per liquidare quello che non si ha voglia, capacità o coraggio di fare”. L'invito che lui stesso ha ripetuto tante volte potrebbe essere anche il mio, adesso, ai giovani della nazione: cominciare a lavorare ad un sogno.


In modo tale che non resti solo una semplice utopia.



FINE




Eccoci arrivati alla fine!

Spero di non avervi annoiato con i dettagli nozionistici, ma ho voluto lasciare il mio lavoro così com’era: un po’ accademico, un po’ ingenuo, e frutto di un impegno giovanile che a volte, vi dico la verità, sento affievolirsi, altre volte mi salta di nuovo in petto più vivo che mai. Sia quello letterario che quello politico.

Credo di averlo voluto pubblicare perché rileggendo questo monologo, tra le righe, rivedo ancora tanto di quello che sono, di quello in cui credo. Del mio impegno nel scavare tra le storie, della mia rabbia contro le ingiustizie ed ogni forma di tirannia, della mia voglia di non arrendermi anche quando mi sento triste e senza energie in una macchina gelata alle prime ore del mattino (e forse questi personaggi, al tempo, mi sono stati d’esempio). Quando rileggo questa storia, non mi sembra che tra 2012 e 2023 sia passato così tanto tempo, anche se a volte mi sembra persino di essere diventata un’altra persona.

Fatemi sapere che cosa ne pensate!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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