lunedì 6 ottobre 2025

100 ANNI (E UN MESE) DI... ANDREA CAMILLERI

 Due romanzi dell'autore



Cari lettori,

dopo un po’ di post di “Letture...a tema”, eccoci tornare alle nostre “Letture… per autori” per un’occasione speciale!


Il 6 settembre il mondo culturale italiano ha festeggiato il centenario di Andrea Camilleri, autore dalla cui penna sono nati il commissario Montalbano e tanti altri personaggi. Uno scrittore che penso non abbia bisogno di presentazioni per tanti di noi e che purtroppo ci ha lasciato nel 2019.


Non sono riuscita a “partecipare” ai festeggiamenti con il blog il mese scorso: tra i libri che ho letto quest’estate non c’erano opere di Camilleri, anche perché tanti di loro – specie i romanzi del commissario Montalbano – sono mie letture di tanto tempo fa (ho iniziato a leggerli addirittura alle superiori).


Appena tornata a casa, però, avendo saputo di questa importante ricorrenza, mi sono ricordata di avere in casa due volumetti della Sellerio, due dei romanzi storici di Camilleri tra i più noti, che non avevo ancora letto. 

Li ho recuperati nel corso di settembre e sono molto contenta di parlarvene oggi!


Tra l’altro si tratta di due romanzi arrivati tra le mie mani in modo un po’ curioso. Quando a giugno vi ho raccontato della mia gita a Soncino (trovate il mio post qua), forse non vi ho detto che al Museo della Seta, tra calamite e cartoline, c’era un banchetto di libri usati a un euro per poter così fare un’offerta. Li ho trovati lì… e sapevo che non mi sarei pentita di averli presi!



Il nipote del Negus


Vigàta, agosto 1929.


La Regia Scuola Mineraria, che educa i giovani della nobiltà e della buona borghesia siciliana, è oggetto di un’imprevista attenzione. Sulla scrivania del direttore arriva addirittura una lettera dal Ministero degli Esteri, che comunica una grossa novità.


Il principe Grhane Sollassié Mbassa, nipote di un Negus etiope, è già in Italia presso un altro istituto, e vorrebbe raggiungere Vigàta per unirsi agli studenti della Scuola Mineraria. Essendo in pieno ventennio, la questione è delicata.


Da un lato le alte sfere italiane sono sempre più tragicamente attirate dalle teorie che arrivano dalla Germania (e non solo) sulla purezza della razza, quindi l’arrivo di un giovane africano potrebbe far storcere il naso di molti personaggi importanti, primi tra tutti i genitori degli allievi della scuola. Dall’alto, però, al di là del colore della pelle, il nipote del Negus è comunque un personaggio importante, specie se si considera che Mussolini e i suoi gerarchi si sono uniti alla smania di colonizzazione dell’Africa che attraversa l’Europa e ci terrebbero ad avere buoni rapporti con l’Etiopia.


Alla fine, anche se con grande titubanza (ed in seguito ad un vivacissimo scambio di lettere), l’iscrizione del principe viene accettata.


Per il nipote del Negus viene preparata un’accoglienza istituzionale, ma, invece del personaggio ricco e distinto che tutti si aspettavano, dal treno scende un ragazzo con una fodera ripiena come unico avere, vestito di stracci, che chiede di nascosto ad uno degli agenti di portarlo in una casa chiusa.


È solo l’inizio di una lunghissima serie di guai. Il principe spende moltissimi soldi, somme a cui “ha diritto” per tanti motivi burocratici ma che prosciugano tutte le casse statali (dal piccolo Comune di Vigàta alla grande Roma), sperpera tutto in prostitute e gioco d’azzardo, seduce povere fanciulle che si illudono di sposare il principe nero, ha una pessima condotta a scuola e porta sulla cattiva strada gli alunni migliori.


Tutte le istituzioni, dal Sindaco fino ad arrivare ai Ministri, ne hanno ben presto fin sopra i capelli di questo presuntuoso principe che porta soltanto… “grane”, come curiosamente afferma il suo nome. Le alte sfere, però, premono perché il giovane venga accontentato in tutto, e per due ottimi motivi. Il primo è la possibilità di far incontrare il principe con due Ras africani a Roma, in modo che ci sia un concreto tentativo di mediazione, in vista di un accordo tra Italia ed Etiopia. Il secondo è la richiesta, sempre al principe, di scrivere una lettera per lo zio, il Negus, in cui egli dovrebbe magnificare lo spirito italiano e le virtù italiche.


Ovviamente il principe nicchia su entrambe le cose. Per quanto riguarda l’incontro a Roma, cambia idea mille volte ed ha pretese sempre più assurde. Quanto alla scrittura della lettera, invece, continua a rimandare, e poi c’è l’effettivo problema della lingua, per il quale ci vuole l’intervento di qualcuno, magari di un missionario che è stato in Africa.


Tra le tante personalità vessate da questo inarrestabile principe ci sono anche un commissario furbo ed esperto, che forse non sarà proprio nuovo ai lettori di Camilleri (non è un antenato di Montalbano, ma potrebbe esserlo nello spirito) e il questore, un amico più che un superiore. Entrambi trovano sempre più inverosimile la crescente ondata di follia che ha scatenato il nipote del Negus. Ma come fermarlo?



Il nipote del Negus… non è stata per niente una lettura come me l’aspettavo, perché è stata molto meglio.


Innanzitutto non è un tradizionale romanzo storico. L’autore alterna sezioni di lettere e carteggi (che chiama “carpette”), nelle quali la storia viene raccontata con un linguaggio burocratico che finisce per risultare tragicomico, ed altre in cui riporta dialoghi dei cittadini di Vigàta, dai quali la verità dei fatti emerge in modo imbarazzante, per non dire impietoso. 

L’italiano di registro più elevato si alterna al dialetto siciliano che tutti noi lettori di Camilleri abbiamo imparato a conoscere. Un curioso romanzo epistolare con qualche incursione nella vita vera, in breve.


La storia è una gigantesca beffa nei confronti di tutti i prepotenti che pensano di essere furbi (in quegli anni, per via del periodo storico, ce n’erano molti, ma io non credo che oggi siano scomparsi) ed invece si fanno fregare dal primo venuto. Il principe Ghrane sa benissimo di avere di fronte delle persone che, per quanto si ritengano importanti, hanno le mani legate per motivi politici e coloniali, e se ne approfitta in tutti i modi.


È un libro molto divertente, anche se l’amarezza di fondo non manca, perché è sostanzialmente la storia di una beffa, di quanti soldi statali - duramente guadagnati dai cittadini e versati in tasse che avrebbero dovuto contribuire al loro benessere – vengano spesso buttati per sciocchezze, e di quante persone siano trattate come pedine sacrificabili in nome di non si sa quale bene superiore. È una storia che si divora, perché la curiosità di scoprire quale sarà la prossima burla del principe è davvero troppa.


Un po’ mi dispiace non aver letto questa storia prima, perché tra le sue pagine c’è molto dello spirito ironico e satirico di Camilleri… ci sono molti temi che, qua e là, toccano anche il personaggio di Montalbano. L’importante, comunque, è averlo letto ora, no?



Maruzza Musumeci


Vigàta, fine ‘800.


Il bracciante e muratore Gnazio Manisco, dopo aver vissuto in America ed aver speso lì la sua giovinezza, torna a casa disilluso, ancora spaventato da un mondo che credeva diverso, e fiacco sia nel corpo che nell’anima. Più di tutto, egli odia il mare, quel mare che gli aveva promesso una nuova vita e che invece, dopo ore ed ore di attraversamento su una nave della speranza, gli ha aperto le porte di un mondo deludente.


Egli è tornato a casa con i soldi per una piccola casa – quel poco che gli basta per le sue esigenze – ma, inaspettatamente, si trova di fronte ad un buon affare: Contrada Ninfa, una lingua di terra che si allunga sul mare, e che sembra essere evitata, molto stranamente, proprio da chi ama la distesa marina. Ci sono storie sinistre che gravitano intorno a quel posto, racconti di marinai che hanno trovato lì un’infelice fine dopo essersi ritrovati tormentati da incubi e strane visioni.


Gnazio, però, non è persona che si impressiona per queste dicerie, e poi si sente in una botte di ferro, proprio perché lui odia il mare. Costruisce egli stesso una casetta al centro di Contrada Ninfa, una casa cieca da tre lati, con le finestre solo dal lato della terra, per poter guardare il bosco che c’è di fronte. Il terreno tutt’intorno diventa una distesa di campi coltivati e Gnazio, giorno dopo giorno, inizia a vivere di quello che egli stesso produce, come un uomo di altri tempi.


Col tempo, egli comincia però a sentire la solitudine, ed avverte il desiderio di una moglie. La mezzana del paese gli propone qualche scelta più convenzionale (come qualche donna rimasta vedova troppo presto), poi si ricorda di Maruzza, una ragazza che non è più in età “da marito” da qualche anno ma è ancora giovane e molto bella. Maruzza ha allontanato tutti i suoi corteggiatori per via di tante strane abitudini, prima tra tutte il rapporto strettissimo con la sua bisnonna, con la quale parla fitto fitto una lingua che nessuno conosce (che poi si rivelerà essere il greco antico).


Maruzza e la sua bisnonna sono favorevoli alla proposta di un matrimonio con Gnazio, ma hanno delle curiose richieste. L’uomo capisce che la sua futura moglie voglia una camera vista mare – non tutti la pensano come lui -, ma non comprende la necessità di due vasche, una esterna e l’altra interna, quando la distesa marina è a pochi passi, e non sa proprio spiegarsi perché periodicamente Maruzza ci debba restare immersa in orario notturno. Per non parlare degli stravaganti riti a cui la bisnonna di Maruzza sottopone i due futuri coniugi prima del matrimonio ufficiale: momenti quasi magici, ai quali le donne sembrano dare maggiore importanza rispetto al giorno ufficiale delle nozze.


Maruzza e la sua bisnonna appartengono alla mitica specie delle Sirene, ed hanno scelto di vivere sulla Terra, anche se in un luogo che ha un legame speciale con il mare. Hanno i loro riti, i loro amici e soprattutto i loro nemici (i discendenti di Ulisse).


Ma Gnazio è un anti-Odisseo che odia il mare, non chiede e non sa, o forse non vuole sapere. Così, giorno dopo giorno, tra lui e Maruzza, nonostante le tante differenze, nasce un vero sentimento, e da questo inaspettato amore, tanto atteso da entrambi i protagonisti, vengono alla luce due figli: Cola, un aspirante astronomo, e Resina, la Sirenetta…



Dimenticate i toni ironici e scanzonati de Il nipote del Negus. Maruzza Musumeci è quello che oggi verrebbe considerato retelling mitologico, in questo caso dell’Odissea, anche se, per così dire, “rovesciata”. 

Non si narra la storia di un eroe che percorre i sette mari affrontando mille avventure e pericoli, ma il ritorno a casa di un anti-eroe che non ha compiuto nessuna grande impresa, è tornato in patria più povero, stanco ed anziano di prima, e non vuole sentir mai più parlare di mare. E le Sirene, che attirano gli eroi solo per umiliarli, di fronte ad un personaggio così si affidano con amore.


I riferimenti all’epica greca ed al mondo classico sono continui (qualcuno più noto, altri meno): questo romanzo è una vera chicca per chi, come me, ha fatto studi di questo tipo e li ha amati.


La lingua, però, è sempre quel mix di italiano e siciliano che contraddistingue Camilleri (greco antico a parte…): la Sicilia è scelta ancora una volta come terra d’elezione, sia come Magna Grecia, sia perché Vigàta è la casa immaginaria che l’autore ha scelto per se stesso.


Anche questo – per ragioni diverse rispetto a Il nipote del Negus – è un romanzo da leggere se siete appassionate delle storie di Camilleri. È una favola mitica che vi porterà in un altro mondo!




Due letture bellissime, come immagino avrete capito! La prova che il maestro Camilleri, anche se ci manca sempre un po', è ancora con noi... 

Fatemi sapere se avete letto questi due romanzi e che cosa ne pensate! 

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


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