giovedì 26 gennaio 2023

UNA BAMBOLA ROTTA

 Spazio Scrittura Creativa: gennaio 2023




Cari lettori,

benvenuti al primo appuntamento dell’anno con lo “Spazio Scrittura Creativa”!

Per chi si fosse perso qualche puntata, ricordo che questa nuova rubrica di scrittura è nata circa quattro mesi fa, e che finora ho scritto tre racconti: una commedia romantica ambientata tra le vigne in Provenza a ottobre, un nuovo episodio della “famiglia allargata” di Luna e Lorenzo (già protagonisti di un’altra mia storia) a novembre ed una fanfiction su Harry Potter a dicembre. Tutti gli altri miei racconti, scritti tra marzo 2020 e luglio 2022, si possono trovare sotto l’etichetta Storytelling Chronicles (il gruppo di scrittura di cui ho fatto parte per due anni e mezzo), a questo link.


Il mese di gennaio ci impone un po’ più di serietà, o almeno, questo è quello che penso. Domani sarà la Giornata della Memoria ed io, dopo avervi proposto negli anni citazioni dai classici, poesie, canzoni e letture, ho pensato di scrivervi un racconto tutto mio. Non è facile mettersi alla scrivania e toccare questi temi ma spero che il risultato vi piacerà!


La storia si intitola “Una bambola rotta”; buona lettura!



UNA BAMBOLA ROTTA


3 gennaio 2023


Non saprei proprio quale delle due scegliere. Certo la fattura di entrambi è mirabile.”

È questione di gusti, signor Bianchi. I diamanti montati sul pavé oro sono un classico, qualcosa con cui non si sbaglia mai; questo pavone con smeraldi è qualcosa di più originale, un pezzo da collezione.”

Il signor Bianchi si allontanò un attimo dal banco della gioielleria, come a voler osservare da lontano le due spille che erano state disposte sul panno nero; fece qualche passo indietro, strizzò gli occhi, scosse la testa pensieroso.

Mia moglie adora i diamanti. Va beh, che glielo dico a fare, lei lo sa meglio di me.”

Ricordo, ricordo” confermò Primo con un cenno del capo. Ogni anno, a gennaio, il signor Bianchi veniva a comprare un costoso gioiello per la moglie, il cui compleanno cadeva proprio i primi giorni dell’anno. I diamanti taglio classico su pavè di oro bianco o giallo erano una delle sue passioni. Eppure ogni volta il signor Bianchi mostrava un pizzico di indecisione. Primo non si spazientiva affatto per quei tentennamenti del cliente, anzi, li considerava un buon segno: il signor Bianchi, dopo tanti anni, era ancora innamorato di sua moglie, e non avrebbe mai voluto deluderla con un regalo che non incontrasse i suoi gusti. Per questo motivo riteneva che fosse il caso di aiutarlo.

Se mi permette, signor Bianchi” iniziò a dire cautamente Primo “secondo me la parure di diamanti di sua moglie è quasi completa. Ha già acquistato tanti pezzi in questi anni. Certo la spilla può essere una buona idea per andare sul sicuro, ma è qualcosa che sua moglie si aspetterà sicuramente. Provi per una volta a spezzare la routine. La spilla con il pavone ha un prezzo leggermente inferiore, ma gli smeraldi con questa lavorazione sono una rarità. Ed il pavone è un simbolo che sta tornando di moda.”

Il signor Bianchi si illuminò improvvisamente. “Ora che ci penso, prima di Natale siamo stati insieme a Palazzo Reale, alla mostra di Bosch. Mia moglie è rimasta molto colpita dalle incisioni sui sette peccati capitali ispirate a Pieter Bruegel Il Vecchio. Il quadro della superbia era dominato da un magnifico pavone.”

Beh, allora questo regalo comunicherebbe a sua moglie la sua attenzione per il dettagli, il fatto che lei sia attento a quel che le piace.”

Il signor Bianchi allontanò leggermente la spilla di diamanti all’angolo del panno nero, ponendo al centro lo sfavillante pavone con la coda fatta di oro traforato e smeraldi.

Sì, mi ha convinto” annuì lentamente, guardando la spilla. “Sono sicura che stavolta Carla sarà sorpresa.”

Anche quest’anno due dei suoi più affezionati clienti sarebbero stati soddisfatti.



Mentre abbassava le saracinesche e dava il via al lungo balletto, come lo chiamava lui, per chiudere la gioielleria ed installare i vari sistemi di sicurezza, Primo non poté fare a meno di dare un’occhiata alle sfavillanti luci della Milano natalizia fuori dalla sua vetrina. Ancora una settimana, anche meno, e la frenesia delle feste avrebbe lasciato il posto alla buia e gelida quiete di gennaio. Il pensiero non lo entusiasmava. La stagione natalizia, dopo un paio di anni difficili a causa della pandemia, era tornata ad essere la più fruttuosa, persino per attività come la sua, che avevano sempre puntato su una clientela selezionata. Non che Primo avesse avuto particolari difficoltà economiche in questi anni, ma amava il suo lavoro: gli dava gioia il pensiero che i clienti entrassero pensando a qualcosa di speciale per una persona amata ed uscissero soddisfatti, con un pezzo unico tra le mani.


Inoltre, le decorazioni natalizie, che il padre aveva sempre messo un po’ malvolentieri e per ragioni lavorative, su di lui avevano sempre esercitato un grande fascino.

Finché egli viveva con i suoi genitori, l’unica festa ammessa in quel periodo era l’Hanukkah, che veniva festeggiata con molta più sobrietà di quanto qualunque italiano cattolico (ma anche ateo) festeggiasse il Natale. Da quando, però, prima Rita e poi il figlio Matteo erano entrati nella sua vita, anche il suo Dicembre era stato riempito dalle peripezie di Babbo Natale, dalla slitta con le renne e dall’immancabile albero addobbato in salotto. La religione di Rita non era stata un’imposizione per lui. Ritrovarsi a tavola con la sua famiglia acquisita, vedere la gioia negli occhi di suo figlio e degli altri bambini, godersi un po’ di meritato relax e lo spettacolo delle luci natalizie lo avevano aiutato a spingere in un angolo lontanissimo della sua mente quell’alone di malinconia che sembrava circondare le festività ebraiche della famiglia.


* * *


Qualcosa che la scuola di Medicina non ha potuto insegnare

la figlia di qualcuno, la madre di qualcuno

tiene le tue mani attraverso la plastica ora

Dottore, penso che stia per avere un collasso”

...e ci sono cose di cui proprio non riesci a parlare


Primo aveva cercato di svolgere tutte le altre incombenze, ma anche stasera ce n’era una che lo aspettava, che egli lo volesse o no. Alcuni pezzi particolarmente pregiati, che lui amava esporre in vetrina, necessitavano di essere messi in una delle casseforti più sicure che aveva, nello scantinato.


Il problema non era né scendere nel freddo della cantina in una gelida serata di gennaio, né digitare con attenzione i tre codici, che si premurava di cambiare ogni due mesi. Il vero problema era quello che la cassaforte conteneva, che gli provocava ogni volta un dolore sordo nel petto.


Sulla mensola più in alto della cassaforte, in un angolo in fondo a sinistra, c’era una bambola di pezza. Il viso, un tempo rosa chiaro, era solcato da graffi marroni; il delizioso vestito a fiori tra il lilla ed il viola era ormai lacero; i capelli erano fatti di lana rossiccia, e la metà si era ormai disfatta.


Quella bambola era il simbolo dei tanti silenzi di sua madre Ester, di quel lato di lei che solo Primo ed il padre avevano potuto conoscere. Per tutti Ester era la moglie del gioielliere Melodia, una donna elegante e colta, una delle commesse più gentili di Milano, sempre preziosa nell’aiutare le ricche signore milanesi nello scegliere gli orecchini più adeguati ad una serata mondana. Una donna ben vestita, con il sorriso sulle labbra e la conversazione misurata.


Eppure Primo, fin da bambino, era cresciuto con quella bambola misteriosa nella cassaforte. Da piccolo aveva provato a prenderla per giocarci, ma i suoi genitori lo avevano subito fermato, dicendo che non si trattava di un giocattolo e che non andava toccata. Anche se era un bambino, egli aveva capito che quella bambola era la responsabile dell’ombra negli occhi della mamma. Crescendo, aveva sperato a lungo che qualcuno finalmente gli avrebbe raccontato la storia dietro a quell’oggetto. Perché lo sapeva, c’era dietro una storia, e sicuramente senza lieto fine. Dopo tante insistenze, a diciott’anni, il padre si era finalmente confidato con lui, un giorno in cui Ester non era in negozio.

Vedi Primo, quella bambola è l’ultimo ricordo dei tuoi nonni materni, i genitori di tua madre.”

Ma io non li ho mai conosciuti.”

Lo so. Sono morti quando tua madre aveva sei anni. Lei è stata cresciuta dagli zii.”

“Come è successo? C’è stato un incidente?”

Lo sguardo triste di suo padre era qualcosa che non avrebbe dimenticato più.

No, nessun incidente. Era il 1944. È stato in guerra.”

Ma perché…?”

Mi dispiace, Primo. Deve parlartene lei.”


Invece Ester non aveva trovato il coraggio di aprire il suo cuore, di dire al figlio perché era stata una bambina infelice e perché i nonni da un giorno all’altro erano scomparsi. Quasi sempre, nei romanzi e nei film, c’è il momento della rivelazione, quello in cui una persona che ha subito un trauma prende il coraggio a due mani e racconta finalmente quello che l’ha tanto turbata per anni, persino per decenni.


Nella vita, però, non sempre è così. Alcuni fatti restano sepolti nelle pieghe della memoria, pieghe che sarebbe più opportuno definire piaghe per quanto sono dolorose. Riaprirle farebbe ancora più male, anche se il destinatario di queste confessioni è un figlio, una persona che ami più di te stessa e che avrebbe tutto il diritto di sapere perché non ha mai conosciuto i nonni.



Ester aveva iniziato a perdere lucidità quando il marito era morto per un brutto male, cinque anni prima. La vedovanza l’aveva gettata in uno stato di confusione, e l’aveva resa fisicamente più fragile ogni giorno. In queste condizioni, rifletté Primo, non era stata poi una sorpresa che il Covid avesse trovato in lei una vittima. Persino allora, in una stanza isolata, tenendo le mani del figlio attraverso una cortina di plastica, prima di entrare in terapia intensiva, Ester non era riuscita a dire che poche parole stentate, anche se lo sguardo che aveva lanciato a Primo gli aveva fatto capire che lei era consapevole di stare per morire.


Così Primo era arrivato a cinquantacinque anni senza sapere la verità su sua madre ed i suoi nonni. Con il tempo si era rassegnato ad immaginare il peggio: un campo di concentramento. Non era la prima volta che ascoltava storie di suoi conoscenti milanesi fuggiti da bambini da campi di sterminio, campi dai quali i loro genitori non erano mai tornati. Forse i corpi dei suoi nonni non erano mai stati trovati in mezzo a quell’inferno, e sua madre non aveva mai abbandonato la speranza di ritrovarli, feriti ma vivi. Forse era stato il lento spegnimento delle speranze a distruggere Ester.



* * *



Sono a casa!”

Giusto in tempo, è quasi pronto.”

Primo si affacciò in cucina e vide Rita seduta in direzione della tv, alle spalle di una pentola in cui il risotto finiva di cuocere a fuoco bassissimo.

Matteo?”

Ha fatto tardi in Università, cena con i suoi compagni.”

E perché guardi il tg regionale della Toscana?”

Ma non lo so. Ho acceso su Rai 3 e c’era questo invece di quello della Lombardia.”

Mi sa che devi digitare 503 invece che 3. Ogni tanto fa questo scherzetto.”

Sì, ma non mi dispiace il tg della Toscana. Almeno vedo qualcosa di diverso. Anche la pagina culturale, guarda.”

Primo diede a sua volta un’occhiata al televisore. Sapeva di che cosa parlavano in gennaio tutte le pagine culturali di giornali e telegiornali, ed ogni volta lui non si sentiva pronto, ma non poteva farci niente.


Sta riaprendo in questi giorni, dopo la pausa festiva, il museo di Sant’Anna di Stazzema, che si prepara ad accogliere molti visitatori per la Giornata della Memoria. Sono stati allestiti ulteriori spazi con dell’oggettistica appartenuta ai sopravvissuti, che hanno gentilmente messo a disposizione i loro ricordi…


Su una mensola in una stanza asettica sui toni del grigio, erano state disposte due bambole tragicamente simili a quelle di Ester.



Con te cado

e ti guardo inspirare,

e ti guardo respirare



9 gennaio 2023


La macchina aveva fatto una certa fatica ad inerpicarsi sulla stradina stretta e contorta, ed i momenti in cui un altro veicolo era sceso nella direzione opposta erano stati un po’ complicati da gestire, ma, dopo un altro po’ di tornanti, Primo era arrivato. E sapeva che la parte difficile sarebbe stata scendere dall’auto.


Sapeva com’era fatta Sant’Anna di Stazzema, lo aveva visto tante volte al telegiornale. Il parcheggio, la piccola salita tra sassi sconnessi tra loro, erba ed alberi che ombreggiavano, lo spiazzo sterrato. La piccola chiesa sui toni del beige e del giallo chiaro, con il prato antistante ed i monumenti posti a ricordo dell’eccidio del ‘44; l’edificio che ospitava il museo sulla destra, preceduto da una breve scaletta metallica.


Ester c’entrava davvero qualcosa con quel luogo? Aveva calpestato quei sassolini grigi, magari a sei anni e con in mano la sua bambola? Aveva giocato con altri bambini della sua età su quel prato? Si era rifugiata in quella chiesa quando aveva avuto paura?


Primo aveva passato cinque giorni ad interrogarsi, a ragionare con Rita su che cosa fosse meglio fare. Alla fine aveva deciso di lasciare a sua moglie la gestione della gioielleria e di partire per un paio di giorni, cercando di scoprire la verità che celava la strana somiglianza che aveva notato.



Ecco, signor Melodia, queste sono le bambole. Le hanno prestate gentilmente alcune delle sopravvissute, per l’ampliamento dell’esposizione di questo mese. A quanto pare tutte loro hanno fatto fatica a separarsene.”

Già” fu la laconica risposta di Primo.

Permette?” disse il direttore del museo allungando le braccia in direzione della bambola. Primo gliela mise tra le braccia.

Ecco, sì. Vede questa P ricamata sotto quest’angolo del vestito? Si trova anche sugli abiti delle altre bambole. Questi giochi sono stati creati quasi in serie. Le sopravvissute hanno parlato di una signora Piera, una sarta. Forse una delle tante civili che davano una mano ad ospitare i risultati qui a Sant’Anna. Non risulta tra i caduti. Forse è fuggita pochi giorni prima.”


Tra i caduti, però, sulla grande lastra in posizione sopraelevata, c’erano i nomi dei suoi nonni materni.


* * *


Solo 20 minuti per dormire

ma tu sogni una sorta di epifania

solo un piccolo barlume di sollievo

che dia senso a quello che hai visto



12 agosto 1944


Devi stare tranquilla, Esterina. Smettila di piangere. Non sta succedendo niente. Calmati.”

Ester parla alla sua bambola, o meglio, le si rivolge con il pensiero perché non può parlare. Ma non c’è verso, Esterina continua a tremare, dice che si sente sola e che ha paura.

Ester ne ha abbastanza dei suoi capricci. È pesante essere la mamma di una bimba così fantasiosa. Certe cose non vanno nemmeno pensate. Nel mondo reale la gente non brucia le case, le persone non cadono giù come birilli, gli adulti grandi e grossi non inseguono i bambini sotto i tavoli.

Esterina ha fatto solo un incubo. Ma ora sono nel posto giusto per farsi un bel sonnellino. Nessuno le disturberà in questo ripostiglio, in questo minuscolo armadio. Il Don ci teneva le vesti di riserva, ma poi un piede si è rotto. A nessuno importa dei vestiti dei preti. A tutti, stasera, importa delle persone, e nessuno potrebbe mai immaginare che ci sia qualcuno lì dentro, ma lei ed Esterina sono tanto piccole e tanto silenziose. E soprattutto si sono spaventate per niente.

Dormi, Esterina, dormi. Usciremo di qui. Staremo bene.”



9 gennaio 2023


E invece Ester non era stata bene per niente. Disturbo post traumatico da stress, direbbero oggi gli specialisti. Il segreto che aveva sempre diviso la loro famiglia, per Primo.


Il direttore del museo, vedendolo sconvolto, aveva cercato di confortarlo dicendo che avrebbe cercato di raccogliere ulteriori informazioni sui suoi nonni, su come fossero arrivati a Sant’Anna, sul perché avessero deciso di fermarsi proprio lì, tra partigiani e civili, in un luogo che sembrava un nascondiglio sicuro e si era rivelato una trappola mortale.


Primo lo aveva ringraziato, ma sapeva di aver capito l’essenziale.


Per anni, decenni, aveva pensato che quel bambolotto che sua madre aveva voluto tenere in cassaforte fosse l’unica cosa bella che era riuscita a salvare da un’esperienza orribile. Invece era un simbolo della piccola se stessa, un suo minuscolo alter ego di pezza e stoffa, il ricordo di come si era sentita a sei anni, perdendo tutta la sua famiglia e sfuggendo per un pelo ad un destino terribile. Una bambola rotta che non si sarebbe mai più riaggiustata, perché l’odio e la violenza l’avevano spezzata per sempre.


Sapeva che cosa doveva fare. L’indomani sera stesso, una volta tornato a Milano, avrebbe parlato di Ester a sua moglie ed a suo figlio. Avrebbe raccontato loro la sua vera storia, quella che lei non aveva mai voluto e potuto ripercorrere a parole. Era giunto il momento di ricordarla, non per ciò che si era sentita, ma per quello che era veramente stata: una donna coraggiosa, nata in un periodo disgraziato, in grado di vivere una vita piena nonostante gli orrori del suo passato. Questo sarebbe stato, per lui, onorare la sua memoria.



FINE



Ed eccoci giunti alla fine del nostro racconto di gennaio!

Devo dire che la seconda parte è stata un po’ impegnativa da buttare giù… diciamo che ho fatto del mio meglio. Ci tenevo, dopo vari post a tema nel corso degli anni, a fare un vero e proprio racconto per la Giornata della Memoria, e questa volta ci sono riuscita.


La canzone che ci accompagna è Epiphany della mia cara Taylor Swift, una delle mie preferite del suo disco Folklore, e la trovate a questo link.


Fatemi sapere che ne pensate di questa storia… tengo molto al vostro parere!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


2 commenti :

  1. Ciao Silvia, è molto bello questo tuo racconto: sei riuscita in modo delicato ad affrontare una tematica davvero spinosa... complimenti, sei stata bravissima!

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