Cari lettori,
bentrovati all’appuntamento del 17 del mese con “L’angolo vintage”!
Lo scorso mese avevamo riaperto la rubrica insieme alle altre dopo la pausa estiva, ed avevo scelto due romanzi self di genere romance che avevano come protagoniste due giovani insegnanti.
Nel mese di ottobre siamo in piena spooky season e così ho pensato di proporvi due romanzi che, tra dolcetto e scherzetto...prediligono il secondo!
Il primo è l’ultimo – almeno per ora – romanzo giallo della serie che ha per protagonista il commissario (ormai in pensione) Bordelli, nato dalla penna di Marco Vichi. Il secondo è invece uno dei “giallognoli” degli equivoci di Andrea Vitali: un nuovo caso improbabile per il maresciallo Maccadò.
Entrambe queste serie sono già comparse più volte sul blog; questi due volumi, però, pongono entrambi al centro dell’attenzione due beffe al sistema, due scherzi ben riusciti al potente (e prepotente) di turno.
Vediamoli meglio insieme!
Meglio di niente, di Marco Vichi
Gli anni ‘60 hanno ormai lasciato spazio ai ‘70 e per il commissario Bordelli è arrivato il momento della pensione. Forse.
Già, perché in questo mese o poco più in cui avrebbe dovuto stare “a riposo” gli è capitato di tutto. Il ragazzo che un tempo era il suo vice, Pietrino Piras (al quale egli è molto legato, perché ha combattuto a fianco del padre quando c’era la guerra), ha preso il suo posto, e non manca di coinvolgerlo nelle indagini, anche se in modo non proprio lecito.
Inoltre, egli stesso si è preso del tempo per fare luce su un “cold case”, il caso mai risolto del figlio di un gerarca che era stato trovato ucciso in un campo poco tempo dopo la fine della guerra. A quel tempo egli era troppo giovane e inesperto e le autorità, vista la famiglia del ragazzo, avevano deciso di lasciar perdere. Il Bordelli maturo, però, è riuscito a trovare il bandolo della matassa, trovandolo di natura molto meno politica e molto più privata di quanto si aspettasse.
Tutto questo è stato possibile perché il suo commissariato (ora di Piras) è sempre stato diretto da un questore affidabile e di buon carattere, per lui anche un amico (che non manca di partecipare alle sue famose cene). Ora, però, le cose stanno per cambiare: il questore si trasferisce e va verso il prepensionamento, ed il successore promette di essere molto più severo, specie sulle interferenze da parte dei civili… e Bordelli, gli piaccia o no, ormai è soltanto questo.
L’ormai ex commissario riflette per settimane sulla possibilità di diventare un investigatore privato, poi scarta l’ipotesi.
Innanzitutto perché la logica delle indagini private è molto diversa da quella della polizia, e per lui il lavoro è stato quasi una vocazione.
E poi perché dopo tanti anni di orari e di giornate infinite – e una giovinezza portata via dalla guerra – egli vuole godersi il bello della vita: la sua grande casa di campagna sulle colline dell’Impruneta, con tanto di orto e di oliveto; il cagnolone Blisk, uno spirito libero come lui; la relazione con la giovane Eleonora, molto seria, per quanto entrambi ci scherzino sopra; le cene con gli amici, con i racconti fino a tarda sera; il libro di poesie della sua defunta madre che sta per essere pubblicato da un piccolo editore.
Egli è ancora immerso in queste riflessioni quando, quasi per caso, incontra un ragazzo che gli sottopone un mistero molto curioso.
Il giovane fa parte di una facoltosa famiglia, che è molto in amicizia con quella di un suo coetaneo. Una sera, mentre è a casa dell’amico ed entrambi sono soli in casa, si sono resi conto che la preziosa collezione dei quadri del padre si è molto ridotta, ci sono intere pareti vuote. Per una serie di motivi, il ragazzo sospetta che ci sia un ladro silenzioso, e che quel ladro sia proprio il suo stesso padre.
Non si tratta di un’indagine ufficiale, perché non c’è stata nessuna denuncia, però proprio per questo motivo Bordelli può occuparsene per vie private. Giorno dopo giorno, egli ricostruisce una storia di segreti familiari e di “non detti” dalle gravi conseguenze. Insieme al suo amico “Botta”, un ex ladro e scassinatore che ha arrestato più volte finché egli non si è deciso a cambiare vita, egli trova un modo di… truffare a sua volta chi ha voluto truffare una famiglia di amici.
E mentre è preso con la sua beffa, arriva una chiamata da Piras: la polizia si sta occupando di una nuova indagine. E l’aiuto del commissario Bordelli, anche se è necessaria molta prudenza… è sempre gradito.
Per la prima volta da quando leggo i romanzi del commissario Bordelli – ormai è qualche anno -, ho avuto la sensazione che forse l’autore vorrebbe, se non salutare il suo personaggio, lasciarlo in pace un po’ di più. Ho visto che negli ultimi anni egli ha pubblicato altre storie, anche in collaborazione con altri autori. In effetti Vichi non si è mai voluto definire un giallista e, considerando i racconti sulla guerra e sui partigiani che vengono sempre inseriti all’interno dei suoi romanzi, la sua attrazione verso il romanzo storico è piuttosto nota.
Quanto al commissario Bordelli stesso, questa volta l’autore l’ha dipinto come un po’ più stanco e dubbioso… ma è difficile rinunciare a quello che è sempre stato più che un lavoro per lui. Per questo credo che Meglio di niente non sia un addio, ma un “arrivederci, con più calma”: un giusto compromesso, perché non è verosimile che un commissario in pensione sia sempre indaffarato e coinvolto nelle vecchie indagini, è normale pensare che torni all’opera “per vie traverse” una volta ogni tanto.
Come sempre, l’intreccio non è quello di un giallo classico, con un singolo delitto: ci sono più indagini, di cui solo una è ufficiale, e poi tutto il resto della vita del commissario, compresi i ricordi del passato, che non lo lasciano mai solo.
La storia dei quadri è una beffa magistrale… un filo fantasiosa ma molto divertente!
Io leggo ancora con molto piacere di questo personaggio, spero che l’autore vorrà tornare a scriverci ancora di lui, anche se magari un po’ meno. Perché per uno come il commissario Bordelli appendere il distintivo al chiodo è davvero difficile…
Il sistema Vivacchia, di Andrea Vitali
Bellano, anni ‘30.
Per la caserma diretta dal Maresciallo Maccadò è un periodo tranquillo. Di certo alla sede del partito non si può dire lo stesso, però.
Da qualche tempo il vecchio segretario, chiamato ironicamente “Il Tartina” (giusto per far capire quanto fosse temuto), è stato destituito dopo che Bellano è stata investita da una serie di assurde vicende: la fuga di un toro chiamato Benito che era senza corna ma ha suscitato ugualmente il panico, un curioso incidente con le poste e la corrispondenza che era destinata al Federale, il fiasco della Befana fascista, una gita del sindacato dei panettieri che doveva essere un esempio di buona organizzazione bellanese ed invece è stata un susseguirsi di imprevisti, il discorso di un prefetto che si è trasformato in un lancio della dentiera dal balcone.
Ce n’era abbastanza per non considerare più Il Tartina quel capo forte e autoritario che tanto il partito vorrebbe. Da qualche mese il posto di segretario è stato occupato da Aurelio Trovatore, un tipo tranquillo che non dà fastidio a nessuno: non ha un grande polso, ma è abbastanza sveglio da non far capitare guai.
Per qualcuno, però, non è abbastanza. Caio Scafandro, l’anima del partito, è stufo di deboli burocrati, e sente che, se la sezione bellanese del partito fosse nelle sue mani, diventerebbe un esempio in Lombardia, anzi, per l’Italia intera.
Però… c’è un però. Il cognato di Caio Scafandro è in grossi guai. È stato beccato da un ispettore della ferrovia decisamente troppo zelante (leggi: che non riusciva a prendere sonno sulla brandina perché ogni volta che scende a Bellano si abbuffa) mentre, insieme al figlio ancora minorenne, rubava del carbone.
Il ladro è regolarmente iscritto al partito ed è cognato di una delle colonne portanti, e quindi, se fosse condannato per questo reato piuttosto ridicolo, metterebbe nei guai – un’altra volta! - tutta la sezione bellanese. Caio Scafandro sa che cosa ci vuole: un mega processo con un avvocato principe del foro, magari qualcuno venuto da fuori, che possa intortare a parole quei sempliciotti dei suoi concittadini.
Milano, pochi giorni prima del fattaccio. Un giovane visibilmente in fuga entra di nascosto nella tipografia Vivacchia. Ha dei grossi problemi con le autorità locali e gli hanno detto di rivolgersi lì, dove lo aiuteranno a rifarsi una vita. Gli impiegati della tipografia sono un po’ burberi e misteriosi, ma svolgono benissimo il loro compito: in quattro e quattr’otto, il fuggitivo si ritrova con dei nuovi documenti, perfettamente contraffatti, ed una nuova identità professionale di avvocato, anche se egli non ha nemmeno studiato.
Munito dei documenti e di una valigia essenziale, egli prende il primo treno verso i laghi. E perché non scendere a Bellano, un luogo così incantevole?
Il sistema Vivacchia è un titolo dal doppio significato, fortemente ironico, sul quale l’autore gioca. Tecnicamente il significato sarebbe “il sistema della tipografia Vivacchia”, ovvero il lavoro provvidenziale di questo esercizio, che aiuta a far fuggire – e di fatto a salvare la vita – a tutti gli oppositori del regime, che già ben prima della guerra venivano arrestati e mandati al confino. Senza quella V maiuscola, però, il significato diventa “il sistema del partito/del regime tira a campare”, e credetemi, questo romanzo ne è un’ennesima dimostrazione.
L’ho detto tante volte e non mi stanco mai di ripeterlo: ben pochi, in Italia, prendono in giro i prepotenti, in particolare quelli degli anni ‘20 e ‘30, con la classe di Vitali. Egli non si è mai definito un autore impegnato, le sue presentazioni – ci sono stata più di una volta – sono spassose, il suo intento resta principalmente quello di raccontare vizi e virtù degli italiani di una volta, che curiosamente assomigliano molto a noi.
Eppure la sezione bellanese del partito è stata messa alla berlina in tutti i modi, ed ogni volta, in questo romanzo, fa una ben magra figura.
Ogni volta c’è qualche prepotente che vuole avere qualche privilegio a scapito della povera gente, o vuole spendere i soldi pubblici per qualche assurdità che gli farà fare “bella figura”… e viene prontamente beffato.
A questo proposito, vi lascio a questo link la recensione di Sua eccellenza perde un pezzo, perché a me è venuto mal di pancia dal ridere e quindi deve venire anche a voi.
Fin qui vi ho raccontato degli “antagonisti” e del “protagonista per caso”, ma i veri e propri protagonisti della storia, ovvero il maresciallo Maccadò con la sua squadra, composta dal vivace e sveglio Misfatti, dal silenzioso Mannu e dal giovane appuntato Beola, sono anche questa volta una presenza determinante e risolutiva.
Il tema del processo-farsa mi ha ricordato, per certi versi, Troppo forte, il film con Sordi e Verdone, anche se ovviamente è un’altra storia. Le risate amare, però, sono quasi le stesse.
Sono curiosa di vedere anche la fiction sul maresciallo Maccadò, che, a quanto pare, è in lavorazione. Nel frattempo mi diverto molto leggendo i romanzi!
Questo è tutto per "l'angolo vintage" ottobrino!
Sono contenta di essere riuscita a parlarvi di due romanzi che ho letto durante i mesi più caldi...
In ottobre siamo solo in due a partecipare alla rubrica: mi raccomando, non perdetevi il post di Chiara! Fatemi anche sapere se conoscete questi libri o questi autori!
Grazie per la lettura, al prossimo post :-)
Grazie per i consigli di lettura.
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