giovedì 25 marzo 2021

UNA PRIMULA PER LIVIA

 Storytelling Chronicles: marzo 2021



Cari lettori,

benvenuti all’appuntamento di marzo con la rubrica di scrittura creativa “Storytelling Chronicles”!


Prima di passare al racconto di oggi, vi ringrazio moltissimo per le tante visualizzazioni de “Il candidato”, la storia che ho scelto di raccontarvi a febbraio (che trovate a questo link). Il tema trattato non era dei più facili, ed io stessa ho letto, riletto e straletto il post prima di pubblicarlo, quindi il vostro supporto, sia quello accompagnato da commento che quello silenzioso, è stato importantissimo per me.


A marzo si parla di primavera e rinascita, e per questo motivo la nostra amministratrice Lara, invece che proporci un vero e proprio tema, ci ha richiesto l’inserimento obbligato di tre elementi: un bambino, un fiore e un colore pastello.


Dopo un autunno/inverno in cui ho pubblicato racconti con riferimenti a tematiche serie, alla storia o alla letteratura, ho pensato di regalarvi una storia leggera, che spero strapperà un sorriso a tutti. Con i presupposti che ha fornito Lara, non poteva che nascere così…!


Una primula per Livia è anche un omaggio al mondo della scuola, che, come tanti di voi sapranno, mi è molto caro. Vi auguro una buona lettura!



UNA PRIMULA PER LIVIA



La mattina di quel giorno di inizio autunno era soleggiata e piuttosto calda. C'era una certa agitazione vicino al centro: proprio quella mattina, tutte le scuole del paese avrebbero riaperto i battenti dopo un’estate lunga e sonnacchiosa. Il trambusto che accompagnava l’evento sarebbe stato impossibile da ignorare.


Non era tanto per il traffico, improvvisamente impazzito nelle arterie principali della cittadina. Neanche per i pullman, che, come carrozze arancioni, sostavano davanti all'ingresso principale, o per le auto, che erano posizionate ovunque e selvaggiamente, quasi l'una sopra l'altra, perché il parcheggio grande era già impraticabile da almeno un quarto d'ora. E non era neanche per i poveri vigili, che, ad ogni angolo della piazza, cercavano di districare quel guazzabuglio mattutino, probabilmente maledicendo la mattinata in cuor loro e chiedendosi se per caso non sarebbe stato meglio fuggire in una metropoli, dove almeno gli ingorghi non erano mai una sorpresa.


No, quello che sarebbe saltato all'occhio, ancora prima di tutto questo, sarebbero state le voci, che sovrastavano qualsiasi altro rumore. Le chiacchiere delle madri che già si conoscevano e che si erano radunate in piccoli gruppi, i capannelli vocianti di maestri e maestre in cima alle scale che si godevano gli ultimi minuti di tranquillità prima di una lunga giornata lavorativa, e soprattutto le grida dei bambini, che avevano evidentemente dimenticato la malinconia della sera prima per l'estate ormai finita e, in quel momento, erano solo felici di rivedere i loro amichetti: c'era chi faceva gare di corsa da un ingresso all'altro, chi giocava a nascondino appiattito vicino alle mura e chi si era guadagnato un posticino sulle scale per raccontarsi gli ultimi segreti.


Eppure, anche nel bel mezzo di quella confusione epocale, c'era un gruppetto di bimbi che, seppure eccitati e nervosi ben più di tutti gli altri, non osavano fare altro che gettare qualche occhiata al portone, in attesa. Erano accompagnati dai loro genitori, che, a loro volta, si guardavano tra di loro, quasi studiandosi, e parlavano sommessamente, come se l’idea di alzare la voce li intimorisse.


Nascosta tra di loro, e saldamente vicino alla sua mamma, Livia aspettava di essere chiamata per entrare. Era una bimba piccola e minuta, con un caschetto di lisci capelli neri e gli occhi chiarissimi. A differenza di altri bambini, che sembravano quasi sull’orlo del pianto, lei non si sentiva per niente a disagio. Era curiosa, non preoccupata: non dubitava che la “scuola dei grandi” sarebbe stata una magnifica avventura. Guardandosi allo specchio quella mattina, si era convinta di essere anche vestita per benino: indossava un abito a fiori che adorava e un golf rosa che le aveva fatto la nonna. Le piaceva tutto quello che aveva scelto per quel giorno, eccezion fatta, forse, per il suo zaino nuovo. Era un regalo del suo papà, e lei gli aveva fatto un sorrisone per renderlo felice, ma non era sicura che le piacesse: era un po’ troppo grande per i suoi gusti (ma davvero per la “scuola dei grandi” serviva qualcosa di così grosso? Quanti libri avrebbe dovuto portare?) e lo sfondo era di un triste grigio scuro. L'unico dettaglio che le piaceva era il disegno sulla parte sopra, che rappresentava un volo di nere rondini su un'alba rosa pastello. Livia era una sognatrice ed apprezzava molto di più quell'atmosfera un po' rarefatta del disegno, che poteva divertirsi ad immaginare, piuttosto che il sole sfavillante di quella giornata, che le entrava negli occhi. La luce sempre più forte, unita alla sua statura (ancor più bassa di quella degli altri bimbi), non le consentiva di vedere molto.


Dopo qualche altro minuto di frenetica attesa, genitori e figli vennero chiamati ad entrare, ma non dall'ingresso principale, ma da quello laterale. Livia capì subito che loro sarebbero stati speciali, perché entravano dalla porta “piccola e tranquilla”, senza tutta la confusione dell'ingresso principale. Entrarono in un'aula spaziosa e pulita e conobbero quella che sarebbe diventata la loro maestra di italiano, Cecilia: una signora dai capelli castani striati di grigio, con occhiali rossi corredati da catenella ed un tailleur blu. Il suo aspetto severo ed il suo sguardo attento contrastavano con il suo sorriso aperto, e Livia istintivamente sentì che con Cecilia sarebbe stata bene, forse persino meglio che con le maestre dell’asilo.


Ognuno dei bambini fu invitato a scrivere il suo nome su un foglietto ed ad appiccicarlo al piccolo banco verde. Livia si sedette vicino ad una delle altre bambine e aspettò che la maestra salutasse i genitori. Poi aprì il suo quaderno, impaziente di iniziare la prima lezione della sua vita. Aveva già imparato a leggere e a scrivere le lettere dell’alfabeto, e sentiva nel cuore che italiano sarebbe stata una delle sue materie preferite.


La maestra stava richiamando l’attenzione dei bambini, non tutti così solerti nell’estrarre il materiale dallo zaino. Livia alzò gli occhi dal quaderno per dimostrare a maestra Cecilia che era attenta e vide, esattamente dall'altro lato della classe, un bambinone, nettamente più alto e grosso di lei, con ricci e folti capelli biondi. Lei non ci avrebbe trovato niente di interessante, ma, per qualche motivo, era stato lui a notare lei. La guardava con un sorriso di scherno, quasi di sfida. Forse voleva diventare suo amico? I maschi erano davvero un mistero.


In meno di cinque minuti, Livia, con in mano la matita di grafite e gli occhi puntati alla lavagna, si era già scordata del bambino con il sorriso divertito. Di lì a due settimane circa avrebbe compiuto ben sei anni. Stava entrando a far parte della scuola dei grandi, e forse quella settimana, finalmente, le avrebbero dato un vero compito. Aveva cose più importanti a cui pensare, lei!!


* * *


Ma come aveva potuto anche solo pensare di potere fare amicizia con quel bullo arrogante e prepotente?


Erano questi i pensieri di Livia in quelle mattine d'inverno. Il bell'autunno soleggiato dei primi giorni era trascolorato in un gelido e piovoso inverno. Per ricordarsi di questo cambiamento, lei stessa aveva aperto il suo quaderno di italiano (che, come da lei stessa previsto, era la sua materia preferita) e, nella pagina d’intestazione, aveva messo un sole a sinistra ed una nuvola di pioggia a destra.


Le piaceva disegnare. E le piacevano un sacco di altre cose: la sua scuola nuova, la maestra Cecilia, scrivere ed illustrare racconti, andare a scuola di musica, e, prima tra tutte, leggere.


La sua sensibilità ed i suoi gusti, forse un po' troppo impegnativi per una bambina di appena sei anni, cozzavano terribilmente con Filippo, il suo compagno dai capelli ricci e biondi. Per lui, infatti, non c'era libro che valesse una corsa all'aperto, e la sua idea di “domenica ideale” era giocare a calcio, aiutare suo padre in giardino, o entrambe le attività.


Tuttavia, non era la diversità di gusti a far scontrare Livia e Filippo. Quello che non andava proprio giù a Livia era il modo di fare di lui: se lei, i primi giorni di scuola, l'aveva assolutamente ignorato, lo stesso non si poteva dire di lui. Filippo l’aveva notata fin dal primo giorno, e non era stato proprio un vantaggioso affare per lei. Filippo, infatti, non faceva altro che seguirla, interromperla quando chiacchierava a ruota libera con le amiche, commentare i suoi vestiti, le sue frasi, i suoi gesti. Livia non stava certo in silenzio di fronte a tutto ciò, e gli rispondeva a tono. Non riusciva a capire: perché, se Filippo affermava che non gli piaceva niente di Livia, non la lasciava in pace? Livia non capiva, ed anzi, sentiva di detestarlo. Passavano così i mesi, ma non i battibecchi.


Pur non rendendosene conto, Livia e Filippo erano, almeno sotto questo punto di vista, molto simili: fermi nelle loro passioni, decisi a difenderle, testardi e cocciuti nel farsi rispettare, ed estremamente sinceri. Livia si arrabbiava moltissimo quando vedeva Filippo farsi bello con i suoi piccoli amici, con battute, sciocchezze e fantasie; d'altra parte, però, era poi lei stessa la prima che si divertiva a raccontare ed a scherzare. Ed entrambi, poi, si divertivano e si arrabbiavano insieme, nei loro piccoli e grandi scontri.


* * *


La prima elementare era diventata seconda, e, prima che Livia potesse accorgersene, si era trovata dentro la prima grande influenza di stagione. La febbre alta e il mal di gola l'avrebbero costretta tutta la settimana a casa.

La mattina, tra giochi e soffici coperte, passò in fretta. Livia aveva appena finito di mangiare di controvoglia la sua pasta in bianco, quando lei e sua madre vennero interrotte dal suono del campanello. Livia, più veloce della mamma, corse al citofono, e rimase senza parole: dalla finestrella della telecamera si vedeva chiaramente Filippo, con lo zaino in spalle e qualcosa di non bene identificato in una mano, che salutava con il braccio libero e sfoggiava un sorriso che Livia non gli aveva mai visto.


L’immagine che appariva al citofono ribaltava tutte le convinzioni di Livia.

Ella aveva già deciso di telefonare ad una sua amica per avere i compiti: non avrebbe mai chiesto un aiuto a Filippo, nemmeno se le avessero ordinato di farlo. Innanzitutto, Livia pensava che i quaderni di Filippo non sarebbero stati belli ed ordinati come i suoi. E poi, soprattutto, era sicura che, se gli avesse telefonato, lui si sarebbe messo a ridere ed avrebbe riattaccato.


Invece, quel giorno, Filippo sorprese Livia, e per vari motivi. Tanto per cominciare, Livia scoprì che Filippo poteva essere, sì, rompiscatole e prepotente, ma di certo non disordinato: i suoi quaderni rivelavano una precisione che mai nessuno avrebbe potuto sospettare. Poi, con grande sorpresa di Livia, Filippo non se ne andò via subito, ma si fermò lì, nonostante il rischio di prendersi la febbre, e se ne andò nel tardo pomeriggio, dopo aver mostrato a Livia tutti i compiti ed averle raccontato tutto quello che era successo a scuola quel giorno. Lì, in casa sua, non si comportava affatto come faceva in pubblico: era educato, tranquillo... un'altra persona. Di certo lo fa perché ci sono mamma e papà, pensò Livia.


La sorpresa più grande di tutte, però, fu l’oggetto che Filippo aveva portato con sé oltre allo zaino: un vasetto di plastica nera, contenente una primula dai petali di un delicato rosa pastello. “È un regalo di mia mamma per la tua” disse lui, a mo’ di scusa. Ma nel dirlo guardava lei e continuava a sorriderle.


* * *


I mesi passavano tranquillamente, ed anche la seconda elementare stava per concludersi. Per un motivo o per l'altro, Livia e Filippo erano spesso insieme. Ormai Filippo passava da casa di Livia non più solo per i compiti. Era praticamente estate e lui spesso veniva a giocare con lei; Livia con lui si sentiva un po’ maschiaccio, un po’ libera. Insieme a lui poteva usare i dinosauri e le macchinine, correre dietro a una palla nel giardino di casa sua, mettere alla prova la sua forza. Insieme a Filippo non doveva fare sempre e solo giochi “da signorina”, ma anche rischiare di combinare qualche disastro. Una volta Filippo tirò un calcio così forte e così in alto che la palla colpì il tettuccio di metallo della porta della taverna e si squarciò del tutto!


I momenti più esilaranti, però, erano durante la cena. Già, perché Filippo si fermava anche a mangiare, su gentile invito dei genitori di Livia. Al momento di servire la pasta, egli era naturalmente il primo ad avere la sua porzione, in quanto ospite, ma, quando tutti avevano finalmente il piatto pieno, il suo... beh, era già vuoto. Livia, dall’altro capo del tavolo, mangiava un maccherone alla volta e rideva della sua fame insaziabile. E poi, nelle sere d’estate, dopo cena, il padre di Livia accompagnava lei e Filippo a fare un giro in bicicletta.


A scuola, il rapporto tra Livia e Filippo non era cambiato, nonostante fosse passato un po' di tempo. Le loro discussioni erano sempre accese e vivaci, e il comportamento “pubblico” era sempre diverso da quello “privato”. Ogni tanto suo padre, ridendo, definiva il loro un “rapporto di odio ed amore”. Livia, piccata, ribatteva spesso con stizza: “Non c’è nessun amore!”.


Poi però ci ripensava. Non c’era alcun tipo di amore, tranne quando non c'era nessun altro con loro.


* * *


Stavolta Filippo ha proprio esagerato, si disse Livia. Doveva smetterla di dire qualsiasi cosa gli passasse per il cervello!


Lui e quell'atteggiamento così saccente, con la sicurezza di avere sempre la verità in tasca: era convinto che quello che egli pensava fosse sempre e comunque la cosa migliore. E poi, con quel modo di metterla in ridicolo, e di prenderla in giro! E, in effetti, questa volta la maestra Cecilia si era reso conto che il loro innocente battibecco si era tramutato in una lite furibonda, aveva capito che era stato Filippo ad esagerare, e gli aveva dato una nota.


A quel punto, Livia si sentiva molto, ma molto soddisfatta. Finalmente lei gliel'avrebbe fatta pagare, ed avrebbe imparato a rigare dritto. Con ritrovata allegria, si mise a fare il suo problema di matematica, attenta a non tralasciare dettagli.



Il pomeriggio non fu altrettanto buono. Arrivata a casa, Livia era in cucina a leggere, immersa nel suo mondo. Aveva naturalmente nascosto l'accaduto ai genitori, temendo che le avrebbero attribuito parte della colpa. Ad un certo punto, però, sua madre rispose al telefono: e chi altri poteva essere, se non la madre di Filippo? Venne fuori la storia della nota, e non solo. A quanto pareva, Filippo l'aveva presa malissimo, e l'aver portato a casa quella nota l'aveva addirittura fatto piangere.


Se il primo pensiero di Livia fu “Uffa, non è possibile, non si può nascondere nulla a mamma e papà”, il secondo fu “Se lo merita!”, ma il terzo fu: “Ma perché piange?”. Si era abituata all'immagine di Filippo come bulletto rompiscatole, che non si commuoveva mai e prendeva in giro chi piangeva (soprattutto lei). E poi, Filippo aveva già preso un sacco di note. Possibile che ci fosse rimasto così male?


Da quel momento, il trionfo di Livia divenne immediatamente amaro. Non c’è che una cosa da fare, si disse, improvvisamente animata da una nuova idea.



A volte, nella vita, i ruoli si scambiano. Questa volta era Livia a correre sulla sua piccola bicicletta, diretta verso casa di Filippo. Nel suo cestino non c’erano né zaini né quaderni, ma solo una primula dai petali azzurro chiaro. Era il suo modo di chiedere scusa a Filippo, di dirgli che era stato tutto uno stupido equivoco. Di fargli capire che finalmente se n’era resa conto: lui le voleva bene. E anche lei ne voleva a lui.


Le parole restano imprigionate nella mia mente,

mi dispiace, non mi prendo il mio tempo per vivere le mie emozioni,

perché fin dal primo giorno in cui sei entrato nella mia vita

il mio tempo ticchetta intorno a te.


Ma poi ho bisogno della tua voce, come una chiave

per liberare tutto l’amore intrappolato in me


Quindi dimmi quando è il momento di dirti “Ti voglio bene”.


FINE



Vi ringrazio per essere giunti anche stavolta alla fine del mio racconto (so che mi dilungo sempre abbastanza nello scrivere!). I versi finali sono tratti dalla canzone When it’s time dei Green Day, che trovate a questo link.


Lascio spazio a voi per i vostri commenti, le vostre impressioni, i vostri suggerimenti. Rinnovo l’invito a leggere anche i racconti delle mie compagne d’avventura, tutti contrassegnati con il banner dal titolo “Storytelling Chronicles”!

Grazie per la lettura, al prossimo post :-)


17 commenti :

  1. Ciao Silvia. È sempre un piacere leggerti non penso che ti dilunghi perché concentri bene l’attenzione del lettore e secondo me le tue storie sono ogni volta equilibrate dimostrando che sei brava davvero e ti piace scrivere me ne accorgo ogni volta che ti leggo.
    Devo confessarti che questa in particolare non è tra le mie preferite. Si tratta di un’opinione personale e puramente soggettiva ma l’ho trovato una sorta di riassunto sulla vita quotidiana dei due protagonisti più che un racconto e non sono riuscita ad essere coinvolta nella storia come le altre volte. Mi dispiace molto perché di solito le tue storie mi piacciono sempre tanto e di certo continuerò a leggerti con lo stesso piacere

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    1. Ciao Susy! Non ti preoccupare, anzi, mi spiace che stavolta tu non ti sia sentita particolarmente coinvolta. In effetti ho avuto un tono più colloquiale e quotidiano di altre volte: era un esperimento, come quasi sempre lo sono i racconti di questa rubrica, e non è detto che tutti siano riusciti. Ti ringrazio per aver espresso la tua opinione con sincerità!! A presto :-)

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  2. Ciao Silvia! Ho letto il tuo racconto tutto d'un fiato e non vedevo l'ora di capire come i due avrebbero scoperto che l'amicizia è il bene più prezioso, soprattutto a un'età tanto giovane. Leggere dal punto di vista di una bambina tanto piccola è stato magico ma anche molto difficile da realizzare a mio parare. Sei riuscita, adattando il tuo stile, a farla parlare in maniera genuina! Chissà se rivedremo questi due bambini, magari un po' cresciuti! Ecco che partono i film mentali 🤯 di certo ho apprezzato come tu abbia rispettato alla perfezione il tema del mese. Quindi brava brava brava e alla prossima 😊

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    1. Ciao Anne Louise! Sono contenta che tu trovi realistico il mio modo di raccontare! Forse è perché a volte sono più bambina io dei bambini 🤣🤣 Quanto ad un eventuale re-incontro tra Livia e Filippo...non lo so ancora, tutto può essere!🤗🤗

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  3. Ciao. Devo dire che ho apprezzato molto il tuo racconto e secondo me, mi ha fatto provare qualcosa di più rispetto agli altri che ho letto tuoi. Sei stata come sempre brava nella forma, nello stile, non ho visto errori, la lettura è scorrevole, il linguaggio adatto alla situazione e il tutto si incastra bene per creare una storia scritta davvero bene.
    Quello che mi è piaciuto di più è stato il fatto di usare due bambini per spiegare l'amicizia, il perdono e il fatto di rendersi conto degli errori, i legami tra persone diverse. Mi è piaciuto molto questo, e secondo me il tema è davvero importante.
    Complimenti

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    1. Ciao! Sono veramente contentissima di leggere queste tue parole! mi fa davvero piacere sentire che questo racconto in particolare ti abbia colpito, tra i miei 🤗😍

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  4. Sono arrivata alla fine di questo racconto con le lacrime agli occhi. L'ho trovato dolcissimo, in ogni riga, in ogni parola, vedere quest'amicizia crescere con i protagonisti mi ha veramente emozionata. Sei stata bravissima a creare un racconto che prende questi tre elementi e li integra in modo talmente naturale che, se non sapessi fosse stata questa la consegna, non ci avrei neanche fatto caso fossero stati "imposti", tanto naturali suonano. Complimenti Silvia, davvero! Sono incantata :)

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    1. Ciao Stephi, grazie mille! Mi emoziona sapere che ti sei commossa... ti ringrazio davvero! 💜

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  5. Una storia davvero dolce che scioglie il cuore. Mi ha fatto andare indietro nel tempo a quando da bambini si litigava per poco ma si era anche facili al perdono. Ho adorato tanto la tua storia, mi ha commosso per la sua innocenza, per il rapporto di amicizia nato tra questi due bambini dal carattere diverso ma anche simili. Grazie per averci regalato un'altra tua perla.

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    1. Ciao Tania! Eh sì, questa storia è stata una sorta di piccolo omaggio al mondo dell'infanzia e della scuola :-) Livia e Filippo sono simili e diversi insieme! Grazie a te per aver apprezzato questa storia :-)

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  6. Silvia, dimmi che ci sarà un seguito perché, arrivata alla fine, ne volevo ancora un po' <3 Non è giusto che le tue storie terminino sempre U_U Voglio firmare una petizione per un testo infinito, sappilo :P Ahahah

    Comunque, Livia e Filippo sono davvero dolcissimi :3 Il rapporto di odio-amore è un classico intramontabile e, devo dirlo, fa sempre la sua bella figura :D L'hai reso magnificamente e mi hai fatta sorridere dall'inizio fino all'ultima frase ;)

    Complimenti davvero, anche per aver inserito, in maniera così sostanziale, gli elementi della tematica di marzo: lo scambio di fiori -e di ruoli!- è stato il culmine della tenerezza <3

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    1. Ciao Lara! Eh sì, "enemies to lovers" piace sempre, ma è anche una bella sfida da rendere nel modo corretto! Sono contenta di essere riuscita a farti sorridere :-) Quanto ad un possibile seguito... eeeh, per ora non so, vediamo che cosa succederà!!

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  7. Ciao Silvia. Sono Silvia di Silvia tra le righe. Che racconto delizioso. Hai sfruttato benissimo la tematica del mese. E mi hai emozionato come sempre Una storia tenerissima. A presto.

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    1. Ciao Silvia! Grazie mille per le belle parole! Alla prossima :-)

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  8. Ciao Federica! Sono felice di leggere che addirittura sei corsa a leggere il finale :-) L'idea degli "enemies to lovers" è sempre stata tra le mie preferite, purché in chiave scherzosa/da commedia! Mi sono divertita a cimentarmi, ahah :-) Grazie mille per tutti i complimenti!

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